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Autore: WhitePumpkin    09/06/2011    3 recensioni
Ora stava uscendo dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle, quando lo sentì di nuovo.
Stavolta si capiva chiaramente che veniva dal piano di sotto e che era proprio il rumore a cui aveva pensato poco prima, per quanto gli paresse assurdo: era un debole pianto di bambino piccolo...
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Harry Potter, Petunia Dursley, Vernon Dursley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Durante l'infanzia di Harry
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Vernon Dursley russava sonoramente. Accanto a lui, sua mogie Petunia dormiva serenamente, avvolta nel suo morbido pigiama di spugna rosa, con una mascherina da notte calata sugli occhi.
Nella stanza adiacente il piccolo Dudley sognava, l’orsacchiotto stretto fra le manine grassocce.
Erano le quattro del mattino e fuori dalla finestra un sottile spicchio di luna illuminava debolmente il cielo nero come la pece. Da qualche parte, in quel momento, volava alta una motocicletta.
Eh sì, volava.
Noi naturalmente sappiamo chi la stava guidando e a chi apparteneva, ma Vernon non sapeva neppure che esistessero aggeggi del genere. Se l’avesse saputo, oh, quante ne avrebbe blaterate!
Non credeva alle assurdità e non ci aveva mai creduto. Era un uomo serio, lui, uno concreto! Che diamine! Odiava sentir parlare di stupidaggini, di magia, di fantasia. Robaccia, robaccia!
Ma l’abbiamo lasciato che dormiva, no? Anzi russava, facendo anche un gran baccano! La povera Petunia ormai s’addormentava solo grazie alla forza dell’abitudine.
 Ecco, mentre sognava chissà quali contratti e chissà quali affari, qualcosa lo destò.
Aveva il sonno piuttosto pesante, ma in quel momento lo sentì.
Era un suono piuttosto debole, veniva dal basso. All’inizio, ancora mezzo intontito, non capiva se l’avesse solo immaginato, ma poi si ripeté. Stavolta Vernon spalancò gli occhi e si mise in ascolto tentando di capire da dove provenisse, ma c’era solo il silenzio.
Restò immobile. Petunia scostò un braccio dal fianco e se lo portò vicino alla faccia.
Ed eccolo di nuovo: veniva dal piano di sotto.
Ed ancora, ancora, ancora.
No, pensò, non poteva venire dal piano di sotto: Dudley era nella stanza a fianco, sullo stesso piano.
Si alzò lentamente e si diresse, pigro, in camera del figlio. Quando si affacciò alla culla, però, notò che dormiva tranquillo, il petto che si alzava e abbassava regolarmente, senza emettere alcun suono all’infuori di quello appena percettibile del respiro.
Il rumore dal piano di sotto non si sentiva più.
Vernon restò un po’ ad osservare suo figlio: lo trovava un gran bel bambino, grasso al punto giusto, e non faceva altro che cercare sul suo volto tratti che somigliassero a lui, i quali, in effetti, abbondavano.
Avevano gli stessi occhietti piccoli e infossati, lo stesso naso a campana e le medesime guance sporgenti e rosee. Quando qualcuno glielo faceva notare, gonfiava il petto orgoglioso e gongolava beato.
Ora stava uscendo dalla stanza, richiudendosi la porta alle spalle, quando lo sentì di nuovo.
Stavolta si capiva chiaramente che veniva dal piano di sotto e che era proprio il rumore a cui aveva pensato poco prima, per quanto gli paresse assurdo: era un debole pianto di bambino piccolo.
Scoccò un’occhiata in direzione del letto mentre passava davanti alla camera, e vide Petunia che dormiva: non s’era accorta di nulla. Prese dunque a scendere le scale, avendo cura di non far rumore.
Ora che era davanti alla porta d’ingresso, lo udiva al cento per cento. Pensò per un folle attimo che la fonte doveva trovarsi proprio lì dietro, ma subito scacciò l’ipotesi, catalogandola come assurda.
Comunque, di certo era qualcosa che proveniva dai dintorni. A Vernon non importava nulla del perché il presunto bambino stesse frignando, ma per curiosità decise di aprire la porta: ormai si era scomodato, tanto valeva andare fino in fondo alla faccenda.

Sbiancò. I suoi occhi roteavano impazziti. Sudava freddo. Si torceva le mani. Si guardava attorno.
Qualcuno doveva pur esserci, qualcuno doveva aver messo lì quel… quel… quel coso!
Deserto. Non sapeva cosa fare. Prese a camminare avanti e indietro, frenetico, nervoso, impazzito.
Infine decise e la chiamò.
« Che c’è? » gracchiò la donna al piano di sopra, interrotta nel sonno.
« Sc-sc-scendi s-subito! »
Una Petunia allarmatissima scendeva le scale della villetta. Era il momento? Era il bambino? Sua sorella era quindi…? Mille domande le affollavano la mente. Appena giunse sull’uscio, spalancò gli occhi talmente tanto che chi l’avesse vista avrebbe temuto che le cascassero dalle orbite e prendessero a rotolare per Privet Drive.
Il suo sguardo andava velocissimo da Vernon, al coso, alla strada e viceversa. Aveva l’aria di chi è sempre stato consapevole che il fatto che sta vivendo sarebbe capitato, prima o poi, ma sempre sperato che sarebbe accaduto il più possibile poi.
« C’è una letterà! » gridò a un certo punto Vernon.
Petunia si chinò a rallentatore e la prese tra le mani con un gesto delicatissimo, come se temesse che quella busta di carta spessa con su scritto il loro indirizzo con inchiostro verde avrebbe potuto morderla all’improvviso o fosse stata infetta di Vaiolo di Drago. Beh, naturalmente non pensò proprio al Vaiolo di Drago, ma a qualche malattia babbana simile.
Conosceva bene quella calligrafia.
Le mani le tremavano e ci mise parecchio tempo ad aprirla, strappando la carta qua e là.
Spiegò il foglio all’interno e lo lesse molto rapidamente, con la bocca spalancata, sulla quale si portò una mano a lettura terminata.
Guardò allarmata Vernon, prima di sbiancare ancor di più, infine gli cadde addosso.
« Petunia! Petunia! » la adagiò sul gradino dell’entrata e le tolse di mano la lettera.
I suoi occhietti piccoli scorrevano sul foglio con una velocità impressionante. La rilesse un’altra volta, più lentamente, poi un’ altra ancora, infine anche lui barcollò. Nessuno aveva mai visto Vernon Dursley così sconvolto. Era un uomo composto lui, diamine! Non perdeva mica tempo a spaventarsi o ad emozionarsi troppo!
Il bambino, intanto, aveva cessato di piangere e li guardava incuriosito.
« Che facciamo? » domandò sottovoce alla donna che si stava lentamente riprendendo.
« P-portiamolo dentro, in fretta, prima che qualcuno veda! »
Vernon prese la cesta e Petunia richiuse la porta alle sua spalle, gettando un’occhiata furtiva tutt’intorno. Sembrava che nessuno avesse visto.
Depositarono il cesto sul tavolo della cucina.
« Che facciamo? » chiese di nuovo Vernon.
Petunia si era abbandonata su una sedia fissando l’oggetto, senza però avere il coraggio di gettare uno sguardo sul suo contenuto, mentre lui camminava avanti e indietro per la stanza.
Si fermò, davanti a lei.
« D-dobbiamo tenerlo » sibilò.
« Sei pazza?! »
Gli occhietti vitrei dell’uomo la fissavano con insistenza.
« Ti dico che dobbiamo. » Petunia era risoluta, anche se dalla voce traspariva una vena di terrore.
Vernon era sempre più confuso, ma siccome la strategia dell’attacco non aveva funzionato, assunse un’aria affettuosa e comprensiva.
« Petunia, cara » cominciò in tono mellifluo « potresti gentilmente spiegarmi le ragioni che ti portano a… »
« No, Vernon! » strillò lei, alzandosi di botto in piedi.
Lui la guardò accigliato e sempre più confuso. Il suo cervello lavorava freneticamente, mancava poco che uscisse fumo dalle orecchie.
« C’è una cosa che devi sapere di mia sorella… »
Petunia, sottovoce, cominciò a raccontare di Lily. Gli disse che era una strega, gli raccontò di come avesse ricevuto la lettera per Hogwarts, della scuola di magia e tutto il resto.
« …so che avrei dovuto dirtelo prima, ma provavo, ed ho sempre provato, un tale ribrezzo per questo argomento, non ne ho mai parlato con nessuno. »
Evitò accuratamente di raccontare della sua brevissima corrispondenza con il preside della scuola di magia, e soprattutto non fece parola della morte della sorella, né del vero motivo per il quale dovevano accettare Harry: per proteggerlo, le aveva detto Silente tempo prima, quando la vita di sua sorella e di suo marito aveva cominciato ad essere in pericolo.
« …e io sono l’unica parente in vita, per questo è stato portato qui. »
« Ma quindi è possibile che questo ragazzino sia… diventi… insomma, un… un… uno di quelli? »
Lo sguardo della donna divenne ombroso.
« Sì, è possibile. »
Vernon inspirò profondamente. La sua mente sembrava alle prese con più pensieri di quanti mai ne avesse sopportati in tutta la vita. Alla fine riuscì ad articolare una frase.
« D’accordo. Siamo obbligati. Lo terremo. »
Il bambino nella culla emise un lieve vagito. Finalmente Petunia e Vernon lo guardarono.
Dormiva, silenzioso e beato, una strana cicatrice a forma di saetta sulla fronte.

  
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