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Autore: _Trixie_    09/06/2011    2 recensioni
Combatto sempre per ciò che voglio e, in un modo o nell’altro, ottengo sempre ciò che più bramo. Sirius escluso. [...]
Il suo sguardo, implorante quanto le mie parole, bastò per farmi prendere una decisione avventata. Mi portai alle sue spalle e staccai un ramo dall’oleandro. Mi avvicinai a Sirius, ponendo la mia arma tra il mio viso e il suo.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Sirius Black
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Non sei innocente.

 

My Immortal - Evanescence

I'm so tired of being here
Suppressed by all my childish fears
And if you have to leave
I wish that you would just leave
'Cause your presence still lingers here
And it won't leave me alone

These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that time cannot erase

When you cried I'd wipe away all of your tears
When you'd scream I'd fight away all of your fears
I held your hand through all of these years
But you still have
All of me

You used to captivate me
By your resonating life
Now I'm bound by the life you left behind
Your face it haunts
My once pleasant dreams
Your voice it chased away
All the sanity in me

These wounds won't seem to heal
This pain is just too real
There's just too much that time cannot erase

When you cried I'd wipe away all of your tears
When you'd scream I'd fight away all of your fears
I held your hand through all of these years
But you still have
All of me

I've tried so hard to tell myself that you're gone
But though you're still with me
I've been alone all along

When you cried I'd wipe away all of your tears
When you'd scream I'd fight away all of your fears
I held your hand through all of these years
But you still have
All of me







-Non puoi farlo, Sirius- soffiai debolmente.
Mi trovavo nel giardino della villa estiva dei Black, dall’interno giungevano le voci allegre, le risate fragorose, il tintinnio di tacchi e bicchieri, la musica del quartetto d’archi ingaggiato da mia madre. Amava fare le cose in grande, Druella Rosier, e alle sue feste partecipavano solo i migliori Purosangue.
-Bella, io devo farlo!- mi ripeté lui per l’ennesima volta, appoggiandomi le mani sulle spalle, cercando i miei occhi. 
-No! no! Non devi! Non andartene- sfuggii allo sguardo, ma non alla presa ferrea di mio cugino.
-Morirò, se rimarrò qui. Vieni con me, Bella, o morirai anche tu!- mi supplicò.
-Non verrò con te perché tu non te ne andrai. Non puoi lasciarmi qui, Sirius- replicai ostinata e combattiva.
Combatto sempre per ciò che voglio e, in un modo o nell’altro, ottengo sempre ciò che più bramo. Sirius escluso.
Dall’intrico dei rami dell’oleandro che ci sovrastava vedevo la luna piena e luminosa. Quello era il mio peggiore incubo, che da bambina mi costringeva a svegliarmi, urlando, madida di sudore, lo stesso incubo che da adolescente mi ha tenuta sveglia per notti intere, e che ora si stava concretizzando: mio cugino Sirius Black voleva fuggire, andare lontano da casa, dalla sua famiglia. Da me. Voleva abbandonarmi e io sarei rimasta sola.
-Non ti voglio lasciare qui, Bella. Vieni via con me! Ci costruiremo una nuova vita, lontani dai Black, lontani dalla convenzioni. Non dovrai sposare quel Lestrange, non ti costringerò a fare nulla che tu non voglia! Vieni con me, Bella- cercò di convincermi Sirius.
Probabilmente sapeva che le sue erano solo parole buttate al vento, gridate a quella luna che sembrava prendersi gioco di me. Non l’avrei mai seguito. Non perché non volessi, ma perché avevo fatto una promessa. Avevo promesso ai miei genitori che avrei mantenuto alto l’onore dei Black e fuggire significava rompere quel patto, come stava facendo Sirius.
-Non posso- dissi semplicemente, scuotendo appena la testa.
-Si, che puoi! Puoi fare tutto, Bella!- esclamò lui, cercando di strapparmi all’apatia in cui stavo lentamente scivolando.
Scossi di nuovo la testa, levai lo sguardo su di lui.
I capelli neri, ribelli come i miei, incorniciavano il suo volto perfetto, che tante volte avevo accarezzato, i fiori bianchi d’oleandro, dietro di lui, mi parvero l’aureola adatta ad un Black che stava rifiutando il suo cognome.
-Non posso perché non voglio! Ma non capisci, stupido? Non capisci che ho bisogno di te! Devi per forza sentirtelo dire, vero? Devi umiliarmi! Devi costringermi a pregarti!- esplosi, allontanando le sue braccia da me, sentendo delle lacrime fastidiose premere sui miei occhi.
-Non voglio questo!- rispose lui.
-Si che lo vuoi! Ammettilo! Lo farò comunque se servirà a tenerti qui con me! Non andartene Sirius, ti scongiuro! Non ti ho mai chiesto nulla! Non lasciarmi!- urlai alla stessa luna cui aveva gridato lui, perché anche io sapevo che non mi avrebbe ascoltata. Una lacrima sfuggì al mio contegno, le gambe mi tremarono e io mi vergognai di me stessa come mai prima d’allora.
Avevo supplicato e ora stavo piangendo. Ero debole. Ma speravo, speravo con tutte le mie forze che quel sacrificio sarebbe bastato per legarlo a me.
Anche la speranza è per i deboli, i forti hanno solo certezze.
Il suo sguardo, implorante quanto le mie parole, bastò per farmi prendere una decisione avventata. Mi portai alle sue spalle e staccai un ramo dall’oleandro. Mi avvicinai a Sirius, ponendo la mia arma tra il mio viso e il suo.
Un ramo di oleandro, con qualche fiore bianco sparso qui e là. Il candore dei loro petali mi ha sempre intrigato, mi domando come possano celare del veleno. Veleno che, se ben distillato e dosato in altri filtri, provoca la morte istantanea, senza lasciare la minima traccia, oppure procura una morte lenta e dolorosa, costellata di allucinazioni, sogni o incubi, che ti conducono alla pazzia. Gli usi del veleno d’oleandro sono davvero molti e berne il veleno puro non è certo come bere un bicchiere d’acqua.
-Non andartene, Sirius-
-Devo farlo, Bella- ribatté lui, scorgevo i suoi occhi tra i petali dei fiori, mi stavano studiando.
-Devo farlo anche io allora- dichiarai risoluta e avvicinai le labbra al ramo.
Non sarei rimasta sola, a costo di non rimanere affatto. Ero sicura che mi avrebbe fermato e, anche se non lo avesse fatto, sarebbe stato lui a pagarla cara, con una vita di tormento per avermi persa per sempre e di rimorso perché ne era lui la causa.
La sua mano strappò il ramo dalla mia presa, gli lanciai uno sguardo di sfida e ne ebbi in cambio uno terrorizzato. Mi afferrò i polsi, quasi fino a farmi male e mi tirò con forza verso di lui. Sentivo il calore del suo corpo attraverso i nostri eleganti vestiti leggeri, il martellare incessante del suo cuore.
-Adesso ascoltami, pazza che non sei altro, io tra poco me ne andrò con o senza di te! E tu mi seguirai o tornerai alla festa, con il tuo solito contegno, con la tua bellezza, con il tuo finto sorriso! Hai capito?- mi chiese sibilante, ma io non risposi.
Non feci alcun cenno di assenso o diniego, rimasi immobile perché qualsiasi cosa avessi fatto, avrebbe posto termine a quel momento. Io desideravo solo che quei pochi istanti si prolungassero in eterno o che il mondo cessasse di esistere in quell’istante, così che noi potessimo rimanere così per sempre.
Ma lui mi strattonò ancora.
-Hai capito, Bella? Hai capito?- volle sapere.
Si, si, avevo capito! Maledizione!
Nuove lacrime presero a solcare il mio viso, non riuscii a trattenere i singhiozzi.
Sirius mi strinse a sé con dolcezza e mi parlò di nuovo, stavolta sussurrando, all’orecchio.
- Non appartengo a questo posto e nemmeno tu. Stai sfiorendo, giorno dopo giorno. Cerca di capirmi. Devo andare, Bella- 
Presi a tempestare il suo petto forte con i miei pugni e Sirius non provò nemmeno a fermarmi, continuò a tenere le braccia intorno alle mie spalle, scosse dal pianto.
-Allora vattene! Vattene subito! Non avresti dovuto dirmi niente! Avrei preferito che sparissi dalla mia vita, senza che potessi accorgermene! Sei solo un egoista. Mi hai confidato le tue intenzioni solo per vedermi umiliata, a pregarti di rimanere!- accompagnai ogni affermazione con un pugno. Se solo non avessi lasciato la bacchetta in camera mia, non gli avrei risparmiato le Maledizioni Senza Perdono, nessuna delle tre.
Continuai il mio monologo con tono più pacato, privo di ogni emozione, mi allontanai da lui e gli diedi le spalle.
-Vattene, Sirius. Più indugi, più soffro-
-Se mai cambierai idea, ti vorrò ancora con me, Bella. Ti a…-
-Non dirlo! La tua ipocrisia non mi serve! Vattene, vattene!- sbraitai poi, voltandomi verso di lui.
Vidi una lacrima sul suo volto, lo vidi avvicinarsi, ma non feci nulla per fermarlo.
Era vero, per ogni secondo che passava accanto a me, il mio dolore si acuiva, diventando ben presto fisico, palpabile, concreto. Ma tutto quel dolore mi parve il giusto prezzo per la sua presenza.
Mi baciò, passandomi una mano intorno al fianco, e io non feci che chiudere gli occhi.
Non fu uno dei tanti baci che ci scambiavamo nascosti dagli alberi o dalle lenzuola. Fu un bacio disperato, bagnato di lacrime, le mie e le sue.
Fu l’ultimo, straziante bacio che Sirius Black mi diede prima di voltarmi le spalle e camminare deciso lontano da me, accasciata in mezzo a un prato troppo grande e freddo senza di lui, sotto il veleno dell’oleandro.
 
Il giorno seguente rimasi a letto, preda della febbre e di incubi dai quali non potevo fuggire perché non rappresentavano altro che la realtà.
L’intera famiglia Black sembrava in lutto.
Se Sirius fosse semplicemente morto, i Black si sarebbero dispiaciuti quel tanto che bastava per conservare una parvenza di umanità di fronte alla buona società. Ma Sirius aveva fatto di peggio, era fuggito, aveva rifiutato i Black. E ciò poteva significare una sola cosa, ossia che Sirius non era mai esistito.
La mia salute non migliorava, al contrario, peggiorava giorno dopo giorno.
Mio padre imprecava animatamente contro Sirius, ritenendolo il responsabile della mia sofferenza: mi capiva con uno sguardo, mio padre, ma solo superficialmente.
Lo sentivo brontolare contro “quel sacco di cacca di drago”, e avrei voluto dirgli di smetterla, che non doveva permettersi di insultare mio cugino, ma non trovavo la forza,
A volte chiamavo Sirius, urlavo il suo nome, allora mio padre brontolava all’orecchio di Rodolphus Lestrange, che non si staccava un attimo dal mio capezzale, “Oh, povera Bellatrix! Talmente buona, che non riesce a comprendere la malvagità del mondo!”
Dopo una settimana di agonia, le mie condizioni migliorarono. La febbre era quasi sparita del tutto, ma un malessere interiore serpeggiava dentro di me, senza che io potessi fare nulla per scacciarlo o ignorarlo.
Una mattina, convinsi mia madre a darmi il permesso per fare una passeggiata in giardino. Lei acconsentì controvoglia, costringendomi a portarmi dietro Rodolphus. Lo detestavo, ma sarebbe stato più facile sopportare la sua presenza all’aperto che in quella camera.
Percorremmo buona parte del perimetro della casa e, fino a che non scorsi l’albero d’oleandro, lasciai che fosse Rodolphus a scegliere la direzione, poi volli avvicinarmi al luogo dove avevo visto per l’ultima volta Sirius e lui dovette seguirmi per non disubbidire agli ordini di mia madre.
Arrivai sotto le fronde avvelenate, abbassai lo sguardo e vidi un ramo spezzato. Mi sforzai di mantenere un contegno impassibile, ma il dolore era troppo grande, la ferita ancora aperta, impallidii.
Vedendo alla luce del sole il luogo dove ogni mia certezza si era frantumata, dove Sirius mi aveva dato il suo addio, capii che quel malessere interiore non era altro che una sofferenza troppo grande da poter essere ignorata.
Così come i serpenti fanno la muta, per evitare che la loro pelle li imprigioni e li soffochi, io avevo bisogno di liberarmi di quel dolore reale e concreto, e il mio corpo aveva rimediato nel miglior modo possibile. Ma ora avevo bisogno di uno scopo in cui incanalare tutto quella sofferenza, per evitare che mi soffocasse.
Ritornai nella mia stanza e finsi di avere una ricaduta per non dover mangiare a tavola. In questo modo resi ancor più felice mia madre, che credé di aver avuto ragione ad essere restia a  non lasciarmi uscire.
Il mio stomaco si era chiuso e la maggior parte del cibo finì giù dal terrazzo della mia camera, dritto dritto in giardino. 
Mi addormentai quando la luna era già alta nel cielo e non riuscii più a resistere al sonno che mi chiamava.
Anche quella notte sognai Sirius.
 
Due bambini, dai capelli neri e gli occhi scuri, erano seduti in una soffitta polverosa, ingombra di oggetti inutili e ormai dimenticati da tempo. Il bambino nascondeva il viso tra le mani, con la schiena appoggiata alla parete.
-Sirius, non importa, non è poi così grave- disse la bambina accovacciata accanto a lui.
-Non voglio che mi vedi così, Bella- rispose lui, tra i singhiozzi.
-Non importa nemmeno questo- replicò Bella -Mi racconti?-
-R-R-Regulus-
-Regulus?- ripeté la bambina stupita. Il fratello minore di Sirius era vendicativo e sapeva bene come ferire le persone, ma non credeva che potesse demoralizzare Sirius a quel punto.
-Cosa ti ha fatto?- chiese Bella, combattuta tra la rabbia e la curiosità.
-Niente-
-Niente? E allora perché piangi?!-
-Sono… stato… i-i-io-
-Cosa hai fatto?-
-L’ho… l’ho quasi ucciso- si confidò Sirius, scosso da un pianto incontrollabile.
Bella serrò le labbra, e cinse con le braccia le spalle del cugino.
-Come?-
-Ho provato a strangolarlo-
-Perché?-
-Ti ha chiamata Sanguesporco- le rivelò Sirius e Bella si sentì invadere d’orgoglio per quel cugino pronto ad uccidere il fratello per difendere il suo onore.
-Shh…Grazie, Sirius - disse Bella, cullandolo.
Poi costrinse Sirius a sollevare la testa e a guardarla. Gli sorrise, estraendo un fazzoletto dalla tasca e con dolcezza asciugò le lacrime su quel viso così simile al suo. Poi gli prese la mano tra le sue.
-Toujours Pur. Per sempre puri, Sirius. Starai con me per sempre?-
-Si, Bella- annuì lui con forza, il viso asciutto.
-Allora Regulus può darmi della Sanguesporco finché vuole, non ha importanza quello che dicono gli altri, se tu non credi alle loro bugie-
 
-MADRE! E’ SOLO UN’ALTRA CASA! NON SONO DIVERSO PERCHE’ NON SONO SERPEVERDE, SONO ANCORA TUO FIGLIO PURTROPPO!- gridò un undicenne dai capelli ribelli.
-SEI UN GRIFONDORO! UN GRIFONDORO NELLA MIA CASATA! OH, MERLINO! STO PER SENTIRMI MALE!- dichiarò melodrammatica sua madre, Walburga Black.
-Zia, rilassati, forza siediti- intervenne una giovane ragazza, che sostenne la zia e l’adagiò su una poltrona di velluto verde.
-OH, BELLATRIX! Adorata, perché non insegni a tuo cugino un po’ di buon senso? IMPARA DA LEI, SCIAGURATO!- inveii nuovamente la signora Black, prima che Bella riuscisse a infilargli un bicchiere d’acqua in mano per costringerla a bere.
-Zia, vedrai che, con il tempo, noteremo che il posto più adatto a lui è Serpeverde. Vieni, forza, forse è meglio che tu ti distenda a riposare, cosa dici, zia?- le domandò Bella premurosa.
La vecchia donna annuì stancamente e lasciò il salotto, non prima di aver rivolto uno sguardo avvelenato al figlio.
-Sirius, perché?- chiese Bella, appena sentì la porta della camera della zia chiudersi.
-VUOI URLARMI CONTRO ANCHE TU?! VUOI FARMI SENTIRE IN COLPA, BELLA?- ruggì lui, attaccandola.
-TE LO MERITI, DISGRAZIATO!- urlò Walburga acida.
-Abbassa la voce. No, non voglio rimproverarti, voglio solo capire- spiegò Bella.
Credeva davvero che l’anima di suo cugino fosse Serpeverde, voleva crederci, ma aveva bisogno di certezze.
-Scusami, io ... io sono nervoso e stanco- si giustificò Sirius, sedendosi sulla poltrona lasciata libera dalla madre, tenendosi la testa tra le mani.
-Non importa. Vuoi parlarne ora?- indagò Bella, appollaiandosi sul bracciolo della stessa poltrona del cugino.
-Non c’è nulla di cui parlare. Il Cappello ha fatto la sua scelta- spiegò semplicemente lui.
Nemmeno lui capisce il motivo di questa ingiustizia, pensò Bella, fraintendendo le parole del cugino.
-Non mi lasci, vero?- riprese Sirius, stringendo la mano della cugina.
-No, stupido. Certo che no!- lo rassicurò lei, affondando la mano libera nei capelli di Sirius e accompagnando la testa del cugino al proprio petto.
 
Mi svegliai di malumore, piena di astio e odio verso Sirius.
Per tutta la vita, l’avevo sempre sostenuto, aiutato, protetto. Sicura che anche lui, se mai ne avessi avuto bisogno, avrebbe fatto lo stesso.
Per anni avevo creduto in lui, l’avevo difeso davanti a tutta la famiglia, giustificando i suoi comportamenti con la giovane età e l’irruenza.
“Tu hai la stessa età, ma il tuo comportamento è impeccabile!” mi dicevano.
E io ribattevo, ribattevo e ribattevo ancora, difendendo la reputazione di Sirius, come lui aveva difeso la mia da Regulus.
Io, la migliore rappresentante della famiglia Black, mi abbassavo a difendere quello sciagurato di Sirius per quell’unico episodio di tanti anni prima.
Stupida!
Mi sono fidata e cosa ho ottenuto? Dolore, solo dolore.
Lui invece aveva ancora tutto di me: la mia devozione, la mia passione, la mia vita.
Mi trascinai nell’apatia più desolata tutta l’estate e per buona parte dell’anno scolastico, non avevo più la sua luce a farmi da guida, a rallegrarmi le giornate.
Poi una luce ben più potente squarciò la mia vita, un nuovo Sole mi aiutò a risplendere di luce nuova.
Incontrai Lord Voldemort e capii che quello era  il mio destino. A lui rivolsi tutto il mio amore, a lui rivolsi tutta me stessa. E Voldemort non faceva promesse che non poteva mantenere, non mi ha mai illusa.
Ora avevo una missione in cui convogliare tutto il mio dolore, grazie al quale divenni la sua migliore seguace, la più spietata. Il mio animo divenne ben presto affine a quel del Mio Signore, la mia coscienza si spense e non provai più sensi di colpa. Non indugiavo se mi ordinava di uccidere e, al contrario, mi sentivo ebbra di gioia vedendo il sangue sgorgare dalle ferite dei miei nemici.
Potere e Vendetta, ecco l’unica promessa che mi aveva fatto e l’aveva mantenuta.
Mi ha insegnato le arti più Oscure e ha dato la caccia al mio caro cugino. Solo per me. Per vedermi felice, per restituirmi la gioia che Sirius mi aveva portato via.
Ma il tempo a disposizione del Mio Signore non era abbastanza. Risorgerà certo, e io lo aspetto in questa cella di Azkaban, ma prima della sua caduta non ebbe il tempo di consegnarmi mio cugino, perché io potessi ottenere la mia Vendetta.
I Dissennatori mi rubano i ricordi più piacevoli e, tra questi, ci sono anche i momenti passati con Sirius e mi costringono a vivere e vivere all’infinito solo il suo addio, acuendo la mia sete di Vendetta.
 
Non so dire da quanto tempo mi trovi ad Azkaban, ho visto il sole tramontare e sorgere diverse volte, ma ho perso ben presto il conto o, forse, non ho mai nemmeno contato. Non mi importa molto, il Mio Signore verrà presto a liberarmi.
-SONO INNOCENTE! SONO INNOCENTE!-
Urla una voce a me familiare. La conosco questa voce. Ma non può essere lui!
-LASCIATEMI!-
Sirius.
Cosa ci fa ad Azkaban quel verme?
-Sirius!- lo chiamo. Voglio vederlo, voglio mettergli le mani al collo. Sento parte della mia forza ritornare nelle mie membra, l’odio è un ottimo incentivo.
-Bellatrix?- mi risponde lui.
Almeno non ha dimenticato il suono della mia voce.
-Ciao, caro cugino Ciucciafeccia!- esclamo io.
-Sei sempre adorabile, Bella! Non ti ho dimenticata, la mia proposta è ancora valida-
Sbuffo. Tipica di Sirius, la teatralità. Ha questa fastidiosa mania di fare l’eroe, anche quando non è necessario, davvero insopportabile.
Se mai cambierai idea, ti vorrò ancora con me, Bella.
No, non ho cambiato idea.
Il dolore mi assale di nuovo, ora che il Mio Signore non è più accanto a me!
Mi fai impazzire, Sirius, come se non bastasse Azkaban a farmi uscire di senno!
Mi prendo la testa tra le mani, di nuovo quella sensazione serpeggiante, quella sofferenza fisica. Sta tornando, si sta impossessando del mio corpo, ma solo del mio corpo, non della mia anima. Quella l’ho donata al Signore Oscuro, appartiene a lui e nulla, nulla potrà sottrarla al suo giogo.
Ma le ferite che mi hai inferto sembrano non voler guarire, Sirius, ciò che abbiamo condiviso è stato troppo perché il tempo possa cancellarlo e rendermi nuovamente libera.
Solo il Mio Signore può, ma lui ora non c’è.
 
Ho asciugato tutte le tue lacrime, Sirius. Ho combattuto le tue battaglie al tuo posto, ti ho tenuto la mano per tutti quegli anni. Poi te ne sei andato, portandoti via tutto di me. Perché sei egoista e non hai voluto rinunciare a me e nemmeno ai tuoi ideali.
E poco importa se sono gli altri soffrire, quando tu sei felice.
Infine, mi sono rassegnata all’idea di non averti e di aver perso una parte di me stessa.
Adesso sei ancora qui, mi fai di nuovo quella proposta che non posso accettare.
Come puoi pretendere che io tradisca il Mio Signore? Colui che ha raccolto i cocci quando tu te ne sei andato? Che ha aggiunto quel pezzo mancante?
Ignoro le tue urla, che dichiarano la tua innocenza.
Non sei innocente, Sirius. Hai ucciso me, senza rendertene conto e per questo meriti Azkaban.
Sorrido brevemente, prima che due bambini allegri e spensierati dai capelli neri tornino a riempiere i miei incubi.


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Ciao a tutti!
Bhè... non sono bene quale strano mix rappresenti questa storia: White Oleander di Peter Kosminsky (non ho ancora letto il romanzo di Janet Fitch, ma rimedierò), My Immortal degli Evanescence e, ovviamente, i personaggi di JKR. 
Ad ogni modo, grazie per aver letto e, come sempre, recensioni, positive o non, sono bene accette XD.
_Trixie_

   
 
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