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Qualcosa da proteggere
Le ruote ticchettavano leggermente sul
marciapiede, ma nel silenzio e nell’oscurità quasi totale il suono
sembrava moltiplicarsi all’infinito, sovrastando il rumore appena percettibile
dei suoi passi. Quando passarono sotto un lampione, Axel
osservò l’espressione distesa e naturale di Roxas.
«Come mai non hai
voluto aspettare Sora?»
«Stanotte
dormirà fuori.»
«Ma almeno
avvertirlo...»
«Perché
metterlo in pensiero?» Roxas lo guardò
con un sorrisetto. «Tanto ci sei tu, no?»
Che ironia. Il lupo con l’agnello.
Axel distolse gli occhi.
Solo un’ora prima,
Sora aveva lasciato l’ospedale: appena dopo averlo visto svoltare
l’angolo dalla finestra, Roxas aveva detto a Squall Leonhart che era pronto a
tornare a casa. Il medico avrebbe voluto farlo accompagnare, ma il ragazzino
aveva scosso la testa con un sorriso, dichiarando che un altro viaggio sulla
sua sedia a rotelle non gli avrebbe certo fatto male. L’uomo si era
arreso, poi gli aveva stretto calorosamente una mano e con la sincerità
nella voce gli aveva augurato buona fortuna.
Axel era l’unico a
sapere che quella notte Roxas sarebbe tornato al
condominio. In un certo senso, era come se avesse voluto con sé soltanto
lui. Di nuovo.
Provava uno strano senso
di inadeguatezza, di disagio; ma al tempo stesso sapeva che niente avrebbe
potuto impedirgli di stargli vicino in quel momento.
Nemmeno i due fari che
li seguivano a distanza costante sin dall’ospedale.
Il marciapiede
svoltò; Axel si sistemò in spalla la
borsa con le cose di Roxas e seguì la sedia a
rotelle verso il condominio alla fine della strada. Rivisse per un attimo il
momento in cui aveva visto per la prima volta il palazzo sotto la pioggia, in
un’altra epoca e in un’altra vita. E dire che quella notte,
all’inizio della sua latitanza, non avrebbe mai pensato di poter davvero
‘mettere la testa a posto’...
«Perché
sorridi?»
La domanda di Roxas lo colse impreparato.
«Non
sorrido.»
«Sì,
invece. Ti ho visto sorridere.»
Si voltò. Il
biondino era ancora concentrato sul movimento regolare delle ruote, ma lo stava
fissando di sottecchi, evidentemente divertito. Axel
sbuffò.
«Fai troppe
domande, bimbo.»
«E tu dai poche
risposte.»
«Mi sembra di
avertelo già detto. Io sono per i fatti, non per le parole.»
«Va bene, va
bene.» Roxas alzò le spalle.
«Resta il fatto che sorridevi.»
Axel ridacchiò e
scosse la testa. Non aveva la minima intenzione di rispondere alla sua domanda
e di fargli capire che sorrideva perché ora, soltanto ora, si sentiva giusto.
Arrivarono
all’ingresso del condominio e, come aveva già fatto quando erano
tornati dal parco, la prima e unica
volta che si era deciso a uscire di lì, Roxas
fece salire la sedia sulla passerella rialzata accanto alle scale. Nel corso della
manovra, Axel lo vide portarsi una mano al fianco e
reprimere una smorfia di dolore. La ferita doveva ancora dargli qualche fitta.
Si sforzò di fingere di non averlo notato, ma quella vista gli fece male
all’anima.
Non avevano più
parlato di Marluxia o di qualsiasi altro aspetto di
quella sporca faccenda. Cercava di convincersi che quel silenzio era solo per
non farlo soffrire, ma la parte più nascosta del suo subconscio urlava
con chiarezza qualcos’altro.
Parlarne gli avrebbe
strappato la verità. E cioè, che Marluxia
aveva cercato di togliergli la cosa più importante.
Non era stato, come
aveva detto a Roxas, uno sbaglio di mira. Ne era
sicuro. Ma ammetterlo ad alta voce avrebbe spaventato il suo amico, e ancor di più avrebbe
spaventato lui.
Perché mai
avrebbe pensato di poter davvero trovare qualcosa da proteggere.
Roxas si fermò davanti
all’uscio e bussò; le sue chiavi le aveva date a Sora. Axel lo raggiunse.
«Non sarebbe ora
di metterci un citofono o almeno un campanello, in questo condominio di quarta
categoria?»
«Vallo a dire a Vexen.»
«Si può
sapere chi diavolo è a
quest’ora?!»
La voce del vecchio era
risuonata appena oltre la porta. Doveva essere ancora in piedi, o non avrebbe
fatto così presto a raggiungerla. Axel
sospirò silenziosamente; quell’uomo era un classico, odioso
pignolo senza la minima possibilità di recupero.
«Parli del
diavolo...» sorrise Roxas, con l’aria di
divertirsi da matti.
La porta si
spalancò e comparve il portinaio, avvolto nella stessa vestaglia nera da
vampiro rachitico con cui aveva accolto l’arrivo di Axel
tra le misere fila dei suoi condomini. Vexen
puntò loro addosso uno sguardo acido.
«Vi avverto,
ragazzini. Non posso tollerare quelli che buttano giù dal letto gli
onesti cittadini nel cuore della notte.»
Axel e Roxas
ricambiarono l’occhiata, entrambi impassibili. Quando sembrò
metterli a fuoco, il vecchio sbuffò sonoramente.
«Ah, voi.»
Si soffermò in particolare su Roxas. «Di
ritorno dal mondo dei morti, mi sembra di capire.»
In quel momento, Axel sentì di odiarlo sul serio.
Roxas gli scoccò il
più innocente dei sorrisi. «Ci scusi, signor Vexen.
Non avevamo intenzione di disturbarla.»
«Tutti uguali, voi
giovani. Non avete il minimo rispetto per chi ha più anni di voi,
più esperienza, più...»
Axel smise di ascoltare a
metà discorso; aveva appena notato il bagliore dei fari illuminare la
parete del palazzo alla sua destra. Sorrise tra sé. All’improvviso
gli faceva piacere la compagnia di quella macchina discreta e silenziosa.
Si concentrò di
nuovo sul monologo di Vexen, che Roxas
stava ascoltando e accettando come un bravo bambino.
«... E in quanto a
te» sputò di colpo il
vecchio, guardandolo con evidente disprezzo, «sappi che non manca molto
alla scadenza dell’affitto. Spero che non te ne dimentichi. Sono ancora
sicuro di non potermi fidare.»
Axel sorrise ancora,
cercando di assomigliare il più possibile ad uno sponsor di dentifrici,
ma sapeva bene che il suo sorriso era molto meno bendisposto di quello di Roxas.
«Di quello che
pensa lei, signor Vexen,
non me ne può fregare un cazzo di meno. Ora, se vuole scusarci, il mio
amico ed io siamo molto stanchi e ce ne andiamo a letto. Buonanotte.»
Superò lo
scandalizzato portinaio, urtandolo con la borsa e augurandosi che il trauma gli
facesse venire un colpo apoplettico. Mentre attraversava l’ingresso e si
dirigeva all’ascensore, sentì la sedia di Roxas
affrettarsi alle sue spalle.
«Axel! Non avresti dovuto rivolgerti a lui
così!»
Si voltò a
guardarlo senza fermarsi. «Vogliamo parlare di come si è rivolto lui a te?»
Roxas rimase per un attimo
incerto. Poi sospirò, scosse la testa e si lasciò sfuggire una
risatina.
Axel si fermò davanti
alle porte dell’ascensore e, incurante della raccomandazione di usarlo
«solo per le emergenze», pigiò il pulsante di chiamata.
«Che
c’è da ridere?» chiese.
Roxas si fermò al suo fianco.
Non lo guardò; scosse di nuovo il capo.
«Niente. È
che... Qualche settimana fa mi avrebbe dato fastidio, credo, questa tua presa
di posizione. Invece adesso...»
«Bimbo»
sbuffò Axel, «guarda che non ti stavo difendendo. L’ho fatto solo
perché morivo dalla voglia di farlo da tre settimane;
memorizzato?»
Il ragazzino si
voltò verso di lui, sollevando le sopracciglia. «Stavo cercando di
ringraziarti.»
«E per cosa? Per
aver insultato Vexen? Se è per questo, guarda
che posso farlo un altro mezzo miliardo di volte. Non c’è
problema, non mi dà nessun fastidio.»
Roxas rise di nuovo. «Sei
proprio tutto matto.»
«Lo so. Sono
diventato amico tuo.»
Mentre l’ascensore
arrivava e si apriva davanti a loro, il rumore sferragliante e arrugginito che
si mescolava all’eco della risata di Roxas, Axel non poté trattenersi dal sorridere con lui.
* * *
Il portinaio era tanto scioccato che ancora
indugiava sull’uscio aperto, quando le due figure sparirono nel buio del
condominio. Mentre si avvicinava a quell’uomo, Tifa Lockhart
ridacchiò tra sé per la lingua tagliente e l’encomiabile
faccia tosta di quel teppistello di Axel.
Arrivata sui gradini,
vide che il vecchio si era finalmente accorto di lei.
«Il signor Vexen?» indagò.
L’altro
annuì, cercando di riprendersi dal colpo di essere stato praticamente
mandato al diavolo da un personaggio che aveva meno della quarta parte dei suoi
venerabili anni.
«Che cosa
vuole?» abbaiò poi.
Però, che ripresa rapida.
Tifa si fermò
sull’ultimo gradino del portico e mostrò il distintivo.
«Tenente Lockhart, polizia cittadina.»
Alla luce incerta delle
stelle e delle poche luci in strada, le sembrò di vederlo cambiare
espressione. Di certo il suo tono si ammorbidì in modo notevole.
«Che posso fare
per lei?»
Sembrava anche un
po’ intimidito. Tifa ripensò alle parole che gli aveva sentito
pronunciare poco prima. Quelli che
buttano giù dal letto gli onesti cittadini... Per un attimo
osservò quel volto intriso di malignità, chiedendosi se
appartenesse davvero a un ‘onesto
cittadino’, ma alla fine decise di pensare soltanto al motivo della
sua presenza al cospetto di quel vecchio dall’aria ostile. Non c’era
altro di cui le importasse ora, davvero.
«Per me, nulla. Ma
io posso fare qualcosa per lei. Devo
raccontarle una cosa.»
Ora Vexen
era soltanto sorpreso. «Come?»
«Già. Il
motivo per cui ci vorrà un po’ di tempo prima che la nostra comune
conoscenza possa pagarle l’affitto che lei gli ha gentilmente ricordato
poco fa...»
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Capitolo
corto e un po’ stupido. Ma il ritorno a casa di Roxas
va trattato piano piano, così come il fatto
che Axel – non dimenticate – ora è
sotto stretta sorveglianza. E qualcuno doveva pur dirlo a Vexen,
vi pare? xD
Vi
ringrazio tutti, come sempre. Amo alla follia ogni lettore.
Aya ~