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Autore: Ruri    11/06/2011    1 recensioni
Non c'è poi tanta differenza fra i vicoli malfamati di una città e gli spazi oscuri dell'Inferno: entrambi i luoghi possono ardere di fiamma imperitura. L'unica cosa realmente diversa sono le stelle: nel cielo del Meikai sono solo centootto, che brillano di una luce malefica e crudele. Questa è la storia di uno di loro e delle fiamme che porta con sé.
{Spectre-Centric; Nuovo Personaggio}
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo IX

 

 

La vita nei bassifondi di Shush si reggeva su alcune incrollabili certezze: il canto del muezzin che scandiva le ore del giorno invitando alla preghiera; il chicaleccio all’interno dei bar; l’aspro odore che proveniva dai canali fognari mai ristrutturati. Piccole certezze incrollabili che riguardavano cose e persone.

A queste se n’era aggiunta un’altra, da poco.

Soheil era pazzo.

Completamente ed irrimediabilmente pazzo.

 

“Ancora?!”

Amin alzò lo sguardo e le braccia al cielo, pregando almeno dodici divinità diverse ed insultando i libertini costumi sessuali delle rimanenti.

Se non fosse stata una situazione ai limiti del tragico, Javeed sarebbe anche scoppiato a ridere. Invece si limitò a tornare qualche passo indietro poggiando le mani sulle spalle di Soheil per scuoterlo forte.

“Ehi, torna sulla terra!” urlò, senza ottenere poi un gran risultato.

Solo dopo dieci minuti buoni di questo trattamento Soheil sembrò tornare in sé. Smise di fissare il cielo e riportò lo sguardo su Javeed, incuriosito.

“Sì…?”

“Tu sei del tutto fuori di testa.” mugugnò Amin, ficcandosi i pugni in tasca con irritazione mentre riprendeva a camminare.

“Non è possibile andare da qualche parte con te ultimamente, se ti fermi ogni cinque passi a fissare il vuoto.”

“Ma io non fisso il vuoto.” Soheil protestò con un leggero sorriso sulle labbra. Uno di quei sorrisi che Javeed ed Amin conoscevano bene. Uno di quei sorrisi che non portavano niente di buono.

“Sì sì, l’ho già sentita la storiella So, risparmiamela.” 

“Non è una storiella.”

“Piantatela voi due o sbatterò i vostri crani l’uno contro l’altro finché non riuscirò a far entrare del sale nelle vostre dannatissime zucche.” ringhiò Javeed, ben poco propenso ad accettare una lite fra i due amici in quel momento. Sopportare il carattere di Soheil era difficile prima, ora stava diventando impossibile.

Amin non gli dava alcun aiuto in questo, visto che passava il tempo a stuzzicarlo. L’altra sera per poco non si erano ammazzati a vicenda.

Non era una scena gradevole da ricordare quella, visto che all’improvviso Soheil era saltato alla gola di Amin con tutto l’intento di azzannarlo. Non l’aveva mai visto così e sperava di non vedercelo mai più.

“Non prendertela con me Javeed! E’ lui quello pazzo!”

Soheil sorrise di nuovo, inquietante. “Vuoi che ti dimostri quanto sono pazzo Amin?”

“Basta ora!”

Di nuovo Soheil si bloccò in mezzo alla strada, ma questa volta piegato in due dalle risate. “Oh sì, basta. E’ finita, è finita. E’ straordinario che non ve ne rendiate conto! Forse perché per voi è appena cominciata… ma è l’inizio o la fine? Non lo ricordo sai Javeed? Non riesco a capire! E’ straordinario!”

Rideva ancora, appoggiato con la schiena contro il muro, senza riuscire a fermarsi mentre continuava a parlare di cose incomprensibili davanti ai due amici sconvolti.

“Sai che ti dico Javeed… io me ne vado, ora, o lo ammazzo.” sibilò Amin prima di voltare le spalle e filarsela. Un po’ perché davvero il suo primo istinto era stato prendere l’amico per il collo e sbatterlo contro il muro, un po’ perché ne aveva una recondita paura.

“Amin…” 

“Lascialo, lascialo andare Javeed! Lo troverò a tempo debito vedrai! Vi troverò tutti, davvero. E vi porterò con me, che amico sarei altrimenti? Ma prima devono trovare me oppure…”

“Soheil smettila con questa storia! Ha smesso da tempo di essere divertente!” esplose Javeed, ormai al limite della sopportazione.

Una storia, già. Una storia che Soheil raccontava, in maniera inconcludente e frammentaria, da un mese. Da quando Roshanai l’aveva tirato fuori di prigione.

Javeed era convinto che sarebbe stato sufficiente aspettare, che prima o poi Soheil sarebbe tornato se non quello di sempre almeno qualcosa di molto simile. Invece non era cambiato niente. Ogni tanto sembrava padrone di sé, poi scoppiava a ridere o a piangere in maniera convulsa. Aveva momenti d’iperattività compensati da minuti interi, a volte ore, di completa immobilità. 

E quando Javeed gli aveva chiesto cosa diamine stesse facendo Soheil aveva risposto, candidamente: “Aspetto.”

Chi, o cosa, non era dato saperlo.

“Non dev’essere divertente! Non lo è mai stata in millenni e tu dovresti trovarla divertente Javeed?!” Il riso di Soheil si era spento di colpo, mentre fissava l’amico con un astio incomprensibile. 

“Fiamme, Javeed! Fiamme, sangue e morte. E Divinità! Ci sono Dei antichi Javeed, che tu non conosci e non vuoi conoscere ma ci sono! Esistono e combattono e io ricordo tutto questo!”

Javeed non riusciva ad articolare parola. Non davanti all’esplosione di rabbia che aveva davanti. Soheil non era mai stato pericoloso, almeno non per i suoi amici. In realtà, non aveva mai fatto male ad anima viva.

“Tu non capisci neanche cosa succede ora come pensi di capire quello che ti sto dicendo? Io ti parlo di cose successe millenni fa che stanno per accadere di nuovo!”

“Magari se tu le spiegassi senza farneticare le cose, io ti capirei!”

Soheil ghignò. “Tu non capisci.” si limitò a ripetere.

“Non hai neanche capito Roshanai.”

“E lei cosa c’entra esattamente in tutto questo?! Sei tu che non ti sei dato neanche pena di ricambiare quel che ha fatto per te!” 

La pazienza di Javeed era proverbiale. Un’altra delle tante certezze nei bassifondi di Shush.

Quel giorno ebbe drasticamente fine quando tirò un pugno nello stomaco a Soheil.

Il ragazzo si piegò in due, tossendo e ridendo insieme. “Non è andata a letto con Majid. Non l’ha fatto, capisci! Tu lo credi, ma non è andata così. Voleva vedere a cosa avresti pensato! E ha vinto la sua scommessa, visto che che ti sei limitato ad accarezzare la possibilità più morbosa.”

Javeed ringhiò, indeciso se colpire di nuovo l’amico o meno. Non voleva sapere niente riguardo a quella storia, non gl’interessava. Non era giusto infangare i gesti di Roshanai con le sue sterili supposizioni.

“Vedi Javeed?”

Soheil ridacchiò, sollevandosi.

“Non vuoi capire neanche il presente. Figuriamoci se vuoi comprendere il passato di cui ti parlo.”

Indispettito Javeed gli voltò le spalle, andandosene. Solo la risata di Soheil gli tenne compagnia mentre si allontanava.

 

 

 

Esiste un tempo che l’Uomo ha dimenticato. 

Esiste un epoca in cui gli Dei calcavano la Terra, assoggettando l’Umanità al loro volere.

In quel tempo, un Dio amò una fanciulla. La Fanciulla.

Un rapimento rituale, un matrimonio coatto sancito da sei semi di melograno. Ma non per questo privo di valore.

Molti doni vennero portati al Dio. 

Due divinità si unirono per costruire il dono più bello fra questi. L’uno era Signore dei Mari e usando la forza delle profondità oceaniche diede forma a quattro splendidi animali.

L’altro, Signore delle Forge, infuse in loro il fuoco divino. Perché fossero imbattibili in guerra foderò i loro zoccoli di bronzo, rinforzò le loro ossa e li fornì di zanne affilate.

Dalle nari e dagli occhi fuoriuscivano fiamme.

Il fuoco annerì le loro pelli, che pure rilucevano di quello stesso fuoco interiore. Esternamente di tenebra all’interno erano luminosi quanto il Sole.

Erano quattro cavalli, i migliori che si fossero mai visti. Quattro cavalli di tenebra e fiamme.

Il dono di Poseidone ed Efesto al Signore dei Morti.

Hades.

Trainano il suo carro, calpestando i suoi nemici, fin dal tempo del mito.

L’Uomo, timoroso di queste creature infernali, ha dato loro un nome. 

L’Uomo li ha chiamati Incubi.

 

Le rovine dell’antica Susa ardevano di nuovo nelle fiamme del tramonto. Soheil ci tornava spesso, senza temerle, alla ricerca del demonio che vi aveva incontrato.

Ma il demonio si teneva ancora nascosto, in attesa, perché il risveglio non era ancora completo e quella stella ancora non pulsava degnamente nel cielo infernale.

Soheil aspettava e cercava, tornando verso la città viva solo in piena notte. Le Fiamme della Stella fremono.

 

Presto, mormorano.

Presto.

 

Ora.

 

Shush esplose.

 

Susa era detta la Città dei Gigli. Ai tempi del regno Achemenide era il palazzo di Primavera, così come Babilonia lo era d’Inverno ed Ecbatana lo era d’Estate.

Sopra tutte loro vi era Persepoli, capitale antica e simbolo dell’intera dinastia Persiana.

Quando Alessandro il Macedone giunse a Susa, la città si arrese. Quando giunse a Persepoli, la incendiò.

Persepoli fu elevata dalle fiamme.

Susa, a distanza di secoli, affrontò lo stesso destino. 

 

Javeed cadde in ginocchio, tossendo. Ovunque attorno a lui non c’era che fumo e il bagliore rossastro del fuoco. Aveva perso il senso dell’orientamento da tempo e malgrado questo continuava ad andare avanti, con un fazzoletto sommariamente bagnato stretto sul viso a coprire naso e bocca.

“Amin…! Soh…” gridò, interrompendo il grido a metà per colpa del fumo che gl’incendiava i polmoni. Tossì di nuovo, esausto.

Attorno a lui si faceva strada il caos. 

Presi dal panico più totale gli abitanti di Shush correvano in ogni direzione, senza meta. Senza possibilità di salvezza perché le fiamme ruggenti non lasciavano scampo ad alcuno. 

“Sai…”

Javeed alzò il capo, stupito nel trovare Soheil al suo fianco. Pareva del tutto incurante del fuoco e il fuoco stesso non lo toccava eppure sembrava danzargli attorno. 

“Mi ero sempre chiesto se la carne umana avesse lo stesso odore di quella animale, una volta bruciata.”

“Soheil cosa…”

“Invece ha un puzzo nauseabondo. Il corpo umano non è fatto per accogliere qualcosa di così alto come le fiamme, lo rifiuta automaticamente. Le fiamme non hanno corpo d’altronde, non hanno una forma. L’uomo tende ad odiare quello che non ha forma e non riesce a controllare.”

Javeed afferrò la caviglia di Soheil per alzarsi in piedi, scoprendo con sconforto di essersi ustionato la mano fino al polso. Il fuoco danzava davvero attorno al ragazzo.

E dentro di lui.

“Soheil…”

Soheil sorrise, accondiscendente. 

“Il fuoco purifica.” mormorò, affascinato. “Eleva anche le cose più basse fino al cielo.”

“Dobbiamo scappare Soheil...moriremo…”

Il ragazzo non rispose, limitandosi a fare qualche passo in avanti, ancora avvolto dalle fiamme. Amin era a poca distanza, accasciato addosso ad una parete e privo di forze. Gli si avvicinò sollevandolo senza la minima fatica fra le braccia.

“No Javeed.” mormorò mentre fissava con affetto il ragazzo privo di sensi che stringeva a sé.

“Voi morirete.”

Il fuoco ruggì, consumando ogni cosa. 

Amin non fece in tempo a gridare mentre le fiamme lo consumavano avvolgendolo con furia: divenne in pochi istanti una bambola ardente con i capelli ridotti ad una chioma di fiamme.

“No!”

Javeed non si accorse di aver urlato mentre si lanciava contro Soheil nel vano tentativo di strappargli il corpo privo di vita di Amin dalle braccia, non aveva importanza d’altronde. I suoi movimenti erano lenti, affaticati.

“Non puoi aver fatto tu tutto questo!”

Soheil appoggiò il cadavere ardente contro una parete, dove questo si dissolse in pochi istanti, voltandosi ad affrontare Javeed a braccia aperte. Lo strinse a sé, baciandolo. Le labbra si toccarono e il fiato ardente passò dall’uno all’altro con naturalezza consumando Javeed dall’interno.

Cadde a terra, bruciando. Un burattino gettato nel fuoco che si restringe e brucia, fremendo negli ultimi attimi di vita.

 

Il demonio si fece largo, incurante delle fiamme. L’armatura nera risplendeva come diamante, decorata dagli arabeschi del fuoco.

Le grandi ali membranose erano spiegate, inquietanti.

Il demonio parlava. Soheil era felice di questo. Aveva ritrovato il suo demonio, e gli stava parlando.

Ma scoppiò a ridere davanti a lui per l’ironia della situazione.

Shush ardeva nelle fiamme e il demonio appariva nella tenebra per parlargli.

Ma Soheil non riusciva a capire una sola parola.

 

Welcome to Hell

 

***

Chiedo umilmente venia. Lo so, sono in ritardo mostruoso, ma davvero non ho fisicamente il tempo per aggiornare.

Grazie Meiou Hades, per continuare a seguirmi malgrado tutto! Vedi? Ecco il risveglio che aspettavi, spero ti soddisfi abbastanza! Finalmente entriamo nel nero della storia. Nero. E viola. E buona lettura, almeno spero!

   
 
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