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Autore: Melanto    11/06/2011    6 recensioni
"Ci sono giorni in cui senti che è meglio non alzarsi dal letto"
[Prima Classificata al contest "Parole e Musica" indetto da Rubysage sul forum di EFP]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nota Iniziale: *-* questa storia ha vinto il contest "Parole e Musica" indetto da Rubysage sul forum di EFP!
E io ancora fatico a realizzare la cosa XD. Negli ultimi tempi, ogni volta che tentavo di partecipare a un concorso, mi ritrovavo a ritirarmi per scomparsa ispirazione ç_ç. Stavolta, invece, sono stata folgorata sulla Via Damasco in maniera così forte che sono stata addirittura la prima a consegnare XD. Son cose.
Buona lettura!



Zero

 

Ci sono giorni in cui senti che è meglio non alzarsi dal letto.
Lo percepisci nelle ossa, mentre resti avvolto dalle coperte, al sicuro, in un calore familiare che sa di quotidianità, caffè e pancakes.
Tra la nebbia d’un sonno sottile, ascolti i passi di tua moglie che si muovono frenetici al piano di sotto, i tuoi figli che fanno colazione perché a breve passerà il pullmino scolastico e il cane che abbaia un verso striminzito tra eccitazione per l’inizio di una nuova giornata e la ricerca delle ultime attenzioni prima che la casa torni a essere vuota.
Vedi il cucciolo, nel rincorrersi dei sogni lontani dal REM, che si ferma davanti alla porta, scodinzolante. Si mette seduto, aspetta che i bambini escano. C’è quel clacson del pullman che ti si pianta nel cervello istigandoti manie omicide, mentre Britz non fa una piega. Prende gli ultimi grattini dietro l’orecchio e poi va alla finestra del salotto che affaccia sul giardino. Al di là dei vetri può vedere i suoi padroncini salire sul mezzo che riparte l’attimo dopo. Scodinzola ancora e torna alla porta.
È diligente, lui, conosce le abitudini di tutti gli abitanti di quella casa, ben più di te; sa che è il turno di Jane.
Oggi ha riunione, te lo aveva detto; la sogni con il suo tailleur scuro che la rende così professionale da fartelo diventare duro all’istante. O forse è l’effetto dell’alzabandiera mattutino, chi può dirlo?
Torni a vivere la ‘giornata tipo’ dagli occhi di Britz. È felice, agita la coda che spazza il pavimento, si fa dare una lisciatina al muso e poi corre di nuovo alla finestra del salotto. Balza sul divano, il maledetto, anche se sa benissimo che non deve farlo. Attraverso lui vedi il SUV di Jane abbandonare il vialetto.
Poi pace. La messa è finita, sono usciti tutti, il lavoro è concluso.
Per te.
Per il cane, invece, c’è ancora un pigrone da buttare giù dal letto: è sempre lui, infatti, a infilarsi nella porta socchiusa della tua camera per cercare, nel groviglio di coperte, uno spiraglio di faccia da poterti leccare e darti il buongiorno. No, non conta che hai fatto la notte e ti sei coricato solo quattro ore prima.
La medaglietta che ha al collo tintinna, lo senti respirare come una ruspa e ravanare col naso alla ricerca del tesoro; quel tesoro, oggi, è la tua fronte. L’umidiccio del tartufo scuro ti inzacchera per primo, ma sei ancora così perso nello stato di dormiveglia che nemmeno ci fai caso.
Subito dopo, però, la lingua che lava ogni centimetro libero la senti eccome.
«Briiiiitzzzz…» biascichi il suo nome tra fastidio e mugugni; agiti le mani per scacciarlo, ti giri, addirittura, ma non si sfugge a quella sveglia pelosa, tanto sa sempre come vincere la tua reticenza. Sa che ti incazzi come una faina quando sale sul divano, ma sa anche che t’incazzi ancora di più quando sale sul letto.
Il ‘pluff’ del suo peso che abbassa il materasso lo focalizzi subito e fai emergere la testa a tutta velocità, come un sottomarino, dall’intrico di lenzuola e copriletto. Gli occhi stretti non vedono un cazzo, ma sanno esattamente cosa si troverebbero davanti.
Il pelo nero del cane è solo una macchia che fugge via dopo una lappata a tradimento su tutta la faccia.
«Britz! Paraculo che non sei altro! Quante volte t’avrò detto che non devi farlo?!»
A lui non importa che gli stai urlando dietro, tanto quello che voleva l’ha ottenuto e a te non resta che fare ciò che si aspetta: ovvero alzarsi.
Lo senti che hai dormito poco, avverti quell’intorpidimento cerebrale che ti fa connettere male e ti fa trovare fastidioso anche il ronzio dello spazzolino da denti elettrico. Pensi che l’unica cosa che vuoi fare, ora, sia tornare a dormire e ti convinci che magari dopo lo farai – illudersi non ha mai fatto male a nessuno, dopotutto – anche se ti sarà passato il sonno. Appoggi i piedi a terra con un tonfo pesante e peschi le ciabatte semplicemente facendo vagare i piedi come talpe cieche fuori dalla tana.
Il collo scricchiola appena, lo muovi a destra e a sinistra. Hai ancora i muscoli incriccati per la nottata trascorsa che, Dio t’è testimone, non è stata una passeggiata. L’odore di fumo e copertoni ti è rimasto appiccicato alle pareti delle narici, ma non lo vivi con fastidio, ci sei abituato. Soprattutto al fumo. E al caldo. E al rumore crepitante del fuoco che brucia il legno e fonde le lamiere come fossero di burro. A volte pensi che il fragore delle fiamme sia un coro di risate: ti prendono per il culo, loro possono, mentre tu non hai niente di cui ridere. Sono un po’ come i bulletti a scuola e tu lo sfigato occhialuto che sogna dietro i fumetti: ogni volta che la giornata finisce e riesci a portare a casa la pelle, non ti senti un vincitore, ma solo un sopravvissuto perché la guerra non termina mai e quello che il giorno dopo t’aspetta è solo un’altra battaglia.
Britz uggiola davanti alla porta, ti sollecita a darti una mossa che la colazione aspetta e lui ha un leggero languorino. Sai già che si fregherà metà dei tuoi pancakes, possibilmente senza sciroppo d’acero, perché non sai resistere davanti ai suoi occhioni dolci e neri.
Alla fine, sarà pure un paraculo, ma ti viene da sorridere nel vedere il suo muso felice: le fauci leggermente aperte, la lingua penzolante. Ti guarda e a te sembra che stia ridendo. E’ un bel modo di cominciare la giornata.
Ciabatti fino alla porta in boxer, che tanto sei solo e nessuno ti vede. Ti gratti una chiappa prima e la testa poi, cercando di svegliarti in maniera meno traumatica di quanto abbia fatto il tuo cane e percepisci che c’è qualcosa di diverso in quella quiete che di solito t’accompagna piacevolmente nella realtà giornaliera. C’è più silenzio. Keith non rincorre suo fratello che gli ha fregato l’ultima patatina, Jane non dice loro di smetterla e di andare d’accordo o altrimenti niente hamburger per cena. In teoria non ci sarebbe nulla di strano, dopotutto è mattina, la gente è già a lavoro mentre a te toccherà il pomeriggio. Eppure pensi che non ti dispiacerebbe un po’ di quella confusione domestica cui magari non riesci a dedicare tutto il tempo che vorresti, ma che sai che sarà sempre lì appena ne avrai bisogno e che tu sarai sempre lì appena loro avranno bisogno di te.
Ti fermi nel mezzo del corridoio. La vecchia foto scattata da Malone nell’estate di cinque anni prima è inclinata. La raddrizzi, sorridi.
‘Ridgeland Fire Department – 1996’.
Era il pensionamento di Corley, quello, e c’eravate tutti, anche quel pivellino di Smith con i suoi capelli rossicci di retaggio irlandese e le lentiggini. È da almeno tre anni che s’è trasferito a New York. Ricordi ancora quando, gasatissimo, vi aveva dato la notizia.
“Sarò vigile del fuoco nella Grande Mela, cazzo! La Grande Mela! All’FDNY!”
Ha sempre pensato in grande, per essere un ragazzino, e gli è andata bene. Per un attimo te lo immagini, tutto baldanzoso, su un’autopompa che sfreccia a sirene spiegate.
Un po’ sei orgoglioso di lui, perché è stato come un figlio. Gli hai insegnato quasi tutto ciò che sai e speri che possa metterlo a frutto per far bene il suo dovere.
Passi oltre, scendi le scale e il legno cigola sotto al tuo peso, mentre il cane ti precede, festante. Nell’aria c’è ancora l’odore del caffè che Jane ha preparato per entrambi. La caraffa è al solito posto, con il solito post-it giallo attaccato sopra.
‘A che ora ti sveglierà Britz, quest’oggi?’
Ridacchi, pensi che sia dolcemente perfida e ti ricordi che è proprio per questo che l’hai sposata.
«Alle otto, amore. Meglio d’un orologio» farfugli con ironia, la bocca ancora impastata dal sonno. Apri la credenza, cerchi una tazza qualunque. Massì, Mickey Mouse andrà bene.
Il caffè è ancora caldo, ma non fuma. I pancakes sono sul tavolo e il cucciolone è già seduto nella sua postazione da battaglia, cioè accanto allo sgabello dove ti siederai tu.
«Diventerai una botte, Britz, e poi non potrai sottrarti alla sana oretta di jogging, lo sai questo, vero?» dovrebbe suonare come una minaccia, mentre agiti l’indice nella sua direzione, ma lui ti guarda, il capo inclinato, le orecchie su, la lingua penzoloni. È felice lo stesso.
Il telecomando occhieggia pigramente tra le briciole e un pacco di biscotti abbandonato da Michael in tutta fretta. Lo afferri, ti siedi.
Come tutte le mattine: caffè, pancakes, Gooooood Morniiiiiing Mississippiiiii.
E un incendio in TV.
No, quello non capita affatto tutte le mattine, vero?
Sui canali di tutti gli Stati, l’immagine è la stessa, fissa, come i tuoi occhi incollati allo schermo come se non ci fosse altro da vedere, come se non esistessero oggetti attorno a te, come se tutte le pareti fossero bianche ed esistesse solo quel televisore.
Ora capisci la diversità nell’aria, collochi il disagio ad alzarti dal letto e sai che non sarà una mattina come le altre, non quando una delle torri del World Trade Center sta bruciando.
Lo speaker parla, parla. Passano scritte in sovraimpressione che tu non recepisci, in un primo momento. Pensi: ‘Che diavolo hanno combinato lì dentro? Qualche conduttura saltata?’.
La tua mente da pompiere vede solo fumo e fiamme che divampano, meccaniche di innesco, fughe di gas.
Pensi: ‘Cristo, che sfacelo! Sarà un Inferno arrivare lì sopra.’
Ma l’Inferno sa sempre come venirti incontro; si dirama con lingue rosse all’interno delle trombe delle scale e dell’ascensore. Può rincorrere chi cerca di fuggire e non ha ancora capito, proprio come te, che cosa sta succedendo.
È allora che l’aereo travolge la seconda Torre.
Così, all’improvviso, sbucato dal nulla va dritto e… pam! Il mondo è in pezzi, deflagra nell’esplosione del carburante e nelle voci incredule e disperate dello speaker che sta commentando minuto per minuto.
Oh, God! Oh my God!
Le pensi anche tu, la tazza ti cade di mano e Mickey Mouse s’infrange negli schizzi di caffè che si spargono ovunque.
Britz fa qualche veloce passo laterale e non uggiola più, s’accuccia accanto a te, appoggiando il muso sulla gamba: sa che c’è qualcosa che non va e vuole starti vicino.
Il fuoco è una fiammata veloce che colora di rosso il grigio del World Trade Center, poi diventa fumo che sale come un fungo atomico e si fa tela nera.
Piove metallo.
Le immagini della diretta proseguono, si spostano sulla strada dove la gente fugge in massa come in un film catastrofico. Tenta di allontanarsi da quell’incubo che non può essere reale, cazzo! Non può! Il 1993(1) t’è sempre sembrato così lontano, come se fosse passato un secolo, e invece ricordi a te stesso che non sono che otto anni.
Le pompe dei vigili del fuoco e le auto della polizia continuano ad affluire assieme alle ambulanze, si destreggiano tra chi sta scappando. Anche se le stai seguendo solo con gli occhi, è come se fossi lì con loro. Avverti quasi l’odore del fumo nel piangere delle sirene.
Tutto si sussegue, nella frenesia delle operazioni, nei commenti che si ascoltano in studio. Non ti arriva nessuna telefonata né tu chiami qualcuno, lo sapranno già tutti, l’America è in piedi a quest’ora. E si è appena fermata.
La linea viene passata a un inviato sul posto, è sotto le Torri. Altre parole di aerei impazziti, Pentagono attaccato, terrorismo. Il cameraman fa una panoramica alla polvere. Esce dalla base del primo edificio, si solleva dai materiali che continuano a cadere. Un’autopompa gli sfreccia accanto, si ferma.
Quelli siamo noi.
Usciamo in tutta fretta, bombole dell’ossigeno sulla schiena e caschi nelle mani. L’obiettivo ci riprende, ricercando il primo impatto che ciò che vediamo ha su di noi. Riconosci te stesso nelle espressioni di sgomento, le bocche leggermente aperte e le teste che si sollevano piano, a rallentatore, per arrivare a osservare fin sulla cima dove il nero del fumo copre ogni cosa.
Ci avevano detto che era terribile, ma non pensavamo potesse esserlo così tanto.
La polvere del cemento ci si attacca addosso fin da subito dandoci l’aria di chi sta già lavorando da ore in quell’Inferno. L’obiettivo ci segue, silenzioso, mentre ci muoviamo svelti per entrare e abbiamo dei brividi sotto la pelle che nemmeno il calore intenso riuscirà a dissipare. Puoi sentirli, vero? Li hai provati anche tu, non vanno mai via.
Il cielo ci sta crollando addosso(2). Lamiere e carta, vetri e cenere, polvere e corpi di gente disperata che ha paura di morire e si lancia nel vuoto, sperando di volare.
Lo hai riconosciuto Smith?
Ha la faccia impolverata, ma la telecamera lo ha inquadrato bene. Oggi metterà a frutto tutto quello che ha appreso da te. Ti è grato, anche se non te l’ha mai detto, e sarà leone, anche se non te lo potrà raccontare, ma tu pensa che l’abbia fatto ugualmente. Pensa che t’abbia detto: ‘grazie, vecchio’ in un giorno qualunque in cui siete tutti e due vecchi davvero, anche se oggi è ancora giovane, i capelli rossicci sono coperti di cenere e non ha tempo, perché deve andare nel fuoco(3).
Puoi vederci entrare prima che la telecamera ci perda nella densità del fumo che brucia e acceca.
In quel momento, l’udito è la nostra vista, l’ago della nostra bussola per riuscire a capire cosa fare e dove andare.
Voci chiamano nel grigio di non so quale piano; cercano aiuto, cercano noi. Smith mi parla, ma non riesco più a vederlo, ed è l’ultima volta che lo sento: il suo appello s’affievolisce verso l’alto(4) nel rombare della struttura che non regge più il suo stesso peso, nel rombare del fuoco che è la nostra battaglia quotidiana. E tu, che la conosci, puoi riuscire a scorgere ancora i catarifrangenti e le fasce gialle delle nostre divise anche se non sono inquadrate, puoi vederci rovistare nel muro compatto della polvere e avanzare, lungo le scale, che ci porteranno fino in cima.
A casa avevamo detto di non aspettarci perché non saremmo tornati per la notte; sai come vanno queste cose, quante volte l’avrai detto anche tu?
Pensi che non lo dirai più con tanta superficialità.
Pensi che non vorresti mai esserti alzato.
Pensi che sei troppo distante per poter dare una mano.
Pensi che tu stia ancora sognando.
Ma noi ormai siamo perduti nel fumo e il resto è cenere.
In trecentoquarantatre non torneremo, quest’oggi, assieme ad altre migliaia. Semplici numeri, raccolti nel cerchio di un unico e grande Zero.
Ci sono giorni in cui senti che è meglio non alzarsi dal letto, ma quelli sono i giorni in cui il mondo ha deciso di cambiare. In piccolo, in grande; vicino a te, lontano da te. Sono i giorni che non puoi evitare e da cui non puoi nasconderti. Sono i giorni in cui ci saranno alcuni che moriranno e altrettanti che vivranno. Se sei tra i primi, ci rivedremo dall’altra parte, se sei tra i secondi sii forte come lo siamo stati noi, abbi fede come ne abbiamo avuta noi, ama come abbiamo amato noi e spera, come abbiamo sperato noi, in un domani migliore.

May your strength give us strength
May your faith give us faith
May your hope give us hope
May your love give us love


Bruce SpringsteenInto the fire


[1]1993: il disastro dell’11/9/2001 non fu il solo attentato alle Torri Gemelle. Il primo avvenne nel 1993, ma ‘fallì’ e le Torri rimasero in piedi.

[2]: (cit.) dalla canzone di Springsteen (primo verso: ‘The sky was falling and streaked with blood’)

[3]: citazione del titolo stesso della canzone.

[4]: riferimento evidente al verso della canzone: ‘I heard you calling me, then you disappeared into the dust / up the stairs, into the fire’.


NoteAggiuntiveNonNumerate:
- Il titolo della storia, ‘Zero’, è un chiaro riferimento a ‘Ground Zero’, il luogo dove prima sorgevano le Twins Towers.
- Britz è un cane realmente esistito a cui io sono legata in maniera indissolubile; è già comparso in un'altra storia e io gli vorrò, per sempre, un mondo di bene.
- Il protagonista che guarda la tv vive nel Mississippi dove l’orologio va portato un’ora indietro rispetto New York (gli attentati sono cominciati alle 8:45 circa, che nel Mississippi si traducono nelle 7:45, per questo i bambini devono ancora andare a scuola).
- Nel video (che è un live), The Boss dice 'may your love BRING us love', ma nella canzone normale, lui dice alternativamente 'Give' e 'Bring'. :) Giusto per amor di cronaca.


Fine

 

Note Finali:
La nascita di questa storia è tutta strana.
Mi erano capitate tre bellissime canzoni, quali:
- ‘Because the night’ di Patty Smith
- ‘Into the fire’ di Bruce Springsteen
- ‘These are the days of our life’ dei Queen
Ne conoscevo solo due, in verità, e quella che ignoravo era proprio quella di Springsteen. Così ero andata a cercarla per poterla sentire, ma pensavo che avrei puntato sulle altre, anche perché Springsteen non mi ha mai fatto impazzire.
Quando l’ho trovata e ho scoperto la storia che aveva dietro, mi son ritrovata con due occhi gonfi e ho detto: ‘Scelgo questa’, senza indugio.
Questa canzone è stata scritta per l’attentato alle Torri Gemelle dell’11 Settembre 2001, come omaggio ai 343 vigili del fuoco che sono morti nel tentativo di portare soccorso alle persone intrappolate negli edifici sia prima che dopo il crollo.
Sono passati quasi dieci anni da quel giorno e penso che non lo potrò mai dimenticare, forse perché è una cosa ‘temporalmente’ vicina a me anche se ‘spazialmente’ distante, forse perché è stato un atto di pura viltà, forse perché certi simboli, anche se non sono i tuoi, ti sembrano intoccabili. Forse perché ho visto in diretta il crollo del World Trade Center.
Certe cose ti restano.

Vorrei ringraziare tantissimo Rubysage per aver indetto questo contest che mi ha ‘sbloccato’ da uno stato di ‘blocco da contest’ XDDDD. Speriamo che duri! *ride*

 

   
 
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