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Autore: Darik    12/06/2011    2 recensioni
Una grande battaglia era stata vinta. Ma il prezzo era stato una grave perdita, sempre più difficile da sopportare.
Per questo le persone che lo amano intraprenderanno un assai pericoloso viaggio, dove nulla è come sembra, per ritrovare Negi.
Questa storia è il seguito di "Colui che Evangeline ammira".
Genere: Avventura, Azione, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Apparenze'
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5° Capitolo

Il rumore del ventaglio era l’unico suono udibile nella stanza da letto.

La zia di Maria, comodamente seduta su una poltrona di pelle, aveva passato tutto quel tempo a rivedere ogni elemento del piano. Tutto filava. E la cattura di quel professore e del moccioso era andata a buon fine.

Si erano illusi di averli fregati, provando a mimetizzarsi tra le tante persone che arrivavano periodicamente su quell’isola e contando sull’anonimato.

Peccato non avessero previsto la possibilità che tale anonimato non esistesse più.

Lei era stata molto prudente e durante il caos che aveva preceduto la sconfitta di Arxelles, mentre tutti erano concentrati intorno alla torre, era riuscita a intrufolarsi nello studio del preside del Mahora e dal suo computer aveva tirato fuori l’elenco completo dei maghi e guerrieri magici dell’istituto, compreso l’elenco delle studentesse della III A, la classe con degli elementi indispensabili per il suo piano.

Aggiungendo che, grazie alla dolce Maria, adesso non aveva certo problemi di personale e poteva occultare la sua base, era stato uno scherzo trascorrere quei mesi a sorvegliare tutti i punti di arrivo sull’isola in attesa dei volti giusti, sparendo quando arrivavano gruppi di perlustrazione.

Aveva creato una trappola perfetta, bisognava solo attendere il momento in cui farla scattare, ovvero il momento in cui al Mahora si sarebbero ‘improvvisamente’ ricordati di quell’incantesimo di rintracciamento.

Dopo sei mesi, l’attesa era stata premiata e la prima parte del piano era andata in porto.

Ora bisognava attuare la seconda.

Non c’erano motivi perché qualcosa dovesse andare storto, i bersagli erano stati isolati e tra poco sarebbero stati tutti presi.

Eppure…

Eppure qualcosa la tormentava, perché il nemico aveva ancora ben due atti di compensazione da sfruttare.

La prudenza avrebbe chiesto di aspettare ancora, ma quella sua maledetta ‘protettrice’ non ne poteva più di attendere ancora. Anzi, il rischio rendeva il tutto ancora più piacevole e perciò la zia aveva dovuto agire comunque, sperando che tutto andasse bene.

Qualcuno bussò alla sua porta.

“Avanti”.

Una donna minuta e molto anziana, dall’espressione gentile e simpatica, entrò lentamente.

“Perdonami, Eva, la signorina Maria vuole prendere il the in tua compagnia”.

“Sì, vengo” rispose l’altra leggermente infastidita.

Prendere il the era l’ultima preoccupazione per Eva Ushiromiya.

Ma non si poteva contraddire quella bambina.


Asakura, Yu e Nodoka camminavano per le vie della capitale islandese.

”Bella questa città. Ha un’atmosfera più tranquilla di quella di Tokyo” commentò Nodoka.

“Sì, ma rammenta che non siamo qui in vacanza” le disse Asakura.

Yue stava bevendo un succo di frutta azzurro. “Speriamo solo che le altre, quando scopriranno che siamo qui, perché alla fine lo scopriranno, non la prendano troppo male”.

“Non ci posso credere. Siete proprio voi!” esclamò qualcuno.

Le tre ragazze si voltarono verso chi le aveva riconosciute, che stava in un vicolo alla loro destra.


“E’ questo che è successo!”

All’albergo, tutte le ragazze rimasero senza parole quando terminò il racconto di Kamo.

Sakura andò in cucina con lui per dargli del cibo e dell’acqua, tanto era sfinito.

Asakura, Nodoka e Yue, che in quel vicolo avevano raccolto l’ermellino, stremato da una corsa lunghissima, stavano sedute su un divano, mute e con lo sguardo basso.

Come bambine in punizione, persino Asakura aveva perso la sua abituale spavalderia.

Asuna e Mana le avevano già fulminate con delle occhiatacce che valevano più di mille parole, e il racconto di cosa era successo a Takamichi e Kotaro, e della misteriosa trappola alle cascate, le aveva convinte che il loro viaggio segreto era stato la più grossa delle sciocchezze.

Inoltre non era neppure finita.

Perché Mana riprese il discorso interrotto dall’improvviso arrivo del trio di conoscenti incoscienti insieme all’ermellino.

“Questi nuovi eventi, uniti alla mia scoperta, fanno aumentare il nostro livello di guai. Prima l’acqua ci arrivava al collo, ora ci ha sommersi”.

“Sei sicura di questa tua intuizione?” domandò Asuna.

Mana la fissò negli occhi “Ne sono certa. Siamo isolati. Non possiamo comunicare con gli altri. Kamo ci ha dimostrato che persino le comunicazioni con la magia sono bloccate, dato che non ha potuto usare la sua telepatia per informarci. E prima nella hall, ho fatto una prova chiedendo a un turista di chiamare il Mahora per noi. Quel turista aveva chiamato poco prima dallo stesso telefono, senza problemi. Ma quando ha fatto il numero giapponese, la linea è caduta di botto. Gli ho chiesto di provare un’altra volta con un altro numero. Il telefono ha funzionato regolarmente. Il nemico ci ha fregato”.

Nagase scrutò fuori dalla finestra. “Se le cose stanno così, chissà cosa ne è stato di Kotaro e del professor Takahata”.

“A questo punto” intervenne Takane “consiglierei di lasciare subito l’Islanda”.

“Che cosa?! Vorresti abbandonarli?!” esclamò scandalizzata Asuna.

“Certo che no. Però la situazione è peggiore di quanto pensassimo. Siamo finiti nella tana del leone, un predatore che magari sin dall’inizio sapeva del nostro arrivo. Non abbiamo mai avuto nessuna chance, questa è la realtà. Dobbiamo andarcene, informare chi di dovere e tornare con una grossa squadra di maghi e guerrieri. Noi da sole, cosa possiamo fare? Il nemico ha sconfitto Kotaro e Takamichi, che non erano certo delle nullità, e sicuramente possiede delle risorse immense. Il rischio è troppo grande”.

“Bé” azzardò Ku Fei “Magari dal Mahora, non sentendoci, manderanno soccorsi”.

“Sì. Però quando? Magari in Giappone si preoccupano dopo un solo giorno di ritardo, tuttavia per il nemico un giorno può essere più che sufficiente per sistemarci tutte” replicò ancora la bionda guerriera del Mahora.

“Non ci stai rendendo troppo deboli?” obbiettò Asuna “Neppure noi siamo delle nullità”.

“Certo. Tuttavia, siccome non conosciamo l’entità delle forze nemiche, dobbiamo essere prudenti. Nessun generale attacca a testa bassa senza conoscere la forza dell’avversario”.

Mana annuì e anche le altre dovettero riconoscere che il discorso era logico.

Asuna provò l’ultima carta. “Almeno, un tentativo di ricerca…”

Nagase, Mana e Ku abbassarono lo sguardo.

Takane interpretò quel silenzio. “Vedo che mi date ragione. Mi dispiace, Kagurazaka, questa cosa non piace neppure a me, però la prudenza è fondamentale. Quindi rifacciamo i bagagli e prendiamo il primo aereo o nave per tornare in Inghilterra”.

“Ragazze!” gridò dalla cucina Sakura, per poi arrivare trafelata con Kamo sulle spalle.

“Che succede?” chiese Takane.

“Il telegiornale… hanno detto che al largo dell’intera costa islandese è scoppiata una tempesta micidiale… di una potenza inaudita… e che quindi hanno sospeso i voli e le navigazioni da e per l’isola!”

Tranne Mana e Nagase, le ragazze sbiancarono.

“Non è possibile…” mormorò Ku. “Siamo bloccate qui?!”

“Senza poter chiamare aiuto!” continuò Takane.

Facendosi coraggio, Yue prese la parola. “Più o meno quando è scoppiata questa tempesta?”

Sorprese com’erano, nessuno le badò, tranne Sakura.

“Ehm, circa quaranta o cinquanta minuti fa. Sembra si sia formata dal nulla”.

“Subito dopo che siamo arrivate noi insomma” costatò Yue.

Mana andò ad affacciarsi alla finestra, come se cercasse qualcosa.

Asuna guardò la sua compagna, poi le altre. Infine colpì con un pugno il muro. “Si può sapere con chi diavolo abbiamo a che fare?!”


Il tempo era splendido lì, come sempre.

Nel gazebo, Maria si gustava il suo the seduta davanti a una tavola bandita con leccornie di vario genere.

Sua zia Eva sedeva davanti a lei, sorseggiando con calma la bevanda, mentre Sakutaro se ne stava in disparte, tremando lievemente.

La serva anziana invece stava riordinando un altro tavolo.

“Zia, dimmi, quando manterrai la tua promessa?” domandò Maria prendendo un po’ di biscotti al cioccolato.

“Presto, cara, molto presto. Il tempo di sistemare alcune faccende e poi tutti i tuoi desideri saranno realizzati” rispose la donna sorridendo.

“Oh sì! Che bello! E andremo tutti a prendere il the insieme, vero?”

“Certo, nipotina mia. Qualunque cosa per soddisfarti. Finché saremo sole, dobbiamo aiutarci a vicenda”.

Da una tasca di Eva arrivò il suono di un cercapersone. Il cui significato fa da lei capito subito.

“Il momento è arrivato. Maria, dovresti farmi un altro favore”.

“Uffa” sbuffò la piccola “Perché vuoi farmi venire i mal di testa?”

La zia si alzò e le andò vicino, si chinò e la abbracciò. “Te l’ho detto, piccola mia. E’ necessario. Pensa alla ricompensa. Varrà la pena di soffrire qualche mal di testa, no?”

Maria annuì, pur restando un po’ contrariata. “Va bene”.

Le due fronti si unirono.

Sakutaro tremò ancora più forte.

La servitrice fissò severamente.

“Fatto. Anche stavolta non è stato niente di così terribile, vero?” disse Eva facendo l’occhiolino alla nipote.

“Insomma. Però mi fa male la testa… e ho tanto sonno…”

Maria sbadigliò e si addormentò quasi di colpo, venendo prontamente prese in braccio dalla servitrice.

“La porto in camera sua a dormire” dichiarò.

“Chiyo, io voglio che resti qui”.

Lo sguardo della zia era severo.

L’anziana chiamata Chiyo le tenne testa.

“Ed io m’intendo di bambini molto più di te, mia cara Eva. Questa bambina ha bisogno di un po’ di realtà”.

“Che dici? Questa è la realtà”.

“Solo quella che vuoi tu” terminò l’altra andandosene.

Sakutaro velocemente le andò dietro, facendo attenzione a non sfiorare nemmeno Eva.

Rimasta sola, la donna tirò fuori il suo ventaglio.

“Vecchia idiota! Come ti permetti? Ti tengo con me solo perché sei l’unico ricordo felice della mia infanzia. E poi sei talmente decrepita che non ci sarebbe gusto a picchiarti. Ma quando raggiungerò il mio scopo, avrai una lezioncina”.


Nell’albergo, mentre iniziava a farsi buio, le ragazze del Mahora, bagagli in mano, se ne stavano andando.

Anche se non potevano lasciare l’isola o comunicare con l’esterno, non era prudente restare lì.

Mana faceva da apripista, seguita dalle altre in fila per due.

Cominciarono a uscire.

Dopo pochi passi si bloccarono.

Perché anziché ritrovarsi nella strada, erano di nuovo nella hall dell’albergo.

“A quanto pare ci siamo” commentò Asuna.

 

  
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