Beh,
che dire?
Credevate
che fossi morta? Sparita? Scappata? Stata mangiata dai leoni?
Mi
duole informarvi che sono viva più che mai, o miei amati lettori, e molto,
molto, molto …etcetc … molto dispiaciuta per questo
oltremodo vergognoso ritardo. E’ stato un po’ casino con la fine della scuola,
il viaggio nientedimeno che a Londra –ebbene
sì, d’ora in poi scriverò con un po’ più di coerenza-, il PON, l’esame Trinity e tutte le millanta attività che ho sostenuto quest’anno.
Ma bando alle ciance!
Mie
care lettrici *-* SIETE AUMENTATEE!
La
quippresente pecora s’inchina e ringrazia e vi ama
con tutto il cuore, e prima di passare ai ringraziamenti finali chiede se vi
piace questo nuovo layout di lettura o preferite il vecchio e vi anticipa che c’è
una parte di capitolo un po’ triste D: *cerca di
preparare psicologicamente*
Volevo
mettere anche delle immagini con i volti che somigliano di più ai miei
personaggi, per facilitarvi il duro compito d’immaginare le scene mentre
leggete, ma non sono riuscita a preparare niente.
Sto
pensando di farci un blog, su The Last Rose … fatemi sapere che pensate.
Se
vi interessa, comunque, trovate le foto (anche se alcune sono da cambiare, a
pensarci) nella mia paginetta facebook *indica contatto*
Ora,
ora … ringraziamenti!
Invisible:
Mia cara *-* Che piacere vederti qui, e per prima poi! Fattelo dire, sei
portatissima per le recensioni –le amo, occhei? U.U Quindi scrivile- e sono lieta di annunziarti (anche se
forse già lo sai) che quella scena che ti è piaciuta tanto col Joe e il libro
di Paul Coelho è così tanto verosimile che Joe ha detto in una live chat che il
suo libro preferito è proprio ‘L’alchimista’ ò_ò
Comunque, graziegraziegrazie… spero che il capitolo
ti piaccia!
Hedley: La Lauraaaaaa (& co)! Ci
mancate, è un sacco di tempo che non ci sentiamo *_*
Ho
un sacco di cose da dirti ma prima di tutto grazie per la recensione,
lunghissima (<3) e bellissima. Ho
apprezzato parola per parola, per me ogni singola cosa che scrivete è preziosa,
ricordatevelo! Carburante che mi muove a scrivere il capitolo successivo. Ora,
la stellina su Twilight doveva indicare il fatto che non voglio offendere la Meyer e le sue fan, solo che non mi piace, ma evidentemente
ho dimenticato di scriverlo per la fretta di postare. Poii…
vediamo, volevi Mike? Eccoti accontentata! Compare per ben due volte *---*
Scriverò anche altre cose su di lui promesso… ora ti
lascio altrimenti per ringraziare tutti non finisco più. GRAZIEEEEEEE *strizza Laura e Ronnie* Ronnie
mi manchiii ç______ç –Anche a meee,
C.-
Mar: La
recensione più luuuunga e awwosa
*-* Le tue recensioni mi piacciono tantissimo perché non tralasci niente, cogli
cose a cui perfino io scrittrice non avevo fatto caso. Come al solito mi fai
TROPPI complimenti –non mi illudere, che poi io un po’ ci credo!- e sai notare
le scene che volevo mettere in rilievo, poi dici che so scrivere meglio di te
ma non è vero!!! Ma a parte il fatto che ti devo tirare qualcosa appresso su msn per queste tue insinuazioni G R A Z I E per la
bellissima recensione e anche tutto il tempo che hai passato ad incoraggiarmi e
a insistere –mannaggia a te- affinché scrivessi il capitolo. Eccolo a te
assieme con gli Allen!
Fiery:
Maaary *-* Sarò breve perché DEVO postare questo
capitolo e sto andando fuori di testa. Che dire? GRAZIE grazie
e grazie per il tuo contributo che tiene la storia tra quelle con più parole
per recensione positiva della sezione (anzi, al primo posto!) eeeee… Lampo Rosso loves you –scassava affinché lo scrivessi, scusami. Ora vengo ad
avvertirti su msn che ho postato. Yo sista, i hope you
like it!
Xosofearless: Ma ciao nuova
lettrice e commentatrice! Sono taaaaaaaaaaaaaaanto
contenta di averti qui e spero di poterti inserire molto presto nella lista
delle mie LF (Lettrici Fedeli)! Grazie mille per la recensione e ricorda: Drew
e gli altri hanno bisogno anche di te e del tuo supporto! J PS. Vedrai che imparerai ben presto i
nomi e a distinguerli, siamo solo “all’inizio”!
Egg_s: Nuoooo daiii che piacere averti quiii
*______* L’autrice di Poppy White! (E Tell me Something I don’t know) E anche una delle ragazze con più recensioni dell’intera
sezione –e una delle più brave, tra tutto questo ciarpame, a mio modesto
parere. Grazissime per i complimenti e per la
recensione –che fa tutt’altro che schifo, e ho apprezzato tantissimo il fatto
che tu abbia guardato la storia anche da un punto di vista più tecnico. Spero
che continuerai a seguirla nonostante gli aggiornamenti non troppo regolari. Un
bacione!
E
GRAZIE AI NUOVI PREFERITI E A TUTTI QUELLI CHE LA TENGONO TRA LE SEGUITE! VI AMO!
Adesso
vi lascio. <3
Un
bacione e un abbraccio fortissimo, sperando di avervi regalato un paio di piacevoli
minuti di fuga dalla realtà. Fatemi saperee *-*
Sheep
Capitolo 8
Da
Trafalgar Square, ai piedi
dell’altissima colonna su cui stava la statua di Nelson, Bridget Allen riusciva
a vedere il Big Ben. Illuminato soltanto dal gelido pallore della luna,
nascosto dai vari edifici del centro, ancora -a tre anni di distanza dal
trasferimento della sua famiglia a Londra - le veniva un tuffo al cuore nel
vederlo. Era il simbolo di Londra ed
un’attrazione per molti turisti, forse un orgoglio per chi in quella città ci
era nato, eppure Bee aveva la meravigliosa e timida presunzione di credersi la
sola a cui quell’enorme orologio lontano suscitasse tali sensazioni.
Nascose
un sorriso nella grossa sciarpa di lana e strinse la mano di Michael, suo
fratello, il quale avanzava accanto a lei in tacita meditazione. Quello la guardò
con amore e le circondò una la vita con un braccio, stringendola a sé.
Poco
più dietro Adrienne fece scivolare una mano tra i capelli biondissimi; si
reggeva a fatica sui tacchi di quindici centimetri, ma non aveva ancora
iniziato a barcollare. Sua cugina Rachel alzò gli occhi verso il cielo
orribilmente scuro e sbuffò. I suoi pensieri si dissolsero in una nuvola di
fumo.
“C’è
il 22*.” Disse, sovrappensiero.
Aspettarono,
bloccati per alcuni minuti alla fermata più vicina. Quando l’enorme autobus
rosso si fu accostato vi si infilarono in fretta e, dopo aver singolarmente mostrato
la travel card al conducente,
cercarono un posto in fondo a tutto. Rachel si arrampicò sulla scaletta che
portava ai sedili superiori, dove la vista era decisamente migliore. L’unico
posto libero si trovava accanto ad una figura blu, accucciata contro il
finestrone. Rain si sedette senza nemmeno involontariamente voltare lo sguardo
nella sua direzione; sperò solo, dentro di sé, che quel coso si sbrigasse a
giungere a destinazione.
“Yo,bro” Una voce maschile la fece sobbalzare. Rain
alzò lo sguardo e si trovò di fronte un ragazzo dai capelli rossi, un orecchio
strapieno di cerchietti argentati. Si
rivolgeva a qualcuno accanto a lei. “Ma dove cazzo stai di casa, tu? Non me
l’hai mica detto.”
“Il
mio appartamento è a West End.” Rispose in un sussurro serio e pacato una voce
troppo familiare.
Rachel
si voltò leggermente e vide Nicholas Jonas, il ragazzo che l’aveva
riaccompagnata a casa qualche tempo prima, e che poi aveva scoperto essere un
attore –le venne un rapido flash di lui nei panni di Marius, durante spettacolo di Les Miserables, che sua madre aveva
finanziato. Anche lui la notò: si ricordò immediatamente di lei e la salutò con
un sorriso. Dopodiché, la presentò al mezzo alternativo che poco prima l’aveva
brutalmente strappata ai suoi pensieri.
«Rachel,
lui è Andrew. Andrew, lei è Rachel.»
Evitarono
di stringersi la mano. Lei aggiunse solo, in tono di ghiaccio: «Smettila di
chiamarmi Rachel.» E gli lasciò intendere, in poche parole, che avrebbe potuto
chiamarla Rain, come un “amico”.
«Non
sei di queste parti.» Osservò Drew, scrutandola attentamente. Sapeva bene come
distinguere le residenti dalle turiste e, sebbene quella Rachel assomigliasse
terribilmente –per accento e lineamenti- alle ragazze del posto, il suo
abbigliamento la tradiva. Dov’erano gli abiti colorati e vintage?
«No.»
Confermò Rain. «Sono di Dublino, ma stiamo qui da un po’. Qualche anno.»
Le
risate sguaiate di un gruppo di ragazzine straniere svaccate l’una addosso
all’altra poco più in là interruppero l’imbarazzante silenzio improvvisamente
insinuatosi tra i tre. Drew, ancora voltato verso Nick e Rain, si drizzò sul
sedile quando l’autobus si fermò per far scendere le ultime persone.
«La
mia è la prossima.» Constatò.
«Aspetta
…» Fece Rachel, rendendosi conto di dove si trovavano. Lanciò uno sguardo
accigliato al monitor dove le varie angolature del pullman venivano mostrate a
ripetizione. Non si sorprese quando sullo schermo apparvero i posti vuoti di
Mike, Bee ed Adrienne, ma non riuscì a trattenersi dall’esclamare: «No, porca puttana …!» L’orologio, la sua ultima speranza, segnava
le undici e mezza. Alle undici la linea della metro di cui aveva bisogno per
raggiungere casa era stata già chiusa. “Perfetto.”
Pensò Rain, sentendo il nervoso arrampicarsi attraverso lo stomaco e bloccarsi
in gola.
“Che
succede?” Chiese Nick, ma aveva l’aria di chi conosce bene la risposta ancor
prima che il suo interlocutore abbia il tempo di aprire la bocca. “Tutto ok?”
“Sì.”
Mentì Rachel.
Scattò
in piedi non appena il pullman sostò di nuovo e saltò giù assieme agli altri
due. Andrew era assurdamente alto: nascondeva sotto la felpa larghissima -o
forse erano due, una sopra l’altra- un fisico straordinariamente asciutto e
tatuaggi colorati spuntavano dalla manica della felpa, sulla mano che non
teneva nascosta nei jeans.
Non
aveva niente a che vedere con Nick, a suo confronto praticamente uno gnomo,
così serio, avvolto in un trench blu come un vero gentlemen inglese.
“Se
c’è qualche problema, posso accompagnarti.” Disse Nick a Rain quando Drew li
ebbe congedati –Ci si vede in giro, bro.- e si fu
allontanato.
“No.”
Asserì lei, senza nemmeno pensare di ringraziare.
Nicholas
increspò le labbra mentre Rachel affondava una mano nella tasca dei jeans e ne
tirava fuori un cellulare che più che anni doveva avere secoli, con lo schermo
neanche a colori. Lo fissò per alcuni secondi, poi alzò lo sguardo ed incontrò
quello di lui, ambra fusa e terribilmente appiccicosa.
“Mi
prendo un taxi.” Concluse in fretta, e
poi sparì nel silenzio della notte, evitando di salutarlo.
*
Quando
Drew rientrò, quella notte, suo fratello Keith era intento a smanettare furiosamente
col notebook di Diana. La schermata scomparve subito dopo lo scatto della
porta, e il ragazzo si voltò con aria colpevole verso il maggiore, che restò a
fissarlo in silenzio per alcuni secondi. Andrew era sicuro che Keith stesse
tramando qualcosa: erano giorni che osservava i suoi movimenti rapidi, goffi,
nascosti, settimane che lo vedeva sgusciare, frugare, parlare fitto, camminare
avanti e indietro nervosamente per il corridoio. C’erano momenti in cui, a
tavola, si metteva a fissare il vuoto: allora Drew studiava gli occhi azzurri e
dolorosi, i tratti segnati, i capelli biondi che facevano di lui una bellezza
scomposta e si chiedeva se davvero non avesse bisogno d’aiuto. Del suo aiuto.
«Non
rispondi al telefono?» Sebbene quella domanda sapesse terribilmente di Diana era
stato Andrew a parlare, con le lentiggini che gli guizzavano sulla faccia.
Keith
sobbalzò e lanciò un’occhiata sprezzante al cellulare, che vibrava
insistentemente già da prima che Drew avesse messo piede in casa. Premette il
pulsante rosso per rifiutare la chiamata, poi scosse la testa. «Chi, quella
troia?» Sbottò, il naso arricciato come quello di una ragazzina snob di fronte
ad una parolaccia. «Ne ho piene le palle; l’altra volta si è inventata questa
storia del bambino, sai, sono ore che scassa.»
Andrew,
consapevole che non era quello il motivo dello strano comportamento di Keith,
cercò di ignorare il fatto che una delle sveltine di suo fratello minore poteva
star aspettando un figlio da lui e si avviò in cucina per prendere una birra. Ci
ripensò quasi subito: tornò indietro, diede un’occhiata veloce nella camera di
suo fratello, ora appoggiato alla scrivania con la faccia tra le mani, e s’infilò
nella stanza di Sophie, che nel suo immaginario doveva star già dormendo da un
pezzo.
La
trovò invece sveglia, seduta sul lettino tra le coperte scomposte, l’inseparabile
coniglio rosa tra le braccia. Gli sorrise e lo salutò con la mano, il visetto
stanco scavato dalla stanchezza.
«Drew!»
Esclamò, pur non avendo abbastanza forza per parlare.
«Che
ci fai ancora sveglia, baby?»
Andrew
si avvicinò incredulo alla sorellina; si sedette di fronte a lei, visibilmente
preoccupato, ma non osò aggiungere un’altra parola: aspettò che fosse la bimba
a parlare di nuovo.
«
Mr. Carrot era triste.» Spiegò Sophie, serafica. «Così gli ho fatto compagnia.»
Strinse al petto il peluche di pezza, le cui lunghe orecchie ricaddero stupidamente
in avanti.
«E
perché » Domandò Andrew, sforzandosi
di trattenere uno scatto d’ira«dico, si può sapere perché era triste?»
La
piccola Sophia si accigliò. «Non essere stupido e cattivo, Drew.» Il ragazzo percepì
una fitta allo stomaco: era l’unico punto di riferimento della sorella più
piccola, e lei l’unica ragione per cui non si era ancora ammazzato, per cui non
aveva insistito con la lametta sui polsi, quella volta che Diana dopo l’aveva
scoperto. Non poteva permettere che perdesse la fiducia in lui – che lo
giudicasse stupido e cattivo. «E’ per
via della mamma. Lei non c’è da un po’ e sente la sua mancanza. Però non tanto,
solo così così. Ma però Keith non gioca più con noi,
e allora gli manca pure lui e sono due mancanze, e poi stasera sei andato via e
non hai raccontato la favola del Ragazzo coi Capelli Blu per la buona notte, e
nemmeno Peter Pan.» Lacrime calde le scorrevano lungo le guance scarne,
tremava. Drew allungò una mano verso di lei, esitante, ma la bambina l’allontanò
e cominciò a parlare più forte. «Lascialo!
Ci sto io con lui, lui è il mio migliore amico anche se Allie dice che non può!
E invece può, io lo so! Lui mi vuole bene … » Tirò su col naso e si asciugò la
faccia con la manica del pigiama, come avrebbe fatto una ragazzina di dieci
anni più grande. «Poi Malice ci ha dato la cena, ma non ci piaceva perché non
avevamo fame. E la casa delle bambole non ci piaceva più. Nemmeno i cartoni ci
piacevano più. Nemmeno la casa, nemmeno il tetto, nemmeno Keith che non gioca
più con noi.» Scosse la testa ostinatamente, mentre Andrew rimaneva a
guardarla, il cuore a mille e lo scheletro di un tetro suicidio dipinto sulla
faccia. «A Mr. Carrot fanno anche male i denti davanti. Lui è un coniglio,
mangia le carote arancioni come i tuoi capelli, solo che a casa non ci sono
carote e allora i denti si affilano e gli fanno male. Me l’ha detto Bee, lo sai?
E poi tu ti arrabbi se sta sveglio. Tu non capisci.» Cullò il peluche con la
tenerezza che solo una bambina della sua età poteva avere. Qualche attimo dopo
alzò gli occhioni gonfi di pianto verso il fratello, che l’abbracciò stretta e
la tenne così finché non si fu addormentata profondamente.
*
Michael
J. Allen lasciò andare sull’erba l’inseparabile borsone nero, gonfio quasi più
del solito. Vi si sedette accanto, schiacciando le margherite rinsecchite
dall’inverno, e chiuse gli occhi metallici per godersi il flebile calore del
sole di mezzogiorno. Liberò i pensieri, lasciò che l’utopico desiderio di
dormire gli accarezzasse i sensi, prima di percepire una massiccia presenza
fermarsi a pochi passi da lui. Voltò il capo e vide Joseph, il suo migliore
amico, tirare fuori un pacchetto di sigarette. Gliene porse una, se ne infilò
tra le labbra un’altra e ficcò in mano a Michael l’accendino.
«Giornata
di merda, eh?» Domandò, con la sua caratteristica voce graffiata. Lo sguardo
smeraldino virò tra gli alberi di St James’ Park, indugiò su una coppietta
appartata tra i cespugli –la mano di lei decisamente troppo vicina all’orlo del
jeans di lui-, si fermò su uno scoiattolo che avanzava lentamente, con aria
curiosa, verso di loro. Mike fece un verso che attirò l’attenzione dell’animaletto,
lo studiò con attenzione mentre si avventurava tra i fiorellini bianchi e gli
si avvicinava con grazia il tanto che bastava a capire a che specie
appartenesse. Scappò via, deluso, quando capì che Michael non era altro che un rozzo,
banalissimo, inutile umano.
Josh
si distese sull’erba, mentre Mike si avviava a fare una passeggiata.