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Autore: Sheep    12/06/2011    3 recensioni
Un ragazzo coi capelli rossi e una sorellina troppo intelligente in una famiglia troppo grande e troppo strana. Una coppia di gemelle, avvolte in un’ombra di riservatezza e mistero. Un prestigioso attore americano che si reca a Londra per recitare a Broadway. Cosa succederebbe se i loro destini s’intrecciassero? E se il famigerato attore, in più, avesse seri problemi con suo fratello?
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Beh, che dire?

Credevate che fossi morta? Sparita? Scappata? Stata mangiata dai leoni?

Mi duole informarvi che sono viva più che mai, o miei amati lettori, e molto, molto, molto …etcetc … molto dispiaciuta per questo oltremodo vergognoso ritardo. E’ stato un po’ casino con la fine della scuola, il viaggio nientedimeno che a Londra –ebbene sì, d’ora in poi scriverò con un po’ più di coerenza-, il PON, l’esame Trinity e tutte le millanta attività che ho sostenuto quest’anno. Ma bando alle ciance!

Mie care lettrici *-* SIETE AUMENTATEE!

La quippresente pecora s’inchina e ringrazia e vi ama con tutto il cuore, e prima di passare ai ringraziamenti finali chiede se vi piace questo nuovo layout di lettura o preferite il vecchio e vi anticipa che c’è una parte di capitolo un po’ triste D: *cerca di preparare psicologicamente*

Volevo mettere anche delle immagini con i volti che somigliano di più ai miei personaggi, per facilitarvi il duro compito d’immaginare le scene mentre leggete, ma non sono riuscita a preparare niente.

Sto pensando di farci un blog, su The Last Rose … fatemi sapere che pensate.

Se vi interessa, comunque, trovate le foto (anche se alcune sono da cambiare, a pensarci) nella mia paginetta facebook *indica contatto*

 

Ora, ora … ringraziamenti!

 

Invisible: Mia cara *-* Che piacere vederti qui, e per prima poi! Fattelo dire, sei portatissima per le recensioni –le amo, occhei? U.U Quindi scrivile- e sono lieta di annunziarti (anche se forse già lo sai) che quella scena che ti è piaciuta tanto col Joe e il libro di Paul Coelho è così tanto verosimile che Joe ha detto in una live chat che il suo libro preferito è proprio ‘L’alchimista’ ò_ò Comunque, graziegraziegrazie… spero che il capitolo ti piaccia!

Hedley: La Lauraaaaaa (& co)! Ci mancate, è un sacco di tempo che non ci sentiamo *_*

Ho un sacco di cose da dirti ma prima di tutto grazie per la recensione, lunghissima (<3) e bellissima. Ho apprezzato parola per parola, per me ogni singola cosa che scrivete è preziosa, ricordatevelo! Carburante che mi muove a scrivere il capitolo successivo. Ora, la stellina su Twilight doveva indicare il fatto che non voglio offendere la Meyer e le sue fan, solo che non mi piace, ma evidentemente ho dimenticato di scriverlo per la fretta di postare. Poii… vediamo, volevi Mike? Eccoti accontentata! Compare per ben due volte *---* Scriverò anche altre cose su di lui promesso… ora ti lascio altrimenti per ringraziare tutti non finisco più. GRAZIEEEEEEE *strizza Laura e Ronnie* Ronnie mi manchiii ç______ç –Anche a meee, C.-

 

Mar: La recensione più luuuunga e awwosa *-* Le tue recensioni mi piacciono tantissimo perché non tralasci niente, cogli cose a cui perfino io scrittrice non avevo fatto caso. Come al solito mi fai TROPPI complimenti –non mi illudere, che poi io un po’ ci credo!- e sai notare le scene che volevo mettere in rilievo, poi dici che so scrivere meglio di te ma non è vero!!! Ma a parte il fatto che ti devo tirare qualcosa appresso su msn per queste tue insinuazioni G R A Z I E per la bellissima recensione e anche tutto il tempo che hai passato ad incoraggiarmi e a insistere –mannaggia a te- affinché scrivessi il capitolo. Eccolo a te assieme con gli Allen!

 

Fiery: Maaary *-* Sarò breve perché DEVO postare questo capitolo e sto andando fuori di testa. Che dire? GRAZIE grazie e grazie per il tuo contributo che tiene la storia tra quelle con più parole per recensione positiva della sezione (anzi, al primo posto!) eeeee… Lampo Rosso loves you –scassava affinché lo scrivessi, scusami. Ora vengo ad avvertirti su msn che ho postato. Yo sista, i hope you like it!

 

Xosofearless: Ma ciao nuova lettrice e commentatrice! Sono taaaaaaaaaaaaaaanto contenta di averti qui e spero di poterti inserire molto presto nella lista delle mie LF (Lettrici Fedeli)! Grazie mille per la recensione e ricorda: Drew e gli altri hanno bisogno anche di te e del tuo supporto! J PS. Vedrai che imparerai ben presto i nomi e a distinguerli, siamo solo “all’inizio”!

 

Egg_s: Nuoooo daiii che piacere averti quiii *______* L’autrice di Poppy White! (E Tell me Something I don’t know) E anche una delle ragazze con più recensioni dell’intera sezione –e una delle più brave, tra tutto questo ciarpame, a mio modesto parere. Grazissime per i complimenti e per la recensione –che fa tutt’altro che schifo, e ho apprezzato tantissimo il fatto che tu abbia guardato la storia anche da un punto di vista più tecnico. Spero che continuerai a seguirla nonostante gli aggiornamenti non troppo regolari. Un bacione!

 

E GRAZIE AI NUOVI PREFERITI E A TUTTI QUELLI CHE LA TENGONO TRA LE SEGUITE! VI AMO!

 

Adesso vi lascio. <3

Un bacione e un abbraccio fortissimo, sperando di avervi regalato un paio di piacevoli minuti di fuga dalla realtà. Fatemi saperee *-*

Sheep

 

 

 

 

Capitolo 8

Da Trafalgar Square, ai piedi dell’altissima colonna su cui stava la statua di Nelson, Bridget Allen riusciva a vedere il Big Ben. Illuminato soltanto dal gelido pallore della luna, nascosto dai vari edifici del centro, ancora -a tre anni di distanza dal trasferimento della sua famiglia a Londra - le veniva un tuffo al cuore nel vederlo. Era il simbolo di Londra ed un’attrazione per molti turisti, forse un orgoglio per chi in quella città ci era nato, eppure Bee aveva la meravigliosa e timida presunzione di credersi la sola a cui quell’enorme orologio lontano suscitasse tali sensazioni.

Nascose un sorriso nella grossa sciarpa di lana e strinse la mano di Michael, suo fratello, il quale avanzava accanto a lei in tacita meditazione. Quello la guardò con amore e le circondò una la vita con un braccio, stringendola a sé.

Poco più dietro Adrienne fece scivolare una mano tra i capelli biondissimi; si reggeva a fatica sui tacchi di quindici centimetri, ma non aveva ancora iniziato a barcollare. Sua cugina Rachel alzò gli occhi verso il cielo orribilmente scuro e sbuffò. I suoi pensieri si dissolsero in una nuvola di fumo.

“C’è il 22*.” Disse, sovrappensiero.

Aspettarono, bloccati per alcuni minuti alla fermata più vicina. Quando l’enorme autobus rosso si fu accostato vi si infilarono in fretta e, dopo aver singolarmente mostrato la travel card al conducente, cercarono un posto in fondo a tutto. Rachel si arrampicò sulla scaletta che portava ai sedili superiori, dove la vista era decisamente migliore. L’unico posto libero si trovava accanto ad una figura blu, accucciata contro il finestrone. Rain si sedette senza nemmeno involontariamente voltare lo sguardo nella sua direzione; sperò solo, dentro di sé, che quel coso si sbrigasse a giungere a destinazione.

“Yo,bro” Una voce maschile la fece sobbalzare. Rain alzò lo sguardo e si trovò di fronte un ragazzo dai capelli rossi, un orecchio strapieno di cerchietti argentati. Si rivolgeva a qualcuno accanto a lei. “Ma dove cazzo stai di casa, tu? Non me l’hai mica detto.”

“Il mio appartamento è a West End.” Rispose in un sussurro serio e pacato una voce troppo familiare.

Rachel si voltò leggermente e vide Nicholas Jonas, il ragazzo che l’aveva riaccompagnata a casa qualche tempo prima, e che poi aveva scoperto essere un attore –le venne un rapido flash di lui nei panni di Marius, durante spettacolo di Les Miserables, che sua madre aveva finanziato. Anche lui la notò: si ricordò immediatamente di lei e la salutò con un sorriso. Dopodiché, la presentò al mezzo alternativo che poco prima l’aveva brutalmente strappata ai suoi pensieri.

«Rachel, lui è Andrew. Andrew, lei è Rachel.»

Evitarono di stringersi la mano. Lei aggiunse solo, in tono di ghiaccio: «Smettila di chiamarmi Rachel.» E gli lasciò intendere, in poche parole, che avrebbe potuto chiamarla Rain, come un “amico”.

«Non sei di queste parti.» Osservò Drew, scrutandola attentamente. Sapeva bene come distinguere le residenti dalle turiste e, sebbene quella Rachel assomigliasse terribilmente –per accento e lineamenti- alle ragazze del posto, il suo abbigliamento la tradiva. Dov’erano gli abiti colorati e vintage?

«No.» Confermò Rain. «Sono di Dublino, ma stiamo qui da un po’. Qualche anno.»

Le risate sguaiate di un gruppo di ragazzine straniere svaccate l’una addosso all’altra poco più in là interruppero l’imbarazzante silenzio improvvisamente insinuatosi tra i tre. Drew, ancora voltato verso Nick e Rain, si drizzò sul sedile quando l’autobus si fermò per far scendere le ultime persone.

«La mia è la prossima.» Constatò.

«Aspetta …» Fece Rachel, rendendosi conto di dove si trovavano. Lanciò uno sguardo accigliato al monitor dove le varie angolature del pullman venivano mostrate a ripetizione. Non si sorprese quando sullo schermo apparvero i posti vuoti di Mike, Bee ed Adrienne, ma non riuscì a trattenersi dall’esclamare: «No, porca puttana …!» L’orologio, la sua ultima speranza, segnava le undici e mezza. Alle undici la linea della metro di cui aveva bisogno per raggiungere casa era stata già chiusa. “Perfetto.” Pensò Rain, sentendo il nervoso arrampicarsi attraverso lo stomaco e bloccarsi in gola.

“Che succede?” Chiese Nick, ma aveva l’aria di chi conosce bene la risposta ancor prima che il suo interlocutore abbia il tempo di aprire la bocca. “Tutto ok?”

“Sì.” Mentì Rachel.

Scattò in piedi non appena il pullman sostò di nuovo e saltò giù assieme agli altri due. Andrew era assurdamente alto: nascondeva sotto la felpa larghissima -o forse erano due, una sopra l’altra- un fisico straordinariamente asciutto e tatuaggi colorati spuntavano dalla manica della felpa, sulla mano che non teneva nascosta nei jeans.

Non aveva niente a che vedere con Nick, a suo confronto praticamente uno gnomo, così serio, avvolto in un trench blu come un vero gentlemen inglese.

“Se c’è qualche problema, posso accompagnarti.” Disse Nick a Rain quando Drew li ebbe congedati –Ci si vede in giro, bro.- e si fu allontanato.

“No.” Asserì lei, senza nemmeno pensare di ringraziare.

Nicholas increspò le labbra mentre Rachel affondava una mano nella tasca dei jeans e ne tirava fuori un cellulare che più che anni doveva avere secoli, con lo schermo neanche a colori. Lo fissò per alcuni secondi, poi alzò lo sguardo ed incontrò quello di lui, ambra fusa e terribilmente appiccicosa.

“Mi prendo un taxi.” Concluse in fretta, e poi sparì nel silenzio della notte, evitando di salutarlo.

*

Quando Drew rientrò, quella notte, suo fratello Keith era intento a smanettare furiosamente col notebook di Diana. La schermata scomparve subito dopo lo scatto della porta, e il ragazzo si voltò con aria colpevole verso il maggiore, che restò a fissarlo in silenzio per alcuni secondi. Andrew era sicuro che Keith stesse tramando qualcosa: erano giorni che osservava i suoi movimenti rapidi, goffi, nascosti, settimane che lo vedeva sgusciare, frugare, parlare fitto, camminare avanti e indietro nervosamente per il corridoio. C’erano momenti in cui, a tavola, si metteva a fissare il vuoto: allora Drew studiava gli occhi azzurri e dolorosi, i tratti segnati, i capelli biondi che facevano di lui una bellezza scomposta e si chiedeva se davvero non avesse bisogno d’aiuto. Del suo aiuto.

«Non rispondi al telefono?» Sebbene quella domanda sapesse terribilmente di Diana era stato Andrew a parlare, con le lentiggini che gli guizzavano sulla faccia.

Keith sobbalzò e lanciò un’occhiata sprezzante al cellulare, che vibrava insistentemente già da prima che Drew avesse messo piede in casa. Premette il pulsante rosso per rifiutare la chiamata, poi scosse la testa. «Chi, quella troia?» Sbottò, il naso arricciato come quello di una ragazzina snob di fronte ad una parolaccia. «Ne ho piene le palle; l’altra volta si è inventata questa storia del bambino, sai, sono ore che scassa.»

Andrew, consapevole che non era quello il motivo dello strano comportamento di Keith, cercò di ignorare il fatto che una delle sveltine di suo fratello minore poteva star aspettando un figlio da lui e si avviò in cucina per prendere una birra. Ci ripensò quasi subito: tornò indietro, diede un’occhiata veloce nella camera di suo fratello, ora appoggiato alla scrivania con la faccia tra le mani, e s’infilò nella stanza di Sophie, che nel suo immaginario doveva star già dormendo da un pezzo.

La trovò invece sveglia, seduta sul lettino tra le coperte scomposte, l’inseparabile coniglio rosa tra le braccia. Gli sorrise e lo salutò con la mano, il visetto stanco scavato dalla stanchezza.

«Drew!» Esclamò, pur non avendo abbastanza forza per parlare.

«Che ci fai ancora sveglia, baby?»

Andrew si avvicinò incredulo alla sorellina; si sedette di fronte a lei, visibilmente preoccupato, ma non osò aggiungere un’altra parola: aspettò che fosse la bimba a parlare di nuovo.

« Mr. Carrot era triste.» Spiegò Sophie, serafica. «Così gli ho fatto compagnia.» Strinse al petto il peluche di pezza, le cui lunghe orecchie ricaddero stupidamente in avanti.

«E perché » Domandò Andrew, sforzandosi di trattenere uno scatto d’ira«dico, si può sapere perché era triste?»

La piccola Sophia si accigliò. «Non essere stupido e cattivo, Drew.» Il ragazzo percepì una fitta allo stomaco: era l’unico punto di riferimento della sorella più piccola, e lei l’unica ragione per cui non si era ancora ammazzato, per cui non aveva insistito con la lametta sui polsi, quella volta che Diana dopo l’aveva scoperto. Non poteva permettere che perdesse la fiducia in lui – che lo giudicasse stupido e cattivo. «E’ per via della mamma. Lei non c’è da un po’ e sente la sua mancanza. Però non tanto, solo così così. Ma però Keith non gioca più con noi, e allora gli manca pure lui e sono due mancanze, e poi stasera sei andato via e non hai raccontato la favola del Ragazzo coi Capelli Blu per la buona notte, e nemmeno Peter Pan.» Lacrime calde le scorrevano lungo le guance scarne, tremava. Drew allungò una mano verso di lei, esitante, ma la bambina l’allontanò e cominciò a parlare più forte. «Lascialo! Ci sto io con lui, lui è il mio migliore amico anche se Allie dice che non può! E invece può, io lo so! Lui mi vuole bene … » Tirò su col naso e si asciugò la faccia con la manica del pigiama, come avrebbe fatto una ragazzina di dieci anni più grande. «Poi Malice ci ha dato la cena, ma non ci piaceva perché non avevamo fame. E la casa delle bambole non ci piaceva più. Nemmeno i cartoni ci piacevano più. Nemmeno la casa, nemmeno il tetto, nemmeno Keith che non gioca più con noi.» Scosse la testa ostinatamente, mentre Andrew rimaneva a guardarla, il cuore a mille e lo scheletro di un tetro suicidio dipinto sulla faccia. «A Mr. Carrot fanno anche male i denti davanti. Lui è un coniglio, mangia le carote arancioni come i tuoi capelli, solo che a casa non ci sono carote e allora i denti si affilano e gli fanno male. Me l’ha detto Bee, lo sai? E poi tu ti arrabbi se sta sveglio. Tu non capisci.» Cullò il peluche con la tenerezza che solo una bambina della sua età poteva avere. Qualche attimo dopo alzò gli occhioni gonfi di pianto verso il fratello, che l’abbracciò stretta e la tenne così finché non si fu addormentata profondamente.

*

Michael J. Allen lasciò andare sull’erba l’inseparabile borsone nero, gonfio quasi più del solito. Vi si sedette accanto, schiacciando le margherite rinsecchite dall’inverno, e chiuse gli occhi metallici per godersi il flebile calore del sole di mezzogiorno. Liberò i pensieri, lasciò che l’utopico desiderio di dormire gli accarezzasse i sensi, prima di percepire una massiccia presenza fermarsi a pochi passi da lui. Voltò il capo e vide Joseph, il suo migliore amico, tirare fuori un pacchetto di sigarette. Gliene porse una, se ne infilò tra le labbra un’altra e ficcò in mano a Michael l’accendino.

«Giornata di merda, eh?» Domandò, con la sua caratteristica voce graffiata. Lo sguardo smeraldino virò tra gli alberi di St James’ Park, indugiò su una coppietta appartata tra i cespugli –la mano di lei decisamente troppo vicina all’orlo del jeans di lui-, si fermò su uno scoiattolo che avanzava lentamente, con aria curiosa, verso di loro. Mike fece un verso che attirò l’attenzione dell’animaletto, lo studiò con attenzione mentre si avventurava tra i fiorellini bianchi e gli si avvicinava con grazia il tanto che bastava a capire a che specie appartenesse. Scappò via, deluso, quando capì che Michael non era altro che un rozzo, banalissimo, inutile umano.

Josh si distese sull’erba, mentre Mike si avviava a fare una passeggiata.

 

 

 

  
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