Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: NeverThink    13/06/2011    2 recensioni
Ferma, lì, persa nei ricordi, guardavo la sedia a dondolo, rovinata dal tempo e dall’umidità. Ferma, immobile, fredda.
L’immagine dai caldi e vividi colori fu rimpiazzata da quella realtà cruda, desolata e piena di struggente dolore e malinconia.
Mi avvicinai alla sedia a dondolo e la sfiorai con i polpastrelli. Sentii le venature del legno sotto la pelle.
Sorrisi, consapevole che non appena mi sarei rifugiata in camera, circondata dalle pareti che un tempo furono la sua dimore segreta, sarei scoppiata a piangere.
«E tu chi sei?»
«Importa?»
«Quello è il mio posto.»
«Oh. Non vedo scritto il tuo nome.»
«E’ il mio posto da sempre. Lo sanno tutti.»
«Ed io ti ripeto che qui sopra non c’è scritto il tuo nome. Finché non trovo scritto il tuo nome io non mi muovo di qui.»
Il sorriso, prima o poi, torna.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

 

 

~Sometimes you have to be apart from people you love,
but that doesn't mean you love them any less.
Sometimes it makes you love them even more.~
When my world is falling apart, 
when there is no light to break up the dark 
that's when I look at you.
When the waves are flooding the shore and I 
can't find my way home anymore 
that's when I look at you.

 

 

 

Capitolo diciotto.
David.

 

Quando salii le scale della veranda, avevo il fiatone. Mi dovetti reggere al corrimano per riprendere fiato. Quella mattina, come di consuetudine, mi ero svegliato alle cinque e trenta, per la corsa del giovedì. Ero sceso di casa e avevo cominciato a correre sulla battigia, cercando di sgombrare la mente dal ricordo di lei. Ma i miei buoni propositi erano scemati quando la scorsi sulla veranda di casa sua, le mani strette intorno ad una tazza bianca. I capelli chiari, appena arruffati, oscillavano con dolcezza, accarezzati dal vento mattutino. Mi aveva invitato ad entrare in casa e senza rispondere alla mia domanda, mi lasciò uscire di casa.
Ora, mentre fissavo la porta del retro mi chiesi cosa stesse facendo e cosa aveva pensato nel lasso tra l’avermi riconosciuto e l’avermi visto uscire dalla porta della veranda.
Entrai in casa per una doccia e in cucina trovai mia madre seduta al tavolo. Mangiava distrattamente dei cerali, leggendo il giornale.
«Ciao.» mormorò, sorridendo.
«Ciao, mamma.», le baciai una guancia e mi sedetti accanto a lei. «Come mai già in piedi?»
«Non riuscivo a dormire.»
«Cosa succede oggi? Nessuno riesce più a dormire?»
Mi madre corrugò la fronte, mentre una ciocca di capelli scuri la ricadeva davanti un occhio. «Cosa intendi?»
Esitai. «Prima,» dissi, «mentre correvo, ho incontrato Lily.»
«Corre anche lei?» chiese masticando altri cereali.
«No,» risposi scuotendo appena il capo, «era in veranda.»
Lei sorrise. «Che cara ragazza.» mormorò.
Abbassai un attimo lo sguardo, prima di posarlo ancora sul suo volto. «Già. Simpatica.»
Lei sorrise e mi baciò la fronte. «Certo, simpatica.»
Corrugai la fronte, confuso.
«Fila a farti una doccia, tesoro, o arriverai tardi a scuola. L’accompagno io, Diane.»
«Okay…» mormorai confuso, osservandola uscire dalla cucina.

 

Quando uscii di casa, restai qualche secondo ad osservare  la strada silenziosa e tranquilla, i giardini delle villette di fronte, le cassette della posta, le auto parcheggiate nei vialetti.
Volsi il capo verso sinistra, in direzione della casa di Lily e rividi il suo viso nei miei ricordi.
Cosa mi stava succedendo?
Era presto e quel giorno non avrei dovuto accompagnare Diane. Avevo finito prima del previsto, così ero sceso prima. In quel momento, guardando verso casa di Lily, compresi.
Compresi cosa in realtà mi aveva spinto a vestirmi in fretta, cosa in realtà mi aveva portato ad uscire così presto.
Con passo svelto aprii l’auto e, poggiando lo zaino sui sedili posteriori, misi in moto, ma invece di risalire la strada verso il centro della cittadina, andai dalla parte opposta.
Il cuore mi martellava e il mio buon senso non faceva che gridarmi quanto pessima fosse la mia idea, ma agii d’istinto ignorandolo del tutto.
Certo, sarebbe potuto essere un fiasco totale, ma non me ne curai, non quel mattino.
Poco dopo parcheggiai sul ciglio della strada, in direzione della porta in legno bianco, ed attesi.
Non dovetti aspettare molto prima che la porta si aprisse e sulla soglia comparisse lei.
Guardava in basso, aveva il capo chino, i lunghi capelli biondi a coprirle il viso. Poi alzò lo sguardo ed i suoi occhi, incontrarono i miei. La vidi sobbalzare appena, mentre sgranava sorpresa gli occhi e si chiudeva alle spalle la porta. Rimase immobile sulla veranda, il suo sguardo era indecifrabile, come spesso accadeva, e avrei tanto desiderato sapere cosa stesse pensando. Inclinò il capo, prima di mordersi l’interno della guancia e scendere gli scalini, dirigendosi verso l’auto.
Indossava un paio di jeans scoloriti ed una giacca blu sopra un maglioncino a righe grigie e bianche. Sorrisi osservandola, lei invece fissava il vialetto. Quando fu davanti la mia portiera si portò le mani sui fianchi ed inclinò il capo, puntando i suoi occhi chiari nei miei. Così, abbassai il finestrino.
«Che ci fai qui?» chiese.
«Buongiorno anche a te, Lily.» dissi sorridendole.
Alzò un sopracciglio e fece roteare una mano a mezz’aria, come a volermi dire di continuare.
«Sono uscito prima di casa… così mi sono detto, perché non darle un passaggio? In fondo, frequentiamo la stessa scuola, Hemsworth.»
«Come fai ad essere così sicuro che accetti?»
«Non ne sono sicuro, infatti. Ci spero. E poi sono già qui, vorresti rifiutare un passaggio in una comoda macchina?» chiesi sorridendole. «Avanti, Sali.» continuai facendole segno col capo.
Lei, in risposta, incrociò le braccia al petto. «No.»
Sospirai. «Lily…»
«No.» rispose con tono risoluto, ma, ci avrei scommesso, stava reprimendo un sorriso.
«Ti prego…»
Lei alzò un sopracciglio. «Mi stai pregando? Uhm… due ad uno per me.» sorrise trionfante facendo il giro dell’auto e accomodandosi al posto del passeggero.
Sorrisi. «Due ad uno per te.» ripetei partendo.
Mi guardò ancora per alcuni istanti, le braccia incrociate al petto e un’espressione imperscrutabile sul viso. Sospirò e facendo ricadere le braccia lungo i fianchi fece il giro dell’auto, accomodandosi poi al posto del passeggero.
Sorrisi e, tornando a guardare dinanzi a me, partii.


«Mia sorella non fa che parlare di te. E’ diventata petulante.» dissi dopo alcuni minuti di silenzio. Viaggiavo verso la scuola con il volume dell’autoradio tanto basso da apparire un mormorio.
Sorrise, chinò appena il capo, prima di tornare a guardare dinanzi a sé. «E’ una bambina adorabile. Una delle più belle che abbia mai visto, inoltre. Non riesco, infatti, a capacitarmi del fatto che sia tua sorella. Com’è possibile, David?» chiese corrugando la fronte e voltandosi a guardarmi, negli occhi una traccia di malizia.
Schioccai la lingua. «Sei simpatica come la sabbia nelle scarpe, sai?»
Fece spallucce. «Sì, credo di averla già sentita da qualcuno questa.»
«Beh, a questo punto credo tu debba cominciare a preoccuparti, non credi?»
Le osservai fugacemente il viso, quel po’ che bastava per vedere che stava reprimendo un sorriso. «No, non credo.»
Risi. «Sai, sono sempre più convinto che tu debba fare jokking.»
«E per quale assurdo motivo?» chiese in un risolino.
Feci spallucce. «Beh, diventeresti più alta.», mi voltai guardandolo fugacemente.
Aveva gli occhi sgranati e la bocca spalancata. «Questo non è vero.»
«Oh, si che lo è.» risi.
«No, non lo è.», incrociò le braccia al petto e si spostò appena sul sedile, torcendo in busco.
Schioccai la lingua. «Okay, non lo è.»
«Bene.» disse poi rimettendosi composta. «E non sono bassa.»
«Oh, sì che lo sei.»
«No, non lo sono.»
«Invece sì. Quanto sei alta un metro e cinquanta?»
Sbuffò. «Sei dannatamente irritante…»
«E divertente.»
Fece una smorfia. «Irritante e superbo.»
Sogghignai.
Sospirò. «Uno e sessantadue.»
«Ci sono andato vicino.», le sorrisi voltandomi.
«Dodici centimetri fanno la differenza, David.» sorrise e quasi mi parve che il viso le si fosse intriso  di rosso.
«Ho notato che hai legato molto con Samantha.»
«Sì, l’ho conosciuta il primo giorno di scuola. Sai, è stata piuttosto cortese con me
«Se ti conoscessi, questa, potrei definirla “sottile ironia”.» risi, mentre parcheggiavo l’auto.
«Ma non mi conosci, quindi…»
Spensi il motore e mi voltai a guardarla. Non riuscii a frenare le parole che mi uscirono di bocca una slavina. «Vorrei tu me lo permettessi.» mormorai incatenandomi ai suoi grandi occhi chiari.
Dischiuse le labbra, come a voler parlare, ma non disse nulla. Le richiuse prima di guardare dinanzi a sé. Si portò una ciocca di capelli dietro un orecchio. «Faremo tardi.» balbettò senza guardarmi. Aprì la portiera dell’auto e scese.
Pietrificato, sconvolto da me stesso, mi voltai e guardarla, oltre il vetro dell’auto. Mentre osservavo la sua figura minuta dirigersi verso la scuola, non potei fare a meno di chiedermi che razza di idiota fossi.
Quelle parole avrebbero cambiato tutto? L’avrebbero nuovamente allontanata? Avrebbero demolito ciò che piano ero riuscito a conquistarmi?
No, non può essere. Stavo cercando di convincere me stesso.

«Cosa le hai detto?» sibilò Logan.
Sbuffai e mi voltai verso il suo banco. «Piantala, amico.»
«”Vorrei tu me lo permettessi?” Dov’è finito Dave? Da quanto sei così sdolcinato?»
M voltai ancora verso lui. «Non sono sdolcinato.»
«Ah, no?»
«E’ solo che lei è diversa.» sussurrai voltandomi verso il professore appena entrato.
«Non ci credo.»
«Cosa?»
«Ti stai innamorando.»
«Non è vero!» sibilai dando una gomitata al suo banco, tanto che il libro e la penna caddero a terra con un tonfo.
«Tutto okay, signor Stewart?» chiese il professore di algebra.
Logan scosse il capo. «Sissignore. Credo che il mio compagno qui davanti abbia battuto accidentalmente contro il mio banco.»
Mi morsi l’interno della guancia con una smorfia. Il professore mi guardò.
Feci spallucce. «Ahia.»


Alla fine della lezione, quando al suono della campanella tutti si alzarono, mi voltai verso Logan dandogli un leggero pugno alla spalla.
«Cosa c’è?» chiese lui massaggiandosi la parte colpita.
«Questo è per ricordarti quanto sei idiota.»
«Sei un tipo violento, sai? Dovresti fare esercizi per controllare la collera.» disse dandomi un pugno.
Sbuffai. «Ti serve un buono psichiatra.»
«Come sei divertente, Dave.»
«Sì, è una delle mie mille doti.»
Mi portai lo zaino in spalla mentre ci dirigevamo verso la porta.
«Come la modestia?» chiese mentre camminavamo lungo il corridoio.
«Sì, esatto, come la modestia.» sorrisi scuotendo appena il capo.
«C’è inglese, adesso, vero?»
Strinsi i pugni e li riaprii ritmicamente, nervoso. «Sì.»
«Con Lily.»
«Logan!»
«Con Lily.»
«Sì, con Lily.» esclamai tanto forte che alcuni studenti si voltarono a guardarmi confusi.
«Vuoi che ammetta che mi piace? Te l’ho già detto e l’hai capito.»
«Lo so… ma è divertente.»
Sulla soglia della porta mi voltai a guardarlo. «Ti sembra che io stia ridendo.»
«Sei pesante, amico.»
«Ne sono consapevole.» annuii.
«L’importante è saperlo.» a mormorare quelle parole fu una voce chiara, sottile, dolce. Mi voltai di scatto e la vidi. Non sorrideva, le sue labbra erano chiuse in una linea retta, un’espressione che non seppi decifrare, mio malgrado. Io, a mia volta, non mi mossi di un solo millimetro, gli occhi fissi sui suoi, fissi sui miei.
«Beh, io vado a prendere posto.» disse Logan indicando la classe col pollice.
«Okay.» risposi senza smettere di guardarla negli occhi.
«Ciao.» disse inclinando il capo di lato.
«Ciao.» risposi inclinandolo dalla stesso lato.
Fece un risolino, scuotendo appena il capo. «Sei un tipo strano, sai?»
«Dipende dai punti di vista.»
«Forse. Hai intenzione di sbarrarmi la strada fino alla fine dell’ora?» chiese portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Non ti sto impedendo d’entrare.»
Indugiò, dondolando sui talloni. «Lo so.» sussurrò, prima di sorridermi ed entrare in classe.


Durante la lezione, la osservavo, dal mio banco accanto alla finestra. Sì, l’avevo ancora una volta spostato. Due e due per me. Un gioco infantile il nostro che consisteva nel spostare il banco dell’altro, con i nostri nomi incisi sopra. Probabilmente quello screzio circa il posto in aula, quello accanto alla finestra, in ultima fila –il migliore a mio parere… e per Lily- , non avrebbe mai avuto fine. Dovetti ammettere a me stesso però, che la cosa non mi dispiaceva.
Sembravo un idiota, lì, fermo, a far roteare la matita fra le dita, mentre le osservavo i lunghi capelli biondi, che le accarezzavano in morbide e grandi onde la schiena. La osservavo passarsi la mano sulle spalle, bloccarla sulla nuca, portarsi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Era strano come, in poco tempo, quella ragazza avesse catturato la mia attenzione, rapito i miei occhi, che ammaliati la guardavo confusi, a volte adoranti per quel viso sottile e quello sguardo color dello smeraldo.
A piacermi di certo non era lei in quanto novità, ma il modo in cui sorrideva, in cui i suoi occhi brillavano sotto il sole, o il suono della sua voce che parlava con dolcezza a Diane, o sussurrava il mio nome. Era strano, non c’erano dubbi, ma qualcosa mi attirava verso di lei, e di certo non era solo il suo aspetto fisico. C’era qualcosa in lei, che mi attirava, quasi fosse una calamitàa. Per molti fascino, charme, ma, ne ero certo, c’erano qualcosa di ignoto che non si identificava con nulla di tutto questo.
Scossi il capo, quasi a voler scollarmi tutti qui pensiero che mi vorticano in testa, ed , in quel momento, la campanella trillò.
Sorrisi e mi alzai dopo aver recuperato le mie cose, intenzionato ad andarle a parlare, ma non potei, fui fermato dopo essere avanzato di un passo.
«Ciao, David.»
«Ciao, Anne.» risposi cortese.
Anne era una ragazza con cui era uscito poche settimane prima, una sola uscita prima di dirle che non era il mio tipo. Dire che era fuori di testa, era un eufemismo.
«Non mi hai più richiamata.» mugugnò lei giocando con una ciocca di capelli mogano.
«Oh… ehm…» farfugliai mentre con lo sguardo seguivo la figura di Lily che, fra la calca di ragazzi, usciva dall’aula.
Il suo sguardo per un frangente di tempo incontrò il mio, poi imperscrutabile, si posò su Anne.
Avrei voluto gridare “No, Lily, aspetta!”. Uscì dall’aula confondendosi con tutti gli altri.
Sospirai. «Vedi, Anne… credevo fosse chiaro che fra me e te…»
«Potremmo uscire ancora. Che ne dici? So che sei spaventato, David, ma lo sono anch’io.» mormorò suadente  a poche spanne dal mio viso.
«Come?» chiesi con voce strozzata.
«Avanti, Dave…»
«Oh, si è fatto tardi. E’ meglio che vada.» annuii, «ci vediamo in giro, Anne!» esclamai mentre mi allontanavo in fretta.
Non mi voltai a guardarla e sperai di aver chiarito finalmente la situazione. In quel momento, riuscivo solo a pensare a Lily; la cercai con lo sguardo tra la moltitudine di studenti, senza però trovarla.
Era ora di pranzo, mi chiesi cosa sarebbe accaduto. L’avrei osservata, lì, dal mio tavolo al centro della sala mensa, scherzare con Sam e quei tipi che non mi piacevano affatto. O forse era solo gelosia. Provai un impeto di irritazione nell’immaginarla sorridere, ridere alle battute di James, che la guardava come fosse un ambito premio.
Mi passai una mano fra i capelli sospirando. In fondo, nel pomeriggio sarebbe venuta a casa.

 

*

Ed eccomi ancora qui, gente. Chiedo perdono per il ritardo, ma questa è la parte dell’anno in cui si concentrato tutti gli esami, e scrivere è davvero difficile.
Spero possiate perdonarmi.

A immenso bacio,
                            Panda.

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: NeverThink