~Sometimes
you have to be apart from people you love,
but
that doesn't mean you love them any less.
Sometimes it makes you love them even more.~
When my world is falling apart,
when
there is no
light to break up the dark
that's
when I look
at you.
When
the waves are
flooding the shore and I
can't
find my way
home anymore
that's
when I look
at you.
Capitolo diciotto.
David.
Quando salii le
scale della
veranda, avevo il fiatone. Mi dovetti reggere al corrimano per
riprendere
fiato. Quella mattina, come di consuetudine, mi ero svegliato alle
cinque e
trenta, per la corsa del giovedì. Ero sceso di casa e avevo
cominciato a
correre sulla battigia, cercando di sgombrare la mente dal ricordo di
lei. Ma i
miei buoni propositi erano scemati quando la scorsi sulla veranda di
casa sua,
le mani strette intorno ad una tazza bianca. I capelli chiari, appena
arruffati, oscillavano con dolcezza, accarezzati dal vento mattutino.
Mi aveva
invitato ad entrare in casa e senza rispondere alla mia domanda, mi
lasciò
uscire di casa.
Ora, mentre fissavo la porta del retro mi chiesi cosa stesse facendo e
cosa
aveva pensato nel lasso tra l’avermi riconosciuto e
l’avermi visto uscire dalla
porta della veranda.
Entrai in casa per una doccia e in cucina trovai mia madre seduta al
tavolo.
Mangiava distrattamente dei cerali, leggendo il giornale.
«Ciao.» mormorò, sorridendo.
«Ciao, mamma.», le baciai una guancia e mi sedetti
accanto a lei. «Come mai già
in piedi?»
«Non riuscivo a dormire.»
«Cosa succede oggi? Nessuno riesce più a
dormire?»
Mi madre corrugò la fronte, mentre una ciocca di capelli
scuri la ricadeva
davanti un occhio. «Cosa intendi?»
Esitai. «Prima,» dissi, «mentre correvo,
ho incontrato Lily.»
«Corre anche lei?» chiese masticando altri cereali.
«No,» risposi scuotendo appena il capo,
«era in veranda.»
Lei sorrise. «Che cara ragazza.» mormorò.
Abbassai un attimo lo sguardo, prima di posarlo ancora sul suo volto.
«Già.
Simpatica.»
Lei sorrise e mi baciò la fronte. «Certo,
simpatica.»
Corrugai la fronte, confuso.
«Fila a farti una doccia, tesoro, o arriverai tardi a scuola.
L’accompagno io,
Diane.»
«Okay…» mormorai confuso, osservandola
uscire dalla cucina.
Quando
uscii di casa, restai qualche secondo ad osservare la
strada silenziosa e tranquilla, i giardini
delle villette di fronte, le cassette della posta, le auto parcheggiate
nei
vialetti.
Volsi il capo verso sinistra, in direzione della casa di Lily e rividi
il suo
viso nei miei ricordi.
Cosa mi stava succedendo?
Era presto e quel giorno non avrei dovuto accompagnare Diane. Avevo
finito
prima del previsto, così ero sceso prima. In quel momento,
guardando verso casa
di Lily, compresi.
Compresi cosa in realtà mi aveva spinto a vestirmi in
fretta, cosa in realtà mi
aveva portato ad uscire così presto.
Con passo svelto aprii l’auto e, poggiando lo zaino sui
sedili posteriori, misi
in moto, ma invece di risalire la strada verso il centro della
cittadina, andai
dalla parte opposta.
Il cuore mi martellava e il mio buon senso non faceva che gridarmi
quanto
pessima fosse la mia idea, ma agii d’istinto ignorandolo del
tutto.
Certo, sarebbe potuto essere un fiasco totale, ma non me ne curai, non
quel
mattino.
Poco dopo parcheggiai sul ciglio della strada, in direzione della porta
in
legno bianco, ed attesi.
Non dovetti aspettare molto prima che la porta si aprisse e sulla
soglia
comparisse lei.
Guardava in basso, aveva il capo chino, i lunghi capelli biondi a
coprirle il
viso. Poi alzò lo sguardo ed i suoi occhi, incontrarono i
miei. La vidi
sobbalzare appena, mentre sgranava sorpresa gli occhi e si chiudeva
alle spalle
la porta. Rimase immobile sulla veranda, il suo sguardo era
indecifrabile, come
spesso accadeva, e avrei tanto desiderato sapere cosa stesse pensando.
Inclinò
il capo, prima di mordersi l’interno della guancia e scendere
gli scalini,
dirigendosi verso l’auto.
Indossava un paio di jeans scoloriti ed una giacca blu sopra un
maglioncino a
righe grigie e bianche. Sorrisi osservandola, lei invece fissava il
vialetto.
Quando fu davanti la mia portiera si portò le mani sui
fianchi ed inclinò il
capo, puntando i suoi occhi chiari nei miei. Così, abbassai
il finestrino.
«Che ci fai qui?» chiese.
«Buongiorno anche a te, Lily.» dissi sorridendole.
Alzò un sopracciglio e fece roteare una mano a
mezz’aria, come a volermi dire
di continuare.
«Sono uscito prima di casa… così mi
sono detto, perché non darle un passaggio?
In fondo, frequentiamo la stessa scuola, Hemsworth.»
«Come fai ad essere così sicuro che
accetti?»
«Non ne sono sicuro, infatti. Ci spero.
E poi sono già qui, vorresti rifiutare un passaggio in una
comoda macchina?»
chiesi sorridendole. «Avanti, Sali.» continuai
facendole segno col capo.
Lei, in risposta, incrociò le braccia al petto.
«No.»
Sospirai. «Lily…»
«No.» rispose con tono risoluto, ma, ci avrei
scommesso, stava reprimendo un
sorriso.
«Ti prego…»
Lei alzò un sopracciglio. «Mi stai pregando?
Uhm… due ad uno per me.» sorrise
trionfante facendo il giro dell’auto e accomodandosi al posto
del passeggero.
Sorrisi. «Due ad uno per te.» ripetei partendo.
Mi guardò ancora per alcuni istanti, le braccia incrociate
al petto e
un’espressione imperscrutabile sul viso. Sospirò e
facendo ricadere le braccia
lungo i fianchi fece il giro dell’auto, accomodandosi poi al
posto del
passeggero.
Sorrisi e, tornando a guardare dinanzi a me, partii.
«Mia sorella non fa che parlare di te. E’ diventata
petulante.» dissi dopo
alcuni minuti di silenzio. Viaggiavo verso la scuola con il volume
dell’autoradio tanto basso da apparire un mormorio.
Sorrise, chinò appena il capo, prima di tornare a guardare
dinanzi a sé. «E’
una bambina adorabile. Una delle più belle che abbia mai
visto, inoltre. Non
riesco, infatti, a capacitarmi del fatto che sia tua sorella.
Com’è possibile,
David?» chiese corrugando la fronte e voltandosi a guardarmi,
negli occhi una
traccia di malizia.
Schioccai la lingua. «Sei simpatica come la sabbia nelle
scarpe, sai?»
Fece spallucce. «Sì, credo di averla
già sentita da qualcuno questa.»
«Beh, a questo punto credo tu debba cominciare a
preoccuparti, non credi?»
Le osservai fugacemente il viso, quel po’ che bastava per
vedere che stava
reprimendo un sorriso. «No, non credo.»
Risi. «Sai, sono sempre più convinto che tu debba
fare jokking.»
«E per quale assurdo motivo?» chiese in un risolino.
Feci spallucce. «Beh, diventeresti più
alta.», mi voltai guardandolo
fugacemente.
Aveva gli occhi sgranati e la bocca spalancata. «Questo non
è vero.»
«Oh, si che lo è.» risi.
«No, non lo è.», incrociò le
braccia al petto e si spostò appena sul sedile, torcendo
in busco.
Schioccai la lingua. «Okay, non lo è.»
«Bene.» disse poi rimettendosi composta.
«E non sono bassa.»
«Oh, sì che lo sei.»
«No, non lo sono.»
«Invece sì. Quanto sei alta un metro e
cinquanta?»
Sbuffò. «Sei dannatamente
irritante…»
«E divertente.»
Fece una smorfia. «Irritante e superbo.»
Sogghignai.
Sospirò. «Uno e sessantadue.»
«Ci sono andato vicino.», le sorrisi voltandomi.
«Dodici centimetri fanno la differenza, David.»
sorrise e quasi mi parve che il
viso le si fosse intriso di
rosso.
«Ho notato che hai legato molto con Samantha.»
«Sì, l’ho conosciuta il primo giorno di
scuola. Sai, è stata piuttosto cortese
con me.»
«Se ti conoscessi, questa, potrei definirla
“sottile ironia”.» risi, mentre
parcheggiavo l’auto.
«Ma non mi conosci, quindi…»
Spensi il motore e mi voltai a guardarla. Non riuscii a frenare le
parole che
mi uscirono di bocca una slavina. «Vorrei tu me lo
permettessi.» mormorai
incatenandomi ai suoi grandi occhi chiari.
Dischiuse le labbra, come a voler parlare, ma non disse nulla. Le
richiuse
prima di guardare dinanzi a sé. Si portò una
ciocca di capelli dietro un
orecchio. «Faremo tardi.» balbettò senza
guardarmi. Aprì la portiera dell’auto
e scese.
Pietrificato, sconvolto da me stesso, mi voltai e guardarla, oltre il
vetro
dell’auto. Mentre osservavo la sua figura minuta dirigersi
verso la scuola, non
potei fare a meno di chiedermi che razza di idiota fossi.
Quelle parole avrebbero cambiato tutto? L’avrebbero
nuovamente allontanata?
Avrebbero demolito ciò che piano ero riuscito a
conquistarmi?
No, non può essere. Stavo
cercando di
convincere me stesso.
«Cosa
le hai detto?» sibilò
Logan.
Sbuffai e mi voltai verso il suo banco. «Piantala,
amico.»
«”Vorrei tu me lo permettessi?”
Dov’è finito Dave? Da quanto sei così
sdolcinato?»
M voltai ancora verso lui. «Non sono sdolcinato.»
«Ah, no?»
«E’ solo che lei è diversa.»
sussurrai voltandomi verso il professore appena
entrato.
«Non ci credo.»
«Cosa?»
«Ti stai innamorando.»
«Non è vero!» sibilai dando una gomitata
al suo banco, tanto che il libro e la
penna caddero a terra con un tonfo.
«Tutto okay, signor Stewart?» chiese il professore
di algebra.
Logan scosse il capo. «Sissignore. Credo che il mio compagno
qui davanti abbia
battuto accidentalmente contro il mio banco.»
Mi morsi l’interno della guancia con una smorfia. Il
professore mi guardò.
Feci spallucce. «Ahia.»
Alla fine della lezione, quando al suono della campanella tutti si
alzarono, mi
voltai verso Logan dandogli un leggero pugno alla spalla.
«Cosa c’è?» chiese lui
massaggiandosi la parte colpita.
«Questo è per ricordarti quanto sei
idiota.»
«Sei un tipo violento, sai? Dovresti fare esercizi per
controllare la collera.»
disse dandomi un pugno.
Sbuffai. «Ti serve un buono psichiatra.»
«Come sei divertente, Dave.»
«Sì, è una delle mie mille
doti.»
Mi portai lo zaino in spalla mentre ci dirigevamo verso la porta.
«Come la modestia?» chiese mentre camminavamo lungo
il corridoio.
«Sì, esatto, come la modestia.» sorrisi
scuotendo appena il capo.
«C’è inglese, adesso, vero?»
Strinsi i pugni e li riaprii ritmicamente, nervoso.
«Sì.»
«Con Lily.»
«Logan!»
«Con Lily.»
«Sì, con Lily.» esclamai tanto forte che
alcuni studenti si voltarono a
guardarmi confusi.
«Vuoi che ammetta che mi piace? Te l’ho
già detto e l’hai capito.»
«Lo so… ma è divertente.»
Sulla soglia della porta mi voltai a guardarlo. «Ti sembra
che io stia
ridendo.»
«Sei pesante, amico.»
«Ne sono consapevole.» annuii.
«L’importante è saperlo.» a
mormorare quelle parole fu una voce chiara,
sottile, dolce. Mi voltai di scatto e la vidi. Non sorrideva, le sue
labbra
erano chiuse in una linea retta, un’espressione che non seppi
decifrare, mio
malgrado. Io, a mia volta, non mi mossi di un solo millimetro, gli
occhi fissi
sui suoi, fissi sui miei.
«Beh, io vado a prendere posto.» disse Logan
indicando la classe col pollice.
«Okay.» risposi senza smettere di guardarla negli
occhi.
«Ciao.» disse inclinando il capo di lato.
«Ciao.» risposi inclinandolo dalla stesso lato.
Fece un risolino, scuotendo appena il capo. «Sei un tipo
strano, sai?»
«Dipende dai punti di vista.»
«Forse. Hai intenzione di sbarrarmi la strada fino alla fine
dell’ora?» chiese
portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
«Non ti sto impedendo d’entrare.»
Indugiò, dondolando sui talloni. «Lo
so.» sussurrò, prima di sorridermi ed
entrare in classe.
Durante la lezione, la osservavo, dal mio banco accanto alla finestra.
Sì,
l’avevo ancora una volta spostato. Due e due per me. Un gioco
infantile il
nostro che consisteva nel spostare il banco dell’altro, con i
nostri nomi
incisi sopra. Probabilmente quello screzio circa il posto in aula,
quello
accanto alla finestra, in ultima fila –il migliore a mio
parere… e per Lily- ,
non avrebbe mai avuto fine. Dovetti ammettere a me stesso
però, che la cosa non
mi dispiaceva.
Sembravo un idiota, lì, fermo, a far roteare la matita fra
le dita, mentre le
osservavo i lunghi capelli biondi, che le accarezzavano in morbide e
grandi
onde la schiena. La osservavo passarsi la mano sulle spalle, bloccarla
sulla
nuca, portarsi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
Era strano come, in poco tempo, quella ragazza avesse catturato la mia
attenzione, rapito i miei occhi, che ammaliati la guardavo confusi, a
volte adoranti
per quel viso sottile e quello sguardo color dello smeraldo.
A piacermi di certo non era lei in quanto novità, ma il modo
in cui sorrideva,
in cui i suoi occhi brillavano sotto il sole, o il suono della sua voce
che
parlava con dolcezza a Diane, o sussurrava il mio nome. Era strano, non
c’erano
dubbi, ma qualcosa mi attirava verso di lei, e di certo non era solo il
suo
aspetto fisico. C’era qualcosa in lei,
che mi attirava, quasi fosse una calamitàa. Per molti
fascino, charme, ma, ne
ero certo, c’erano qualcosa di ignoto che non si identificava
con nulla di
tutto questo.
Scossi il capo, quasi a voler scollarmi tutti qui pensiero che mi
vorticano in
testa, ed , in quel momento, la campanella trillò.
Sorrisi e mi alzai dopo aver recuperato le mie cose, intenzionato ad
andarle a
parlare, ma non potei, fui fermato dopo essere avanzato di un passo.
«Ciao, David.»
«Ciao, Anne.» risposi cortese.
Anne era una ragazza con cui era uscito poche settimane prima, una sola
uscita
prima di dirle che non era il mio tipo. Dire che era fuori di testa,
era un
eufemismo.
«Non mi hai più richiamata.»
mugugnò lei giocando con una ciocca di capelli
mogano.
«Oh… ehm…» farfugliai mentre
con lo sguardo seguivo la figura di Lily che, fra
la calca di ragazzi, usciva dall’aula.
Il suo sguardo per un frangente di tempo incontrò il mio,
poi imperscrutabile,
si posò su Anne.
Avrei voluto gridare “No, Lily, aspetta!”.
Uscì dall’aula confondendosi con
tutti gli altri.
Sospirai. «Vedi, Anne… credevo fosse chiaro che
fra me e te…»
«Potremmo uscire ancora. Che ne dici? So che sei spaventato,
David, ma lo sono
anch’io.» mormorò suadente a poche
spanne dal mio viso.
«Come?» chiesi con voce strozzata.
«Avanti, Dave…»
«Oh, si è fatto tardi. E’ meglio che
vada.» annuii, «ci vediamo in giro,
Anne!»
esclamai mentre mi allontanavo in fretta.
Non mi voltai a guardarla e sperai di aver chiarito finalmente la
situazione.
In quel momento, riuscivo solo a pensare a Lily; la cercai con lo
sguardo tra
la moltitudine di studenti, senza però trovarla.
Era ora di pranzo, mi chiesi cosa sarebbe accaduto. L’avrei
osservata, lì, dal
mio tavolo al centro della sala mensa, scherzare con Sam e quei tipi
che non mi
piacevano affatto. O forse era solo gelosia. Provai un impeto di
irritazione
nell’immaginarla sorridere, ridere alle battute di James, che
la guardava come
fosse un ambito premio.
Mi passai una mano fra i capelli sospirando. In fondo, nel pomeriggio
sarebbe
venuta a casa.
*
Ed
eccomi ancora qui, gente. Chiedo perdono per il ritardo, ma questa
è la parte
dell’anno in cui si concentrato tutti gli esami, e scrivere
è davvero
difficile.
Spero possiate
perdonarmi.
A immenso bacio,
Panda.