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Autore: Criros    13/06/2011    2 recensioni
Rebecca ha un sogno: diventare una grande regista. Per questo non riesce a cederci quando scopre di essere stata accettata per un famoso corso estivo di regia a Los Angeles. C'è però un problema: come troverà i soldi per il viaggio? L'unica possibilità è quella di lavorare all'Insomnia, il pub della zona da lei odiato. Riuscirà a mettere da parte i pregiudizi e ad integrarsi? E soprattutto: riuscirà a non scannarsi ogni volta con Nicholas, il barman del locale?
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO IV: Gli uomini preferiscono le bionde

 

Come è risaputo, ogni bambino è solito scegliersi un modello a cui poter fare riferimento nella vita e nella crescita. Per alcuni questa concezione si sviluppa naturalmente: mio fratello, ad esempio, ha sempre attinto dalla televisione per trovare il prototipo di uomo a cui voleva assomigliare e, sebbene io lo accosterò sempre a Frodo Baggins, non posso di certo dimenticarmi di tutti quei suoi pomeriggi passati a saltare da un divano all’altro facendo finta di lanciare ragnatele come Spiderman o di quel carnevale in cui non voleva più togliersi il suo costume da Zorro comprato per l’occasione.

Al contrario dei modelli di mio fratello, il mio eroe non aveva un costume attillato dai colori accesi e non andava in giro mascherato a ritagliare Z ovunque. Il mio eroe, fin da che ho memoria, è sempre stata una ragazza – una attrice, per essere precisi – grazie alla quale posso dire di essere cresciuta degnamente. Fin dalla prima volta in cui ho visto il suo viso comparire in bianco e nero sul piccolo schermo TV a casa di mia nonna più di una decina di anni fa, non ho potuto fare a meno di pensare a quanto le assomigliassi fisicamente e a quanto avrei voluto essere come lei anche caratterialmente: stessa statura minuta, stesso corpo quasi senza curve, stessi capelli castani e stessi occhi grandi.

Audrey Hepburn per me non è mai stata semplicemente un’attrice. È stata il mio modello, la mia educatrice, la persona a cui ispirarsi e a cui fare riferimento. E forse, proprio a causa di questo mio amore spasmodico per lei, ho sempre considerato le altri attrici dello stesso periodo molti gradini al di sotto, quasi indegne di essere considerate. Se Vivien Leigh era stata risparmiata da questa antipatia collettiva grazie alla sua presenza in Via col Vento e Grace Kelly era sopportata perché, beh, era Grace Kelly, lo stesso non poteva dirsi di altre grandi attrici come Jane Russell, Marlene Dietrich, Bette Davis e Joan Crawford. Nessuna era riuscita a salvarsi dalle spietate critiche mosse loro da una me neanche decenne che le disprezzava tutte, senza eccezioni, perché non erano nemmeno degne di pulire le scarpe alla magnifica Audrey.

Ma la meno sopportata, la più schernita e disprezzata di tutte, era senza dubbio quella che io ero solita chiamare ‘la nemesi’: bionda, formosa, giuliva e decisamente frizzante. In due parole: Marylin Monroe.

Insomma, da una parte avevo la divina eleganza fatta a persona, dall’altra un’oca platinata tutta sorridente.

Ancora oggi, sebbene quasi ventenne, quest’odio primitivo non è ancora sparito del tutto.

Pur avendo visto tutti i suoi film (con una nonna cinefila come la mia era impensabile rifiutarsi), non ne ho mai trovato qualcuno di mio gradimento e l’unico che ho visto più volte, A qualcuno piace caldo, mi era piaciuto solo ed esclusivamente per la presenza di Jack Lemmon.

Ad ogni modo, c’è sempre stato un suo film che mi è stato particolarmente sulle palle, ancora più degli altri:  Gli uomini preferiscono le bionde.

Già solo per il titolo sarebbe da demolire. Perché gli uomini dovrebbero preferire le bionde? Perché sono più formose, oche e platinate? Il solo pensiero che qualcuno potesse ipoteticamente preferire una come Marylin Monroe a miss Audrey Hepburn mi aveva fatto dubitare della sanità mentale del sesso maschile. Il fatto poi che più passavano gli anni, più questa teoria trovava conferma nella pratica mi abbatteva ogni giorno di più. È una drammatica verità: gli uomini preferiscono le bionde.

Bastava vedere come quel venerdì pomeriggio tutti i ragazzi sul campo di basket erano stati intenti a sbavare guardando Jessica, ignorando il resto delle ragazze presenti. Sebbene lei non li avesse degnati nemmeno di uno sguardo disinteressato, ero più che certa che ciascuno di loro si sarebbe gettato da un ponte pur di farsi notare da lei.

Sbuffai, cercando di non pensare a Marylin Monroe e alla vita facile delle bionde, ma subito la mia mente tornò a concentrarsi su qualcosa di ben peggiore: era Venerdì e quella sera avrei lavorato. Con Nicholas. Sì, lo stesso Nicholas che mi aveva detto candidamente di essere a ‘caccia’. Sigh.

“Dovresti darti una calmata” mi disse Jessica senza guardarmi, finendo di fumare l’ennesima sigaretta. Il sole stava tramontando oltre l’alto muro che circondava il campo da basket in cemento, ormai quasi deserto. Il nuovo ragazzo di Jex, un tipo poco raccomandabile che si faceva chiamare Venom, giocava nella squadra del paese e la mia amica aveva deciso di andare a trovarlo.

Dovetti impormi di non alzare gli occhi al cielo a quello che sembrava in tutto e per tutto l’ennesimo capriccio della bionda. Tra tutti i ragazzi che le andavano dietro, doveva proprio trovare il tipo che era stato in riformatorio quattro anni prima e che ora lavorava alla pompa di benzina in fondo alla strada? Senza contare che l’indifferenza che mostrava verso di lui era davvero troppo evidente. Non gli aveva rivolto la parola per tutto il pomeriggio, né aveva mai guardato in sua direzione.

Era come se avessimo assistito all’allenamento di alcuni estranei e io mi ero annoiata a morte per tutto il tempo.

“Jex, sono calmissima.” risposi, guardando il tramonto e buttando a terra il mio mozzicone. Strano che la bionda si fosse accorta di quanto in realtà fossi agitata. Di solito viveva in un mondo suo nel quale i problemi altrui non trovavano spazio.

Lei ovviamente non mi disse più nulla, né cercò di carpire altre informazioni. Per questo uscivo sempre con Jex quando avevo dei problemi: al contrario di Max, lei non faceva domande.

Camminammo in silenzio verso casa sua, distante poco più di cento metri.

“C’è la pazza in casa, quindi ti consiglio di scappare” mi disse con la voce da funerale che usava sempre quando parlava dei suoi odiati genitori. Sua madre da anni era stata etichettata come ‘la pazza’ mentre il padre veniva spesso chiamato ‘il messia’. Entrambi erano molto religiosi e ogni volta che entravo in casa loro me li ritrovavo davanti a parlarmi di Dio e della Bibbia.

Annuii velocemente, grata per avermi avvisata.

Se suo padre era alla fine un tipo piuttosto taciturno e remissivo, lo stesso non poteva dirsi di sua madre. La nomea di pazza le calzava a pennello. E in più da qualche tempo si era messa in testa di convertirmi. Non avevo la forza d’animo necessaria per tenerle garbatamente testa, così salutai in fretta e furia la mia amica e me ne tornai a casa mia.

Quando aprii la porta d’ingresso trovai mio fratello stravaccato sul divano intento a giocare a quella schifezza di Call of Duty. Il rumore martellante delle mitragliatrici che si espandeva per tutto il salotto era a dir poco insopportabile.

“Gnomo, abbassa il volume!” ringhiai, prima di entrare in camera mia e sbattere la porta alle mie spalle. Il risultato che ottenni fu un rumore di colpi di pistole ancora più forte, segno che quel piccolo idiota aveva fatto il contrario di quanto gli avevo gentilmente chiesto.

“SEI UNO STRONZO!” gli urlai, scuotendo sconsolata la testa e il nano ebbe pure il coraggio di ridere!

Appoggiai malamente la borsa sul letto e accesi il pc, mettendo in riproduzione automatica un po’ di musica per contrastare quel casino proveniente dal salotto.

Entrando nella mia pagina di Facebook non trovai nulla di interessante, se non la richiesta di amicizia di Manuela, la cui foto profilo, a confronto della mia, era scintillante in tutta la sua biondosità. Neanche due secondi dopo averla aggiunta ricevetti un suo messaggio.

Non preoccuparti cara, stasera ti difendo io! :)

Mi misi a ridere, lieta di avere finalmente qualcuno di utile nella mia vita! Quella mattina avevamo avuto lezione insieme e per tutte le due ore non aveva fatto altro che insultare Nicholas e parlare di scarpe mentre il suo gruppo di amici, per lo più gente simpatica e con la testa sulle spalle, le intimava di abbassare la voce e di non farsi vedere dal vecchio professore decisamente miope.

Lavori con me?

Chiesi, speranzosa. Magari Kitty si era categoricamente rifiutata di lavorare insieme me, magari aveva contratto la peste bubbonica, magari era fuggita a Bora Bora, magari…

No, mi dispiace :( però vengo a trovarti!

La discussione si spostò velocemente su un nuovo negozio di cosmetici che aveva aperto in centro e la bionda riuscì a strapparmi la promessa di andare a farci un giro la settimana successiva. Io non ero affatto un tipo da shopping ma Manuela era la ragazza più persuasiva che avessi mai incontrato! Forse perché parlava talmente veloce e di talmente tante cose insieme che ti stordiva o forse semplicemente perché riusciva a farsi piacere da tutti, ma alla fine le bastavano cinque minuti per farti fare le cose più impensabili.

Verso le sette la salutai e andai a farmi un bel bagno caldo. Massimo mi aveva fatto uno squillo, segno che finalmente era tornato a casa. Il suo venerdì era disastroso, praticamente rimaneva in università tutto il giorno! Come al solito, misi il vivavoce non appena entrai nella vasca.

“Stasera vengo a raccogliere dati!” esordì lui, con la voce carica di sottintesi, neanche cinque secondi dopo.

Per ‘raccogliere dati’ ovviamente intendeva osservare me e Nicholas.

“È fuori discussione, tu all’Insomnia non ci entri!” esclamai allora, cercando di mantenere un tono perentorio.

“Bellezza, hai decisamente bisogno di supporto morale. Ti farò solo un favore, credimi” rispose lui con il suo classico tono tra il pratico, l’ovvio e il canzonatorio che mi faceva andare in bestia.

“No, quello che farai tu sarà lanciare occhiatine all’idiota e farmi dei cenni strani con le mani, mettendomi in imbarazzo. Ce l’ho già il supporto morale” risposi, ricordandomi fin troppo bene tutte le figure di merda che avevo fatto per colpa del mio migliore amico ficcanaso.

“E chi sarebbe? La tua amata collega Gattina?” chiese lui sarcasticamente. Risi per qualche secondo, immaginando la faccia che avrebbe fatto quella strega se avesse saputo che il suo nome era diventato una fonte preziosa di battute tra me e Max, ma alla fine riuscii a darmi un contegno.

“Certamente! Ormai ci facciamo le trecce a vicenda, sai?” risposi allora, storcendo il naso.

“Secondo me vuole solo il tuo scalpo” constatò il mio migliore amico, con tono pratico.

“Può darsi. Comunque no, c’è Manu” dissi con nonchalance, sapendo che il moro se la sarebbe presa.

Dopo quei cinque secondi di beatitudine eterea alla vista della mia bionda collega, si era ripreso in fretta e si poteva benissimo intuire che la mia nuova amica non gli andasse molto a genio. Anzi, non la sopportava proprio. Gli uomini preferiscono le bionde, è vero, ma non se queste ultime vanno fin troppo d’accordo con la migliore amica mora dei primi.

Il silenzio che seguì la mia affermazione fu una prova ulteriore.

“Max, ci sei?” chiesi, facendo finta di non aver intuito la causa del suo incredibile mutismo.

“Sìsì, scusa stavo controllando il computer. Questa Manuela ti piace proprio” constatò con stizza, facendomi sorridere bonariamente. Era geloso, maledettamente geloso! Era sempre stato lui l’amico designato a prendere le mie difese e il fatto che ora avessi incontrato un’altra persona con cui confidarmi non gli faceva per nulla piacere.

“Sì, è fantastica! È un peccato che non vi siate visti a storia moderna, da quanto ho capito la frequentate entrambi!”

“Già, non l’ho proprio notata”

Sì certo, come no!

Era più facile non notare un faro alto dieci metri che quella bellezza divina (e bionda, aggiungerei)!

“Magari la prossima volta possiamo mangiare insieme” buttai lì, uscendo intanto dalla vasca.

“Certo” disse il mio migliore amico, con un tono che voleva invece far intendere qualcosa tipo “mai e poi mai”. Sorrisi tra me e me, al pensiero che il moro non sarebbe mai riuscito a parlar male di qualcuno nemmeno sotto tortura.

 

 

Le luci dell’Insomnia erano state abbassate al minimo per dar risalto alle candele e ai piccoli faretti posti nei punti strategici del locale, volti a illuminare qua e là senza però dissolvere quella sorta di intima atmosfera che si era creata. Domenico era un genio nell’arredare il locale, non c’era niente da dire!

Entrai piuttosto titubante e con il cuore che non voleva battere a un ritmo normale. Avevo fottutamente paura di Nicholas, questa era la verità. Avevo paura di cedere, di mostrarmi debole davanti a lui e di gonfiare così il suo già smisurato ego.

Non devono tremarmi le gambe! Fu l’unica cosa a cui pensai prima che la voce di John Mayer mi distraesse. Al bancone fortunatamente non vi era l’ombra del moro, ma una stranamente rilassata Kitty stava chiacchierando con due ragazze mentre preparava loro dei drink.

Erano solo le nove, per cui il posto era ancora mezzo vuoto, ma senza dubbio si sarebbe riempito in un batter d’occhio. L’Insomnia aveva fama di essere il locale più frequentato della zona, senza contare che molti ragazzi che facevano il pre-serata al Guns and Rock finivano poi per attraversare la strada e ordinare qualcosa anche nel locale per fighetti, come lo chiamavo io.

“Domenico ti aspetta in cucina” mi disse la mora seccata, senza nemmeno guardarmi in faccia. Era ufficiale: se all’inizio avevo pensato che tutta quella stronzaggine fosse il frutto di qualche mia distorsione mentale, ora avevo la prova che non mi ero immaginata tutto e che la mia cara collega fosse proprio una stronza di prim’ordine.

Ma vaffanculo! Avrei tanto voluto urlarle in faccia.

“Grazie” le dissi invece, per poi entrare nell’unica zona ancora da me inesplorata del locale.

Non appena varcai la porta scorrevole, non potei fare a meno di strabuzzare gli occhi: la ‘cucina’ era uno spazio piuttosto ampio, diviso in due zone da un muretto piastrellato basso, separando così la cucina vera e propria da una sorta di piccolo magazzino nel quale erano accatastate in grandi scaffali una marea di scatole e di bottiglie di alcolici. La cosa che non potei fare a meno di notare, però, fu il disordine catastrofico nel quale vertevano entrambe le aree. Da una parte pile di piatti sporchi, teglie da lavare, strofinacci umidi, pavimento appiccicoso e alimenti di vari generi sparsi in ogni dove, dall’altra scatoloni vuoti ammonticchiati alla bell’e meglio, bottiglie rotte, bicchieri scheggiati, sacchi della spazzatura gettati agli angoli senza un ordine logico.

Ommioddio.

Al centro, Domenico stava scrivendo freneticamente qualcosa su un blocchetto, cancellando ed aggiungendo ogni tanto delle parole. Non appena mi vide si profuse in un sorriso piuttosto stanco e si grattò il lato destro della testa con la punta della penna.

“Rebecca! Che puntualità! Allora, i venerdì solitamente sono tranquilli, non preoccuparti. Il tuo compito sarà quello di pulire la cucina per la prima parte della serata e, quando avrai finito, di aiutare Nick con l’inventario. Ti spiegherà lui come fare, non temere. Quando avrai finito entrambe le cose, potrai aiutare Kitty con le ordinazioni. Se non sai cosa fare o se sei libera, chiedi sempre agli altri, di sicuro ti trovano qualcosa. Io purtroppo il venerdì sono impegnato con la burocrazia e le scartoffie, quindi starò chiuso sul retro e non potrò esserti d’aiuto, mi dispiace” mi disse, con un’inclinazione veramente dispiaciuta nella voce. Gli sorrisi spontaneamente, era molto raro trovare una persona così gentile al giorno d’oggi.

“Non ti preoccupare, se ho problemi chiedo agli altri” ripetei meccanicamente, ricordando le parole appena usate da lui.

“Bravissima” mi sorrise anche lui, porgendomi poi il blocchetto sul quale aveva scritto fino a quel momento “questa è la lista di cose da portare in sala: spumanti, alcolici, succhi, tutto quanto. Quando hai finito la cucina comincia con questa. Il venerdì di solito non manca niente, ma non si sa mai”

Il quarto d’ora successivo lo passò a spiegarmi dove riporre i piatti lavati, come pulire l’affettatrice, che detersivo usare, dove riporre i vari alimenti sparsi per la stanza, dove buttare la spazzatura e cose di questo tipo; poi mi salutò con il suo sorriso rassicurante e mi lasciò da sola al mio lavoro.

Sospirai, in preda allo sconforto: ci avrei messo almeno un’ora a ripulire tutta quella roba.

Senza perdermi d’animo presi un grosso sacco della spazzatura e cominciai sistematicamente a buttare tutto il cibo avanzato per poi riporre i piatti sporchi nella lavastoviglie. Più passava il tempo, più mi convinsi che quella situazione non era poi tanto male: ero lì, da sola, isolata dal resto del locale dal quale mi arrivava solo il suono ovattato della musica dance anni ottanta che aveva sostituito il povero John Mayer, senza la presenza di Nick o Kitty a farmi sentire fuori luogo.

Fra una strofinata e l’altra arrivarono così le dieci e mezza insieme al mio ultimo sportello da lucidare. Se mi fossi ricordata meglio dove riporre esattamente tutti quei tipi diversi di piatti, probabilmente avrei già finito da un pezzo!

Una volta concluso quell’estenuante lavoro, diedi per la prima volta un’occhiata alla lista di Domenico e il panico mi assalì: non ci avevo capito nulla! Più li guardavo e meno riuscivo a ricollegare quegli scarabocchi a una lingua umanamente conosciuta.

E ora?

Passarono almeno cinque minuti prima che mi decidessi a chiedere aiuto a Kitty e così, per recuperare il tempo perso, aprii velocemente la porta scorrevole e mi fiondai in sala. Inutile dire che, con la mia solita sfiga, andai direttamente addosso a Kitty, che avrebbe di sicuro rovesciato tutto il vassoio che stava trasportando se non fosse stato per i riflessi di Nicholas che l’aveva afferrato appena in tempo.

“Attenta” mi sibilò a denti stretti la vipera, sempre con ai piedi quei tacchi alti che solo una come lei poteva portare al lavoro.

La guardai mortificata, senza sapere bene cosa dire e poi, mio malgrado, deviai la mia attenzione su Nicholas che, stranamente, non aveva accennato a nessun ghigno dei suoi. Sembrava anzi abbastanza distaccato. Che avesse deciso di lasciarmi in pace? Forse Manu l’aveva minacciato. O forse stava cercando altri modi per infastidirmi…

“Hai già finito?” mi chiese scettica qualche secondo dopo la mora, facendomi così staccare lo sguardo dal barman.

“Ehm, non riesco a leggere cosa c’è scritto” ammisi piuttosto scocciata, porgendo poi alla mora il foglietto tutto spiegazzato. Stranamente l’espressione di Kitty sembrò distendersi e quasi spalancai la bocca incredula quando sentii il tono bonario con cui mi parlò: “Certo che non riesci, la scrittura di Dome non la capisce nessuno! Stai tu in sala, finisco io di là” e sparì, senza nemmeno darmi il tempo per ringraziarla (non che mi aspettassi chissà cosa in risposta, comunque).

Rimanevamo solamente io e Nicholas, dunque. Lo guardai di sottecchi, in attesa di qualche frecciatina o di qualche commento allusivo, ma stranamente il moro non mi degnò nemmeno di uno sguardo.

La ragione del suo totale menefreghismo nei miei confronti mi comparve sotto gli occhi in meno di un secondo: un gruppetto di ragazze era letteralmente spalmato sul bancone, in attesa di ricevere le attenzioni del loro amato barman, che di certo non si stava facendo pregare per accontentale. A capitanare quell’ammasso di oche starnazzanti vi era una stangona stretta in un vestito striminzito che però la faceva sembrare divina. Neanche a dirlo, era bionda. Veramente bionda, non una di quelle ossigenate. Una svedese, in pratica.

La odiavo già a pelle.

No, non perché ci stava spudoratamente provando con il mio collega. Chi se ne frega, se lo sposasse pure! Ma quell’atteggiamento di pura superiorità che stava mostrando in quel momento, con il suo bel bicchiere di Cosmopolitan in mano e le scarpe di Jimmy Choo ai piedi, mi fecero sentire una totale nullità.

Tutto ad un tratto ero tornata al liceo: da una parte la combriccola di ragazze bellissime e osannate da tutti che se la tiravano più che potevano, dall’altra la povera emarginata sociale invisibile alta un metro e un barattolo.

“Nicky, annaffiamelo bene il Martini, mi raccomando”

E sì, lo ammetto, il fatto che ci stesse provando spudoratamente con quella voce gracchiante mi stava dando fastidio.

Nicholas, ovviamente, non si era fatto sfuggire l’occasione per flirtare con qualche bella ragazza e così, per intrattenerle, aveva cominciato a giocare con le varie bottiglie di alcolici e a fare esperimenti sui drink. Ogni volta che faceva roteare qualcosa per aria urletti eccitati accompagnavano i suoi movimenti e la biondona in prima fila non gli staccava gli occhi ricoperti di mascara nemmeno un secondo. Sembrava di assistere a qualche strano rituale di accoppiamento. Probabilmente però delle scimmie avrebbero fatto meno casino.

Se tutte e quattro le altre tipe cercavano in ogni modo di accaparrarsi l’attenzione del ragazzo, dovettero capire fin da subito che era una battaglia persa contro la loro leader: non potevano reggere il confronto e difatti, qualche minuto dopo, si sedettero a un tavolo, perdendo la speranza una dopo l’altra e lasciando così Nick e la bionda da soli a scrutarsi. Stavo per vomitare.

Gli uomini preferivano le bionde, non c’era proprio da discutere.

Proprio in quel momento, come fosse un angelo mandato dal cielo, comparve sulla soglia del locale Manuela in compagnia di un paio di suoi amici con i quali avevo scambiato due chiacchiere in università. Non appena mi vide mi fece un gran sorriso e agitò la mano in mia direzione, per poi salutare Nick con un cenno e dirigersi verso di me.

L’abbracciai, sollevata di trovare finalmente qualcuno pronto a tenermi compagnia invece che sbranarmi o ignorarmi.

“Ancora viva?” mi chiese con gentilezza, lasciando la sua borsa e la sua giacca su uno dei puff viola in fondo al locale e avvicinandosi al bancone, mentre gli altri due ragazzi, Marco e Giulio, se non erro, parlottavano tra loro.

“Stranamente sì” sussurrai con un sibilo, non riuscendo a frenare l’irritazione per la scena che mi si proponeva a qualche passo di distanza.

Nick doveva avere proprio una bella faccia tosta per provarci con ogni ragazza nelle vicinanze!

Dal mio tono di voce, Manuela capì subito cosa mi frullava per la testa.

“Lascialo perdere, te l’ho detto che è un idiota! Lo fa per farti capire che è inutile che fai tanto la preziosa, prima o poi cadono tutte ai suoi piedi. È una delle sue tattiche, meglio se lo mandi a quel paese subito” mi disse, per poi far vagare lo sguardo in cerca di qualcuno di conosciuto.

“Kitty?” mi chiese, non trovando la mia acida collega nelle vicinanze.

“È in cucina” per fortuna, aggiunsi mentalmente.

“Nick, quando hai finito di fare il cascamorto, ti dispiacerebbe farmi un mojito e due gin tonic?” urlò la mia amica in direzione del moro che per tutto risposta aveva ghignato in nostra direzione.

“Tranquilla Manu, ce n’è abbastanza per tutte quante!” disse poi Nicholas, indicandosi.

Alzai gli occhi al cielo, cercando di non vomitare.

Che presuntuoso!

Non senza qualche moina lasciò perdere la bionda e cominciò a preparare i tre drink.

Fui sorpresa nel constatare quanto veloce fosse a versare i vari alcolici in giusta quantità nei diversi bicchieri, ma fui ancora più sorpresa quando notai il suo sguardo serio. Niente ghigni, niente sopracciglio alzato, niente ilarità. Era molto concentrato, la fronte lievemente contratta e la mascella contratta. Ma ciò che più attirava l’attenzione erano i suoi occhi scuri, talmente profondi da potercisi perdere dentro.

Dovetti rimanere imbambolata a guardarlo perché sentii il gomito di Manuela nelle mie costole e la sua voce argentea che mi sussurrava all’orecchio: “se fai così non ti lascerà mai in pace!”.

Scossi il capo con violenza e con la scusa di ritirare un po’ di bicchieri vuoti mi allontanai velocemente, piuttosto intontita. Possibile che avesse un tale ascendente su di me?

Girai furtivamente lo sguardo in sua direzione e lo vidi fare un lieve sorriso al vuoto. Subito tornai a concentrarmi sui bicchieri. Che mi avesse beccato?

Qualche minuto più tardi l’ordine era pronto e così presi un vassoio e mi diressi al tavolo di Manuela. Lei era ancora in piedi, girata di spalle, fasciata in un vestitino grigio/azzurro perfettamente intonato ai suoi occhi di ghiaccio.

Lei è decisamente una Grace Kelly, mi dissi con ammirazione, che tradotto dal Rebecchese voleva dire più o meno: sebbene sia bionda, non è per niente dozzinale come Marylin.

Come Jessica, anche Manuela aveva il potere di attirare tutti gli sguardi su di sé. Nemmeno la stangona ancora appiccicata al bancone poteva reggere il confronto.

Senza nemmeno rendermene conto, Nicholas era arrivato al mio fianco con un bicchiere colmo di liquido ambrato in mano che mi porse senza dire una parola.

Lo guardai scettica e ancora incazzata per il tentativo di approccio del martedì precedente.

“Cos’è?” chiesi, con il mento alto sia perché mi superava abbondantemente in altezza sia perché non volevo mostrarmi impaurita o in soggezione. 

“Un’offerta di pace” mi disse semplicemente.

“Non è che vuoi farmi ubriacare per cedere alle tue avances, vero?” domandai, sospettosa.

Lui ebbe la decenza di non ghignare o di fare battute ironiche, limitandosi a scuotere la testa con un sorriso appena accennato.

“Tranquilla, prometto di fare il bravo” affermò, alzando la mano destra come se stesse giurando in tribunale.

Lo so, non avrei dovuto accettare, ma per una volta sembrava non stesse scherzando e poi avevo una sete terribile, così presi il bicchiere e lo sorseggiai lentamente, non senza una punta di diffidenza.

Come avevo già sperimentato, era buonissimo. Un misto di limone e retrogusto speziato dal sapore orientale.

Ci sapeva decisamente fare.

“Grazie” sussurrai. Le buone maniere prima di tutto.

“Figurati. Ho pensato di dover riparare alla mia prima cattiva impressione.” Lo guardai in silenzio, non ancora del tutto convinta.

Proprio in quel momento Kitty tornò in sala portando tra le mani uno scatolone ricolmo di vari tipi di bibite e alcolici. Senza una parola lo mise in un angolo e disse in nostra direzione: “ho finito l’inventario. Mi fumo una sigaretta e comincio a mettere a posto”

Stranamente il suo tono di voce non era scocciato o arrogante come al solito, anzi oltre ad apparire visibilmente spossata sembrava anche delusa, quasi triste. Senza guardare in faccia nessuno uscì dal locale e io non potei fare a meno di pensare ad alta voce: “Ma si sente bene?”

Di certo non mi sarei aspettata di sentire Nicholas rispondermi: “Il suo ex si è messo con la sua migliore amica, sta cercando di fare la superiore, ma non ci riesce molto bene”

Non trovai nessun commento da fare: certo, Kitty aveva un bruttissimo carattere e in solo pochi giorni di conoscenza avrei voluto prenderla a sberle dalla mattina alla sera, ma forse quel suo comportamento era solo una maschera, forse ci soffriva veramente.

“Bene, è già mezzanotte. Se cominci a riordinare il bancone non appena se ne vanno tutti vi aiuto con i tavoli, d’accordo?” mi propose Nick, passandomi uno strofinaccio e un rotolo di carta.

“Certo, pensi riusciremo a finire per le due?” chiesi, speranzosa. Il giorno dopo non avrei avuto lezione, ma avevo promesso a Max di accompagnarlo a comprare un nuovo PC e avrei dovuto alzarmi presto.

“Anche prima se facciamo in fretta! Facciamo così: ci prendiamo entrambi una pausa adesso, così poi non ci fermiamo dopo” io annuii, dopotutto era una buona proposta.

Il moro prese un pacchetto di sigarette che aveva lasciato di fianco alla cassa e ne sfilò due, guardandomi con aria interrogativa.

“Fumi, vero?” mi chiese, tendendomi uno dei due cilindretti di tabacco che io accettai con un sorriso per poi seguirlo verso l’ingresso.

“… non me ne frega un cazzo, chiaro?” trovammo Kitty seduta in disparte, la sigaretta ormai consumata tra le dita e il cellulare stretto convulsamente in mano. Non appena ci vide si alzò di scatto, scosse leggermente il capo per ridarsi un contegno e chiuse la conversazione con un misero “devo andare”, per poi tornare in sala senza una parola in nostra direzione.

“Questi sono i problemi in cui incorri quando hai come migliore amica la copia di Scarlett Johannson” constatò semplicemente il mio collega, per poi passarmi il suo accendino.

Annuii in silenzio, con aria di chi sa fin troppo bene di cosa si stia parlando: dopotutto, ormai lo avrete capito, gli uomini preferiscono le bionde.

Dannata Marilyn!

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

Finalmente sono tornata! Cavolo, questo mese è stato allucinante! Tra università, lavoro, macchina che sta più dal meccanico che nel mio garage, ripetizioni di inglese e latino alle mie due vicine di casa (due quattordicenni senza cervello che in inglese non sanno neanche le parole della pseudo musica che ascoltano e che in circa venti ore di ripetizioni non hanno ancora imparato che “I have fourteen” non si può dire -.-‘), insomma non ho nemmeno avuto il tempo di andare dalla parrucchiera (e la ricrescita, ahimè, si vede fin troppo! Urge rimediare alla svelta!).

Comunque, per parlare del capitolo: vi è piaciuto? Trovo che Becks abbia un evidente complesso di inferiorità verso le bionde, però c’è da dire che ha passato l’adolescenza con Jessica, con una come lei è facile sentirsi inferiori! Capiremo più avanti quali siano le intenzioni di Nick, ma vi assicuro che non se ne starà buono buono per molto! Anyway, non so quando riuscirò ad aggiornare, visto che devo ancora dare due esami e che, fregandomene altamente dei crediti scolastici, a inizio Luglio partirò! Farò più in fretta che posso, lo prometto!

 

Jimmy: ti ringrazio molto, sono contenta che ti abbia coinvolto e che Becks ti sia piaciuta! Spero leggerai anche questo capitolo e mi lascerai un commento! ^^

 

Sognatrice dark: grazie mille per il commento, su Becky concordo, quanto vorrei anch’io un collega figo – e disponibile – con cui lavorare! *-* Max, come hai potuto notare in questo capitolo, non è molto bendisposto verso Manu, ma mai dire mai! Invece per Jex, non so, la situazione è complicata. Hai sicuramente notato quanto questa ragazza sia strana! Certo ce li vedrei molto bene insieme, anche perché sono migliori amici e riescono a capirsi molto bene, però dovremo aspettare – io compresa, visto che non so assolutamente come finire questa storia – per saperne di più! Spero continuerai a leggere! Un bacio!

 

Per concludere, non ho nessuno spoiler visto che non ho ancora cominciato a scrivere il prossimo capitolo, però per non lasciarvi a mani vuote vi scrivo come secondo me dovrebbe essere Becky anche se, ovviamente, nulla vi vieta di immaginarvela con un altro viso! L’attrice che ho scelto è Emma Roberts e, a dir la verità, all’inizio non avevo pensato minimamente a lei, poi però qualche giorno fa una mia amica me l’ha fatta vedere e mi ha detto “cavoli, sarebbe perfetta come Becky” e non ho potuto far altro che concordare! Ovvio, la mia Becky assomiglia in modo allucinante ad Audrey Hepburn (beata lei!), ma essendo Audrey unica e irripetibile, direi che Emma Roberts sia un buon compromesso, una ragazza normale, minuta, con due begli occhioni e il faccino pulito! Voi che ne dite? (vi metterei una foto, ma non so come si fa XD)

 

 

 

  
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