Capitolo
I°.
Era
in quella città da soli tre giorni, e già la vita
in un altro Paese si faceva
sentire.
Tutto
sommato, però, le andava tutto bene: aveva trovato in pochi
giorni un lavoro da
cameriera in un bed&breakfast vicino la città e
distava pochi minuti dalla
sua nuova casa. E i suoi coinquilini? Anche loro andavano bene:
riservati,
silenziosi, insomma non le facevano “troppe”
domande sul suo passato.
E
cosa poteva desiderare di più?
Ah,
era meglio che quella domanda non se la ponesse mai: le avrebbe, come
minimo,
rovinata l’intera settimana, che era appena iniziata.
Il
lunedì a Copenaghen era sublime: c’era silenzio
ovunque, la città era calma,
nessun brutto rumore brusco.
-Fantastico..
– era il suo primo lunedì in quella
città, e aveva già pronunciato quella
parola una decina di volte.
La
prima settimana della sua nuova vita era appena cominciata.
Doveva
recarsi al lavoro, e doveva arrivare là alle otto e quindici
precise: non
poteva permettersi di fare ritardo.
E
in più, in quei tre giorni, aveva imparato ad amare quella
sensazione di pace
che la fresca aria danese le donava appena usciva dalla casa dove
alloggiava
con altre tre persone.
Fresca,
genuina e.. pura, sì. Era così
quell’aria, e la sensazione che le donava non
era paragonabile.
Comunque
sia, doveva muoversi: niente ritardi, se l’era promesso
sabato, quando aveva
affrontato il colloquio che le permetteva di permettersi quella vita. E
no, il
fatto che quello fosse il suo primo giorno non la disturbava
più di tanto.
Come
poteva lei aver paura del primo giorno di lavoro?
Lei
che aveva affrontato la morte in faccia?
No,
non poteva temere quel primo giorno.
Con
questi pensieri, infatti, si avviò, con passo svelto, verso
il bed&breakfast.
L’abitazione
destava circa dieci minuti da quel piccolo hotel, e quindi preferiva
fare la
strada a piedi, invece di prendere il pullman.
Tuttavia,
ci sarebbe stato un piccolo problema: il danese.
Lingua
fluida, morbida e molto lontana dal suo inglese. Conosceva alcuni
frasi, le più
principali, ma sembrava sempre una troglodita mentre cercava di parlare
quella
lingua che ancora non era sua.
In
effetti, restò molto sbalordita quando la accettarono al
lavoro: doveva dare un
bell’aspetto all’hotel, ma se avrebbe aperto bocca
quel “bell’aspetto” andava a
farsi benedire.
Era
inutile, però, pensare a queste cose: ormai era fatta!
Comunque
sia, ci mise qualche minuto in più ad arrivare
all’hotel, a causa del suo
brutto vizio del fumo che non riusciva più a togliere. Anche
se, si perse per
qualche istante in quella nuova città che sarebbe diventata
la sua casa.
Il
bed&breakfast era di proprietà di una donna della
bellezza di ottant’anni,
ma ne dimostrava circa la metà: alta, slanciata, con lunghi
capelli biondo
platino che teneva legati in un alto ed elegante chignon.
Sembrava
una donna a metà: era
una donna
professionale, algida e fredda, ma al con tempo le trasmetteva una
sensazione
del tipo “di me ti puoi fidare”, ma ciò
lo avrebbe dedotto solo dopo altro
tempo.
Tuttavia,
quella donna faceva bene al piccolo hotel: famoso in tutta Europa e
anche
nell’estrema Russia, era una grande costruzione di sei piani,
e, prima di
diventare bed&breakfast, era un antico Palazzo di una potente e
nobile
famiglia.
Infatti,
all’occhio della ragazza, non sfuggirono tanti piccoli
particolari: quadri che
ritraevano persone, piccoli oggetti di valore e antichi scrittoi, ma
questi
avevano qualcosa che non andava.
La
ragazza riteneva che avessero molte cose più
“britanniche” che “danesi”:
monete
e ritratti con il viso della Regina Vittoria, libri di scrittori e
poeti
inglesi, come Sheakspeare e Blake, e molti quadri che ritraevano la
storia
dell’odierno Regno Unito.
-Forse
gli ex proprietari erano originari del Regno Unito.. – aveva
rivelato ad
Amelia, una sua coinquilina, la quale era di origini Australiane.
Tuttavia,
questo, come il carattere della proprietaria, lo avrebbe scoperto
strada
facendo.
Arrivata
all’imponente cancello del bed&breakfast, si
maledì mentalmente per essere
arrivata con cinque minuti di ritardo: cinque minuti sì, ma
pur sempre di ritardo.
Cercò,
però, di evitare di far sì che questo pensiero
potesse ostacolare il suo
lavoro. Per questo motivo varcò il cancello con celata
insicurezza e si avviò
all’interno dell’hotel.
Non
trovò, tuttavia, nessuno ad aspettarla nella Hole
dell’hotel e non sapeva come
muoversi.
-Hermione,
Hermione! –
Si
sentì chiamare dall’alto.
E,
in effetti, alzando lo sguardo trovò un giovane ragazzo che
sventolava la mano
in sua direzione.
-Oh,
arrivo.. – disse, nel suo danese migliore.
Cercando
di mantenere la calma per evitare di fare brutte figure (come
inciampare mentre
sale le scale), salì le scale e si avvicinò in
direzione del ragazzo.
-Hermione,
oh cara! Possiamo darci del tu? – disse il ragazzo parlando,
sorprendendo la
giovane, un perfetto inglese.
Ora
che era vicina a questo sconosciuto giovane, capì che non
era il classico
nordico: alto e slanciato con la pelle di un colorito
“normale” e capelli
biondo scuro con s occhi erano di un castano intenso. Portava un
lontano
parente dello smoking: jeans, camicia bianca e cravatta.
-Oh,
certo. Ma tu parli inglese, come.. – tentò di dire
la ragazza.
-Te
lo spiegherò strada facendo. Ah, io mi chiamo James Rider e
sì, sono di origini
inglesi proprio come te! - le disse il giovane mentre camminavano verso
destinazione ignota, fermandosi solo per darle la mano.
-Hermione,
Hermion Jane Granger! – rispose Hermione, ostentando tutta la
sua sicurezza e
stringendo la mano del ragazzo.
-Bene..
– dise lui, riprendendo il cammino –Ora ti
porterò in una specie di stanzino
dove dovrai cambiarti. Troverai un piccolo armadietto con scritto il
tuo nome,
ci saranno parecchie cose lì dentro, ma non tutte ti
serviranno: dei vestiti,
che dovrai indossare, questi che indossi ora li potrai sistemare
lì dentro, e
una piccola cartellina color rosso, che dovrai prendere –
Come
parlava veloce quel ragazzo!
Oramai
lei non riusciva più a parlare e camminare
contemporaneamente: il fumo glielo
aveva impedito.
Aveva
immaginato che si sarebbe dovuta cambiare: non poteva fare certo le
pulizie con
dei jeans!
Comunque
sia, dov’erano?
Stavano
percorrendo un lungo corridoio, in più non si nè
sentiva nè vedeva nessuno in
giro.
“Dove saranno tutti? Questo non è il primo
piano?”
Le
sue domande ebbero risposte quando iniziò a vedere le
pareti: porte, porte,
porte.
E
sì, quello era il primo piano.
101,
102, 103, 104..
Qualcosa,
tuttavia, non le quadrava.
-James..
– decise allora di parlare –Ma dove mi stai
portando? –
-Siamo
arrivati! – le rispose un ragazzo.
“Arrivati?
Siamo davanti un ascensore!” pensò la giovane.
E
questo suo pensiero la porto ad incarnare la sopra ciglia destra.
-Su
via! Ci conosciamo da poco, ma fidati di me –
continuò il giovane, facendole
segno di entrare nell’ascensore che si era appena aperto.
“Ci
conosciamo da poco? Non ci conosciamo affatto!” gli avrebbe
voluto rispondere
la ragazza. Ma si trattenne: perchè metterselo contro?
Chiuse
le porte dell’ascensore, il ragazzo premette il tasto
‘-3’, e l’ascensore
cominciò a scendere.
“Meno
tre?”
C’era
qualcosa che non andava.
-Sta
tranquilla, ero sicuro che lei non
ti
avesse detto niente, quindi, alla fine della mattinata saprai tutto.
Per
adesso, stai tranquilla: non siamo sette religiose o un antico ordine
Templare
– la rassicurò il ragazzo sorridendola.
“Lei?”
-La
paura è ciò che meno mi colpisce –
rispose un po’ sgarbatamente la ragazza.
Ma
James non ci fece caso, le fece solo segno di uscire perchè
erano arrivati a
destinazione.
Il
corridoio dove si trovavano ora era ben diverso dal precedente: le
porte alle
pareti sembravano chiuse con cemento e ognuna delle porte aveva accanto
un
piccolo schermo, e sul soffitto erano poste tante piccole luci.
-Niente
setta, niente antico ordine, eh? – si lasciò
sfuggire la ragazza.
James
non disse niente, continuò a camminare finche non arrivarono
ad una porta:
gliela aprì, la fece entrare e la lasciò con un
“il tuo armadietto è lì in
fondo, a dopo”.
Quando
la porta si chiuse fece un lieve rumore.
Lo
stanzino era chiuso e non c’era alcuna finestra.
Ma
che stava pensando, non voleva di certe scappare!
-Ovvio
che no.. – si sussurrò la ragazza.
Si
avviò verso quell’armadietto che doveva essere il
suo (e infatti vi trovo posto
sopra il suo nome) e lo trovò già aperto.
-Grande
privacy! – commentò sarcastica.
Vide
cosa c’era all’interno: una busta e la cartellina
rossa.
Del
“parecchie cose” neanche l’ombra, ma lei
non ci fece caso.
Aprì
la busta e trovò dei vestiti, ma rimase sorpresa: non era la
‘divisa’ da
cameriera che si aspettava, no no, era un completo composto da una
camicia di
lino bianca, una gonna nera, una giacca e una cravatta del medesimo
colore.
Solo
allora si ricordò l’abbigliamento di James.
In
più, sempre nella busta, vi trovò due paia di
scarpe: uno col tacco alto e
nere, l’altro erano delle ballerine, anch’esse nere.
Vicino
l’armadietto era posto uno specchio grande, che riportava
riflessa la figura
intera di una ragazza di quasi vent’anni, con grandi occhi
castani e piccole
labbra rosee; il viso pallido e delicato era incorniciato da un chioma
di
capelli non più folta, non più riccia, ma ben
sì corta.
Li
aveva tagliati dopo la morte di Voldemort.
A
quel pensiero se li tocco i capelli, ma non provava rimpianto per
averlo fatto.
Si
vestì velocemente, riponendo i suoi vestiti nella busta.
Scelse
le ballerine: non voleva dare troppo nell’occhio.
-E
ora? – si chiese.
-E
ora mi segua – rispose una voce femminile dalle sue spalle.
Voce
che fece spaventare l’ex Grifondoro.
-Oh,
non l’avevo sentita entrare, mi scusi –
parlò in inglese, certa che lei
l’avrebbe capita.
Si
trovava davanti ad una donna giovane, di circa quarant’anni
con un completo
pantalone-giacca che andava sull’arancione. Era bassina, con
qualche chilo di
troppo, e con una chioma enorme di capelli.
-Forza,
cammini – le disse quella donna, con una voce un
po’ troppo imponente.
Hermione
non proferì, la seguì e basta.
L’
‘ignota destinazione’ non era altro che una stanza
molto grande con otto
scrivanie, ognuna delle quali era occupata da qualcuno, tranne tre.
Hermione
si guardava intorno, cercando di capire che diavolo stava succedendo:
quella
situazione la innervosiva non poco.
-Hermione!
– quella era la voce di James, che apparve alle sue spalle.
-James!
Un viso conosciuto! Mi spieghi che sta succedendo? Credevo di dover
fare la
cameriera! – gli chiese la ragazza, quasi esasperata.
-Ti
spiegherò tutto! Però adesso ti presento un tuo
futuro collega! –
E
dalle sue spalle uscì lei:
quella
persone che non avrebbe mai voluto vedere per nulla al mondo, quella
persona
che apparteneva al suo passato ed era certa che non l’avrebbe
più visto.
Semplicemente
lui.
-Hermione,
lui è.. – disse James, ma venne interrotto proprio
da quel lui.
-Signorina
Granger, io sono Draco Malfoy – glielo disse con quel suo
solito ed odioso
ghigno, tendendole addirittura la mano.
-Noto
già che conosce il mio nome – rispose Hermione,
stringendo la sua mano e
guardandolo negli occhi.
Quel
tuffo nel passato faceva male, ma doveva essere affrontato.
Note
autrice:
eilà, salvee :)
sono nuova in questo ‘campo’, bè,
veramente sono nuova e basta. Mi diletto a
scrivere qualcosa, ma mai di questo genere. Devo ammettere,
però, che questa
coppia mi ha spinta provare,
quindi,
proviamo!
Comunque
sia, questa è una storia un po’ OOC, ma non tutti
i caratteri verranno
modificati, più che altro quello che verrà molto,
ma non troppo, cambiato sarà
il carattere di Hermione, come ovvio che sia.
Bè,
il titolo della storia si ricollega ad una canzone, una delle mie
preferite: La
canzone dell’ amore perduto, di Fabrizio de
Andrè, che è il Poeta per
eccellenza. :)
Cercherò
di spostare i capitoli ad intervalli di cinque, sette giorni, la scuola
è
finita ed ho più tempo. Ovviamente, se avete critiche,
consigli, insomma,
qualsiasi cosa che possa aiutarmi a migliorare la storia fatelo, vi
scongiuroo
ahahha :)
Ora
basta, vi aspetto alla prossima :)