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Autore: Frikadelle_    14/06/2011    6 recensioni
“Dove ti portiamo?” Chiese Tom, ricambiando il suo sguardo con uno soddisfatto.
Lei parve ricomporsi e frugò nella sua grande borsa di una marca a lui sconosciuta, ma che suo fratello sicuramente aveva riconosciuto. Ne tirò fuori un foglietto e glielo passò.
“All’indirizzo che c’è scritto lì.”
Tom lo adocchiò frettolosamente, tenendo sotto controllo pure la strada che aveva imboccato per uscire dalla zona dell’aeroporto, e alzò un sopracciglio perplesso.
“Ma è l’indirizzo di un autonoleggio.” Fece confuso. Solo dopo si ricordò che Gustav aveva già accennato a tutti loro qualcosa di simile, dopo la telefonata di Jost.
“Sì, lo so.” Ribatté lei, seria.
“E vuoi andare qui?” sventolò il foglio, dandole un’occhiata dallo specchietto retrovisore.
Lei annuì convinta.
“Ma dai, ti accompagniamo a dove alloggi.” Si offrì lui. “Non è un problema.” Insistette, voltandosi leggermente per vedere che nessuna macchina passasse dalla strada principale nella quale stava per entrare tramite la corsia in cui si era immesso prima.
“No,” persistette lei. “Portami lì.” E distolse lo sguardo dal riflesso del suo.
Tom rimase stupito dalla sua risposta ed inarcò le sopracciglia meravigliato. Certo, era davvero una ragazza decisamente bella, attraente e ben curata, ma non aveva niente a che vedere con la prima sensazione di carattere angelico che si portava così inappropriatamente dietro. Portò gli occhi di nuovo sullo specchietto retrovisore e incrociò lo sguardo di Gustav, che era la copia esatta del suo.
Sì, questa Evans non aveva molto di angelico…
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Directly from New York

Il fato non si accontenta di infliggere una sola calamità.

Publilio Siro

Molto probabilmente gli aveva risposto con una serie incomprensibile di parole, magari anche in tedesco. Con tutto quello che le stava succedendo, lui proprio non era richiesto, e invece eccolo, lì, all’aeroporto di Amburgo. Da quando aveva accettato di andarlo a prendere – momento che nemmeno si ricordava a causa della confusione che si ritrovava in testa – non era più riuscita a pensare razionalmente. I suoi pensieri avevano iniziato a confondersi l’uno con l’altro, scaturendo un vortice di paranoie, speranze, domande che ancora non trovavano pace. Aveva guidato senza rendersi conto di tutte le infrazioni al codice della strada che stava commettendo, e infatti molti altri automobilisti le suonarono contro, facendola tornare al presente per qualche istante, giusto in tempo perché non peggiorasse la sua situazione, come guidare con i fari spenti, oppure cambiare corsia senza avvisare con le frecce direzionali.

Aveva lasciato la BMW nel primo posto libero che aveva trovato e ora stava salendo al piano superiore del parcheggio con le scale mobili, quasi tentata di tornare indietro e non affrontare quella strana realtà che le si era presentata davanti. Quella mattina, quando si era alzata, nemmeno avrebbe pensato ad una conclusione del genere: già la rivelazione fatta a Tom l’aveva colta di sorpresa tanto quanto a lui, e ora questo: Kevin che aveva preso il primo volo per la Germania per poterla rivedere. Non si erano sentiti per due settimane, forse anche tre, visto che prima di partire i loro contatti erano stati pochi e sfuggenti, e ora, invece, lui era lì, all’aeroporto ad aspettarla. Quanto si sarebbe fermato? Perché era venuto? Perché non l’aveva mai chiamata in quei giorni? Erano tutte domande a cui non riusciva a dare risposta, portandola a formulare chissà quali ipotesi, una sempre più improbabile dell’altra. Aveva paura di vederlo, e questo non era un segreto. Cosa gli avrebbe dovuto dire? Un “benvenuto” sarebbe stato sufficiente? Ma soprattutto, lei, tutto questo, lo vedeva davvero come un benvenuto?

Una coppia di anziani davanti a lei, le fecero notare che la sciarpa le stava cadendo dalle spalle e che aveva la borsa aperta. Andrea ringraziò e si sistemò, per quanto la confusione e l’agitazione potessero permetterglielo. Sentiva che ad ogni passo il fiato le veniva meno, quasi come se si sentisse sprofondare in un qualche abisso senza fondo. Eppure andava avanti. Avrebbe voluto mantenere un minimo di dignità, di algidità, visto quello che era accaduto tra loro – o almeno, visto quello che lei pensava fosse accaduto tra di loro. O tra lui e Tanya – ma il panico era ben visibile sul suo viso, ne era certa. Nonostante tutto, continuò ad avanzare. Lesse sui cartelli appesi al soffitto il percorso per giungere agli ‘Arrivi’, e in poco meno di cinque minuti si ritrovò in uno spiazzo pieno di persone, prese a parlare, salutare, schiamazzare, camminare. Lei era l’unica che sembrava terrorizzata. Solitamente, quando qualcuno va a prendere una persona all’aeroporto – come nei film – ci sono lacrime di gioia, o sorrisi smaglianti…, pensava. Lei aveva solo un peso al cuore che le impediva quasi di mantenere l’equilibrio, e infatti, mentre si faceva spazio tra la folla per guardarsi attorno, colpì più persone, alcune delle quali non si peritarono a farglielo notare. Andrea chiese scusa, incassando la testa tra le spalle e si portò in un angolo della sala. Tirò fuori il cellulare e lo scrutò attentamente, come se lui potesse rispondere alla domanda che in quel momento non le dava pace: lo devo chiamare?

Non lo trovava, l’aveva cercato velocemente con lo sguardo, ma il metro e ottantasette di Kevin non era sufficiente per essere individuato, nonostante lei indossasse un paio di stivali che l’alzavano di sei o sette centimetri abbondanti.

“Hey!” Ecco, non ci sarebbe nemmeno più stato bisogno di pensare a quella cavolo di domanda: Kevin le era magicamente apparso davanti, il solito sorriso beffardo, quasi come se stesse dicendo: “ti saresti mai aspettata una sorpresa del genere?” – a cui Andrea avrebbe volentieri risposto di no, se solamente la sua paresi facciale le avesse dato un attimo di tregua – i suoi occhi dal taglio felino e di quel colore tra il verde e il marrone, quelle labbra che più volte lei aveva assaggiato avidamente… Come Tanya.

“Hey…” mormorò lei, rischiando di far cadere il cellulare a terra, nel tentativo di riporlo nella borsa. Non riusciva a distogliere lo sguardo da quei suoi lineamenti virili. Era strano come lo avesse, in un certo senso, visto crescere: il suo viso era ancora da ragazzino, quando si erano conosciuti, quando si erano messi insieme. Ora era cresciuto e Andrea non poté non pensare a quanto fosse sempre più bello. Non seppe il motivo del cambiamento così radicale dei suoi pensieri, ma d’un tratto si trovò a pensare a quanto gli fosse mancato. Magari le sue paranoie avevano solamente incrementato all’inverosimile quello che poteva esserci stato per un semplice incontro di lavoro e forse non c’era mai stato niente tra lui e Tanya. E lei se n’era andata, così, su due piedi, senza nemmeno avvisarlo con anticipo. Forse lui non si era fatto più sentire proprio perché ce l’aveva con lei, per come si era comportata nei suoi confronti.

“Allora, non dici niente?” le sorrise, lasciando cadere a terra il suo borsone da viaggio. I loro occhi si incontrarono e lei ci vide riflesso dentro tutto quello che fino a poche settimane prima provava per lui. Come poteva essere possibile chiudere in quella maniera un rapporto durato anni? Come era possibile non sentire più niente per lui? E più lo guardava, infatti, più quei sentimenti che aveva volontariamente represso, tornarono a conquistarla. Lui aveva aperto le braccia in attesa di un abbraccio, e Andrea si sentì attirata dal ricordo della sua calda presa quanto non mai. Gli corse incontro e l’abbracciò, avvolgendolo con le braccia intorno al collo, mentre lui la stringeva forte a sé, facendole provare nuovamente quella sensazione che ormai non si sarebbe più aspettata di sentire. Chiuse gli occhi e assaporò nuovamente quell’odore che apparteneva solo a lui, a Kevin, un odore dolce che lei non aveva mai sentito a nessun’altro.

“Andie, mi sei mancata.” Le sussurrò all’orecchio con voce calda e bassa. Andrea sentì i brividi su tutta la schiena e nascose la testa sul suo petto, coperto da un giacchetto imbottito. Quelle parole ebbero l’effetto di calmarla, di farla sentire amata come lo era sempre stata. In quel momento, tutti quei pensieri che l’avevano accompagnata dalla casa di Jost all’aeroporto sembravano essere svaniti nel nulla, sembravano quasi non esserci mai stati. Ora Kevin era lì, si era fatto sette ore di volo solo per lei, perché l’amava ancora.

Andrea si lasciò trasportare da quel mare di emozioni che sembrava aver dimenticato e solo in lontananza le parve di sentire qualcosa che stonasse, in tutta quella storia, ma una volta compreso quella piccola falla, comprese anche che Tom non sarebbe mai potuto essere importante quando Kevin nella sua vita.

 

***

 

Decisamente non c’era niente di meglio di una bella, calda e profonda dormita dopo una serata passata a giocare a dama alcolica con gli altri. Inizialmente aveva proposto di uscire per locali, ma Bill si era categoricamente rifiutato di mettere anche un piede fuori dall’appartamento, visto che al meteo avevano dato valori della temperatura addirittura sotto zero, con probabile nevicata nei prossimi giorni. Anche Gustav non sembrava entusiasta, ma lui non lo era mai, lui era un animale domestico, preferiva stare a casa, ma non si era mai tirato indietro quando gli altri lo proponevano. Così avevano deciso di stare in casa e Georg si offrì di andare a fare scorta di alcolici, uscendo di casa nel tardo pomeriggio e tornando dopo addirittura un paio di ore. Dopo le prime due partite a dama, passarono il resto della serata a cercare di tirargli fuori con chi si fosse visto e alle battute come: “come mai non hai portato una bella torta?” o “Non credi anche tu che ora ci starebbe un bel pasticcino?” lui si era limitato a ruotare gli occhi esasperato, senza degnarli più di una risposta.

Era quindi crollato in uno stato di dolce sonno non appena aveva toccato il letto, orgoglioso di aver vinto ben tre partite su qualcosa come cinque e convinto che niente e nessuno in quel momento avrebbe potuto rovinargli quella perfetta mattinata nel letto.

O così credeva.

“Kaulitz, svegliati subito, è tardi e dobbiamo andare in studio!”

Non seppe nemmeno se avesse o meno aperto gli occhi, ma saltò per lo spavento, per poi trovarsi davanti – una volta iniziato a mettere a fuoco – un’Andrea Evans nuovamente armata di quei suoi famosi e per niente richiesti metodi che li aveva già più volte violentati psicologicamente.

“Evans, ma ti rendi conto di che ore siano?” biascicò, crollando nuovamente sul letto, la testa sprofondata sul cuscino e gli occhi consapevolmente chiusi.

“Certo, le otto e diciannove.” Rispose prontamente. “E se non ti alzi entro lo scoccare delle otto e venti, ti tiro fuori a peso secco.” Gli si avvicinò, punzecchiandolo e tirandogli una delle treccine nere.

“A peso morto, Evans.” Lui l’afferrò per un braccio delicatamente e si voltò verso di lei, sorridendole. “Ma tanto non ci riusciresti.” Aveva di nuovo l’aspetto della donna adulta e troppo matura che le aveva visto i primi giorni, ma non poté che soffiare una lieve risata al ricordo di come invece aveva scoperto essere in realtà. “Che ne dici invece di metterti anche tu qui nel letto? Sai, ho freddo e vorrei scaldarmi.”

Contrariamente alle sue speranzose ed erotiche – sebbene ironiche – fantasie, Andrea lo guardò esasperata, chinandosi per pizzicargli il braccio scoperto, mettendo su un piccolo broncio mentre aspettava una sua risposta più seria, oltre che un accenno ad alzarsi. “Kaulitz, è tardi.” Ribadì, storcendo le labbra, mentre adocchiava l’orologio che portava al polso, un po’ tropo maschile per lei.

“D’accordo.” Sospirò Tom, alzandosi sotto il suo incessante punzecchiamento sul braccio. Andrea si allontanò come a volergli dare privacy, ma lui la fermò: “Puoi anche rimanere, chissà che non ti venga voglia di prendere in considerazione seriamente la mia proposta.” La guardò malizioso, alzando le coperte e stiracchiandosi con versi affaticati non appena mise i piedi nudi per terra. Raggiunse poi il cassetto per prendere la biancheria pulita e si voltò un’ultima volta, soddisfatto che Andrea lo stesse ancora seguendo con lo sguardo, sebbene Tom dovesse ammettere che il suo sguardo sembrasse più pensieroso che attratto dal suo corpo nudo.

Tom pensò che magari la causa di tutto poteva essere quello che era successo tra loro, probabilmente lei ancora non sapeva come comportarsi, nonostante tutte le spiegazioni che lei aveva cercato di rifilargli e la finzione con cui aveva chiuso – chissà per quanto – la triste storia che si portava sulle spalle. Per questo lo guardava come se nella sua testa frullassero pensieri a velocità inumane. Entrò nella doccia e iniziò ad insaponarsi, rispondendo di andarsene ad un Gustav che avrebbe voluto entrare per lavarsi i denti. Nonostante quello sguardo assorto che l’aveva stranamente colpito, Tom non poté però che sentirsi decisamente soddisfatto per il rapporto che si era creato tra loro due. Un tempo lei nemmeno si sarebbe permessa di chinarsi al suo cospetto, ripetendogli più dolcemente che fosse tardi – sebbene tutt’ora non avesse perso l’abitudine di capitare a casa loro senza preavviso – punzecchiandogli il braccio. Sembrava quasi impacciata. Era buffa. E Tom si scoprì elettrizzato all’idea di aver aggiunto un’altra faccia al puzzle di Andrea che formava quel poliedro irregolare che sembrava raffigurare la sua complessa personalità.

 

***

 

“Buongiorno.” Andrea fece il suo trionfante ingresso nella sala delle riunioni dove un Peter Hoffmann, accompagnato dagli altri produttori – Benzner e Roth – e Häring. Era quasi come tornare a qualche giorno prima, quanto Andrea ancora non aveva iniziato a farsi conoscere. Da un certo punto di vista, era un comportamento che portava una certa nostalgia, una nostalgia, però, che portava soddisfazione al gruppo – Bill escluso, che ancora aveva da ridire sui suoi metodi drastici per svegliarli, come non si era risparmiato di berciare in macchina, unico momento in cui poterono stare da soli senza che lei li potesse ascoltare con il suo udito da pipistrello (come l’aveva definito Bill stesso) – perché indicava loro i grandi progressi che erano avvenuti in quei giorni.

Gustav ne avrebbe voluto parlare con Georg, l’unico che avrebbe potuto capirlo nei suoi ragionamenti, poiché uno avrebbe negato fino alla morte e uno non avrebbe fatto altro che offendere Andrea. I suoi pensieri poi andarono tutti a Tom. L’idea di Bill che loro avessero fatto sesso era più evidente che mai. Si vedeva da come si comportavano. Lei era più allegra, più gentile. E non solo con lui, ma era ovvio che il cambiamento nei suoi confronti fosse il più palese, visto il punto da cui erano partiti entrambi. Un tempo non avrebbero fatto altro che aggredirsi verbalmente, ora invece si facevano battute a cui rispondevano con sorrisi. E un sorriso valeva più di mille parole, soprattutto per qualcuno come Tom Kaulitz, che gli unici sorrisi che mostrava solitamente erano ghigni che esprimevano maliziosità, perfida complicità e derisione.

“Buongiorno, Andrea. Ragazzi.” Li salutarono i produttori, avvicinandosi a loro con fare curioso. “Andrea mi ha chiamato ieri dicendo che c’erano delle belle novità.” Continuò sorridente. “Forza, ragguagliateci!”

“Sì, anche noi vorremo saperle, Drei.” Si intromise duro Bill, che aveva visto quella sveglia improvvisa e totalmente imprevista come un attacco alla sua vita, riprovando la tragica esperienza di essere svegliato all’alba – per lui – e con un urlo improvviso, seguito da una lieve risata trattenuta da parte di Andrea, che ovviamente lui nemmeno aveva sentito.

La ragazza finse di non averlo sentito per rimanere nel ruolo di supervisore e rispose a Hoffmann tranquillamente. “Allora, penso sia l’ora di riprendere in mano il video. In questi ultimi giorni ci siamo un po’ lasciati andare, le riprese in discoteca sono finite, ma non tutto il montaggio.” Era professionale, adulta, seria, ma era anche tranquilla, serena. Era cambiata. “Ieri quindi ho iniziato ad informarmi su qualche luogo in cui fare tappa per questo pseudo-concerto. Ho pensato che fosse conveniente muoverci, perché il tempo a disposizione per trovare il pubblico non potrà essere molto. Dobbiamo riempire un luogo che possa essere simile ad una discoteca, quindi non troppe persone, ma abbastanza per sottolineare la fama della band. Per questo avevo pensato alla Kultfabrik, a Monaco. È un posto per giovani, ci sono discoteche, sembra molto apprezzato e so che a Monaco loro hanno riscosso abbastanza successo.”

“Be’, sì, non mi sembra male, ma dobbiamo metterci d’accordo con l’organizzazione del Kultfabrik, prima di dover decidere.” Si intromise Benzer.

Of course,” rispose, sorridendo soddisfatta per aver già previsto quella domanda. “I know.” Si tolse un ciuffo dal lato del viso e lo accompagnò dietro l’orecchio. Aveva decisamente un’aria serafica. Era quasi paradossale fare un confronto tra la Andrea Evans di qualche settimana prima e quella che stava lavorando con loro – e non per loro – con il sorriso sulle labbra. Guardando gli altri produttori, notò la stessa soddisfazione di quel cambiamento anche in Hoffmann, che annuiva con entusiasmo alla proposta. “Immagino però che se fosse possibile, sarebbe una bella idea, no?”

“Be’,” Häring le andò incontro. “Anche io penso che sia una buona idea. Dopotutto a noi non serve un palazzetto, o uno stadio.” Indicò Andrea, rivolgendosi a Hoffmann e gli altri due. “E poi concordo pure io che sarebbe meglio darci una mossa: abbiamo già annunciato che ci sarebbe stato un ripescaggio per coloro che avevano già detto di partecipare all’estrazione delle riprese, non penso che si possa mandare per le lunghe questa cosa.”

“Hai ragione, Chris.” Mormorò Roth, sistemandosi con un dito gli occhiali sul naso, prendendo degli appunti. “Allora oggi pomeriggio provvederò a chiamare quelli della Kultfabrik e vi farò sapere.”

“Grazie.” Disse Andrea, sfoggiando un sorriso che tendeva alla riconoscenza. Era un sorriso che tempo fa nemmeno avrebbero mai pensato di poter vedere sul suo volto. E Gustav se ne sentì fiero. “Kaulitz,” si voltò poi verso Tom, che le sorrise a sua volta. Uno di quei sorrisi nuovi. L’espressione di Andrea per un attimo però sembrò vacillare, quasi come se non si aspettasse una risposta del genere da parte sua. “Aggiorna il Blog con queste ultime notizie, d’accordo?”

“Ho una sola domanda.” Fece lui, con la solita sfacciataggine, appoggiando i gomiti sulle ginocchia e avvicinandosi a lei di qualche centimetro. “Perché non passi da casa, così mi mostri tutti i particolari?”

L’allusione oltremodo erotica di Tom fece sospirare tutti i presenti – produttori compresi, sebbene qualcuno come Hoffmann vi trovò pure da ridacchiare. Andrea compresa. “Kaulitz, t’immagini cosa potrebbe succedere se io abbassassi la guardia alle tue provocazioni?” lo guardò superiore, oltre che divertita, sebbene cercasse di nasconderlo.

“Oh, ma io lo -” Andrea ebbe una prontezza invidiabile nel tirargli un calcio in pieno stinco. E lo fece con una tale naturalezza che nemmeno parve si fosse mossa appositamente per colpirlo – quanto per un semplice movimento di statica, cambiando gamba su cui appoggiarsi mentre illustrava la sua idea – se non fosse stato per il rantolo sofferto di Tom, che si chinò a massaggiarsi la gamba dolorante.

“Ma che ca- ?” mugolò, tossendo quasi per nascondere una risata – quasi masochista, pensò Gustav, ma forse questo era solo il loro modo di dimostrarsi un minimo di affetto, visto come erano fatti tutti e due. “Hai anche le scarpe con la punta!”

“Ringrazia che non ti abbia piantato il tacco nelle palle.” Lo liquidò lei, tornando a rivolgersi ai produttori. “Scusate questa pessima scena da cabaret.” I presenti le sorrisero, alcuni come Hoffmann sempre ridacchiando, e le concessero nuovamente la parola. “Bene,” tornò professionale, quindi. “Immagino che per ora sia tutto sistemato, no?”

“In parte.” Rispose Hoffmann. “Dobbiamo ancora vedere la disponibilità dei locali e decidere una data.”

“Io proporrei il 30 Novembre, è tra qualche giorno.”

“Il 30?” sgranò gli occhi Bill, in un attimo di panico. “Tra qualche giorno?! Ma se è tra soli quattro giorni?” L’ansia che si era trovato a provare lo aveva talmente scosso che rischiò di cadere dalla poltrona, riuscendo a non battere una sonora musata in terra solo grazie ad un miracoloso movimento del piede che lo fermò dalla sua caduta libera.

“Ascolta, Honey, si tratterebbe di un breve concerto, in cui canterete praticamente due volte la stessa canzone e i vostri successi di sempre, cosa ci trovi di complicato? O questa è solo la tua solita voglia di mettermi i bastoni sulle ruote?”

“No, non voglio metterti i bastoni tra le ruote, voglio solo farti capire che noi tutti dobbiamo prepararci psicologicamente.”

“Ma sarà un concerto di un’oretta!” sospirò, ruotando gli occhi con esasperazione. “Dove è l’animo da super star che pensi di essere?” lo derise.

Bill incassò la testa con una sonora sbuffata e non le rispose, lasciando il compito di farle capire il suo stato d’animo tramite un’occhiata inteneritrice, che non venne minimamente considerata da Andrea. Gustav sorrise a quel classico scambio di battute tra loro due, perché sebbene non sembrasse, anche tra loro le cose erano un minimo cambiate. Lui l’aveva visto, con il tempo, aveva notato come Bill, per quanto fingesse di prendersela, alla fine non intendeva mai attuare tutte le minacce che le rivolgeva. Era una sorta di maschera che ormai si era costruito in sua presenza. Chissà, magari alla fine della loro collaborazione questa maschera sarebbe caduta…

 “Sì, però, Andrea, in effetti dobbiamo prenotare il volo, portare gli strumenti, fare il soundcheck… Per non parlare delle attrezzature per le riprese.” Le fece notare Häring.

“E quattro giorni non sono sufficienti?” gli domandò con naturalezza.

“Immagino di sì, ma sono i ragazzi che devono esibirsi, dovresti sentire quello che hanno da dire.” Intervenne Benzner.

“No, lasciate perdere.” La risposta di Bill anticipò quella di Andrea. “Tanto alla fine lei farà sempre di testa sua. È fatta così, purtroppo.” E questa non poté che essere la conferma al cambiamento che Gustav sospettava da qualche tempo. L’aveva accettata, ma non voleva darlo a vedere.

“Ad ogni modo,” riprese Andrea, non replicando alle parole del ragazzo. “Se continuiamo a non fare niente, non si finirà mai questo video. E poi anche se allungassimo questo periodo di una settimana, cosa cambierebbe?”

“Ad esempio che non avremmo tutto questo fiato sul collo.” Borbottò Bill, la testa incassata tra le spalle, la fronte corrugata e le braccia intrecciate al petto.

“Bill, però Andrea ha ragione.” Disse Hoffmann. “Fondamentalmente, un video non richiede mica tutto questo tempo per essere realizzato. A quest’ora di solito siamo anche già in fase di montaggio.”

Exactly.” Convenne Andrea. “Tutto questo tempo inutilizzato, sarebbe solo sprecato.”

“Be’, a me sinceramente due o tre giorni in più non mi cambiano niente.” Si aggiunse Georg, seguito da Tom e Gustav.

Ok, it’s done.” Andrea si rivolse a Bill con il suo classico sorriso superiore e lui le mimò una ringhiata, mostrando i denti e storcendo il naso come un cavallo.

“D’accordo, se anche ai ragazzi va bene, direi che possiamo aggiornare la riunione.” Disse Peter Hoffmann. “Tra oggi e domani io e Roth vedremo di parlare con la Kultfabrik e vi contatteremo appena sapremo qualcosa di più concreto. Se tutto andasse bene – giorno compreso – partiremo subito per Monaco.”

“Ah,” intervenne Andrea, proprio mentre i produttori si stavano alzando per andarsene verso altri impegni. “Per quanto riguarda il numero di posti sull’aereo, ne conti uno in più.” E detto questo, anche lei si alzò, indossando la sua giacca grigio topo e mettendosi la borsa su una spalla. Salutò tutti i presenti fugacemente e se ne andò, quasi come se avesse una voglia matta di andarsene.

Tra tutti i presenti solo Tom trovò da obbiettare alla sua richiesta: “Che palle, ci mancava anche Michelle…”

 

***

 

Era tutto il giorno che camminavano. Era anche un po’ stanca, se doveva essere sincera, ma non gliel’avrebbe detto, perché se era vero che non si sarebbe mai aspettata una cosa del genere dopo ben due settimane, era anche vero che ora che aveva di nuovo Kevin affianco a sé, le sembrava come se le due settimane passate non fossero state niente.

Erano usciti la mattina presto per godersi quei timidi raggi di sole che riuscivano a vincere contro l’oscurità delle nuvole grigie che riempivano il cielo a chiazze. Andrea avrebbe pensato che si sarebbero stufati presto di passeggiare – per quanto fosse atletico, Kevin non era tipo da camminate romantiche – eppure avevano fatto un giro della città nel centro storico, lungo il fiume e ora erano andati a riposarsi nel verde del parco Planten un Blomen, uno dei più belli e più grandi della città. Era freddo, non lo poteva negare, ma la vicinanza di Kevin riusciva a scaldarla. Aveva la sciarpa attorno al collo, un cappello di lana rossa in testa – regalo di Kevin che le diede non appena lei l’ebbe accompagnato all’hotel perché, gli aveva detto, le temperature erano più basse rispetto a quelle a cui erano abituati loro – e nonostante tutto, continuava ad avere freddo. Rabbrividiva. Poi lui le aveva preso una mano e gliel’aveva messa nella sua tasca, insieme alla propria, e mano nella mano, avevano continuato a camminare, e camminare. E mentre camminavano, parlavano.

L’unica pecca che aveva avuto tutto quel tempo speso insieme, era che nessuno dei due aveva toccato l’argomento cruciale. Perché non si è mai fatto sentire? Andrea non riusciva a prendere in mano la situazione. Ci aveva provato – come avrebbe potuto non farlo? – ma un paio di cose l’avevano bloccata. La prima fu un bacio inatteso che lui le regalò non appena lei pronunciò quelle parole che per ogni uomo sono simbolo di disastro: “Ascolta, dobbiamo -”. La seconda fu una telefonata, arrivata proprio nel momento più sbagliato, perché era riuscita a spingersi addirittura oltre la frase di introduzione. “Dobbiamo parlare. Perché quando -”. Aveva perso le speranze, le pareva di essere fin troppo insistente per provare una terza volta, ma si era riproposta che se mai l’argomento si fosse anche solo lontanamente avvicinato a quella faccenda, lei ne avrebbe approfittato.

E quel momento non tardò ad arrivare, anzi – cosa ancora più sconvolgente – fu proprio lui a tirarlo in ballo.

“Andie,” iniziò, sedendosi sul prato umido. La mano che ancora aveva intrecciato alla sua la fecero chinare, per poi sedersi a sua volta al suo fianco. “Voglio chiederti una cosa.” Il cuore di Andrea iniziò a battere così forte che molto probabilmente lui avrebbe potuto vederne il movimento sotto il giacchetto. Ma nell’arco di qualche istante, ciò che aveva scaturito quei battiti cambiò, toccando entrambe le estremità. Per un attimo Andrea pensò a cosa le avrebbe potuto dire in un momento come quello. Significava che anche lui teneva a lei, che tutta la storia che lei aveva ricamato sopra Kevin e Tanya fosse veramente tutta una frottola… Ma non appena sentì le parole di Kevin, si ricredette.

“Perché mi hai lasciato?”

“Come, scusa?” boccheggiò.

“Sei scappata, mi hai lasciato a New York senza nemmeno un biglietto, un messaggio.” Continuò. “Ci deve essere un motivo, no?”

“Oh, ma io…” cosa voleva dire? Che alla fine quella che si era comportata da stupida era lei? Era passata da vittima a carnefice. Kevin la stava accusando, quando invece sarebbe dovuta essere lei quella ad accusarlo. “No, io non sono scappata.” Cercò di sorridere, sentendo però delle fitte al cuore che a intervalli irregolari le mozzavano il fiato. E ora cosa avrebbe dovuto dirgli?

“Sì che sei scappata. Da un giorno all’altro.” Lui la guardava dritta negli occhi. Sembrava sincero e, nella sua sincerità, il pretendere una risposta era qualcosa di obbligatorio. Ne aveva il diritto. Ma lei non era scappata, non l’aveva lasciato. O meglio, l’aveva fatto, ma non era affatto come credeva lui. Ma come avrebbe fatto ora a rovesciare la frittata? Ecco, avrebbe dovuto parlare a scapito di sembrare insistente, non avrebbe dovuto lasciar cadere il discorso come se non fosse stato importante. Era essenzialmente importante, invece!

“Ma,” provò a rispondere. “Non è come pensi.” Non c’era verso di controbattere: qualunque cosa avesse detto, l’avrebbe fatta passare per superficiale, mentre lei aveva avuto le sue ragioni. Gliel’aveva detto pure Janet – testimone dell’ambiguo rapporto che si era creato tra Kevin e Tanya.

“Allora spiegami, perché sono stato davvero male in questi giorni.”

“Be’,” per quanto cercasse di risollevarsi, a sentire quelle parole non poté che sentirsi colpita al petto da una freccia appuntita. “Avresti potuto chiamare tu, no?” sorrideva ancora, ma dentro sentiva che quella sua accusa era ingiusta. Non poteva venire fuori così, e accusarla. Sì, insomma… Lei aveva cercato esattamente di fare la stessa cosa, ma era anche vero che lei aveva le sue buone ragioni. Poi sospirò: certo, come lei aveva avuto le sue ragioni, probabilmente anche lui ne aveva delle sue. Non era giusto dargli addosso, dopotutto aveva detto che c’era stato male… E aveva fatto sette ore di volo solo per poterla rivedere. Doveva pur voler dire qualcosa tutto questo, no?

“E come potevo?” la guardò tristemente. “Pensavo tu mi avessi lasciato, che non mi avresti nemmeno più voluto sentire.”

“Hai ragione…” ammise. Ai suoi occhi, il suo comportamento doveva essere stato proprio uno dei peggiori. Non ci si comporta così, Andie. “Però potevi provare a chiamarmi, io l’avrei fatto.” Si lasciò sfuggire, ma non se ne pentì.

“L’avresti fatto seriamente?” le strinse la mano, sorridendole.

“Sì.”

“Andie, io ho addirittura preferito venire a trovarti.” Continuò, mentre la guardava intensamente con i suoi occhi verdi. Andrea si imbarazzò nel vederlo a sua volta imbarazzato. Non era da tutti i giorni vedere un ragazzo come Kevin arrossire. “Ho passato tutti questi giorni ad arrovellarmi il cervello per capire perché tu te ne fossi andata senza dirmi niente.” Spiegò, massaggiandole il dorso della mano con il pollice. “Pensavo che fosse per qualcosa che avevo fatto. Ho pensato a tutto, a quando non sono potuto venire a prenderti in ufficio, a quando ho dovuto annullare la cena da tuo padre. Oppure quando per sbaglio ho buttato il peluche che ti aveva regalato Julia per il tuo sedicesimo compleanno…” Elencò, facendo sentire Andrea ancora più in colpa. Si era arrabbiata – sfociando in un pianto quasi isterico – solo per l’episodio del pupazzo, che comunque era successo quasi un anno fa, ma era incredibile come Kevin potesse pensare che lei se la fosse potuta prendere per altre cose come quelle scemenze.

A questo punto, l’unica cosa che ancora la frenava era l’ammettere il vero motivo per cui lei se n’era andata. Da quello che Kevin le aveva detto con così tanto sentimento, lei aveva capito che doveva essersi inventata tutto, presa in un attacco di gelosia, chissà. Kevin non poteva averla tradita.

“E io che pensavo tu mi avessi tradito.” Sorrise vergognandosi delle sue parole, mentre con una mano, fingendosi di sistemarsi i capelli, si copriva gli occhi.

Kevin non rispose subito, quasi tentennasse. Sembrava cercare le parole per risponderle, ma era comprensibile: chiunque non troverebbe le parole per confutare un pensiero simile. Lei per prima era rimasta spiazzata dalle sue domande.

“Cosa vuoi dire?” disse, infine.

“Be’, ti ho visto insieme a Tanya, qualche giorno prima di partire.” Spiegò lei, fissando l’erba umida ai suoi piedi. “Eravate un po’… Ambigui, ecco.” Sorrideva, un sorriso di circostanza, perché avrebbe voluto sparire per sottrarsi allo sguardo stranito di Kevin.

“Ah…” Fu l’unica risposta. Andrea si voltò il minimo indispensabile per osservarlo con la coda dell’occhio: era pensieroso. Si passò una mano sul viso e poi sui capelli, scarruffandoli ancora di più, sebbene il vento leggero che li avvolgeva facesse altrettanto ad intervalli irregolari, con lievi folate che – proprio come quella che avvertì Andrea in quel momento – la ghiacciò fino alle ossa. E impercettibilmente, Andrea sembrò sentire quel ghiaccio anche al petto, intorno al cuore, mozzandole il fiato in gola.

“Fa proprio freddo, eh?” farfugliò, cercando di riempire quel silenzio che sembrava essersi insediato tra di loro.

“Vuoi…” roteò gli occhi lui, senza posarsi su di lei. “Vuoi andare in un bar a riscaldarci? Una tazza di tè, di caffè…?”

“Sì, d’accordo, è meglio.” Entrambi si alzarono e raggiunsero l’uscita del grande parco, accompagnati dal vento che li spingeva alle loro spalle.

Poi Kevin parlò. Sembrava imbarazzato. “Certo che per fraintendere il mio rapporto con Tanya, insomma… Eri molto stressata in quel periodo, eh?”

“Forse sì.” Annuì, stringendosi a lui. “Scusa,” mormorò poi. “Non volevo arrivare a tanto, ma mi è arrivata quella proposta poco dopo e io ho accettato senza pensare.”

“Potevi parlarne prima con me.”

“Sì, lo so.” Continuò ad annuire mesta lei, camminando al suo fianco, lungo le vie di Amburgo. “Vorrei davvero averlo fatto. Sono stata malissimo in questi giorni.” Confessò.

Arrivarono davanti ad un locale dall’aspetto moderno, sebbene all’interno presentasse un arredamento antico, quasi rinascimentale tendente al Barocco, tanto era curato e dinamico. Entrarono e si sedettero in un angolo, proprio affianco ad una vetrata che guardava la strada e una piccola stufa che emanava un calore decisamente apprezzato. Andrea si tolse la sciarpa, il cappello e rimase ancora un po’ con il giacchetto, sebbene l’avesse aperto. Poi prese in mano il menù che era posizionato al centro del tavolino rotondo ed attese che anche Kevin facesse altrettanto. Tuttavia lui non si sedette, aveva preso il cellulare dalla tasca del giacchetto e stava digitando qualcosa.

“Cosa c’è?” chiese lei, allungando il collo curiosa.

“No, niente.” lo ripose immediatamente. “Devo un attimo chiamare l’ufficio. Esco, torno subito.” E si girò, oltrepassando la soglia del bar in pochi secondi.

Andrea rimase interdetta per quel comportamento freddo nei suoi confronti e si diete tutta la colpa. Non doveva dirgli ciò che pensava realmente. L’aveva solo turbato. Si vedeva da come reagiva: si era quasi completamente zittito, se prima chiacchierava allegramente, ora non pronunciava mezza sillaba se non per rispondere alle sue domande.

“Prego, vuole ordinare?” chiese una giovane cameriera, arrivando al suo tavolo con un blocco elettronico in mano e la penna nell’altro.

“Non ancora, grazie. Sto aspettando.” E con lo guardò oltre la vetrina, dove Kevin stava parlando al telefono.

“D’accordo.” E se ne andò, lasciandola sola coi suoi pensieri. Decisamente inopportuni, ecco come erano quei suoi pensieri. Perché diavolo aveva aperto bocca? Non poteva tranquillamente starsene zitta e far finta che non fosse mai successo niente? Accettare le strane scuse di Kevin riguardanti crimini inesistenti? Poteva anche inventarsi una frottola, tanto fondamentalmente non lo avrebbe mai saputo. Peccato solo che lei sperasse che anche lui ci facesse una risata come si era sentita di farla lei, sebbene fosse imbarazzata. Sembrava essere stato tutto un enorme sbaglio, e invece che cercare di sistemare le cose, Kevin sembrava proprio non volerne parlare.

Attraverso il vetro lo vedeva gesticolare animatamente, mentre camminava in su e in giù per il marciapiede. Si passava le mani sul viso e sui capelli, facendola soffermare sulla nuca, mentre sospirava esasperato. Aveva quindi assunto un’espressione più dura, quasi fosse arrabbiato e non accettasse repliche a ciò che diceva. Lei lo guardava, la testa appoggiata alla mano e sospirava. Era bello anche se si dava così tanto da fare per il lavoro. Kevin era sempre sicuro di sé, qualunque cosa facesse, anche la più colossale cazzata del secolo: lui l’avrebbe fatta andandone fiero e senza ripensamenti. Era un ragazzo – ormai un giovane uomo – davvero affascinante. Era impossibile stargli lontani, e Andrea se ne rendeva conto sempre di più, dandosi della stupida per come si era comportata con lui. Aveva creato una situazione di tensione tra entrambi, quando questa nemmeno sembrava esistere.

Accidenti a lei e a tutte le sue paranoie!

Finalmente Kevin mise il cellulare in tasca, entrando nuovamente nel locale. Si sedette di fronte a lei dopo essersi spogliato, rimanendo con la felpa grigia, il cui cappuccio sbucava da tutta una mattinata dalla stoffa del giacchetto. Prese il menù e lo scorse con lo sguardo, quasi come se già sapesse cosa prendere. Poi lo richiuse, tornando a guardare Andrea negli occhi, che si impossessò dei suoi avidamente, in astinenza da quel colore e dal loro magnetismo. Le abbozzò un sorriso e le prese una mano tra quelle grandi sue. Andrea lo fissava quasi in estasi. Adorava quando lui giocava con le sue mani, disegnandoci sopra linee astratte che le procuravano brividi lungo tutta la schiena.

Solo quando finalmente il sorriso si rilassò, Andrea sembrò tornare a respirare profondamente, come se non fosse più costretta ad aver paura di dargli ulteriore fastidio con il rumore del suo respiro. E in quel momento pensò che tutte le sue paranoie si erano rivelate esattamente come sempre: totalmente inutili.

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Oimmena, gente, far passare così tanto tempo è veramente pessimo da parte nostra, ci scusiamo tantissimo! Università e vita sociale - che in questo periodo di appelli estivi è ridotta all'osso - sono un paio di motivi che ci hanno tenute lontane. Anche noi stesse ci siamo sentite poco, ultimamente. Abbiamo però messo su questo capitolo nonostante le avversità, lottando contro il tempo! Siamo state delle guerriere valorosissime - ed estremamente lente - ma ci siamo fatte valere!

Ok, idiozie a parte, che ne dite di questo capitolo? Fondamentalissimo! Arriva il tanto atteso Kevin! Ve lo sareste aspettato così? Vi sareste mai aspettate situazioni come queste? Be', è un capitolone! Forse un po' più breve dei precedenti, ma colmo di novità, dai pensieri del nostro Gustav sulla situazione in generale, alla passeggiata tra Andrea e Kevin, passando tra le solite battute che tra tutti si rivolgono anche in momenti ufficiali come le riunioni di lavoro. Ci sarebbe tanto da dire su questo capitolo, ma non vogliamo anticiparvi niente, aspettando le vostre considerazioni al riguardo. Sicuramente ne avrete di cose da dire (magari anche solo offese per il colossale ritardo con cui abbiamo aggiornato XD)...!

Insomma, aspettiamo i vostri commenti, ringraziando nel mentre ruka88, tittikaulitz, EhMaco e CowgirlSara. Ormai qui abbiamo lettrici fedeli, eh! Speriamo che questi aggiornamenti a distanza di anni non vi scoraggino! Dai, gente, la storia sta per toccare gli apici! :D

E detto questo, vi salutiamo. Risponderemo ai vostri commenti tramite l'opzione presente nella pagina delle recensioni, quindi anche per oggi, si chiude qui.

Alla prossima, gente!

  
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