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Autore: tersicore150187    15/06/2011    10 recensioni
In un ipotetico sequel della terza serie, è ambientata una storia di profondo amore e di scoperta sentimenti autentici. Per una volta non ci sono cadaveri a fare da sfondo, ma corpi vivi che sentono, tremano, amano.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Cap 6. Quando il battito del cuore supera le ombre del passato, l'amore potrà trionfare sul destino.
 
Mentre salivano le scale lui le prese la mano nella sua. Intrecciò le loro dita, sorridendo complice. Lei si voltò a guardarlo, lo vide lì, fermo in mezzo alle scale con il volto teso verso l’alto, due gradini più in basso di lei. Vide le loro mani incrociate nel buio ed incoraggiata dall’alcool che sentiva in ogni cellula del suo corpo e dalla penombra delle scale, scese un po’ più in basso e si appoggiò contro il suo petto guardandolo negli occhi. Lui quasi si sentì barcollare sotto il suo peso. Le avvolse le braccia intorno alla schiena ma, subito dopo, con un movimento veloce, mise un braccio dietro le sue ginocchia e la tirò su tenendola fra le braccia. “Castle sei impazzito? Mettimi giù!” sussurrò lei divertita. “Non ci penso neanche!”. Ora che l’aveva stretta a sé, non l’avrebbe lasciata andare mai più. Aprì la porta con una mano con la chiave che aveva rubato a Kate. Spinse col fianco la porta d’ingresso e si fermò con la donna fra le braccia in mezzo alla stanza illuminata solo dalla luce che proveniva dai vetri che si affacciavano su New York, ormai addormentata. Senza mollare la presa girò il viso verso di lei e la fissò negli occhi. Gli sembrò di arrivare fino all’anima e non potè fare altro che avvicinarsi lentamente e baciarla. In quel gesto gli sembrò che tutta la tensione, il dolore, la rabbia, fossero svanite. Provò una sensazione liquida, un benessere che lo pervase in pochi istanti. Le labbra di Kate erano mordidissime fra le sue. A stento riuscivano a riconoscere a chi dei due appartenesse un lembo di pelle, un sapore.
Poi lui lo sentì. Un lamento leggero, una voce che sembrava stare per rompersi in pianto. Qualcuno soffriva in quella casa. Si fermò all’istante e si staccò da lei interrompendo il loro contatto. Lascò andare leggermente le braccia facendo tornare Kate al suolo. Lei lo guardò e vide i suoi occhi persi e vuoti. Gli poggiò una mano sul petto, ma lui non reagì. Dei flash gli stavano tornando alla mente. Si voltò verso il pavimento e vide dei vetri rotti a terra. Tornò a girarsi nuovamente attirato da quello che sermbrava il segnale della segreteria telefonica. Vide il telefono lampeggiare e la sua voce uscire dall’apparecchio implorando Kate di rispondergli e continuava a sentire quel lamento, trasformatosi ormai in un pianto di dolore. Gli girò la testa, riuscì a sedersi sul divano, sudato. Kate corse in silenzio a prendere un bicchiere d’acqua e si sedette al suo fianco prendendogli la mano.
 
Esposito era entrato di corsa con un fascicolo in mano che aveva sbattuto sulla scrivania in modo tale che il suo partner potesse leggerne la prima pagina. Poi si era voltato verso Castle che non si era mosso da quella sedia, vicino ad una Beckett fin troppo tranquilla. Era stato tutto…strano. Avevano chiuso quel caso. Avevano chiuso IL caso. Era finita. Kate era stata al cimitero da sua madre con un gran mazzo di fiori. Lui l’aveva vista pregare. Era in piedi alle sue spalle, mentre lei era chinata sulla tomba e non poteva vederla in viso, né tantomeno le sue mani. Ma lui sapeva che lei stava pregando. Lo sentiva, e dentro il suo cuore privo di fede in chiunque, se non nel mistero della vita stessa, lui pregava per lei ogni giorno. Poi tutto aveva cominciato a scorrere normalmente, nuovi casi, nuove indagini, qualche bevuta fuori dal distretto a cui Beckett aveva sempre detto di no, inventando ogni volta qualche scusa. Solita routine. A parte il fatto che tutti si sentivano più spenti. Castle si sforzava di essere protettivo nei suoi confronti, ma lei era sfuggente. Non che non lo fosse sempre stata, ma ultimamente lo era di più. Nessuno di loro si aspettava che una volta risolto il caso dell’omicidio della madre, Kate Beckett sarebbe diventata di punto in bianco solare, dolce e sorridente. La parte dura del suo carattere ce l’aveva dentro da sempre, quella brutta storia l’aveva solo spinta a chiudersi di più. Ma così era perfino peggio. Kate non stava reagendo.
 
Montgomery entrò nella stanza con un bigliettino in mano “Beckett lo hanno trovato”. “Dove signore?” “Si è rifugiato in una baita nei pressi di Ellenville, la polizia del posto si sta già preparando ad intervenire”. “Ok, dite di portarlo qui il prima possibile” rispose la detective fermamente. “Beckett e se ci fosse il bambino con lui? Non possiamo rischiare, devi andare”. “Ma ci vorranno almeno due ore per arrivare!” “Dirò alla squadra del posto di non intervenire e soprattutto di temporeggiare se ci dovessero essere problemi”. Castle si alzò automaticamente e prese la giacca. Lei lo guardò infastidita e lui si sentì male. Capiva Beckett, capiva il suo dolore, stava male anche lui, ma stare sotto quel suo sguardo lo torturava. Nel modo più composto che conosceva disse “Vorrei tenerti compagnia durante il viaggio, se non ti dispiace”. Lei rimase un attimo sorpresa da quella richiesta così insolitamente moderata e annuì col capo, senza parlare.
 
Il viaggio di andata fu quasi completamente silenzioso. Due ore passarono dannatamente in fretta, poiché entrambi erano totalmente immersi nei loro pensieri e questo influì soprattutto sulla lingua di Castle che, diversamente dal solito, non fiatò. Si scambiarono qualche informazione sulla strada, poi, tutto ad un tratto, la detective vide una pista di pattinaggio lungo la strada e le sfuggì un sorriso. Castle se ne accorse e decise di fare di tutto pur di non rovinare quel momento. Sempre in silenzio, appoggiò la sua mano su quella della donna, che teneva la leva del cambio dell’auto. Kate si voltò verso di lui e lo guardò un istante con stupore, lui le sorrise, prima di rivolgere il suo sguardo al vetro davanti ai suoi occhi, senza spostare quella mano.
 
L’operazione fu veloce. L’uomo crollò e venne fuori che non aveva il bambino con sé. Lo aveva lasciato ad una anziana vicina di casa, a poche miglia di distanza dalla baita. Un sequestro per la custodia, finito male. C’era scappato il morto, un ragazzo che faceva da guardia all’istituto in cui il bambino era alloggiato. Nel correre via, il ragazzo aveva fermato il padre che teneva il bambino di sei anni fra le braccia, non volendo mollare la presa. C’era stata una forte colluttazione e l’uomo era riuscito a liberarsi, infilandosi velocemente in macchina col bambino, non accorgendosi che il ragazzo che aveva spinto via con forza era caduto battendo la testa. Omicidio colposo. Non era la più leggera delle accuse, ma forse l’uomo non si sarebbe lasciato sopraffare dal dolore e avrebbe lottato per rifarsi una vita, una volta uscito, per poter stare con suo figlio. Certo, restava comunque una tragedia.
 
Castle si appoggiò alla macchina alla quale era stato sempre vicino e guardò il cielo sperando che non si mettesse a piovere. Beckett scorgendo una leggera preoccupazione nei suoi occhi si affrettò ad accertarsi che tutto fosse in regola, con gli agenti del posto e in pochi minuti fu pronta per ripartire. Sarebbero arrivati in città a sera inoltrata.
 
Lui non sopportava di vedere sul viso della donna quell’espressione cupa, triste e, adesso, anche rassegnata. Dopo la chiusura di un caso come questo si sarebbe aspettato di vedere quel guizzo, quella leggera euforia che lei era così brava a celare, ma che la rendeva comunque la miglior detective della città. La gioia della vittoria. La giustizia. Il bene che trionfa sul male.
Provò a buttarla sullo scherzo. “Hey, che ne pensi di prenderci una camera in uno di quei deliziosi motel che abbiamo visto lungo la strada?” “Castle, ma sei impazzito?” rispose lei. Se non altro non aveva un tono arrabbiato, un po’ di battibecco old style ci stava per smorzare un po’ la tensione. “E dai detective, sto solo scherzando…lo so che tu sei un tipo da playroom a cinque stelle”. Kate non potè fare a meno di sorridere e rispondergli a tono e per qualche istante a tutti e due sembrò che la magia fra di loro non si fosse mai spenta. Mentre chiacchieravano ancora un po’ “animatamente” ma in maniera più distesa, la macchina iniziò a singhiozzare.
 
“Che diavolo…” Kate era visibilmente stupita. Girò le chiavi e provò a riavviare il motore un paio di volte. Niente, la macchina non partiva. Mente Castle elencava tutte le possibili cause di quella situazione inattesa, con tono irritante secondo la detective, si trovarono davanti al cofano anteriore della macchina, aperto. Kate allungò la mano e Castle la bloccò gridando “Uoh Beckett che vorresti fare? Il motore sarà bollente non puoi toccarlo!” “Castle lascia fare a me!” rispose lei evidentemente nervosa. “No, io dico solo che forse dovremmo…” “Cosa?” Kate lo interruppe con voce irritata. Non era proprio quello il momento per battibeccare, assolutamente. No Castle.
Le loro voci che si sovrastavano l’un'altra furono interrotte da un forte rumore. Solo allora si accorsero che il buio della sera aveva ben camuffato le nuvole scure che popolavano ormai il cielo. Un lampo squarciò il manto nero e i due si ritrovarono a richiudere il motore con veloci movimenti e rifugiarsi in macchina.
Erano bagnati, seduti in un’automobile ferma, di sera, sotto un temporale, nel mezzo del nulla.
A Castle la situazione faceva terribilmente ridere, ma si trattenne per non innervosire Kate che, soprattutto in quelle situazioni, diventava terribilmente irascibile. All’improvviso sentì un lamento soffocato e pensò che la detective stesse per piangere dalla rabbia, si voltò piano verso di lei, preoccupato, e la guardò e quello che vide non fu assolutamente un pianto. Kate Beckett stava trattendendo visibilmente le risate con una mano premuta sulla sua bocca. Quando i loro occhi si incrociarono lei inziò ad indicargli il viso senza riuscire a proferire una parola, con le risate che le toglievano il respiro in gola. Rick si guardò nello specchietto retrovisore e capì la ragione di tanta ilarità: doveva essersi accidentalmente sporcato con del grasso del motore dalle mani di Kate e toccandosi la guancia si era disegnato un simpatico baffo nero. Rick decise di cogliere quella imperdibile occasione. Le risate di Kate gli aprivano il cuore come finestre di un vecchio castello, chiuse per anni, si riaprono e fanno entrare la luce del sole. Si avventò su di lei e prese a farle il solletico dicendole “Non me lo sarei mai aspettato da te! Ridere così di me, detective!”. Kate lo implorò di smettere e lui desistette ammirandola mentre si asciugava le lacrime che erano scese da sole, indomabili. La guardò a lungo, cercando di ricomporsi e, soprattutto, di trovare una sola ragione per cui fosse sbagliato essere così perdutamente innamorato di quella donna. Non ci riuscì ed in cambio ottenne un’occhiata eloquente e una frase secca.
“Forza, troviamo un modo per andare via di qua Castle”.
 
Chiamarono il soccorso stradale, i pompieri, il capitano, Castle volle aspettare ad avvisare Alexis e Martha per non farle preoccupare. La linea era disturbata a causa del forte temporale che si era abbattuto, ma riuscirono a comunicare. Tuttavia, ottennero sempre la stessa risposta. Dovevano aspettare. C’erano troppi pochi mezzi di soccorso, la strada interna avrebbe potuto subire frane in vari punti e tutti erano all’erta. Fin quando il tempo non fosse migliorato nessuno poteva andare a prenderli, anche perché non avevano coordinate precise in merito a dove si trovassero. La connessione ad internet del cellulare di Castle era disabilitata a causa della linea che andava e veniva. Per fortuna, pensò Beckett, almeno il suo gps sarebbe stato rintracciabile…fin quando…fin quando la batteria non avesse ceduto!
“Tu avresti bisogno di una baby-sitter, fai tanto la donna in carriera indipendente che non ha bisogno di avere nessuno a fianco e poi ti dimentichi perfino di caricare il cellulare in questi momenti critici”. “Castle non era previsto nessun momento critico! Ho un caricabatteria sia in ufficio che in macchina ma, chiaramente, non posso rischiare di azionare la riserva di batteria dell’automobile in queste condizioni!” “Avresti dovuto essere un tantino più lungimirante detective!”. Lei era al colmo del nervosismo. Portò la mano allo sportello e fece per scendere. “Dove vai?” urlò lui. “Se non vogliamo rimanere qui tutta la notte sarà meglio che metta sulla strada i segnali di emergenza, sperando che qualcuno passando li veda e si fermi!” urlò lei di rimando. “Oh sì certo, e tu credi che ti lascerò uscire là fuori con questa tempesta con quella giacchettina che ancora più bagnata di così risulterà inservibile?”. Così dicendo Castle prese nervosamente una busta di plastica che giaceva sul tappetino davanti a lui, la rivoltò e tentò di coprirsi come meglio poteva. Uscì rapidamente, aprì il portabagagli e raccattò, oltre ai segnali di emergenza, tutto ciò che poteva essere utile in quel cofano. Corse velocemente sotto l’acqua a circa cinque metri di distanza contando i passi come meglio poteva, mise i segnali bene in vista e tornò velocemente in macchina coperto da quella plastica sottile.
 
Quando si avvicinò alla vettura, Beckett gli aprì lo sportello per farlo entrare e lo aiutò a liberarsi le mani dagli oggetti che teneva. Una bottiglia d’acqua, una busta di crakers salati, un pacchetto di caramelle, dei fazzolettini, un k-way, un giornale arrotolato, qualche busta ermetica isolante, tipo quelle dei surgelati, e, infine, una piccola coperta. Subito lei si voltò a guardare verso il suo finestrino. Si sentiva a disagio in quella situazione, perché sapeva che stare da sola con lui avrebbe fatto venire a galla tante cose che lei stava tentando di affogare nel mare del suo animo. Ma, più di ogni altra cosa, si sentiva come un vetro rotto, tagliente, qualcosa da maneggiare con cura per evitare di essere feriti. E lei non voleva ferirlo.
 
Castle tentò di rompere il ghiaccio chiacchierando sull’utilità delle cose che la detective teneva nella sua auto. “Castle, sono un poliziotto. Devo essere preparata a situazioni di emergenza. Tu non lo hai notato, ma nel vano laterale ho una cassetta del pronto soccorso e sono addestrata ad usarla” lui deglutì vistosamente “Non su di te, che hai capito!”. “Ah, detective. Pensavo volessi torturarmi”. Lo disse senza una vera intenzione giocosa e lei se ne accorse. Si voltò per guardarlo e vide che tremava per il freddo. “Stai bene?” gli chiese. “No, cioè vedi… il fatto è che quando siamo rientrati in macchina mi ero abituato alla temperatura dell’abitacolo, ma quando sono riuscito di nuovo credo che la seconda acqua e il freddo mi abbiano infastidito un po’ troppo”. Abbozzò un sorrisetto e Beckett gli toccò il cappotto, non era bagnato, ma umido e decisamente freddo. “Levalo, andiamo” lui la guardava perplesso. “Su, prenderai un malanno!”. Lo aiutò a togliersi velocemente il cappotto, per fortuna quel giorno Castle indossava una maglia a girocollo invece della camicia, sicuramente quell’indumento faceva al caso suo in quel momento. “A me è andata meglio” disse la detective togliendosi a sua volta il cappotto e poggiandolo sulle braccia e sul petto dello scrittore. “L’acqua è scivolata sopra e poi io sono uscita una volta sola dalla macchina”. Lui la guardò con dolcezza e riconoscenza, pronto ad ammettere una sua debolezza davanti alla donna. “Grazie” le disse leggermente. “Di niente. E poi chi ti sopporterebbe malato?” “Oh beh, vedi il lato buono, se mi ammalo non vengo al distretto almeno per qualche giorno e non ti do’ noia”. Non era da Castle autocensurarsi in questo modo, Beckett si sentì quasi in colpa. “Scocceresti tua madre e tua figlia. E io sarei costretta a venire a trovarti e a beccarmi anche i tuoi microbi. Non credi sia abbastanza?”. Lui rise sommessamente, un po’ tirato su da quelle parole giocose. Lei lo guardò e gli disse “Ok Castle, ora sfregati le mani con forza sulle braccia, sul petto e sulle spalle. Produrrà un po’ di calore. Ma attento a non agitarti troppo, devi cercare di non sudare”. Colpita da quelle sue stesse parole così premurose, Beckett gli sistemò il cappotto addosso, mentre lui iniziava a massaggiarsi per ottenere il desiderato tepore. Dopo di che, si appoggiò con la testa sul sedile, reclinandolo leggermente e chiuse gli occhi per un istante.
 



Angolo dell'autrice:

Cari lettori,
vi ringrazio sempre per l'affetto con cui mi seguite e vi chiedo scusa se, a volte, lascio passare molti giorni tra un capitolo e l'altro. Cercherò di rimediare in futuro.

Il titolo del capitolo è tratto da un brano del romanzo "Il segreto nel cuore" di Nicholas Sparks.

Un abbraccio a tutti,

Tersicore150187

  
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