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Autore: Yumeji    15/06/2011    4 recensioni
Il rumore di diversi spari attraversarono quel apparentemente tranquilla mattinata di inizio autunno, tingendo di altro sangue i muri del monolocale disabitato.
La vita "tranquilla" di Arthur verrà distrutta, Francis però lo vuole vuole aiutare. Ma il nostro inglesino accetterà mai di lavorare con un investigatore francese squattrinato specializzato in casi paranormali?
[Scusate per il ritardo, mi impegnerò per riprendere la storia tra breve ^^ ]
Genere: Avventura, Commedia, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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La fine dei dolci e semplici giorni scontati, in cui bastava solo una pistola a salvarti la vita.





La testa dell’uomo saltò via, rotolando a terra portandosi dietro una lunga scia di sangue, la quale andò a tingere di un tetro scarlatto il pavimento lurido della stanza, sul suo volto l’espressione terrorizzata, confusa e quasi supplicavele, di un attimo prima del giungere della morte, dell’arrivo della scure sulla fragile pelle.

L’inglese arretrò spaventato da quella scena, sino a trovarsi con le spalle al muro, troppo incredulo e sconvolto per riuscire ad emettere un solo suono che non fosse un grido strozzato. Non si rendeva conto, non comprendeva, cosa aveva appena visto accadere al suo compagno, tutto era successo troppo in fretta per essere vero.  
Meno di un istante, il riflesso di un ombra sfuggevole sulla parete, e il corpo dell’altro era già a terra privo di vita, mancante non solo della testa ma anche degli altri due arti superiori, immerso in una larga pozza cremisi.
Se non avesse avuto indossò la divisa del suo superiore, non sarebbe mai stato in grado di riconoscerlo, si disse Arthur guardandolo con orrore, avvertendo un familiare dolore cominciare ad invadergli il petto. L’ombra attraverso nuovamente il muro della parete opposta alla sua.
Dalla finestra semidistrutta sulla destra la tenue luce dell’alba cominciava a farsi largo sul grigio asfalto del lurido vicolo su cui si affacciava, arrivando persino ad illuminare il terzo piano di quel palazzo fatiscente.
-Fuck! Adesso ti fai ammazzare stupido francese!?- esclamò con un panico crescente l’inglese, maledicendosi per aver voluto rispondere a quella chiamata, infondo il loro turno avrebbe dovuto essere già finito da un pezzo. Perché aveva insistito tanto? Perché!?. Se gli avesse dato ascolto. “No! Idiot, i sensi di colpa te li farai venire più tardi! Ora devi solo pensare a come tirarti fuori da questa situazione senza farti uccidere” urlarono i suoi pensieri, riuscendo finalmente a riscuoterlo dallo shock nel quale era caduto, ricordandogli di avere ancora la propria pistola riposta nel fodero. Forse ce la poteva fare, doveva solo essere fortunato.
Nella penombra, qualcosa cominciò a muoversi, e dei brividi cominciarono a pizzicare Arthur dietro la nuca, “A-spetta...” si disse avvertano dei passi lenti e pesanti far scricchiolare il pavimento mezzo marcio pieno di tarli e polvere, a poco meno di due metri da se, “aspetta, non ancora...” i passi tacquero e un luccichio spezzo la semioscurità sempre meno opprimente con il veloce giungere del giorno, “... ci siamo quasi”.
Arthur iniziò a digrignare inconsapevolmente i denti, mantenendo la sua posizione, ancorato al muro con le braccia rigide lungo i fianchi, in allerta ad ogni minimo movimento.
Per lui non era facile.
Era sempre stato troppo precisino per fare una qualsiasi cosa che non fosse programmata sino nei minimi dettagli, e adesso stava affidando la sua vita ad una scommessa.
Un ultimo scricchiolio di un’asse e l’aggressore piombò minaccioso su di lui, impugnando la temibile scure, puntandola alla giugulare dell’inglese.
“Ora!” la mano giunse veloce al fodero dell’arma.

Il rumore di diversi spari attraversarono quel apparentemente tranquilla mattinata di inizio autunno, tingendo di altro sangue i muri del monolocale disabitato. Sul pavimento rimanevano due cadaveri.
- E m-eno male che ci avevano chia-mato solo per dei ru-mori molesti..- ironizzò Arthur con il fiatone e la fronte imperlata di sudore, anche lui accasciato a terra, una spalla sanguinante. Quel bastardo era riuscito a ferirlo nonostante gli avesse impiantato ben tre pallottole in corpo prima che lo raggiungesse.
Chissà di cosa si era fatto per essere riuscito a rimanere in piedi con quel genere di ferite?  
L’inglese si era ritrovato costretto a dover mirare alla testa per non fare la stessa fine del suo compagno.
Ora il corpo dell’uomo con la scure gli stava disteso davanti, sembrava essere un barbone ipotizzò dagli indumenti indossati e dal puzzo che lo ricopriva, ma perché un semplice disadattato si sarebbe ritrovato ad attaccare due poliziotti senza alcun motivo?
Che qualcuno lo avesse incaricato di proteggere quella stanza in cambio di cibo? “Improbabile, non c’è nulla qui...” si rispose, e già mille e altre domande iniziarono ad occupargli la mente, ma il dolore alla spalla gli impediva di essere abbastanza lucido da ragionare adeguatamente, e la stanchezza accumulata in quella notte passate a fare la ronda per il quartiere iniziò a farsi sentire. Le palpebre di Arthur divennero pesanti sugli occhi, simili a macigni.
Il panico, ormai scomparso, lo lasciò svuotato e triste, infinitamente triste, con un pesante senso di colpa a stringergli il cuore. Se fosse stato meno testardo probabilmente quello stupido francese non sarebbe morto, anzi, in quel momento lo starebbe perseguitando nel tentativo di costringerlo di prendere un birra con lui per festeggiare la fine del turno.
Una lacrima gli solcò il viso quando i suoi occhi si chiusero vinti dal sonno e, in lontananza, arrivò l’assordante rumore di almeno tre sirene delle polizia.




[Una settimana dopo...]

Il suo risveglio non fu certo dei migliori, visto che si ritrovò disteso in un letto d’ospedale con una flebo conficcato nel braccio, monitorato da strani macchinari e fasciato dalla spalla ferita a buona parte del torace, avevano abbondato con le bende.
No, di certo questo non si definiva una bella sorpresa, soprattutto per lui.
Prima ancora di aver riaperto del tutto lo sguardo, Arthur avvertì subito un forte fischio riempirgli le orecchie, accompagnato da un atroce mal di testa, e imprecò a se stesso per aver perso conoscenza. Dovevano averlo riempito di farmaci.
L’inglese sbuffò irritato lasciando vagare la mente stanca, appannata dalle cure che stava ricevendo, lenta e appesantita da tutti quegli agenti chimici.
Quanto odiava quella sua reazione ad ogni tipo di medicinale, si sentiva come estraneo al proprio corpo, e per di più proprio non riusciva a sopportare l’olezzo di disinfettante sparso in ogni singolo centimetro quadrato dell’edificio, per non parlare del cibo scadente dal sapore inesistente.
E questi erano solo i primi di una lunga serie di motivi per la quale l’inglese evitava in qualunque modo gli ospedali, anche se principalmente, era perché ogni volta che si era ritrovato ricoverato ( incidenti vari, spesso sul lavoro), era sempre costretto a dover prolungare la sua permanenza in quel luogo un po’ più del previsto.
Era capitato, quando magari il ragazzo aveva già preparato i bagagli e stava per prendere la porta, che un dottore (mai visto prima) se ne uscisse con la frase: scusa, ma dobbiamo fare degli “accertamenti", o simili, inchiodandolo cosi di nuovo a letto. “Lo facciamo per il tuo bene” aggiungevano, Arthur però aveva sempre avuto la sensazione di essere trattato come una cavia da laboratorio. Era come se medici ed infermieri fossero pronti a vivisezionarlo da un momento all’altro, ma forse quella era solo una piccola ossessione associata alla sua fobia per tutto ciò che trattava l’ambito medico.
Non aveva mai avuto un buon rapporto con i farmaci, i vaccini gli causavano l’orticaria, e gli incessanti bip della macchina per la misurazione del battito cardiaco gli urtava talmente i nervi da procurargli un forte attacco isterico dopo solo quindici minuti, insieme ad un insensato terrore di non avvertirne più il rumore, ricollegandolo al fatto che avrebbe significato la sua morte.
Insomma Arthur Kirklad aveva una vera e propria repulsione per gli ospedali, più volte nei suoi precedenti incidenti si era ritrovato a scappare dalla proprio camera prima della fine del ricovero, difatti, non poteva più farsi vedere in giro in molti luoghi se non voleva rischiare di essere riacciuffato da medici psicopatici fissati con esami assurdi e inutili.
Lui stava bene ed era probabilmente questo che non tornava.
A qualunque incidente Arthur fosse stato partecipe, non aveva mai rinvenuto lesioni gravi o che richiedessero un intervento. Certo, un osso rotto ogni tanto, ma niente che lo avesse portato alla sala operatoria e, visto a cosa era sopravvissuto, non era una cosa facile da credere.
Molti dottori, infatti, si aspettavano dovesse collassare da un momento all’altro, per un emorragia interna o per un qualcosa di non riscontrato con gli esami precedenti, era questo il motivo per cui esageravano ogni volta con gli “accertamenti”.
Ma Arthur era ben consapevole di non avere nulla, perché sempre cosi era stato.  

- Bonjour bell’addormentato...- una pessima sensazione attraverso l’inglese, accompagnata da quella voce sconosciuta, “No, un altro francese no!” esclamò la sua mente mentre si alzava a sedere di scatto, stupito e confuso nel vedere chi fosse appena giunto nella sua camera, ma la visuale gli venne subito occupata da un enorme mazzo di fiori messogli proprio davanti al naso, -... dormito bene?- chiese in tono un poco ironico l’estraneo senza nemmeno presentarsi, porgendogli le dodici rose rosse che formavano la composizione floreale.
- Chi saresti tu..?- fece invece l’inglese ignorando la domanda e allontanandolo con un gesto del braccio, colpendo cosi i fiori che gli venivano porti.
E fu in quel momento, tra una miriade di petali scarlatti e un profumo dolciastro mescolato all’odore intenso di disinfettante. Lì, disteso su un letto d’ospedale, Arthur Kirklad, agente di polizia inglese scorbutico e scostante, ventitreenne single dall’atteggiamento da vecchio ottantacinquenne, ebbe il suo primo incontro con Francis Bonnefoy.

Iniziò cosi la sua veloce discesa verso l’inferno.

Francis Bonnefoy era colui che veniva chiamato nei casi “speciali”, qual ora non si trovasse alcuna spiegazione logica nelle indagini, nel momento in cui in esse subentrava un qualcosa di non umano, sovrannaturale o semplicemente inspiegabile. Se succedeva era lui a prendere le redine della faccenda, risolvendo a modo suo il problema.
Era qualcuno la cui esistenza doveva rimanere un segreto per tutti coloro al di fuori delle stanze dei piani alti di un dipartimento di polizia.
Era la stessa persona che aveva tradito quel segreto.
- Uhm... Dalla tua espressione devi avermi riconosciuto fiorellino – fece il francese sorridendo affabile, espressione che diede subito sui nervi all’inglese, il quale aveva già sentito molto parlare di lui, come tutti del resto.
La sua storia non era più un nascosta a nessuno.
Un bel giorno quello stupido francese aveva deciso di mollare tutto e di mettersi in proprio, senza alcun motivo ne ragione. Abbandonò la polizia decidendo di votarsi solo al denaro, rendendosi disponibile solo a chi avesse avuto la possibilità di dargli in cambio un lauto compenso per i suoi servigi, non importava se questo indossasse un distintivo o fosse il capo della malavita cittadina. Arthur aveva solo un appellativo per definire le persone come lui, ed era traditore. L’uomo che aveva davanti era un insulto a tutti i buoni principi su cui avrebbe dovuto basarsi un poliziotto, non riusciva a credere fosse stato un tempo un suo collega.
La sua figura gli metteva una tale irritazione che neppure si chiese per quale motivo fosse venuto da lui.
- Non ho idea di chi tu sia, quindi fammi il favore di andartene!..-  lo congedò subito l’inglese usando un tono piuttosto brusco e freddo, era abbastanza chiaro quanto la presenza dell’altro lo infastidisse,
- Sono Francis Bonnefoy – si presentò l’altro con un leggero inchino, cosa che lo fece somigliare ad un gentiluomo di altri tempi,
- E allora..? Vattene subito – continuò ostile Arthur, era un traditore ed un francese, due fattori per cui, anche se presi singolarmente, non sarebbe mai riuscito nemmeno a rimanere più di una quindicina di secondi nella stessa stanza senza tentare di ucciderlo.
- Come siamo irritabili fiorellino, hai detto tu di non avere idea di chi io sia, per questo ho dovuto fare la fatica di presentarmi...- sbuffò con un fare teatrale Francis, scostandosi con un elegante gesto i capelli biondi dal viso, -... E adesso che ci conosciamo non puoi più cacciarmi – continuò regalandogli un sorriso strafottente, facendo l’occhiolino,
- Qu...questa non è una cosa che decidi tu! – ribatté l’inglese rosso in viso dalla rabbia, additandolo con l’indice della mano destra, un comportamento tutt’altro che da gentleman, ma quel suo fare da cascamorto gli dava alla testa, aggiungendosi alla già lunga lista delle cose che di lui non sopportava, la quale sfiorava l’infinito nonostante si fossero incontrati da nemmeno due minuti.

– Esci subito da questa stanza! – continuò a ribadire e qualcosa sembrò spezzarsi, un attacco di tosse lo colse impreparato mentre la testa cominciava a dolergli ancora di più.
Voleva ucciderlo, questo era il desiderio che gli era balzato alla mente sin da subito.
Solo in quel momento Arthur se ne rendeva conto, ma gli era bastato un unico sguardo a quel bel faccino dai lineamenti femminei e un brutale istinto omicida si era risvegliato in lui. La mano sarebbe corsa subito alla pistola se solo l’avesse posseduta e la cosa non gli piaceva, perché reagiva cosi?

L’inglese non riusciva comprendeva pienamente tutta quella rabbia risiedente nel suo animo, ma non aveva intenzione di trattenersi a spaccargli la faccia se quella rana gli si fosse avvicinata ancora, la sua colonia era cosi intensa da annebbiargli la mente.
- Esci fuori cuccioletto..- Arthur non seppe con quale lingua Francis gli parlò, di sicuro però non era francese, quello un poco almeno lo capiva, e la cosa non gli importava più di tanto, piuttosto, si chiedeva come avesse fatto ad avvicinarsi a lui abbastanza da sussurrarglielo con un fil di voce all’orecchio e come, pur non riconoscendo le parole, le avesse in qualche modo comprese.
- C-come..?- balbettò l’inglese, ora un inspiegabile panico accelerò i battiti del suo cuore, aumentandone il mal di testa,
- Cuccioletto se proprio vuoi posso sempre usare le maniere forti- parlò nuovamente con quelle strane parole, la sua espressione era fredda e seria, e per un momento nel petto di Arthur persino la circolazione del sangue sembrò fermarsi, la stanza ai suoi occhi venne avvolta dall’oscurità, calarono le tenebre, anche se durarono solo pochi istanti.
- N-on puoi farlo, il ragazzo è ancora vivo...- Arthur sentì la propria voce rispondere all’altro nella stessa lingua sconosciuta, ma non era lui a parlare, qualcosa sembrava farlo al posto suo,
- Ammirevole da parte sua resistere tanto, ma un fiore a cui si recidono le radici finirà solo per appassire – fece il francese tornando a parlare in modo a chiunque comprensibile, mentre osservava apatico l’inglese davanti a se.

Bonnefoy sbuffò seccato costatando come gli occhi, da prima verdi del ragazzo, erano divenuti di un intenso colore scarlatto, simile al sangue, e non vi trovò più nulla di normale in loro, la pupilla si era allungata, assottigliandosi come quella di un felino. – Ormai il suo destino è comunque segnato. Non ci sarà molta differenza se morirà a causa tua o mia – continuò parlando a quella cosa che aveva preso il possesso del corpo dell’inglese. “mi ucciderà!” fu l’unico pensiero veramente proprio di Arthur, - ... Se voi “cosi” avete un anima faresti meglio a pregare il tuo dio di risparmiartela, perché non sarà un bel posto dove ti manderò- fece sempre Francis accennando ad un sorriso divertito vedendo come Arthur iniziò a tremare, felice di riuscir a riempire quello sguardo dalle tinte dell’orizzonte di puro orrore. Non si credeva tanto bravo, ma probabilmente era perché di fronte a lui vi era uno di “quelli” del rango inferiore, niente di più di un fastidioso insetto.
- T-tu sei u-un mostro!-  lo insultò l’inglese avanzando di scatto verso di lui, nell’ultima azione disperata di un condannato a morte, e nello stesso momento Francis portò svelto una mano sotto la giacca, i suoi riflessi furono però troppo lenti.
L’essere nel corpo di Arthur riuscì ad atterralo sovrastandolo, stupendosi persino di esserci riuscito, - Allora non sei poi cosi forte come dicono- si ritrovò a dire non riuscendo a trattenere una risata vittoriosa,
- No, sei tu che sei fortunato cuccioletto- lo corresse il francese sostenendo senza paura lo sguardo del nemico, anzi, sorridendogli ironico, - O forse dovrei dirlo a te fiorellino?- chiese.

- Non voglio che tu mi uccida!- urlò Arthur terrorizzato, versando calde lacrime sul viso dell’altro, era ingiusto dover fare una fine cosi misera, ma cosa?... gridò confusa una voce nella sua testa, la stessa di colui che l’aveva posseduto, com’è possibile?!
- Non ti preoccupare. Adesso non è più necessario che lo faccia - lo rincuorò Francis, scostandolo da lui, mettendosi a sedere al suo fianco, l’inglese tiro su un paio di volte con il naso, asciugandosi gli occhi, si vergognava da morire nel essere visto cosi da qualcuno, ma al momento non gli importava molto, come è possibile?! Si ripeté la voce causandogli una fitta al cervello che lo portò d’istinto a tapparsi l’orecchie, chiudendo gli occhi, anche se non servì a molto,
- Semplice, le radice di questo fiorellino sono rinate o, forse, non sono mai state tagliate-  rispose Bonnefoy poggiando le mani dove Arthur teneva le proprie.
L’inglese avvertì un leggero calore a contatto con la pelle dell’altro, il quale sembrò pronunciare parole ancora più incomprensibile di quelle di poco prima, e subito un urlò agghiacciante invase la testa dell’inglese, che sembrò sul punto di spaccarsi, arrivando a raggiungere sino le radici più profonde del suo animo.
Infine fu il silenzio e, l’ultima cosa che Arthur vide prima di scivolare nel dolce oblio dell’incoscienza, il sorriso leggermente divertito di Francis, il quale gli augurò ad un respirò dal viso “au revoir fiorellino”.  



[Due giorni dopo...]

- Li... Licenziato?! Come potete licenziami?!- si ritrovò a gridare Arthur in un misto di incredulità e frustrazione, non poteva credere a ciò che gli stavano dicendo,
- Hai capito bene Kirklad, restituisci pistola e distintivo- lo invitò nuovamente il suo superiore, ostentando un espressione gelida ed assente,
- Spiegamene almeno il motivo!- urlò l’inglese battendo violentemente le mani sulla scrivania del proprio capo, con aria di sfida, cercando di sfogare almeno un poco la rabbia che sentiva sempre più montare nel proprio petto. Non gli era mai piaciuto quel tizio, sin dal primo giorno in cui l’aveva incontrato aveva sempre mantenuto la stessa espressione qualunque cosa gli accadesse, non importava cosa, rimaneva impassibile, ed era una cosa insopportabile. Non sembrava nemmeno conoscere il significato delle parole “contatto umano”, evitava tutti parlando con qualcuno solo quando era costretto, come in quel momento in cui gli stava chiedendo “gentilmente” (sembrava ignorare anche il significato di quella parola) le dimissioni.
- Hai ucciso un uomo in preda all’ira perché aveva fatto fuori un tuo compagno. Qualcuno di tanto efferato non può pretendere di mantenere il distintivo- la sua tonalità di voce rimase piatta come una tavola, tanto da mettere i brividi Arthur,
- Efferato? Cosa stai dicendo, ho dovuto ucciderlo per non fare la stessa fine di James!- ribatté l’inglese, - Quel pazzoide stava tentando di far fuori anche me!.- tento di spiegarsi, ma l’altro non sembrava voler ascoltare ragioni. Con calma si alzò dalla sedia dandogli le spalle, scuotendo leggermente la testa sdegnato, improvvisamente sembrò diventare estremamente vecchio, e le rughe sul suo volto s’infittirono, anche se erano state causata il per lo più dallo stress che dal tempo. Respiro profondamente, quasi stesse cercando di trattenersi prima di parlare,
-  Hai sparato tre colpi nel corpo di quel bastardo prima di ritenerti soddisfatto! Non uno, tre!! Questa non si può considerare legittima difesa!!- lo sguardo che Arthur ricevette fu tanto freddo da gelarlo sul posto paralizzandogli la lingua, la quale avrebbe voluto dire “si è vero ma solo perché quello continuava ad avanzare” -... Già al primo colpo quel poveraccio doveva essere a terra, ma tu hai continuato ad infierire prima di sparagli dritto in fronte. Non ho idea di come tu ti sia poi procurato quella ferita alla spalla, potresti anche essertela causato da solo, non mi interessa. Resta il fatto che tu da adesso sei fuori- e sotto quegli occhi che avrebbero gelato l’inferno, la rabbia di Arthur si acquieto tramutandosi in una logorante e vuota frustrazione che gli divorò lo stomaco, la bocca rimase muta, in silenzio, senza trovare più parole, o forse avendone troppe da dire (lui che si feriva da solo, ma quali scempiaggini erano?).
Mentre se ne andava non gli passo nemmeno per la mente di chiedere chi era l’uomo che aveva ucciso James, tanto entrambi erano morti, non avrebbe fatto molta differenza, e comunque nessuno glielo avrebbe più detto adesso che se ne andava privato dell’uniforme.

Arthur camminava solo per le vie della città, nel petto il forte impulso di piangere, sulle mani la gran voglia di spaccare la faccia a qualcuno. Non riusciva ancora a capire come avessero potuto fargli una cosa simile, licenziarlo, e da neanche un giorno che era stato dimesso dall’ospedale.
L’inglese si sentiva fortemente abbattuto mentre, sovrappensiero, entrava nel parco che stava giusto di fronte all’entrata della metro, trovandosi a calpestare un mucchio di foglie secche che ricoprivano il suolo. Solo quando senti il loro scricchiolio sotto alla suola delle scarpe Arthur sollevò lo sguardo, rendendosi finalmente conto di dove fosse finito, e un leggero ed amaro sorriso gli incurvò le guancie. Per quanto cercasse di ignorarle il richiamo era per lui troppo forte.
“Tanto sono un disoccupato, non ho di meglio da fare se non perdere tempo...” si disse alzando sconsolato le spalle, cercando una panchina isolata, priva di occhiate indiscrete e di drogati in cerca di un posto sicuro per farsi una dose.
La trovò non troppo lontano dal punto in cui era in quel momento, proprio sotto ad uno di quei alberi sui quali rami rimaneva ancora aggrappata qualche foglia, nonostante l’inteso avanzare dell’autunno.
L’inglese si sedette e, assicurandosi che non vi fosse nessuno, iniziò a fischiettare.
Ma non stava fischiando a caso, come un qualunque passante avrebbe potuto credere ascoltandolo, no, stava seguendo una precisa melodia. Una canzone priva di parole e in apparenza anche priva di senso, in quel miscuglio infinito di note, il cui significato però era ben noto ad Arthur e a chi voleva richiamare con essa.
- Dai Arthur non ti abbattere... Si, infondo non è nulla di che- parole dolci e gentili gli giunsero all’orecchio per confortarlo, mentre leggere figure, simili a farfalle, cominciarono a prendere forma intorno a lui, svolazzandogli attorno simili a falene attratte da una fiamma,
- Grazie ragazze- fece Arthur, concludendo il motivetto, allargando un poco il proprio sorriso, il quale però non gli raggiunse lo sguardo,
- Uh-uh, sei cosi carino quando fai la faccia da cucciolo bastonato... Ah-ah è vero-  continuarono a parlare quei piccoli e strani esseri, e l’inglese non riuscì a trattenersi dal raccogliere una di esse in mano, lasciandosela posare sulle proprie dita, ricoprendole cosi di una leggera polvere dorata, simile a quella che si usa per le decorazioni natalizie.
- Siete gentili come sempre- disse causando una serie di risolini, ah, quanto amava Arthur quelle risate, non vi era niente di più bello che quelle loro voci limpide e cristalline, come l’acqua, potessero pronunciare.
- Adesso capisco, sei un pupillo del popolo fatato...- una voce a lui nota gli arrivò però alle spalle distruggendo quel suo effimero istante di felicità.

- Francis!?! Cos..Cosa ci fai qui!?- esclamò Arthur saltando letteralmente in piedi dallo spavento, rischiando di investire le sue piccole amiche, le quali trasalirono inorridite alla presenza dello sconosciuto e si nascosero velocemente dietro le spalle dell’inglese,
- Niente di particolare, volevo solo vedere come stava il mio fiorellino- rispose sorridendogli affabile il francese, -... Ho saputo che ti hanno “tirato fuori”- aggiunse mantenendo la medesima espressione cordiale, cosa che non piacque all’altro.
Nonostante non provasse per lui lo stesso istinto omicida del loro primo incontro, non significava che Arthur lo trovasse improvvisamente simpatico, anzi, dopo il suo giochetto dell’ultima volta “io ti uccido” l’antipatia che provava per quel francese era notevolmente aumentata.
- Si, ma non sono cose di cui ti dovresti interessare stupid frog- lo ammonì incrociando le braccia al petto, non aveva mai amato chi si faceva gli affari degli altri, soprattutto se quegli “affari” erano i suoi.
- Oh-oh, stupid frog? Ci siamo già dando ai soprannomi?..- rise senza alcuna allegria Bonnefoy, nascondendo malamente una leggera irritazione per quel nomignolo poco gradito,
- Se non sbaglio, pur conoscendo il mio nome sin dal principio, tu mi hai sempre chiamato “fiorellino”- replicò con voce piatta Arthur, provando una leggera soddisfazione nell’avergli suscitato quella reazione di stizza.
- Fiorellino, che soprannome carinooo!!... Dai Arthur presentacelo quel bel pezzo d’uomo- parlarono i piccoli esseri, sussurrando all’orecchio dell’inglese,
-Shh!.. Zitte!- gli ordinò questi a bassa voce, ma con un tono che non ammetteva obbiezioni, perché, a differenza delle sue amiche, lui aveva ben sentito la prima frase detta dal francese, e la cosa non gli tornava.
Nessuno avrebbe dovuto vederle, certo, nessuno tranne lui. Per quale motivo? Non lo sapeva, semplicemente, era sempre stato cosi.
- No, no lasciale purè parlare, tanto sono abituato ai complimenti- fece Francis accentuando le varie note di vanità nella sua frase e, nuovamente, Arthur se lo ritrovò vicino senza nemmeno rendersene conto, come quella volta in ospedale, un momento prima era a qualche metro da lui, l’istante dopo i loro respiri quasi si mescolano l’uno con l’altro per la vicinanza.
-Tu..! Tu le v-vedi?!- balbettò quasi urlando Arthur, arretrando quasi ne fosse spaventato, avvertendo un forte calore sulle guance. Perché era arrossito?
- Ovviamente. Vedere certe cose è il mio lavoro- ammise il francese scostandosi i capelli dal viso e sorridendo orgoglio, mostrandosi cosi in tutta la sua gloria, ma l’inglese non capì la perfezione della posa da lui assunta e pensò che fosse affetto da chissà quale strana malattia mentale, non sapeva che quel gesto era frutto di ore e ore di dure prove passate a rimirarsi nello specchio del bagno.
- Cosa intendi per “certe cose”?- gli chiese Arthur assottigliando gli occhi, non li piaceva il modo in con il quale aveva pronunciato quelle due parole, sembrava vi fosse qualcosa di strano nelle sue “amiche”,
- Mostri, fantasmi e via dicendo, tutto ciò che una persona “normale” non riuscirebbe a definire trovandola inspiegabile- rispose Francis indicando poi gli esseri nascosti alle spalle dell’altro, - Se tu potessi consultare un manuale della polizia della sezione “paranormale” (del quale facevo parte), potresti leggere che “loro” sono classificate come “fastidi” di grado 6, molto bassi, facili da sbarazzarsene-  
- C...Cosa?!- esclamò stupito l’inglese, “fastidi”, grado 6, sbarazzarsene? Non capiva quasi nulla di quel che gli diceva, ma di certo non gli avrebbe permesso di avvicinarsi nemmeno di un altro passo alle sue amiche, anzi, fu lui stesso ad iniziare ad arretrare, spingendole indietro.
- Eh, si. Siamo cosi stupidi da definirli “loro” senza nemmeno preoccuparci di chiamarli con il loro vero nome, parlando di “fastidi” anche quando non sono affatto nocivi, come nel tuo caso- sospirò svogliatamente Francis alzando le spalle, - Piuttosto (sempre trattando il tuo caso), potremmo chiamarle spiritelli, fatine o appartenenti popolo fatato, per essere più giusti.
Solo perché li abbiamo rinchiusi tutti in uno stesso gruppo, non significa che “loro” siano tutti uguali- continuò a parlare, Arthur però sentiva che non si stava più rivolgendo a lui, ma stava solo enunciando i fatti come erano realmente trattati. – Pensa, persino io e te siamo divenuti parte di quello stesso insieme- aggiunse tornando a guardare dritto negli occhi l’inglese,
- Eh?..- fu la cosa più intelligente che Arthur riuscì a pronunciare dopo l’ultima affermazione di Bonnefoy.

- Come non lo avevi pensato?.. Non è strano che ti abbiano licenziato solo perché hai esagerato con la “legittima difesa” (dopo che un tuo compagno è stato trucidato)? Insomma, io conosco bene la struttura di una centrale di polizia e so quanti fatti vengono insabbiati al giorno, questo in particolare sarebbe risultato nell’ordinaria amministrazione- gli fece notare il francese e Arthur ammise che si, dopo tutto aveva ragione, difatti, anche lui era venuto a conoscenza di avvenimenti simili, se non peggiori, risolti con una lieve sospensione o un ammonimento,
- Non m’importa- mentì l’inglese ritornando a sedersi sulla panchina, spinto dalle fatine che si erano stancate di nascondersi,
- Stai mentendo fiorellino... Si, si questa è una bugia fiorellino- lo ripresero subito le sue amiche, cominciandolo a chiamare nello stesso modo di Francis,
- Non vi avevo detto di rimanere zitte?..- ribatté lui colorando di nuovo le sue guance di un leggero rossore, -... Infondo non sappiamo ancora che intenzioni abbia- aggiunse a tono più basso, comunque udibile all’altro, il quale si lasciò sfuggire un leggero sorriso sghembo,
- Non ti preoccupare, non voglio far nulla alle tua “amichette”, come ho già detto le fatine non sono affatto nocive e, finché qualcuno non mi paga per toglierle di torno, non le toccherò nemmeno con un dito- tentò di rassicurarlo Francis, ma dall’inglese ricevette solo un occhiataccia storta, priva di una qualunque fiducia nelle sue parole.
- Perché dovrei crederti?..- domando scettico Arthur, -.. Non so nemmeno cosa volessi dire con quel discorso: “persino io e te siamo divenuti parte di quello stesso insieme”- citò scimmiottando un poco il suo tono di voce,
- 1) “io non parlo assolutamente cosi”- volle sottolineare Bonnefoy, ritenendosi offeso, la sua voce era profonda e soave, simile a quella di un tenore, non rauca e gracchiante come il canto di una cornacchia, - 2) Volevo semplicemente avvertiti che tu ormai, non sei solo stato serrato fuori dalla polizia, ma anche dal qualsiasi altro lavoro tu possa cercare. In pratica, sei stato buttato fuori dal mondo- gli rivelò, lasciando Arthur ancor più confuso di quanto non lo fosse un attimo prima.
- S..stai scherzando vero? Perché dovrebbe essere come dici tu?- replicò l’inglese, mentre una delle fatine gli si sedeva sulla cima della testa, stendendosi tranquillamente trai suoi capelli,
- Perché hanno scoperto che in te c’è qualcosa che non va, di non quadrante con tutto il resto del mondo, o della “normalità” come amano definirla. Quindi ti hanno chiuso fuori dalla società stessa, abbandonandoti ad una fine quasi certa- continuò a spiegare Francis sorridendogli cortese, e a quell’espressione Arthur ebbe il desiderio di mollargli un pugno, visto quanto gli risultò finta.
- E cosa avrei di cosi fuori posto rispetto al mondo?.. Illuminami- lo sfidò con un sorriso derisorio, non volendo credere a nessuna delle parole da lui pronunciate,
- Non sei morto quando sei stato posseduto, una persona normale avrebbe fatto quella fine- disse secco e impassibile il francese, rivolgendogli uno sguardo gelido, sembrava non gli piacesse che si ridesse della sua persona, -... questo ha causato delle ricerche sul tuo conto, che hanno portato alla luce un fatto, per cosi dire, “scomodo” del tuo passato- pur cercando di trattenersi, Arthur sussultò stupito nell’ascoltarlo, “allora Francis era stato mandato dalla centrale” avrebbe ricollegato poi in un altro momento, ripresosi dalla confusione che quel discorso gli stava causando, – All’età di quattro anni, sei stato rapito dalla fate-

- Ah-ah, non vorrai dirmi che sono stato licenziato per una simile stupidaggine?- cercò di scherzarci l’inglese, cominciando ad avvertire una leggera tensione nel suo petto, mentre le sue amiche cominciavano ad agitarsi intorno a lui, -... ero solo un bambino, mi sono perso in un bosco durante una gita con la mia famiglia alla casa della nonna. Non mi ricordo bene nemmeno io cosa sia successo,  semplicemente quando mi hanno trovato ho detto di aver inseguito una fata, ma quella era solo la fantasia di un bambino, probabilmente era solo una farfalla- tento di dissimulare, ma era fin troppo ovvio che l’altro non gli credesse affatto,
- Potrai anche ingannare gli altri con questa storiella, ma io vedo benissimo gli spiritelli che tu stesso hai richiamato, e solo chi ha potuto danzare con loro conosce le canzoni con cui invocarle. Poi nel tuo racconto manca la spiegazione di come tu sia riuscito, ad appena quattro anni, a sopravvivere per ben sei giorni in quel bosco dietro la casa della tua nonnina- osservò Francis sedendosi al suo fianco sulla panchina, e tocco a lui prendere questa volta un aria divertita, quasi fosse una rivincita dopo essere stato beffeggiato dall’inglese.
-... Bene, hai ragione, sono stato rapito dalle fate, e allora? Non posso credere che mi abbiano licenziato per una cosa simile, la maggior parte delle persona non avrebbe nemmeno mai creduto ad una fandonia simile- ammise finalmente Arthur, portando abbattuto lo sguardo a terra, ricordava bene quante volte lo avessero definito un bugiardo quando aveva raccontato quella storia, nessuno, tranne sua nonna, aveva mai pensato che nelle sue parole vi fosse la verità, e per molto tempo i suoi genitori avevano cercato dei rapitori inesistenti, senza ovviamente ricevere alcun risultato.
- Da allora, qualunque cosa ti sia capitata, non ti sei mai ferito- ricominciò a parlare Francis, -... e sono saltati fuori anche il numero di volte in cui sei fuggito dall’ospedale: 1.214 se non sbaglio-
- Non le ho mai contate..- divagò imbarazzato l’inglese, non gli era mai passato per la mente che qualcuno avrebbe potuto fare una ricerca simile, quindi non si era mai preoccupato di nascondere certi fatti,
- Tra lasciando le tue fughe, mister Houdini, per te è stato scomodata un certa mia vecchia conoscenza (mooolto influente) la quale ti ha archiviato come “soggetto strano” e questo ha segnato la tua fine- concluse Bonnefoy, trovandosi a fissare gli occhi smeraldini della’altro, il quale si prese qualche istante per metabolizzare bene tutte quelle informazioni.
- E perché sei venuto da me quella volta?- chiese infine, cercando di completare gli ultimi pezzi del puzzle,
- Bhè.. Ti ricordi il tizio che hai fatto fuori, quello che rimase comunque in piedi nonostante i due colpi di pistola?- provò ad ironizzare il francese, a quanto pare era stato informato bene su tutti i fatti,
- Non fare domande stupide - tagliò corto Arthur, causando le risatine delle fatine, sembrava che si divertissero a vedere quanto Francis lo irritasse,
- Va bene, va bene fiorellino- cercò di calmarlo causando invece ancor di più la sua stizza, - devi sapere che quella persona era un notò avvocato di Washington, scomparso da qualche settimana in circostanze che mi competono (eventi soprannaturali e compagnia bella, per essere breve), insomma, tramite le mie ricerche quest’uomo è risultato posseduto da una qualche entità e, quando tu l’hai ucciso, essendo l’unico essere vivente nei paraggi, essa è passata a te- fu estremamente breve Francis, non accennando a chi fosse il suo datore di lavoro, anche se Arthur ne aveva già una vaga idea, visto come lo aveva trovato cosi facilmente all’ospedale. -... Mi hanno mandato da te per “esorcizzarti” e occultare come complicazioni mediche le tua morte (te l’ho detto succede cosi alle persone normali), il viaggio però è stato lungo e ti ho trovato già sveglio quando sono arrivato, un'altra tua fortuna, perché altrimenti ti avrei semplicemente ucciso credendoti spacciato- fece ridendo nervoso, cercando di smorzare una tensione che avvertiva sempre più crescente intorno a se, Arthur però non ci trovo nulla da ridere, - O..ovviamente, se avessi saputo fin dall’inizio che tu eri un pupillo del popolo fatato, non mi sarei nemmeno preso la premura di fare un viaggio cosi lungo per arrivare fin qui, grazie a tutta quella polvere magica che ti passano, anche involontariamente, quegli esserini, sei diventato un perfetto esorcizante, per fare un esempio sei meglio dell’acqua santa per scacciare i vampiro- aggiunse crepando ancor di più la propria espressione serena, pian piano stava confermando i dubbi nascenti nella mente dell’inglese,
- E quindi..?- lo invitò infatti a continuare,
- Quindi ti saresti liberato anche sa solo di quell’entità, il mio intervento non sarebbe servito e...- Francis si accorse troppo tardi di aver pronunciato una “e” di troppo,
- E su di me non si sarebbero mai fatte delle ricerche, vero?- concluse per lui Arthur, avvolto da una nera aura oscura di malumore, l’istinto omicida si era risvegliato, e stavolta aveva delle buone ragioni per colmarlo.
- Sen...senti fiorellino, ne, ne possiamo parlare se v-vuoi...- cominciò a balbettare Francis arretrando spaventato, - Po-potresti lavora con me... Infondo hai una dote naturale per il soprannaturale- cercò di dissuaderlo dai suoi intenti, era da un po’ (da quando aveva capito il motivo per cui Arthur non fosse morto per la “possessione”), che quell’idea gli era balenata in testa, e trovava fosse arrivato il momento perfetto per proporglielo, per lo meno se questo gli avrebbe salvato la vita,
- Ne riparleremo dopo che avrò preso a calci il tuo bel sederino, stupid frog- decise invece l’inglese alzandosi molto lentamente in piedi e regalandogli un sorriso tanto sadico e malefico da essere degno di un demone,
- Se non lo sai, intende accettare... E ti avvertiamo che Arthur ha una doppia personalità decisamente più violenta della prima-  si avvicinarono le fatine a Francis, ridendo sempre più divertite dalla scena, arrivata al culmine quando Bonnefoy cominciò a scappare terrorizzato, se quelle fate dicevano era vero, significa che sino a quel momento aveva conosciuto solo l’Arthur gentleman (per cosi dire), e ora stava avendo un dritto contatto con Arthur pirata.  

E quello fu il giorno in cui Arthur Kirklad, ex-agente di polizia inglese scorbutico e scostante, ventitreenne single dall’atteggiamento da vecchio ottantacinquenne, fu assunto da Francis Bonnefoy, investigatore squattrinato specializzato in casi “speciali”, francese cascamorto e narcisista, ventinovenne con una donna diversa ogni sera.  
Ed ebbe cosi iniziò la loro dolorosa cooperazione.




(inutile)* Prefazione:

Arthur ancora non se ne rendeva conto, ma era bastato il semplice incrociò dei loro sguardi, o forse qualcosa di precedente ad esso, e il fragile filo di quella sua vita “tranquilla” (perché ammettiamolo con un lavoro come il suo non era proprio la definizione più appropriata), si era spezzato.  

E fu la fine di tutto il suo mondo.

Pur non sapendolo, quella sensazione di vertigini che avvertì ritrovandosi a guardare il proprio riflesso nelle profonde iridi blu dell’altro, era la sua anima che, privata di un qualunque appiglio, si ritrovò a sprofondare sempre più in un pozzo di tenebre, nell’oscurità dell’ignoto.
La sua unica salvezza fu l’appiccicoso abbraccio di una rete composta da ragnatele, posta a soli pochi centimetri dalla fine della caduta.

La sua però non fu fortuna.

L’inglese in futuro l’avrebbe definita a sua maledizione.
Perché si, grazie ad essa aveva evitato di sfracellarsi al suolo, ma in quel modo era stato privato per sempre dell’opportunità di risalire.  

Si era ritrovato imprigionato senza alcuna via di fuga in quel baratro oscuro.
Non aveva modo di andarsene.

Arthur non poteva ancora saperlo, lo avrebbe capito solo inseguito, sarebbe rimasto per l’eternità in quella rete, in attesa che uno stupido ragno vinofilo decidesse finalmente di divorargli l’anima.



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* La prefazione è inutile perché è stata messa alla fine del capitolo (quando in realtà andrebbero prima dell’inizio della storia), quindi più che un prefazione consideratelo un extra, leggetelo (per favore) perché è con quello che è nato questa ff

Bene, questo è la prima fanfictione AU che ho il coraggio di pubblicare, spero che vi sia piaciuta, e ringrazio chiunque l'abbia letta (GRAZIE!), sperando che commentiate, please.
Per infromazione, questa FF dovrebbe essere un One-shot, ma forse potrei screverci qualcosa più avanti, almeno per dare un idea del lavoro effettivo di Francis xD xD
Spero che si capisca qualcosa... Cooomunque

bye-bye,
e alla prossima ;-)))
  
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