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Autore: Roxanne Potter    15/06/2011    2 recensioni
Cosa successe il giorno in cui il Barone Sanguinario sorprese Helena Corvonero nelle foreste dell'Albania, e la uccise in un gesto di rabbia?
Questa è la mia versione, dove ho provato a descrivere nei particolari l'uccisione di Helena e il suicidio del Barone.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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Vieni con me, mia Helena.

Il diadema, finalmente, scintillava fra le sue mani.
Helena, appoggiata al tronco di un albero, lo girava e lo rigirava, senza stancarsi mai di passare le dita sulla superficie fredda, o di leggere la scritta : Un ingegno smisurato per il mago è dono grato.
Un ingegno smisurato. Ciò a cui lei ambiva fin dalla sua infanzia, passata nel tentativo di nascondere la bruciante invidia provata verso sua madre, la sua intelligenza, la sua logica e la mente aperta e intuitiva.
Helena era una strega, e aveva frequentato Hogwarts nella casa dei Corvonero, la casa dell'intelligenza... ma l'intelligenza che possedeva non era abbastanza.
Si era sentita continuamente inferiore a sua madre, che capiva le cose molto più velocemente di lei.
I libri e le pergamene che collezionava apparivano a Helena molto più avanzati e importanti rispetto alle sue letture.
-Sei così intelligente, Helena!- le dicevano alcuni maghi, ma quell'esclamazione era riservata la maggior parte delle volte a sua madre.
La brillante, eccezionale Priscilla Corvonero, così bella con i suoi capelli neri e lisci, il viso deciso e delicato al tempo stesso.
Tutto, però, stava cambiando.
Il diadema di Priscilla Corvonero, che donava più intelligenza a chi lo indossava, era ormai tra le sue mani. Era stato un furto, ma cosa poteva importarle, se quel gesto l'avrebbe resa più brillante e in vista della madre?
Presto non sarebbe più stata una fuggiasca, ma si sarebbe fatta una nuova vita, lì in quella terra dove aveva cercato rifugio.
Portò nuovamente il diadema all'altezza degli occhi, ammirò la lucidità dell'argento.
Stava per indossarlo, quando un fruscio vicino la fece sussultare.
Si strinse il diadema al petto con la mano sinistra, mentre con la destra sfiorava la bacchetta in una delle tasche della veste, gli occhi che saettavano in tutte le direzioni.
Non udì nulla, per alcuni secondi; il silenzio era perfetto e ineluttabile, tanto che riusciva quasi ad avvertire la vibrazione dell'aria.
Stava per tirare un sospiro sollevato, quando avvertì una serie di passi pesanti che si facevano sempre più vicini.
“Il diadema!”
Si voltò di scatto verso l'albero e si chinò. Lanciò il diadema dentro una cavità, in fondo al tronco, e lo udì tintinnare debolmente. Lì sarebbe stato al sicuro, almeno per un po'.
Si rialzò e si guardò alle spalle. Ora i passi erano più vicini, e poteva scorgere un'ombra dietro gli alberi e i cespugli.
Mosse la mano verso la bacchetta, ma la sorpresa la paralizzò quando riconobbe l'uomo che era appena spuntato dal fitto della vegetazione.
Avrebbe riconosciuto ovunque quel viso attraente, dai lineamenti eleganti, incorniciato da folti capelli neri, i grandi e lucenti occhi scuri.
-Philippe, cosa ci fai qui?- sussurrò, incerta se essere più spaventata o sorpresa.
Il suo labbro si piegò nel solito sorriso arrogante che lei conosceva bene.
-Philippe...
-Mi ha mandato tua madre.- ribatté lui, la voce roca.
“Mia madre.”
Helena fu percorsa da un brivido.
Sua madre. Lei non voleva più sentir parlare di sua madre. Voleva solo indossare quel diadema e rifarsi una vita, ottenere prestigio e superiorità agli occhi della società magica; una donna intelligente non sarebbe mai stata accettata tra i Babbani.
-Cosa vuole mia madre da me?
-Si è ammalata.- rispose Philippe, e si avvicinò a lei di un passo, facendola ritratte d'istinto.
Avvertì la dura corteccia dell'albero sulla sua schiena.
-Tua madre è malata, non si sa esattamente di cosa si tratti.- ripeté. -Ha conati di vomito e la pelle rossa, non riesce quasi ad alzarsi dal letto. Mi ha chiamato, mi ha chiesto di andarti a cercare, per riportarti da lei. Vuole parlarti un'ultima volta, prima che muoia.
Quelle parole la inorridivano.
Sua madre era malata. Sua madre, che lei aveva così fatalmente ingannato, rubando il prezioso diadema e scappando di casa. L'aveva abbandonata, e adesso era stata colpita da una malattia.
Come una maledizione che l'avesse resa centro di due sventure.
-Come... di cosa si tratta?- riuscì a balbettare.
-Te l'ho detto, non si sa. È una malattia particolare e non conosciamo maghi che possano guarirla. Ma è grave, Helena, ci hanno confermato che è mortale. Devi venire con me. Lei vuole vederti un'ultima volta!
Helena si sentiva preda di sentimenti contrastanti.
Non poteva negare la preoccupazione per sua madre. Quella donna che l'aveva cresciuta con cura ora stava per morire, e non le aveva neanche chiesto scusa, non aveva confessato il furto, per quanto dovesse essere ovvio a chiunque che era stata lei a rubare il diadema.
Eppure... quell'invidia, quel rancore che coltivava dentro di sé fin dalla sua infanzia, e che Priscilla Corvonero non era mai riuscita a capire, nonostante la grandiosa intelligenza.
Non era mai riuscita a capire i silenzi e i malumori della figlia, ed Helena si era sempre rifiutata di parlarne.
Un po' temeva di essere schernita o rimproverata per quella stupida ossessione, e in parte pensava che fosse Priscilla a dover capire cosa la stava tormentando.
Era sua madre, no? Avrebbe dovuto capire tutto, ma non l'aveva mai fatto, non era mai andata da lei rassicurandola per quei timori.
E tutte quelle persone che la lodavano più di lei, le persone che la ammiravano o invidiavano, il sapere che quella donna sfoggiava in ogni occasione... lei era una Corvonero, ma non era mai stata capace di mostrare la sua intelligenza in quel modo.
E così il rancore da ragazzina si era tramutato in quello che Helena credeva essere puro odio.
Non aveva più retto la presenza di Priscilla, e il modo in cui si sentiva inferiore.
Quando aveva posato le mani sul diadema, si era fermamente ripromessa che mai avrebbe più rivolto la parola a sua madre, mai l'avrebbe cercata.
Si sarebbe impegnata a dimenticarla.
Perché, allora, si stava preoccupando tanto alle parole di Philippe?
-Helena!
Si riscosse dai suoi pensieri, fissò Philippe dritto negli occhi.
-Io non... non... posso.
-Si tratta di tua madre. Me l'ha chiesto con disperazione, ha riposto in me la sua fiducia e sa che io potrò riportarti a casa.- ribatté l'uomo.
Helena aveva fatto una promessa, quella di voltare le spalle a sua madre. Perché ora avrebbe dovuto rimangiarsi tutto?
Se fosse tornata, non avrebbe potuto mentirle e dirle che non era stata lei a rubare il diadema.
Quel diadema, quel sogno che aveva inseguito per tanti anni! No, non sarebbe andato tutto in frantumi.
-No.- disse con voce accalorata. -Non verrò con te, Philippe. Non ho intenzione di tornare a casa.
Un lampo di rabbia passò nello sguardo dell'uomo, ma si spense presto, e la sua espressione divenne d'un tratto quasi dolce.
-Helena... non sono io il problema, vero?
-No, non sei tu.
Philippe fece qualche altro passo verso di lei e tese una mano per sfiorarle il viso.
Helena balzò di lato, con il cuore che batteva forte.
-Non mi devi toccare.- gli ordinò, sperando che il suo tono suonasse deciso. -Ti ho detto centinaia di volte che non ti voglio.
Era da quando si erano conosciuti, a quattordici anni, che Philippe la guardava e diceva di desiderarla.
Ma a Helena non era mai piaciuto : lo rifiutava perché era troppo collerico, troppo spesso brusco, per di più un Serpeverde.
La casata di Serpeverde le ispirava una sorta di avversione, anche se non avrebbe saputo dire precisamente da cosa derivano le sue sensazioni.
Quando erano diventati adulti, Philippe l'aveva chiesta in sposa, e la sua famiglia programmava un matrimonio combinato al quale Priscilla si era fermamente opposta.
-Non fare così. Poche ragazze non cederebbero davanti a un uomo che le corteggia tanto...
-Io non sono come le altre ragazze.
Lo sguardo di Philippe si fece più intenso, più caldo.
-Vieni con me, mia Helena.
La sua voce fu così suadente e carezzevole, che per un attimo Helena si sentì davvero attratta.
Per un solo istante, le sembrò che la sua convinzione vacillasse.
Ma fu un istante, per l'appunto.
Sbatté le palpebre, ricordò chi era, ricordò cosa provava verso Philippe.
-Smettila. Io non ti voglio e non ti ho mai voluto. Ti disprezzo.
Gli sputò addosso quelle parole, che aveva già pronunciato molte volte.
Stavolta Philippe si arrabbiò davvero.
-Basta, Helena, non tollero questo tuo comportamento. Devi venire con me, che tu lo voglia o no! Perché sei scappata di casa? Hai rubato tu il diadema di Corvonero, vero?
Sussultò di nuovo.
-Tu... non sai niente di niente. Non osare insinuare una cosa simile. Il diadema di mia madre!
-Non mi sembra che tu tenga a tua madre, se non vuoi vederla un'ultima volta, prima che muoia. E perché altro saresti dovuta scappare? La tua fuga coincide con la scomparsa del diadema.
-Smettila di parlare, Philippe!- gridò Helena. -Vattene. Non ti voglio vedere. Dimentica di avermi vista.
Lui scattò in avanti, la afferrò bruscamente per le spalle.
-Ora tu verrai con me! Non puoi reagire in un modo del genere.
-No. Non voglio rivedere mia madre e soprattutto non voglio te!
Il viso di Philippe divenne una maschera di rabbia cieca.
Una rabbia che Helena aveva osservato abbastanza volte per decidere che Philippe non fosse l'uomo adatto a lei. Una rabbia che lo coglieva facilmente e frequentemente.
Col cuore in gola, Helena si accorse che la mano di Philippe era corsa alla cintura che portava in vita, e aveva estratto un lungo pugnale dal manico bordato d'oro.
-Cosa vuoi fare? No!
Arretrò, ma prima che potesse prendere la sua bacchetta, fu raggiunta da una pugnalata.
La lama gelida penetrò nella sua pelle, recise i muscoli, arrivò fino al cuore.
Il suo urlo fu strozzato. Rimase immobile per qualche secondo, con gli occhi sgranati come non mai e la bocca aperta, il dolore che si faceva strada in ogni lembo di pelle del suo petto.
Boccheggiò. Il colpo le aveva mozzato il respiro.
-No...
La sua ultima parola.
Philippe aveva gli occhi accesi di un furore bestiale.
Affondò ancora di più il pugnale nella carne, finché Helena non si accasciò a terra, continuando a boccheggiare in cerca d'aria.
Non respirava più. La pressione si stava diffondendo in tutto il suo corpo, e la sua testa fu come attraversata da uno spasmo.
I suoi occhi sembrarono roteare, e il cuore batteva con tonfi assordanti.
“Non voglio morire! No, non così!”
Riversa su un fianco, l'ultima cosa che vide furono gli occhi di Philippe che si colmavano di qualcosa simile al dispiacere, come se si fosse reso conto solo in quel momento di ciò che aveva fatto.

Helena Corvonero era morta, e Philippe la fissava tremando, le gambe quasi molli.
Come aveva potuto? Il rimorso si fece prepotentemente strada in lui.
Aveva ucciso Helena, la donna che gli piaceva e che desiderava più di ogni altra, l'aveva uccisa con uno dei suoi comuni scatti di rabbia cieca.
Non avrebbe mai potuto immaginare che la sua facilità nell'arrabbiarsi avrebbe portato... a questo.
Cadde in ginocchio, e con la mano sinistra estrasse il pugnale, ancora conficcato nel petto della ragazza.
Gli occhi azzurri di Helena ora erano completamente vitrei, e il sangue si era riversato ovunque, bagnando parte della sua lunga veste.
Non gli importò che ora anche i suoi calzoni si fossero macchiati.
Cosa avrebbe detto a Priscilla Corvonero? Niente, non avrebbe avuto il coraggio di confessarle una cosa del genere, così come non avrebbe avuto il coraggio di continuare a vivere con quel dolente senso di colpa sempre in agguato.
La morte di Helena, la morte del suo desiderio, la morte di una ragazza.
Si rialzò e si portò subito il pugnale alla gola.
No, non avrebbe vissuto con quel senso di colpa. Non ci sarebbe mai riuscito.
Si pugnalò dritto al collo, e gli mancò il fiato nel sentire la pelle recisa, insieme al dolore più cocente che avesse mai provato.
Ma non poteva fermarsi.
Un'altra pugnalata, stavolta al fianco. Poi una al torace, con un gesto leggermente più lento.
Il dolore che gli invadeva il corpo era sferzante e realmente insopportabile; come essere gettati nel pieno di un fuoco, o essere trafitti da spilloni di ghiaccio.
A stento trattenne un urlo.
“Helena. Lo faccio per Helena, è per lei.”
Quasi perse il senno a causa del dolore, nel continuare a pugnalarsi. Si colpì la spalla così forte che ebbe l'impressione che si stesse staccando, e quando infine si colpì la gamba capì che non ce l'avrebbe fatta più.
Il pugnale cadde dalla sua mano, atterrando vicino alle dita bianche di Helena, ma Philippe non lo vide, quasi non se ne accorse.
Fu come se davvero il mondo avesse iniziato a girare; non c'era più aria, non c'era più equilibro, la sua testa era pura confusione, puro dolore.
Cadde sull'erba con un tonfo, proprio accanto a Helena.
E i due corpi giacquero lì, nel sangue ancora fresco : Helena Corvonero e Philippe Broc, due involucri freddi e vuoti, sul quale il sole e la luna sorsero innumerevoli volte, prima che quella pelle e quelle ossa potessero consumarsi.

                                                                                 *

In una stanza fredda, dalle pareti di marmo, una donna giace stesa nel letto.
Ha il viso sudato, i lunghi capelli corvini sono sparsi sul cuscino, gli occhi chiari spalancati e sofferenti.
“Tosca. Godric. Persino Salazar. Vorrei vederli un'ultima volta. E vedere Helena...”
In quel momento, una figura grigia e fluttuante attraversa una delle pareti e si avvicina al letto.
La donna strabuzza gli occhi ancora di più. Fissa la figura della ragazza, un involucro quasi trasparente.
Capelli lunghi fino alla vita, una veste e un mantello ricamati lungo i bordi, l'espressione triste.
-Helena...
-Sì, madre.
Il fantasma della Dama Grigia sparisce.
Priscilla Corvonero chiude gli occhi.
Poi, con un'espressione quasi candida e serena dipinta in volto, esala l'ultimo respiro.

   
 
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