Vieni con me, mia Helena.
Il diadema, finalmente,
scintillava fra
le sue mani.
Helena, appoggiata al tronco di un
albero, lo girava e lo rigirava, senza stancarsi mai di passare le
dita sulla superficie fredda, o di leggere la scritta : Un ingegno
smisurato per il mago è dono grato.
Un ingegno smisurato. Ciò a cui lei
ambiva fin dalla sua infanzia, passata nel tentativo di nascondere la
bruciante invidia provata verso sua madre, la sua intelligenza, la
sua logica e la mente aperta e intuitiva.
Helena era una strega, e aveva
frequentato Hogwarts nella casa dei Corvonero, la casa
dell'intelligenza... ma l'intelligenza che possedeva non era
abbastanza.
Si era sentita continuamente inferiore
a sua madre, che capiva le cose molto più velocemente di lei.
I libri e le pergamene che collezionava
apparivano a Helena molto più avanzati e importanti rispetto alle
sue letture.
-Sei così intelligente, Helena!- le
dicevano alcuni maghi, ma quell'esclamazione era riservata la maggior
parte delle volte a sua madre.
La brillante, eccezionale Priscilla
Corvonero, così bella con i suoi capelli neri e lisci, il viso
deciso e delicato al tempo stesso.
Tutto, però, stava cambiando.
Il diadema di Priscilla Corvonero, che
donava più intelligenza a chi lo indossava, era ormai tra le sue
mani. Era stato un furto, ma cosa poteva importarle, se quel gesto
l'avrebbe resa più brillante e in vista della madre?
Presto non sarebbe più stata una
fuggiasca, ma si sarebbe fatta una nuova vita, lì in quella terra
dove aveva cercato rifugio.
Portò nuovamente il diadema
all'altezza degli occhi, ammirò la lucidità dell'argento.
Stava per indossarlo, quando un fruscio
vicino la fece sussultare.
Si strinse il diadema al petto con la
mano sinistra, mentre con la destra sfiorava la bacchetta in una
delle tasche della veste, gli occhi che saettavano in tutte le
direzioni.
Non udì nulla, per alcuni secondi; il
silenzio era perfetto e ineluttabile, tanto che riusciva quasi ad
avvertire la vibrazione dell'aria.
Stava per tirare un sospiro sollevato,
quando avvertì una serie di passi pesanti che si facevano sempre più
vicini.
“Il diadema!”
Si voltò di
scatto verso l'albero e si chinò. Lanciò il diadema dentro una
cavità, in fondo al tronco, e lo udì tintinnare debolmente. Lì
sarebbe stato al sicuro, almeno per un po'.
Si rialzò e si guardò alle spalle.
Ora i passi erano più vicini, e poteva scorgere un'ombra dietro gli
alberi e i cespugli.
Mosse la mano verso la bacchetta, ma la
sorpresa la paralizzò quando riconobbe l'uomo che era appena
spuntato dal fitto della vegetazione.
Avrebbe riconosciuto ovunque quel viso
attraente, dai lineamenti eleganti, incorniciato da folti capelli
neri, i grandi e lucenti occhi scuri.
-Philippe, cosa ci fai qui?- sussurrò,
incerta se essere più spaventata o sorpresa.
Il suo labbro si piegò nel solito
sorriso arrogante che lei conosceva bene.
-Philippe...
-Mi ha mandato tua madre.- ribatté
lui, la voce roca.
“Mia madre.”
Helena fu percorsa
da un brivido.
Sua madre. Lei non voleva più sentir
parlare di sua madre. Voleva solo indossare quel diadema e rifarsi
una vita, ottenere prestigio e superiorità agli occhi della società
magica; una donna intelligente non sarebbe mai stata accettata tra i
Babbani.
-Cosa vuole mia madre da me?
-Si è ammalata.- rispose Philippe, e
si avvicinò a lei di un passo, facendola ritratte d'istinto.
Avvertì la dura corteccia dell'albero
sulla sua schiena.
-Tua madre è malata, non si sa
esattamente di cosa si tratti.- ripeté. -Ha conati di vomito e la
pelle rossa, non riesce quasi ad alzarsi dal letto. Mi ha chiamato,
mi ha chiesto di andarti a cercare, per riportarti da lei. Vuole
parlarti un'ultima volta, prima che muoia.
Quelle parole la inorridivano.
Sua madre era malata. Sua madre, che
lei aveva così fatalmente ingannato, rubando il prezioso diadema e
scappando di casa. L'aveva abbandonata, e adesso era stata colpita da
una malattia.
Come una maledizione che l'avesse resa
centro di due sventure.
-Come... di cosa si tratta?- riuscì a
balbettare.
-Te l'ho detto, non si sa. È una
malattia particolare e non conosciamo maghi che possano guarirla. Ma
è grave, Helena, ci hanno confermato che è mortale. Devi venire con
me. Lei vuole vederti un'ultima volta!
Helena si sentiva preda di sentimenti
contrastanti.
Non poteva negare la preoccupazione per
sua madre. Quella donna che l'aveva cresciuta con cura ora stava per
morire, e non le aveva neanche chiesto scusa, non aveva confessato il
furto, per quanto dovesse essere ovvio a chiunque che era stata lei a
rubare il diadema.
Eppure... quell'invidia, quel rancore
che coltivava dentro di sé fin dalla sua infanzia, e che Priscilla
Corvonero non era mai riuscita a capire, nonostante la grandiosa
intelligenza.
Non era mai riuscita a capire i silenzi
e i malumori della figlia, ed Helena si era sempre rifiutata di
parlarne.
Un po' temeva di essere schernita o
rimproverata per quella stupida ossessione, e in parte pensava che
fosse Priscilla a dover capire cosa la stava tormentando.
Era sua madre, no? Avrebbe dovuto
capire tutto, ma non l'aveva mai fatto, non era mai andata da lei
rassicurandola per quei timori.
E tutte quelle persone che la lodavano
più di lei, le persone che la ammiravano o invidiavano, il sapere
che quella donna sfoggiava in ogni occasione... lei era una
Corvonero, ma non era mai stata capace di mostrare la sua
intelligenza in quel modo.
E così il rancore da ragazzina si era
tramutato in quello che Helena credeva essere puro odio.
Non aveva più retto la presenza di
Priscilla, e il modo in cui si sentiva inferiore.
Quando aveva posato le mani sul
diadema, si era fermamente ripromessa che mai avrebbe più rivolto la
parola a sua madre, mai l'avrebbe cercata.
Si sarebbe impegnata a dimenticarla.
Perché, allora, si stava preoccupando
tanto alle parole di Philippe?
-Helena!
Si riscosse dai suoi pensieri, fissò
Philippe dritto negli occhi.
-Io non... non... posso.
-Si tratta di tua madre. Me l'ha
chiesto con disperazione, ha riposto in me la sua fiducia e sa che io
potrò riportarti a casa.- ribatté l'uomo.
Helena aveva fatto una promessa, quella
di voltare le spalle a sua madre. Perché ora avrebbe dovuto
rimangiarsi tutto?
Se fosse tornata, non avrebbe potuto mentirle e
dirle che non era stata lei a rubare il diadema.
Quel diadema, quel sogno che aveva
inseguito per tanti anni! No, non sarebbe andato tutto in frantumi.
-No.- disse con voce accalorata. -Non
verrò con te, Philippe. Non ho intenzione di tornare a casa.
Un lampo di rabbia passò nello sguardo
dell'uomo, ma si spense presto, e la sua espressione divenne d'un
tratto quasi dolce.
-Helena... non sono io il problema,
vero?
-No, non sei tu.
Philippe fece qualche altro passo verso
di lei e tese una mano per sfiorarle il viso.
Helena balzò di lato, con il cuore che
batteva forte.
-Non mi devi toccare.- gli ordinò,
sperando che il suo tono suonasse deciso. -Ti ho detto centinaia di
volte che non ti voglio.
Era da quando si erano conosciuti, a
quattordici anni, che Philippe la guardava e diceva di desiderarla.
Ma a Helena non era mai piaciuto : lo
rifiutava perché era troppo collerico, troppo spesso brusco, per di
più un Serpeverde.
La casata di Serpeverde le ispirava una
sorta di avversione, anche se non avrebbe saputo dire precisamente da
cosa derivano le sue sensazioni.
Quando erano diventati adulti, Philippe
l'aveva chiesta in sposa, e la sua famiglia programmava un matrimonio
combinato al quale Priscilla si era fermamente opposta.
-Non fare così. Poche ragazze non
cederebbero davanti a un uomo che le corteggia tanto...
-Io non sono come le altre ragazze.
Lo sguardo di Philippe si fece più
intenso, più caldo.
-Vieni con me, mia Helena.
La sua voce fu così suadente e
carezzevole, che per un attimo Helena si sentì davvero attratta.
Per un solo istante, le sembrò che la
sua convinzione vacillasse.
Ma fu un istante, per l'appunto.
Sbatté le palpebre, ricordò chi era,
ricordò cosa provava verso Philippe.
-Smettila. Io non ti voglio e non ti ho
mai voluto. Ti disprezzo.
Gli sputò addosso quelle parole, che
aveva già pronunciato molte volte.
Stavolta Philippe si arrabbiò davvero.
-Basta, Helena, non tollero questo tuo
comportamento. Devi venire con me, che tu lo voglia o no! Perché sei
scappata di casa? Hai rubato tu il diadema di Corvonero, vero?
Sussultò di nuovo.
-Tu... non sai niente di niente. Non
osare insinuare una cosa simile. Il diadema di mia madre!
-Non mi sembra che tu tenga a tua
madre, se non vuoi vederla un'ultima volta, prima che muoia. E perché
altro saresti dovuta scappare? La tua fuga coincide con la scomparsa
del diadema.
-Smettila di parlare, Philippe!- gridò
Helena. -Vattene. Non ti voglio vedere. Dimentica di avermi vista.
Lui scattò in avanti, la afferrò
bruscamente per le spalle.
-Ora tu verrai con me! Non puoi reagire
in un modo del genere.
-No. Non voglio rivedere mia madre e
soprattutto non voglio te!
Il viso di Philippe divenne una
maschera di rabbia cieca.
Una rabbia che Helena aveva osservato
abbastanza volte per decidere che Philippe non fosse l'uomo adatto a
lei. Una rabbia che lo coglieva facilmente e frequentemente.
Col cuore in gola, Helena si accorse
che la mano di Philippe era corsa alla cintura che portava in vita, e
aveva estratto un lungo pugnale dal manico bordato d'oro.
-Cosa vuoi fare? No!
Arretrò, ma prima che potesse prendere
la sua bacchetta, fu raggiunta da una pugnalata.
La lama gelida penetrò nella sua
pelle, recise i muscoli, arrivò fino al cuore.
Il suo urlo fu strozzato. Rimase
immobile per qualche secondo, con gli occhi sgranati come non mai e
la bocca aperta, il dolore che si faceva strada in ogni lembo di
pelle del suo petto.
Boccheggiò. Il colpo le aveva mozzato
il respiro.
-No...
La sua ultima parola.
Philippe aveva gli occhi accesi di un
furore bestiale.
Affondò ancora di più il pugnale
nella carne, finché Helena non si accasciò a terra, continuando a
boccheggiare in cerca d'aria.
Non respirava più. La pressione si
stava diffondendo in tutto il suo corpo, e la sua testa fu come
attraversata da uno spasmo.
I suoi occhi sembrarono roteare, e il
cuore batteva con tonfi assordanti.
“Non voglio morire! No, non così!”
Riversa su un fianco, l'ultima cosa che
vide furono gli occhi di Philippe che si colmavano di qualcosa simile
al dispiacere, come se si fosse reso conto solo in quel momento di
ciò che aveva fatto.
Helena Corvonero era morta,
e Philippe
la fissava tremando, le gambe quasi molli.
Come aveva potuto? Il rimorso si fece
prepotentemente strada in lui.
Aveva ucciso Helena, la donna che gli
piaceva e che desiderava più di ogni altra, l'aveva uccisa con uno
dei suoi comuni scatti di rabbia cieca.
Non avrebbe mai potuto immaginare che
la sua facilità nell'arrabbiarsi avrebbe portato... a questo.
Cadde in ginocchio, e con la mano
sinistra estrasse il pugnale, ancora conficcato nel petto della
ragazza.
Gli occhi azzurri di Helena ora erano
completamente vitrei, e il sangue si era riversato ovunque, bagnando
parte della sua lunga veste.
Non gli importò che ora anche i suoi
calzoni si fossero macchiati.
Cosa avrebbe detto a Priscilla
Corvonero? Niente, non avrebbe avuto il coraggio di confessarle una
cosa del genere, così come non avrebbe avuto il coraggio di
continuare a vivere con quel dolente senso di colpa sempre in
agguato.
La morte di Helena, la morte del suo
desiderio, la morte di una ragazza.
Si rialzò e si portò subito il
pugnale alla gola.
No, non avrebbe vissuto con quel senso
di colpa. Non ci sarebbe mai riuscito.
Si pugnalò dritto al collo, e gli
mancò il fiato nel sentire la pelle recisa, insieme al dolore più
cocente che avesse mai provato.
Ma non poteva fermarsi.
Un'altra pugnalata, stavolta al fianco.
Poi una al torace, con un gesto leggermente più lento.
Il dolore che gli invadeva il corpo era
sferzante e realmente insopportabile; come essere gettati nel pieno
di un fuoco, o essere trafitti da spilloni di ghiaccio.
A stento trattenne un urlo.
“Helena. Lo faccio per Helena, è per
lei.”
Quasi perse il senno a causa del dolore, nel continuare a
pugnalarsi. Si colpì la spalla così forte che ebbe l'impressione
che si stesse staccando, e quando infine si colpì la gamba capì che
non ce l'avrebbe fatta più.
Il pugnale cadde dalla sua mano,
atterrando vicino alle dita bianche di Helena, ma Philippe non lo
vide, quasi non se ne accorse.
Fu come se davvero il mondo avesse
iniziato a girare; non c'era più aria, non c'era più equilibro, la
sua testa era pura confusione, puro dolore.
Cadde sull'erba con un tonfo, proprio
accanto a Helena.
E i due corpi giacquero lì, nel sangue
ancora fresco : Helena Corvonero e Philippe Broc, due involucri
freddi e vuoti, sul quale il sole e la luna sorsero innumerevoli
volte, prima che quella pelle e quelle ossa potessero consumarsi.
*
In una stanza
fredda, dalle pareti
di marmo, una donna giace stesa nel letto.
Ha il viso sudato, i lunghi capelli
corvini sono sparsi sul cuscino, gli occhi chiari spalancati e
sofferenti.
“Tosca. Godric. Persino Salazar. Vorrei vederli un'ultima volta. E
vedere Helena...”
In quel momento, una figura grigia e
fluttuante attraversa una delle pareti e si avvicina al letto.
La donna strabuzza gli occhi ancora
di più. Fissa la figura della ragazza, un involucro quasi
trasparente.
Capelli lunghi fino alla vita, una
veste e un mantello ricamati lungo i bordi, l'espressione triste.
-Helena...
-Sì, madre.
Il fantasma della Dama Grigia
sparisce.
Priscilla Corvonero chiude gli
occhi.
Poi, con un'espressione quasi
candida e serena dipinta in volto, esala l'ultimo respiro.