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Autore: beesp    17/06/2011    3 recensioni
A metà giugno 1995, quando l’Ordine fu ricostituito, incontrò Remus Lupin.
Due monologhi, due donne; odio e amore.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks | Coppie: Remus/Ninfadora, Remus/Sirius, Ted/Andromeda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler! | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Il finale felice.html
Mi è piaciuto molto scrivere questa storia, scrivere dal punto di vista Andromeda (totalmente nuovo per me) e immaginare una Nymphadora così meravigliosa – così è ancora più angst, soprattutto se si crede nel wolfstar.
Buon divertimento ;) Il titolo non è ironico, ma ci va molto vicino.
















Nymphadora era cresciuta con i piedi ben piantati a terra, anche se magari le finivano sempre dove non dovevano. Aveva vissuto da sempre nella campagna del Devon, a pochi chilometri di distanza dagli Weasley. I suoi primi compagni di gioco erano i nanetti che infestavano i giardini delle case del villaggio e il cugino di sua madre Sirius; il giocattolo che più preferiva era una chitarra elettrica babbana di plastica, regalatale dal padre quando l’aveva vista ballare, a sei anni, ascoltando i suoi vinili dei Beatles.
Aveva imparato cosa fosse il disprezzo altrui molto presto, a sette anni: tenne compagnia per una notte a sua madre al San Mungo, si era fratturata una gamba. Nessuno dei Black venne a trovarla – tranne Sirius – né denne cenno d’essere interessato alla faccenda, mentre i Tonks la sommersero di fiori e bigliettini d’augurio di pronta guarigione. Per quanto non comprendesse con precisione le ragioni, le fu spiegato che sua madre era stata diseredata. Allora Nymphadora aveva accettato l’idea che non tutte le persone al mondo fossero buone.
L’anno seguente ne ebbe la conferma: il fratello che non aveva mai avuto, il cugino di sua madre, era in realtà cattivo.
Suo padre si era accomodato sul bordo del suo lettino e le aveva raccontato il motivo per cui la mamma aveva pianto tutto il giorno: non era dispiaciuta, era delusa. « Era certa che Sirius non fosse come tutti gli altri Black … e invece si sbagliava » aveva sorriso dolcemente e le aveva accarezzato i capelli.
Così aveva accolto il mattone sul petto: un grumo d’odio, rabbia e tristezza.
Tuttavia, i suoi genitori erano persone meravigliose e la proteggevano entro i limiti del possibile da ogni male. Era orgogliosa di Ted e Andromeda Tonks, certa che dovessero esistere in giro altri della loro pasta. Con quel pensiero fisso nella mente riusciva a dormire sogni tranquilli.
Sorrideva quanto riusciva, crescendo. Giocando a Quidditch, desiderando diventare un Auror con ogni fibra del suo essere, anche se Andromeda era totalmente contrariata all’idea che la sua piccola Dora potesse entrare a contatto con maghi oscuri. Ad Hogwarts era un nuovo ambiente ovattato: di malvagità non ce n’era, Voldemort era stato sconfitto ormai da tempo. Di sofferenza Nymphadora non ne sapeva granché.
Qualche volta le sue compagne la prendevano in giro perché aveva dei comportamenti da maschiaccio, in un paio di situazioni aveva rischiato anche di fare a botte; con il tempo impararono ad apprezzarla per la sua sincerità, la sua lealtà e la sua pregevole caratteristica di non giudicare mai, di chiunque si trattasse.
Di tempo per i ragazzi non ce n’era stato a scuola, tra gli allenamenti, le lezioni, la sua voglia di perfezionarsi nelle materie che le sarebbero servite per diventare Auror. Fino al quinto anno. Dopo i GUFO fu organizzata una festa in grande stile per tutti i Tassorosso del quinto, ragazzi e ragazze, nella sala comune – c’erano casse di Whiskey Incendiario. Nymphadora si svegliò il mattino dopo con un mal di testa martellante e un tipo davvero carino alle calcagna.
Gli ultimi due anni aveva tirato avanti per inerzia, imparando per lo più parti del programma utili per l’Accademia, trascurando i compiti considerati ’inutili’ dalla sua personalissima visione della scuola. In Trasfigurazione era la migliore e in Difesa contro le Arti Oscure non doveva sforzarsi troppo, era naturale per lei interessarsi alla materia di cui avrebbe vissuto una volta terminati gli studi.

Quando entrò nell’Ordine della Fenice aveva ventidue anni stentati e si trovava a lavorare con il suo capo e l’uomo che le aveva insegnato come essere un Auror; la situazione la entusiasmava in principio. Era membro di una società segreta e doveva lavorare in incognito; spesso aveva l’impressione di far parte di una grande, numerosa famiglia preoccupata e a volte eccessivamente paranoica. A metà giugno 1995, quando l’Ordine fu ricostituito, incontrò Remus Lupin.

Sua madre aveva iniziato a vivere in una cappa di terrore ed ansia sin dal momento in cui si era diffusa la notizia che suo cugino era scappato da Azkaban. Sentiva sotto pelle che qualcosa stava cambiando tutt’intorno a loro. Con lo scoppio dello scandalo attorno ad Albus Dumbledore – “Voldemort è tornato” – aveva preso a chiedere a suo marito e sua figlia dove fossero diretti e per far cosa, in un atteggiamento che sfiorava la maniacalità. Ted cercava di tranquillizzarla e Nymphadora veniva strigliata continuamente: la camera in disordine, la musica troppo alta, una risposta sgarbata. La verità era che non sopportava di dover stare a guardare sua figlia lasciarsi mangiare da quelle stupide missioni di Dumbledore, proprio come suo cugino si era lasciato trascinare anni addietro. Era tutta colpa di Sirius e delle sue idee a cui lei – proprio chi avrebbe dovuto allontanarle – aveva permesso di entrare in casa Tonks.
Nel giugno del 1996 Andromeda aveva perso un altro familiare ed era certa d’essere un mostro.
A quel punto Nymphadora si era sentita libera di cacciarsi in qualsiasi pericolo trovasse sul suo cammino con quella disperazione da adolescente per la quale era stata punita – a ventitré anni – ed era stata costretta nella sua stanza per una settimana. Non aveva aperto bocca, aveva mangiato il giusto indispensabile e le sue espressioni più che rabbia urlavano tristezza.
Scoprì che Nymphadora era innamorata di Remus; tentò di dissuaderla in qualsiasi modo, Nymphadora amava un lupo mannaro e non ne era neanche un po’ sconcertata. Tornò a odiare suo cugino, si trattava di rispolverare semplicemente un vecchio sentimento, mai definitivamente scomparso dopo la morte dei Potter. Anche fuori da Azkaban e sciolto da ogni accusa, Sirius non aveva niente dell’innocenza. Nessuno dei Black ne aveva, dopotutto. Si portavano dietro una maledizione che si stava finalmente abbattendo su ragazzi che avevano colpe minori dei loro genitori, ma che comunque si dibattevano in un oceano di errori.
Quel Remus era un bravo uomo, non lo metteva in dubbio, lo era ai tempi in cui era l’amico – anche se aveva sempre sospettato fossero qualcosa di più – di suo cugino, e lo sarebbe stato fino alla fine dei suoi giorni.
Le fu presentato ufficialmente come il fidanzato di Nymphadora due settimane dopo la morte di Dumbledore.
Era stata una donna cresciuta dai rigidi insegnamenti nobili più che da genitori in carne ed ossa che potessero guidarla, non era mai sparita da lei quella fitta ragnatela di abitudini, neanche quando si era innamorata di un babbano ed era stata posta di fronte alla scelta di rinunciare alla sua famiglia oppure abbandonare Ted. Ma la mattina dell’incontro con Remus si era preparata un discorso pieno di disapprovazione e disaccordo – se fosse stato necessario, anche di scortesia. Aprendo la porta di casa aveva sospirato profondamente, si era detta di potercela fare, era per il bene di sua figlia. Di fronte si ritrovò con una donna di colpo tornata bambina, allegra, quasi gioiosa, e un uomo distrutto, con l’unica speranza rimastagli indirizzata verso Nymphadora. Ted e Andromeda non poterono far altro che dare loro la benedizione, non si sentì neanche in grado di concederla a malincuore.
Si sarebbe pentita, ne era certa, ma se avesse impedito a quei due di amarsi avrebbe ripetuto gli errori di sua madre. In Remus e Nymphadora era così facile rivedere lei e Ted sulla soglia di casa Black, mano nella mano, pieni di illusioni, desideri.
Preferiva vederla sposata con Remus, piuttosto che non vederla mai più.

Nel loro anno di matrimonio, Nymphadora non aveva mai osato incolpare suo marito di fronte a sua madre. Anche quando era tornata a casa Tonks, aveva raccontato di essere stata lei a lasciare Remus. Intuiva quanto Andromeda lo sopportasse a stento, preferiva quindi sopportare paternali lunghissime e inutili, invece che altro disprezzo insensato contro Remus.
Non era colpa sua. Remus era infelice, poteva capirlo. La sua non era stata una vita facile, aveva perso tutto un centinaio di volte, abituandosi alla presenza e poi dovendo arrangiarsi a fare il callo dell’assenza, tormentato di continuo dai sensi di colpa e dalle notti di luna piena; non era sua la colpa. Non voleva spiegarle cosa non andava, diceva “va tutto bene”. E no che non andava tutto bene, ma Remus aveva la testa dura quasi più della sua – altrimenti non sarebbe sopravvissuto a tutto quello.
Poteva sederglisi accanto, però, e farlo ridere, farlo divertire con la sua goffaggine e il suo amore sconfinato, poteva imitarlo e vedergli spuntare sulle labbra un sorriso sincero.
Tanto le bastava, era quasi piacevole e soddisfacente costruire il loro rapporto giorno dopo giorno, mattone dopo mattone, un passo alla volta, ed era l’unico modo con la guerra intorno, perché se si perdeva si perdeva sempre troppo.
Era felice, anche tra tutto quel combattere e le insicurezze, le fughe, le crisi; era felice, era la vita che voleva. Doveva combatterla per viverla, le stava bene; alla fine della giornata, quando posava il soprabito nell’ingresso e si lavava le mani con l’acqua calda sapeva di meritarle interamente quelle mura, sapeva che era tutto suo e che nessuno avrebbe mai potuto obbiettarle di non averlo guadagnato col sudore; nulla le era stato regalato, nulla aveva accettato senza pagare qualcosa in cambio.
Non era faticoso, era il giusto prezzo.

L’unico regalo era stato l’amore: non l’aveva neanche preventivato, né mai preso in considerazione o immaginato.
Di quello era più che grata.

Andromeda si concesse di leggere il diario di sua figlia soltanto il 24 dicembre 1998. Suo nipote si era addormentato da un paio d’ore ed era talmente stanca che si era lasciata andare a quel dolore che di solito riusciva a tenere a bada.
Non era poi tanto spiacevole.
Le rimase impresso un paragrafo, scritto nelle ultime pagine, risalente a una settimana prima la morte di Nymphadora, quando ormai tutti percepivano che la guerra era quasi giunta al termine.
« Io sono felice.
Non desidero niente di più di quello che ho, perché io ho tutto. E tutto quello che ho posso chiamarlo mio, perché nessuno mi ha prestato o regalato qualcosa.
La gente a volte si lamenta perché la vita è difficile: hanno ragione, ma lo leggiamo in tutte le fiabe sin da quando siamo bambini. Prima di arrivare al finale felice, il protagonista deve lottare. È vero, io sto ancora combattendo, ma i miei assaggi di finale felice li ho già, e una volta finita questa guerra non ci sarà niente che mi mancherà ».
   
 
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