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Autore: tersicore150187    17/06/2011    11 recensioni
In un ipotetico sequel della terza serie, è ambientata una storia di profondo amore e di scoperta sentimenti autentici. Per una volta non ci sono cadaveri a fare da sfondo, ma corpi vivi che sentono, tremano, amano.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap 7. Ascolterò il linguaggio della tua anima come la pioggia ascolta la storia delle onde
 
Quando riaprì gli occhi Kate Beckett giurò di avere sentito una mano accarezzarle la guancia, ma pensò di ricredersi, dal momento che, con quel freddo non aveva grande sensibilità cutanea. Castle tossì un paio di volte, lei si voltò e lo trovò concentrato a mangiare alcuni craker. “Avevo fame” le disse porgendogliene un pacchetto eloquente. “No grazie” disse lei “sono più che altro molto stanca”. Castle le toccò una mano, ma non con un gesto dolce o sensuale, ma quasi inquisitorio. “Sei fredda detective”. Lei non capiva. Sbattè le palpebre e mise a fuoco l’abitacolo. Si accorse che aveva di nuovo il suo cappotto addosso, oltre che un gran mal di collo, e che Castle si riferiva al fatto che lei avesse effettivamente le mani fredde. In effetti anche i piedi non stavano meglio. Si trovò anche la piccola coperta addosso e capì che Castle l’aveva coperta mentre dormiva. Non solo. Capì che più al caldo di così non avrebbe potuto sentire, visto che le cose con cui coprirsi erano finite, ed erano tutte addosso a lei, nessuna a lui. Si sentiva stanca, dolorante, infreddolita e anche un po’ in colpa. Si tirò leggermente su, toccò il cappotto di Castle, appeso dietro il sedile e vide che andava meglio e, improvvisamente ebbe un’idea. Il sedile posteriore era lungo e ampio, si sarebbe potuta sdraiare comodamente per dormire un paio d’ore in attesa dei soccorsi. Lui le lesse nel pensiero, guardandola rivolta verso dietro e le disse “Stenditi. Io mi metto al posto di guida che è più comodo, inclino il sedile e ti faccio compagnia mentre ti addormenti. Lei rispose passiva e anche un po’ indebolita. Sussurrò semplicemente un flebile “ok” desiderando più che mai scappare da quella situazione. Per di più continuava a piovere decisamente e lui continuava ad essere premuroso, dolce, sempre di più, sempre di più. Si spostò agilmente scavalcando lo spazio tra i sedili, si tolse i veritginosi tacchi, si sistemò al meglio la maglia e decise che era il caso di tenere la copertina e dare il suo cappotto a Castle ancora per un po’, almeno fin quando il suo non si fosse asciugato. Ma lui si oppose. “Prenderai freddo se ti addormenti, io sto bene. Senti!” le prese le mani nelle sue e lei sentì la differenza di temperatura tra quelle dell’uomo, fresche ma mordibe e le sue ghiacciate e rigide. Kate rabbrividì a quel tocco, per la temperatura, forse. Castle la guardò sbarrando gli occhi. Le sembrava un corpo senza vita. “Mettiti giù” le disse quasi come un ordine “e non ti azzardare a protestare”. Quando mise la sua mano stretta sulla gamba di Kate, ben sopra il ginocchio, e soprattutto, molto più in alto di quanto gli fosse consentito, la ragazza ebbe un sussulto e si tirò a sedere con le guance a fuoco. Almeno in viso non aveva più freddo.
“Castle!” disse in una condizione di totale imbarazzo e assoluta vergogna. “Beckett avrò anche la mano sotto il cappotto, ma c’è almeno uno spesso strato di stoffa dei tuoi pantaloni tra la mia mano e la tua gamba. Cosa devo fare, stare a guardare mentre tu muori di freddo?” e detto questo iniziò a sfregarle la mano lungo la gamba esercitando una pressione costante, sperando che sotto quel movimento l’indumento producesse un po’ di calore sulla pelle di Beckett. Già la sua pelle. Ecco perché lui stava così bene. Averla così vicino, pensare al suo corpo, immaginare tutto ciò che non poteva vedere di lei, stare a guardarla dormire, udire il suo respiro calmo, lo facevano andare a fuoco. Una forza gli partiva dalla bocca dello stomaco e un calore immenso gli si irradiava dal petto, e non solo…era una tortura passare quelle mani su quei vestiti che lui avrebbe senza esitazione strappato via con un colpo secco. Si sforzò di trasferire questo calore, questa emozione, questa passione fino alle sue mani e tentò di passare tutto con forza al corpo della donna, alle sue gambe. Doveva funzionare perché Kate dopo un po’ disse che stava meglio.
Lui sperò che non fosse stata tutta una tattica per farlo allontanare dal suo corpo, le sorrise e staccò le mani. Si mise il cappotto, ora in condizioni decisamente accettabili, si accomodò reclinando leggermente il sedile, tanto da non dare fastidio a Kate, e si appoggiò su un fianco, restando a guardare mentre si addormentava.
 
Nel buio della notte, nell’abitacolo, si poteva scorgere solo la luce del cellulare di Castle che scambiava messaggi con la figlia. Avrebbe voluto giocare, ma non voleva correre il rischio di scaricare la batteria e lasciarli così isolati, beccandosi anche una sgridata di Beckett. Già, lei a volte era severa con lui, ma certamente a lui un po’ di rigore non faceva male ogni tanto. Aveva smesso di piovere e se non fosse stata già mezzanotte passata, sicuramente sarebbe sceso un po’ a curiosare intorno, ma le condizioni e la temperatura certamente non lo permettevano. Mandò la buonanotte ad Alexis, rassicurandola e si voltò verso Kate per ammirarla. Fu a quel punto che notò qualcosa di preoccupante. Un lieve rossore sulle nocche delle mani, sulle punte delle dita, sulle guance e sulla fronte. La toccò in viso e sulle mani. Ancora gelata. Ma cosa diamine aveva in corpo quella donna che non riusciva a scaldarsi? Castle decise di rischiare e svegliarla, avrebbe dovuto farle bere qualcosa di caldo, ma non aveva assolutamente nulla, inoltre anche lui stava inziando a sentire davvero freddo e questo voleva dire solo una cosa: la temperatura esterna stava scendendo rapidamente. Capì all’istante che c’era una sola cosa che poteva essere utile e sorrise mentalmente, ma il suo volto restò paralizzato al pensiero della reazione della detective.
Calore corporeo. Decise di agire in fretta, prima che Kate riprendesse del tutto consapevolezza.  Abbassò del tutto il sedile del passeggero per allargarsi il passaggio, sollevò delicatamente la donna e si sedette vicino a lei appoggiandosela al petto. Rimase un istante sopraffatto da quella sensazione ed ebbe paura di non riuscire a controllarsi. Ma sì, avrebbero fatto sesso, no di più, avrebbero fatto l’amore tutta la notte. I loro corpi da freddi, sarebbero diventati tiepidi, caldi e poi bollenti. Al diavolo il gelo, al diavolo l’escurzione termica, al diavolo l’ipotermia! Un paio, o più di “giri” sulla giostra ben fatti. La loro vita sarebbe cambiata. Un atto così semplice, puro, unico e naturale, li avrebbe salvati e fatti rinascere. Si sorprese a stringerla forte e si ridestò dai suoi pensieri come da un sogno. Ma che diamine stava pensando? Era impazzito? Sarebbe stato meglio per lui riuscire a strofinarsi un po’ a Beckett senza evidenti fini, se non voleva passare la notte fuori dalla macchina. Se lo sarebbe meritato d’altra parte. Provarci spudoratamente in un casino del genere. Da sedicenne, senza ombra di dubbio. Idea bocciata.
Restò immobile mentre Kate apriva gli occhi e si  guardava intorno incredula per poi guardare lui. Spostò il suo sguardo dai suo occhi alle sue mani, sgranando gli occhi e restando a bocca leggermente aperta. Con la voce impastata dal sonno gli urlò “Castle ma che avevi intenzione di fare?”. Lui strinse la presa per impedirle di staccarsi. “Kate sei ghiacciata, guardati le mani, sono piene di chiazze rosse sul dorso. Cercavo un modo per riscaldarti. Io…” lei lo interruppe mettendosi a sedere e staccandosi leggermente. “Ok, forza, io sto congelando. Mettiamo in pratica questo tuo geniale piano!”. Gli appoggiò le mani sulle braccia, sforzandosi di restare impassibile. Castle iniziò a massaggiarle piano le spalle e la schiena, con un tocco gentile, ma deciso. Lei sentiva i muscoli delle braccia di lui contrarsi e rilassarsi sotto le sue mani. Si sforzò spostando le sue “carezze” sul petto, e non fu meglio. Anche lì i muscoli di Castle erano sodi e tesi e le torturavano i pami delle mani. Era possente, ecco cos’era, era una roccia, uno scoglio, sicuro. Qualcosa a cui appigliarsi. Kate spostò le braccia sulle sue spalle spassando sotto l’incavo delle ascelle. Sfregò i suoi palmi sulle scapole con forza, mentre Castle spostava le sue mani sulla schiena di lei. Stava avendo effetto, qualunque fosse il motivo, stavano iniziando a sentire il calore. Quando ebbero le braccia quasi avvolte l’uno intorno all’altra, i due corpi si avvicinarono magneticamente e la stretta si trasformò in un abbraccio. Kate si aggrappò alla stoffa sulle spalle dell’uomo e strinse i pugni. Lui aprì le mani coprendole quasi completamente la schiena e fece aderire i loro corpi con una lieve spinta. Continuò a fare scorrere le sue mani sulle spalle di lei, non solo con l’intento di tenerla calda, ma soprattutto desiderando sentirla sua e imprimere quella sensazione nella sua mente. Respirarono a lungo e profondamente. Kate nascose il viso sulla spalla di Castle e sussurrò vicina al suo orecchio “Credo che ci siamo riscaldati abbastanza”. Castle, come se gli avessero gettato dell’acqua gelata sulla schiena, sgranò gli occhi e allargò lievemente le braccia per lasciarla libera. Provò ad allontanarsi ma non ci riuscì. Solo un attimo dopo si accorse che Kate non si era mossa, sentiva i suoi pugni ancorati sulle spalle. “Kate” disse con un lievissimo filo di voce “se stai un po’ meglio perché non ti stacchi da me?” si stupì dentro se stesso di come gli fosse venuta fuori quella domanda. Ma lui sapeva che non poteva forzarla, quella donna forte come l’acciaio e delicata come il cristallo. Lei aprì la bocca per parlare. Lui la sentì muoversi sulla sua spalla, tenendo sempre stretta la presa. Poi, una piccolissima risposta. “Non posso”.
 
Rick sentì sciolgliersi dentro di sé tutto il gelo del mondo. Gli sembrò che d’ora in avanti l’inverno non sarebbe mai più esistito. Si lascio andare un sospiro di stupore ed un “wow”. Accolse la donna con tutto il suo piccolo corpo fra le sue braccia e continuò ad accarezzarla ancora, ancora e ancora.
Lei sollevò gli occhi e li fissò nei suoi. Nel buio potevano guardarsi senza vergogna, come se quelle persone non fossero state loro. Avevano paura, nonostante tutto, ma si desideravano come non mai. Lei gli posò un bacio all’angolo della bocca. Lui si mosse leggermente e avvicinò le loro bocche. Appoggiarono le labbra le une alle altre e stettero così per un tempo interminabile, sentendo solo il sapore l’uno dell’altra, solo il tocco innocente di quelle bocche. Avevano bisogno di quel contatto come ossigeno. E la passione crebbe, crebbe e crebbe ancora. Rick se la portò a sedere a cavalcioni su di lui e lei gli prese il viso tra le mani baciandolo con passione e accarezzandogli la pelle con i suoi capelli lunghi. Incuranti del poco spazio, della posizione scomoda, del freddo, dei lividi che probabilmente avrebbero trovato sulle gambe e sui fianchi, fecero l’amore esattamente come nella fantasia di Castle, pochi minuti prima. Non era stato facile eliminare scomodi e inutili indumenti, ma ogni movimento era stato eseguito dai due come se facesse parte di un rituale, un gesto magico, irripetibile. Non c’era malizia, in quegli sguardi, non c’era divertimento, non era gioia…era passione certo, ma, soprattutto, il più completo abbandono. Kate sentiva sciogliersi a poco a poco i lacci che avevano stretto il suo cuore con tanta forza, sentì cedere quelle catene invisibili e tutto si fece buio dentro di lei. Ogni tensione, ogni dolore, ogni barriera andava lentamente sgretolandosi sotto le mani dello scrittore, le sue mani abili che la esploravano con pazienza, con ardore, con devozione. Castle tentava di non perdere lucidità, immerso in quel corpo che lo aveva accolto come un manto, che gli calzava perfettamente, come se Kate fosse un abito cucito apposta per lui. Si muovevano insieme in perfetta sincronia, e con ogni spinta lui si faceva strada dentro di lei, insinuando anche la fragilità che quell’incontro di anime avrebbe sprigionato. Per lei fu come iniziare a ricevere colpi di lame affilate nei fianchi, nel petto, nella schiena, nel collo. Iniziò a sentire il suo sangue disperdersi come, anni prima, quello della madre. In quel momento in cui era viva come non mai, poteva sentire con quanta forza la morte si fosse impossessata di lei, del suo spirito, del suo corpo, del suo cuore. Iniziò a gemere, sentendo la gola stringersi, poi quel gemito divenne un pianto, prima asciutto, poi umido di lacrime salate, a cui presto ne fecero compagnia molte e molte altre. Kate si aggrappò con le unghie alla schiena di Rick, sforzandosi di sollevare il viso per non bagnarlo, per nascondere il segno così tangibile del suo dolore e del suo essere scoperta, senza protezione, senza pelle. Lui la sentì tremare contro il suo corpo e si bloccò guardandola stupito. Con il volto coperto di lacrime Kate gemeva. “No, no…no…”.
Rick sapeva benissimo che quel dolore non era per lui, non era lui che stava respingendo, ma si sentì ugualmente male nel vederla così indifesa, così vulnerabile e sofferente. Temette di aver contribuito, di aver esagerato, ma in quell’istante tutto ciò che voleva era farla sfogare e calmarla, farle capire che era al sicuro. Non fece nulla, non si mosse, restò fermo dentro di lei mentre con le braccia la stringeva e la accarezzava e le poggiava la testa sulla sua spalla. Poteva sentire i suoi singhiozzi contro il suo petto e in quell’istante, cuore contro cuore, Rick seppe che non era mai stato più grato di aver vissuto un giorno in tutta la sua vita. Prese la camicetta di Kate con una mano e la appoggiò sulle spalle della ragazza. Lei si staccò e lo guardò smettendo per un istante di piangere. Si portò la mano alla bocca e singhiozzò silenziosamente per coprire il rumore dei suoi respiri. Lui le spostò la mano e la baciò piano sulla bocca. Con dolcezza le fece mettere le braccia nelle maniche, poi la prese dalle spalle e la portò sul suo petto mentre si stendeva sul sedile. La tenne stretta a sé, mentre goffamente cercava di rivestire e coprire entrambi con i cappotti e la coperta. Se la strinse a sè più forte che potè e sentì i singhiozzi che riprendevano e il pianto che gli bagnava il mento. La appoggiò sul suo petto ancora nudo e mentre con il braccio con cui la avvolgeva la cullava dolcemente, portò l’altra mano sulla sua fronte e prese a carezzarla con un tocco leggero. Era solo il primo passo. Stare abbracciati, sotto la pioggia che aveva ripreso a scendere, cullarla, accarezzarla, lasciare che il cuore le sussurrasse parole che asciugassero le lacrime meglio di fazzoletti e lenzuola, e accarezzarla ancora, cullarla ancora, dirle “basta piangere” e “andrà tutto bene” e “sono qui con te”. Era solo il primo passo per curare la ferita antica. La ferita a causa della quale Kate non poteva più amare.

Angolo dell'autrice:
Carissimi lettori,
questo capitolo è forse il punto cruciale della storia che tutti aspettavate.
Il mio animo profondamente romantico anche questa volta non si è tradito.

Il titolo è tratto da "Le ali spezzate" di Kahlil Gibran.

Grazie per le stupende parole che ricevo da voi.

Un abbraccio,

Tersiore150187

  
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