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Autore: Riham    17/06/2011    1 recensioni
"Questione di tempo"
Con questa frase molte persone liquidano il dolore.
Fra queste persone, c'è una ex tassorosso, un tempo solare e simpatica, un ex grifondoro alle luci della ribalta, una serie di altri personaggi che si scontrano con il dolore.
Amicizia, dolore, solitudine, comprensione, delusione, rabbia ed infine un fascio di luce chiamato amore.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Famiglia Weasley, Ron Weasley, Tassorosso | Coppie: Draco/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Questione di tempo.

Capitolo Uno - Piove

{Susan}

Pioveva quel pomeriggio. A dirotto. I tuoni coprivano i sussurri dei pochi passanti, i lampi illuminavano il cielo grigio e carico di rabbia trasfigurata in lacrime di pioggia. Susan camminava lentamente, quasi attaccata al muro. Le braccia incrociate, i capelli biondi completamente bagnati ed attaccati al viso e al collo, gli abiti fradici, le scarpe da ginnastica infangate. Sembrava non curarsi della pioggia, pensava a camminare, a seguire la strada di una via laterale di Diagon Alley. Non pensò nemmeno a tirare fuori la bacchetta ed applicare uno di quei incantesimi che aveva appreso dalla professoressa McGranitt, preferiva di gran lunga bagnarsi fino a sciogliersi definitivamente e fondersi con il pavimento lastricato di quel vicolo. Si fermò poco prima di una pozzanghera gigantesca e la osservò accigliata. Le gocce di pioggia distruggevano la quiete della superficie dell'acqua, spezzavano qualunque legame, qualunque forza, rendendo la pozzanghera un mero campo di battaglia. Susan chiuse gli occhi ed evitò di ricordare quella terribile sensazione di sconfitta che sentiva nel cuore. Alzò gli occhi al cielo ed lasciò che le ultime gocce di quel temporale estivo la colpissero. Era felice di essere, per una volta, un bersaglio facile. Felice di essere colpita.

Aveva voglia di correre e gridare. Era strano? Sì, perchè un tempo lei amava starsene tranquilla, leggere un giornale ed andare al bar con gli amici. Non era un tipo alla ricerca di attenzioni ed esibizionista fino all'ultimo, lei, un tempo, desiderava solamente di vivere la sua vita al meglio delle possibilità e delle circostanze. Ma tutto quello che ora faceva era chiudersi nel vecchio appartamento di sua zia, piangere mentre leggeva poesie e racconti di autori Babbani che conoscevano il dolore o almeno così dicevano, ignorare i gufi che sostavano alle sue finestre e vivere d'impulsi ed improvvisazioni. Come quella che la spinse ad entrare in un piccolo bar ancora pieno di gente che in principio si erano rifugiate per evitare di bagnarsi e poi avevano preferito godersi il calore di un buon caffè. Una signora dai capelli scuri che accoglieva la clientela le sorrise e la invitò ad entrare.-Signorina lei ha proprio l'aria di una che ha bisogno di qualcosa di caldo. Abbiamo un posto qui in fondo.- disse indicandole un tavolino vuoto con due sedie. Susan annuì accennando a un grazie e s'incamminò lentamente. Si sedette di peso e con gesti nervosi raccolse i capelli bagnati in una coda alta, esponendo il collo candido all'aria calda del locale. Si tolse la giacchetta che indossava e con un veloce colpo di bacchetta l'asciugò. Si diede una veloce sistemata e quando le parve di avere un'aria presentabile ordinò un cioccolata calda e una fetta di torta. La sua mente, come al solito, cominciò a viaggiare in quel mondo parallelo per certi versi paranoioco e si scollegò dalla realtà. Era così facile rimanere concentrati sui ricami della propria tovaglia e non rendersi conto di qualche occhiata strana, di quei sussurri, di quei sguardi perplessi ed eccitati nello stesso tempo.

Un vassoio volante planò sul suo tavolino. Fece un cenno di saluto e decise di dedicarsi prima alla torta, stava per asseggiarla, quando un'ombra oscurò la sua giornata.

-Susan Bones, sei davvero tu?-

{Ron}

Non c'era nulla di meglio che starsene seduto in un bar e ripararsi dalla pioggia e dai problemi. Una fetta di torta, una tazza di caffè, l'odore di cibo appena sfornato che volteggiava intorno a lui e la sensazione di essere ancora nel bel mezzo di quella tavolata, accanto agli amici di una vita. Se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere il cielo stellato della Sala Grande, poteva ancora i sentire gli schiamazzi e le risate dei suoi compagni, poteva ancora fissare lo sguardo accigliato di Harry, poteva ancora osservare furtivamente Hermione.

Hermione.

Scosse la testa bruscamente e tornò alla realtà. La nuda e cruda realtà di tutti i giorni. Chiuse definitivamente il pesante libro da studiare per l'esame di ammissione alla scuola di Auror e si guardò intorno. Non riconobbe nessuno, se non la chioma rossa di George in compagnia di quella scura di Angelina. Da qualche settimana uscivano insieme, di solito a prendere un caffè o pranzare insieme, ma ogni giorno che passava, George sembrava acquistare più energia, più voglia di godersi ciò che rimaneva della sua vita. Si voltò verso sinistra e quasi sobbalzò appena riconobbe i capelli chiari di quella che un tempo era stata sua compagna di scuola, suo alleata nella Seconda Guerra Magica, sua avversaria a Quidditich.

Susan Bones stava fissando la tovaglia del suo tavolino, la schiena appoggiata in modo scomposto, gli occhi persi in chissà quale pensiero, la mente anneggata in chissà quale ricordo. Sentì una familiare stretta allo stomaco e tentò di non farsi assalire dai ricordi di una risata che conosceva bene, che aveva scoperto troppo tardi di amare. Si concentrò sul libro che riaprì con uno scatto e cominciò a leggere le prime frasi che trovò, ma i suoi occhi continuavano a ricordargli della sua presenza, cercando di fissarla in modo discreto. Era cambiata. I capelli erano lunghi, la frangia le copriva parzialmente gli occhi, il corpo sembrava eccessivamente magro dati i polsi sottili e le guance scavate. Dov'era finita la solare e bonaria Susan Bones? Quella che si scusava a fine partita quando feriva qualcuno? Quella che stringeva la mano anche ai Serpeverde, perchè era convinta che "tutti meritassero il saluto"? Era stata l'unica a sparire del tutto dopo la Seconda Guerra. Non aveva partecipato alle commemorazioni, alle cerimonie, a quel raduno al Lago Nero dove si erano stretti in un abbraccio collettivo, ricordando ciò che avevano fatto e ciò che avevano perduto. C'era George, era venuto persino Lee, ancora ferito e distrutto nell'animo, Amos Diggory che aveva lanciato nel lago un boccino in ricordo del figlio, le gemelle Patìl, Dennis Canon con la macchina fotografica del fratello e molti altri di cui aveva ricordi confusi. Persino suo fratello Percy, ancora dilaniato dai sensi di colpa, si presentò. Non parlò, non si espose, rimase con le mani in tasca a fissare le piccole onde del Lago fino a quando la notte non inghiottì ogni contorno.

Susan Bones non si presentò nemmeno ai funerali di sua zia. La sua sedia era l'unica rimasta vuota quando il Ministero le consegnò una targa commemorativa e l'Ordine di Merlino Prima Classe a lei e a tutta la sua famiglia. Fu quel giorno, quando riuscì a trovare dieci minuti per leggere in pace il giornale, per evitare così i libri e i bambini urlanti nel negozio di Fred, che conobbe parte della sua storia. Era a conoscenza della morte della zia, Amelia Bones, ma non sapeva che suo padre, Edgar, morì qualche giorno prima della perdita dei poteri di Lord Voldemort. Alcuni mangiamorte pentiti indicarono Rod Lestrange come un'unico assassino, altri invece dissero che fu sua Bellatrix. Sua madre, Elizabeth Derwent, era morta quando Susan aveva sei anni, all'estero mentre cercava indizi su possibili nuovi gruppi di Maghi Oscuri. Solo quel giorno capì quando Susan fosse sola. Su quanto quei sorrisi e quella risata che rivolgeva a tutti fossero solo una vana ricerca di apparire forte e decisa, ma lei rimaneva sola.

Si alzò improvvisamente, lascio qualche moneta sul tavolo e libro in mano e cartella sulla spalle decise di andarle incontro e salutarla.

-Susan Bones, sei davvero tu?-

  
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