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Autore: Marghe    10/02/2004    9 recensioni
<< .... Anche se ci fosse ancora stato qualcosa per cui lottare, che cosa c’era al termine? La luce, forse? Un attimo di pace? Ma da quando era risorto Voldemort, c’era ancora da sperare in qualcosa, esisteva ancora un barlume di speranza sotto quella coltre imperscrutabile? No. Sicuramente no. >>
Genere: Avventura, Dark, Drammatico, Malinconico, Mistero, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
Capitoli:
   >>
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01

01. Ombre senza nome.

 

 

 

 

-------------------

 

Una giornata trascorsa al Ministero della Magia poteva essere più tremenda di quanto non si immaginasse, sopratutto se si viene scelti come scagnozzi da Dolores Jane Umbridge. Gray contemplava la massa eterogenea di persone affollare i marciapiedi, chiedendosi per quanto tempo avrebbe sopportato quella donna. Probabilmente, anzi, sicuramente, la stava cercando per affidarle qualche compito idiota, ma questo non era certo un motivo per il quale Gray sarebbe scesa da lassù.

 

Da quando poi aveva saputo che avrebbe dovuto accompagnarla ad Hogwarts come assistente, non aveva certo fatto i salti di gioia. Sarebbe stato ancora più difficile tenersi in contatto con i membri dell'Ordine, ma adoperando come scusa la sua malattia, avrebbe potuto filarsela quando le faceva più comodo. Per il resto, non era a conoscenza dei piani del Ministero. Da quelle parti nessuno si fidava di Gray, o meglio, nessuno era così stupido da farlo. Era come se qualcuno avesse intuito che aveva dei contatti con qualcuno che il Ministero non adorava proprio: Silente. Ed in effetti neanche Gray ne era particolarmente felice.

 

Era probabilmente il membro meno attivo dell'Ordine. Ogni tre giorni - come minimo - la malattia la stendeva a tal punto che restava addormentata per lungo tempo. Non aveva occasione di spiare il Ministero, anche perchè non appena riapriva gli occhi veniva scaraventata nell'ufficio degli Auror per continuare le indagini sulla cattura di Sirius Black.

 

A dir la verità Gray sapeva perfettamente dove si trovasse, anzi, non vedeva l'ora di tornare a Grimmauld Place.

 

Ma probabilmente avrebbe dovuto aspettare ancora molto: sarebbe volentieri partita di soppiatto la notte scorsa, ma da quando la Umbridge l'aveva personalmente selezionata come assistente non aveva neanche il tempo di respirare. Le veniva la tentazione di sperimentare qualche maledizione sul vecchio rospo, ma per il momento non le pareva una buona idea. La sua reputazione era già abbastanza agghiacciante.

 

Un improvviso bruciore all'altezza delle clavicole la attanagliò mozzandole il respiro, e diffondendosi su tutto il corpo. Gray si contorse dal dolore, e per poco non cadde di sotto, dodici piani più sotto. Non che questo la preoccupasse. Ma quel dolore non era un buon segno. Scagliò un'occhiata al punto dal quale proveniva il dolore, cercando di inquadrare il segno che contraddistingueva tutti quelli come lei. Avvertì una chiara sensazione di disgusto.

 

Disgusto per tutto quello che quel marchio le aveva provocato, disgusto per il signore che avrebbe dovuto servire se solo non si fosse sforzata di resistere. Stava lentamente pagandone il prezzo. Grey emise una specie di gemito; il marchio stava emergendo ancora una volta e lei avrebbe dovuto respingerlo di nuovo. Il peggio era che, stranamente, sembrava che nessun incantesimo potesse contrastare il Marchio, e l’unica scelta era tagliarsi completamente la pelle. Non aveva più voglia di dilaniarsi la pelle, come quando era a scuola, ma sapeva che se non l'avesse fatto non avrebbe più avuto piena volontà delle sue azioni. E allora forse avrebbe ucciso qualcuno. E sarebbe tornata in quel posto orribile... forse stavolta niente l'avrebbe salvata dai Dissennatori…

 

-  Gray! -

 

Una voce la fece trasalire e per la seconda volta rischiò di precipitare. Una ragazza dai vistosi capelli violetti trotterellava verso di lei. Gray non si mosse di un centimetro. Scrutava i dintorni con noncuranza, convinta che Tonks non l’avrebbe riconosciuta.

 

Invece, quando si voltò, era proprio di fronte a lei.

 

-  Forza, lo so che sei tu -

 

Gray scrutò ancora una volta i dintorni per assicurarsi che nessuno la vedesse, poi scese dal cornicione e riprese sembianze umane. Anche in quel caso, comunque, non era il tipo di persona che passa facilmente inosservata. Aveva la pelle di un pallore quasi disumano, le palpebre livide e cineree, e gli occhi rossi erano offuscati da un’ombra di sconfinata spossatezza. Il suo aspetto esteriore non tradiva la malattia che la accompagnava da quando era nata, ma nel vederla, sembrava proprio che dovesse morire da un momento all’altro, perdendosi nella brezza come un mucchietto di sabbia. Lunghi capelli fulvi scintillavano sotto il debole sole di Londra. Si stringeva in una lunga giacca di pelle, che portava semplicemente sulle spalle, senza infilare le maniche. Aveva dei pantaloni lucidi e aderenti, che sembravano fatti di squame, ed una maglia di velluto strappata dalle maniche svasate e molto larghe. Essendo vestita completamente di nero, il colore spettrale della sua pelle risaltava come non mai.

 

Nero era lo smalto che aveva sulle unghie, neri erano gli stivali, nero il cuore dalle ali d’argento che portava al collo. L’unica cosa di colore diverso era la cintura di cuoio rivestita di aculei, ciondolante sotto la vita e adorna di ogni genere di piccola catenina d’oro.

 

Tonks ormai la conosceva bene, ma non poteva evitare di restare impressionata ogni volta che la vedeva così all’improvviso. La sua pelle era liscia come una tavola di legno, sembrava trasparente sotto quel sole, ed emergeva ostinatamente dalla montagna di nero di cui era vestita.

 

Gray sembrava aver sempre freddo, anche nel clima mite di fine estate. Era magra e sottile come un fuscello, sembrava che bastasse un soffio di vento per spezzarla in due.

Lo strano e malato carisma che la sua figura imprimeva sembrava imporre qualcosa che rasentava il terrore.

 

Tonks sapeva bene che Gray aveva conosciuto le fauci di uno dei luoghi più terribili di quella Terra.

 

-  E tu come fai a sapere che… -

 

-  Sirius - la interruppe Tonks, - me l’ha detto lui. -

 

-  Quanta privacy… -  Gray roteò gli occhi.

 

-  Lascia perdere. Stasera c’è una riunione, -  disse Tonks in tono allegro.

 

-  Non so se posso, -  rispose Gray stancamente.

 

-  Sì, però devi ! Abbiamo delle novità riguardo all’arcioè… riguardo a quella cosa, capisci… -  Tonks sembrava timorosa che qualcuno stesse origliando l’intera conversazione, ma proseguì, abbassando vertiginosamente la voce, -  Non è difficile sgattaiolare fuori dal Ministero, no? Sei un Animagus! Nessuno baderà ad un corvo -

 

-  La Umbridge mi sta alle costole. Si accorgerà subito che me la sono filata, -  Gray ebbe un violento colpo di tosse e divenne ancora più pallida. Dovette mettersi seduta sul cornicione, pericolosamente oscillante verso l’esterno.

 

-  Ci sono mille scuse, -  replicò Tonks con aria furba, -  di’ che ti sei sentita veramente male… o magari che hai avuto notizie di qualche ricercato, o… -

 

-  Non funzionerà -

 

-  Che pessimista! -

 

-  Si dice realista, -  corresse Gray, -  comunque la mia non è esattamente la posizione che può permettersi sparizioni di questo genere. Non ho una fedina penale impeccabile come la tua. -

 

Tonks tacque per un istante.

 

-  Una volta non avresti fatto tante storie, -  disse all’improvviso

 

-  Cosa? -

 

-  Anche questa me l’ha detta Sirius -

 

Gray non poté evitare di sorridere, nonostante continuasse a tossire.

 

-  Allora?, -  chiese Tonks

 

-  Vengo -

 

-  …Sicura? -

 

-  Sicura. -

 

 

*

 

 

-  Permesso? - , trillò la Umbridge, vagamente alterata, -  Permesso per cosa? -

 

-  E’ una cosa lunga, Umbridge -

 

-  Sono miss Umbridge. -

 

-  Sì… d’accordo -  tagliò corto Gray con impazienza, prima di guardarsi intorno con sguardo nervoso. Non era esattamente il tipo di compagnia che avrebbe voluto avere per una conversazione di quel genere. Gran parte del Wizengamot era abbastanza vicina da poterla sentire, e quanto alla Umbridge, parlava con Lucius Malfoy assieme a Caramell.  -  Voglio solo una sera libera. Tutti i dipendenti hanno la sera libera! Domattina all’alba sarò di nuovo qua -

Gray volse attorno l’ennesimo sguardo. Da nervosa era diventata rabbiosamente imbarazzata. Si sentiva come una mocciosa che chiedeva il permesso per uscire la sera, e tutti la guardavano di soppiatto così come avrebbero guardato un barbone o un ammasso di rifiuti al bordo della strada. Gray pensò che fosse il momento giusto per darsi un tocco di classe. -  E avrò notizie di Black. -

 

Malfoy inarcò il sopracciglio. A differenza degli altri, lui, la Umbridge e Caramell la guardavano anche troppo spudoratamente. -  Sei convinta di sapere il suo nascondiglio?, -  chiese Malfoy scrutandola con un’occhiata superiore.

 

-  Sì. -

 

-  E pensi di poterlo arrestare stasera? -

 

-  Esattamente. -  Il silenzio si impadronì del corridoio -  Se posso uscire di qui stasera, ovvio. Ma visto che non sembrate dell’opinione… -  Gray voltò loro le spalle e fece per andarsene.

Misurava il pavimento a passi lenti; era praticamente certa che, non appena si fosse avvicinata alle scale, l’avrebbero fermata e l’avrebbero fatta uscire. Qualsiasi cosa dicesse Tonks, la miglior tattica da seguire col Ministero della Magia era comportarsi da educati sottoposti. Non era esattamente la specialità di Gray, ma faceva del suo meglio.

 

Mancavano ancora due passi alle scale, quando, come previsto, la voce della Umbridge trillò angelica alle sue spalle.

 

-  Gray? -

 

Con un sorriso innocente stampato in faccia, Gray girò lentamente i tacchi e tornò verso i tre.

 

-  Sì? -

 

-  Penso che tu possa andare -

 

-  Bene -

 

-  Ma la bacchetta resta qui -

 

Questo Gray non l’aveva calcolato.

 

E non era sicura che non le importasse, perché non era del tutto tranquilla a girovagare senza bacchetta. Soprattutto se aveva a che fare con l’Ordine della Fenice. Era convinta che si sarebbe trovata di fronte a una buona metà di spie e di volta faccia; l’esperienza le insegnava a non fidarsi di nessuno e, soprattutto, a non separarsi mai dalla bacchetta…

 

-  Ma perché? -

 

-  Diciamo che non sei… la persona di cui tutti noi si fiderebbero… -  Scandì lentamente Malfoy. Gray lo osservò senza calare lo sguardo neanche per un istante. Lo so, cosa credi… Mangiamorte…

 

-  E lei, Malfoy… suppongo che di lei ci sia molto da fidarsi. -

 

-  Gray!! -  abbaiò Caramell.

 

Gray stava iniziando a perdere la volontà di comportarsi bene e la voce della sua coscienza ormai era un soffio remoto. Non che Gray l’avesse mai ascoltata, in verità. Ma aveva sempre cercato di non farsi guai col Ministero. Malfoy non l’avrebbe passata liscia. Malfoy era un Mangiamorte esattamente come lei… però Malfoy non era mai finito ad Azkaban… Malfoy non aveva mai avuto amicizie sospette… Malfoy era innocente come un agnello, e Gray doveva essere grata… era il Ministero che le aveva risparmiato ciò che si meritava…

 

-  Non dovresti nemmeno azzardarti, ragazzina… -

 

-  E tu perché non mi metti di nuovo in prigione, Caramell? -  latrò Gray -  Hai paura? Hai paura che io ti salti addosso e ti strangoli? Pensi che io sia l’unica assassina, in questo corridoio? -

 

Cessando per un attimo di respirare, Gray udì i presenti fare altrettanto. I loro sguardi erano gonfiati di risentimento e di quella che assomigliava tremendamente alla compassione.

 

 

**Loro non   hanno mai  provato il    gelido

abbraccio  di Azkaban . ..  **

 

 

Gray ebbe il presentimento di averla detta troppo grossa. Eppure c’erano abituati! Lo sapevano bene. Gray non aveva difficoltà ad indovinare come la giudicassero: lei era instabile, una povera orfana, la sua malattia non le consentiva  di provare neppure emozioni troppo forti, era una mezza dissanguata, metà della sua vita la trascorreva a letto priva di sensi…

 

 

**Uccidili.**

 

 

Non sapevano niente. Non potevano lontanamente sospettare quanto male le facesse…

 

 

 **  Guardali,

 Gray… **

 

 

Lo sguardo di ogni membro del Wizengamot era puntato su di lei. Altri dipendenti accorrevano perché avevano sentito dire, in un attimo, che c’era aria di baruffa nei corridoi. Gray tossì. Si sentiva debole…

 

 

**…guardali    negli   occhi…**

 

 

Gray sapeva che stava per succedere. Cercò di scacciare tutta la sua rabbia, cercò di rammentare tutte le lezioni di Occlumanzia che era stata obbligata a seguire… basta impedire al nemico di entrare nella mente, di guardarti i ricordi…

 

 

**Uccidili,   Gray,

      d  evi ucciderli…**

 

 

-  Bhe? Che diavolo ti prende? -  il tono di Caramell era di scherno. Gray ne era certa.

La Umbridge scoppiò a ridere. Gray si sentiva così tremendamente infantile…

Malfoy sghignazzava.

 

 

**Che pena    provano per    te!  pensaci…

cosa   devi  loro? **

 

 

Gray lo sapeva. Non gli doveva niente. Aveva lo sguardo inondato di sangue, sentiva il dolciastro colmarle la bocca.

 

 

**pensaci…**

 

 

-  Oh, sta male… -  rise la Umbridge. Rospo! Vecchio rospo!

Gray sentiva il sangue.

 

 

**Uccidili,    Gray!

 UCCIDILI!! **

 

 

Gridò con tutte le forze che aveva in corpo, prima di perdere improvvisamente i sensi e sentire una vampata di fiamme avvolgerle il Marchio. Era tornato.

 

 

*

 

 

Invano tentò di ricordare cos’era successo. Le pareti attorno a lei sembravano inghiottire ogni suo pensiero, ogni volta che tentava di formularne uno. Il vestito attorno al Marchio era bruciato, e il teschio nero era ormai netto come un taglio nella carne. Gray tossiva ogni minuto, sputando sangue ogni volta. Si chiese in che guaio fosse finita. Ma che le importava?

Fuori la pioggia, o almeno l’illusione trasmessa dalle false finestre, velava ogni domanda, come una tenda di velluto.

 

Gray aveva gli occhi appannati dalle lacrime, come ogni volta che si sentiva male.

Il suo cervello sembrava essere sparito, restava solo la scatola cranica vuota, dentro la quale echeggiava ogni secondo la risata della Umbridge. Gray strinse i pugni così violentemente che le unghie lunghe ed affilate le scavarono dei tagli nella pelle e macchiarono le lenzuola. Dopo molto tempo realizzò di trovarsi al Ministero, ai piani intermedi, dove venivano messi quelli che si sentivano male. Le ricordava tanto il San Mungo

 

No, somigliava forse all’infermeria di Hogwarts… quante volte c’era stata…

 

In un istante ebbe un sussulto e un gemito, la sensazione che i pensieri le fossero tornati in testa tutti quanti in un colpo solo. la riunione… alla fine non c’era andata. Adesso l’avrebbero schiaffata di nuovo in una qualche cella piena di topi… o forse non era nemmeno la Ministero, magari era a Grimmauld Place, forse tutto quel che aveva visto se l’era solo sognato…

 

O forse era a casa. Per un attimo si ricordò il suo nome, era certa di sentirlo…

 

La porta si aprì ed entrò il signor Weasley. Fu come se un colpo di forbice le staccasse ogni ricordo legato al passato. le vocine che sussurravano il suo nome svanirono e le pareti di casa sua crollarono, fuggirono via, come un castello di carte da gioco.

 

-  Come va? -

 

Gray rispose con una domanda. -  Che è successo? -

 

-  Sei svenuta, e poi… -

 

-  Lo so benissimo che sono svenuta. Voglio sapere cos’è successo dopo -

 

-  Bhe… -

 

Arthur Weasley sembrava riluttante a dirglielo

 

-  La Umbridge ha fatto distruggere la tua bacchetta. -

 

Gray emise un sospiro tale che le fece quasi venire le vertigini. Perfetto. Nient’altro mancava per farle venire la voglia di restare sul letto per sempre.

 

-  Era veramente arrabbiata, sai -

 

Gray non rispose. Il signor Weasley continuava a riferirle i fatti, ma lei non ascoltava neanche una parola. Captava qualche frase di tanto in tanto ma non aveva nessuna voglia di capirla.

Fissava un punto nel vuoto.

 

-  Harry ha fatto l’udienza ed è andata bene -  disse ad un tratto il signor Weasley.

 

-  Che… cos… … udienza ? Ma non doveva essere… -

 

-  Hai dormito quattro giorni, -  annuì il signor Weasley, con un mezzo sorriso. Gray sibilò un imprecazione mentre si lanciava di nuovo sul cuscino: quanti editti - a suo danno, ovviamente - era riuscita a deliberare la Umbridge, in tutti quei giorni? -  Nel frattempo la Umbridge ha anticipato la partenza per Hogwarts. Domani. Che tu stia bene o no. -

 

-  Se non volessi andarci? -

 

-  Andiamo, non mi pare il caso di combinare qualche altro guaio. Abbiamo bisogno di spie al Ministero, non ad Azkaban. -

 

Gray dovette scuotere la testa, ammettendo che non aveva torto. Non aveva nessuna voglia di tornarsene a scuola, anzi, la sua riluttanza superava il limite della sopportazione. “Lavorava” al Ministero soltanto perché non la arrestassero di nuovo, e quanto all’Ordine, sebbene fosse il compito meno ingrato che le fosse toccato, non sopportava l’idea di fare un piacere a Silente. Non le era mai andato a genio. Quando andava a scuola aveva sempre preso le sue difese, in moto talmente spudorato da farla passare per la cocca del preside. Ed accoglieva professori scadenti come il direttore di un orfanotrofio. Non a caso, aveva assunto Mocciosus. 

 

Dentro di sé, comunque, Gray aveva già un piano.

 

 

*

 

 

 

-  Che significa che non riuscite a sbloccare questa dannata porta? -  ruggì Caramell.

 

-  Deve averla sigillata dall’interno con qualche incantesimo, -  rispose uno dei membri del Wizengamot, -  e non c’è magia che riesca a… -

 

-  Idioti! -  Caramell lo scansò violentemente -  Ha solo chiuso a chiave!! Come può lanciare un incantesimo senza la bacchetta? -

 

Il consiglierò sembrò perplesso.

 

-  Eppure… -

 

-  Bah! Fatti da parte, babbeo! Alohomora ! -  Qualche istante di totale silenzio, e un click  segnalò che la serratura era scattata. -  Ci voleva così tanto impegno!? -

 

Il consigliere era ancora più perplesso, e la piccola folla dietro le sue spalle cominciava a dar segni di irritazione.

 

-  Ad aprirla ci siamo già riusciti!, -  azzardò, -  è che… -

 

Caramell non lo lasciò finire, e, sempre seguito dalla Umbridge, spalancò la porta e fece per irrompere nella stanza, quando andò a sbattere contro un muro. Il botto si udì per tutto il corridoio e fece accorrere una dozzina di dipendenti ansiosi di vedere Caramell che, col naso appiattito e l’espressione ebete, si afflosciava a terra come un ubriaco. Inoltre la Umbridge gli era andata a sbattere contro per la frenata improvvisa, spiaccicandolo letteralmente fra il suo grasso e la parete.

 

-  Che diavolo ci fa un muro....? -

 

Un muro di pietre era come germogliato ad un millimetro oltre la porta, coprendo tutta la parete ad essa circostante. Incise sui massi c’erano le parole “Ci vediamo a Hogwarts, se riuscite a far entrare la Umbridge sul treno”.  La Umbridge si agitò nelle lonze di grasso, emettendo scattanti “oh!” scandalizzati, che la facevano somigliare ad un vecchio telegrafo.

 

-  Quel ridicolo avanzo di cimitero! -  sbottò Caramell.

 

-  Ecco il suo ringraziamento dopo tutto quelle che abbiamo fatto per lei! -  echeggiò la Umbridge.

 

Nessuno si mosse.

 

-  Bhe? Che diavolo ci fate qui? Mandate qualcuno a cercarla, imbecilli!! -

 

 

 

*

 

 

 

Gray non si sarebbe mai sognata che fosse così semplice ingannare Caramell e gli altri. Probabilmente non aveva avuto un’idea poi così geniale, ma aveva dimostrato che anche senza bacchetta non era totalmente disarmata. E poi aveva bisogno di tempo per essere di nuovo in grado di muoversi, e se fosse entrato qualcuno nel frattempo, avrebbe potuto capire che intendeva filarsela.

 

Non aveva fatto altro che sintonizzare il suo cervello su quello di coloro che tentavano di aprire la porta. La sua paura era che qualcuno tentasse di attraversarla, perciò quando Caramell era andato a sbattere era rimasta decisamente sorpresa. Aveva sempre creduto che la sua capacità innata di creare illusioni non potesse generare oggetti tangibili, ma evidentemente si sbagliava.

 

Il suo piano era far allontanare tutti per cercarla, ma così non era stato. Caramell e la Umbridge avevano anzi chiamato rinforzi per smantellare la parete. La parete alla fine era scomparsa, ma Gray aveva creato l’illusione del suo cadavere schiacciato contro la finestra. Si erano tutti riuniti, quindi, nella parte della stanza più lontana dalla porta, e lei aveva potuto filarsela con tutto comodo. Le persone che riempivano i corridoi rendendole difficile la fuga le facevano provare una netta nostalgia del Mantello dell’Invisibilità: non poteva trasformarsi in corvo in luoghi così affollati, ma finalmente riuscì a trovare un angolo riparato da ogni sguardo indiscreto.

 

Raggiunta la sala principale, finalmente, aveva avuto la possibilità di Smaterializzarsi: quella era l’unica zona del Ministero dove simili incantesimi erano fattibili. Non appena aveva lasciato il Ministero le illusioni che aveva seminato erano scomparse, e già si immaginava il casino che avevano prodotto.

 

La prima zona che le era venuta in mente per Smaterializzarsi era Diagon Alley. Niente di più scontato, dal momento che aveva bisogno di una nuova bacchetta. Ripensò con una rabbia indescrivibile alla Umbridge, e nell’immaginarsi la sua reazione quando si sarebbero rincontrate ad Hogwarts le veniva voglia di gironzolare per Diagon Alley tutta la vita.

Osservando quanto poco quel posto fosse cambiato, negli anni, Gray ripensò a quando c’era stata la prima volta. C’erano pochissimi ricordi nella sua testa che si riferissero a quel periodo. Una ragazzina dall’aria atterrita che barcollava per le strade sprofondate nella neve, tremando di freddo. Ogni luce era spenta, se non per qualche piccolo bagliore lontano, ogni voce si era assopita nella notte.

 

La bimba doveva avere poco più di otto anni. Capelli fulvi spettinati, macchie di sangue sulla pelle e sui vestiti. Sembrava del tutto incapace di ragionare, di pensare, sembrava malata al cervello, parlava da sola. Contemplava le vetrine nascoste dalle saracinesche e volgeva di tanto in tanto al cielo uno sguardo disperato. Improvvisamente, si mise a correre.

Nascostasi dietro un angolo scoppiò il lacrime chiamando i suoi genitori. Tentò di strusciarsi il viso con le maniche, ma peggiorò la situazione spargendosi il sangue su tutte le guance. Aveva degli sfavillanti occhi rosso sangue, che riflettevano il bianco della neve lì intorno. Una nuvola offuscò la luna, poi, altre nuvole, fin quando il cielo fu una macchia nera senza punti di riferimento.

 

I lampioni si spensero. Al Paiolo Magico le deboli luci che venivano dalle stanze si spensero tutte contemporaneamente, e da qualche parte risuonò un grido lontano. La bimba non se ne curò, continuava a piangere e il sangue gocciolava. Non era ferita, sembrava che si fosse solo macchiata. I capelli arruffati sembravano un mucchio di rovi, pieni di fiocchi di neve. Era vestita troppo poco per il freddo che faceva. Da dove veniva? Che ci faceva lì da sola? Perché era terrorizzata, cos’erano quelle macchie di sangue che aveva addosso?

 

L’orologio segnava l’orario e la data. Gray non riusciva a mettere a fuoco i numeri. Nella sua mente tutto era una macchia confusa colorata di rosso. Vaghe ombre si aggiravano nella sua testa, confondendosi col dolore, con le lacrime, con l’amaro della ferita e della vergogna.

 

 

Quando era entrata per la prima volta da Olivander, Gray era accompagnata dalla McGranitt. Era stato Silente a trovarla a Diagon Alley quando aveva otto anni: le aveva permesso di vivere ad Hogwarts, ma non le aveva mai detto da cosa l’avesse salvata. Gray ricordava soltanto uno spazio di gelo e terrore che occupava il vuoto fra Diagon Alley e Hogwarts. Era così per gran parte della sua memoria. Di quando era piccola, prima di quella notte, non ricordava niente. La memoria si ricostruiva lentamente, fino a lasciare spazio agli unici ricordi completi che avesse: dal suo primo anno di Hogwarts in poi.

 

Non appena ebbe passato la porta del negozio di Olivander, venne investita da un calore malsano. Una falciata di luce entrava da un’unica finestra, gettando la stanza in una strana penombra color seppia, nella quale aleggiavano almeno due dita di polvere.

 

Il proprietario emerse poco dopo e sembrò piuttosto stupito di vederla. Sembrava averla riconosciuta, nonostante fossero passati almeno quindici anni dall’ultima volta.

 

-   Gray… dico bene? Gray… Gray… com’era?... -  Olivander si perse con lo sguardo al soffitto, e Gray immaginò che stesse tentando di ricordare il suo nome. Non era la prima volta che si trovava di fronte ad una situazione simile, e così si mise ad aspettare pazientemente che Olivander s’arrendesse. -  Dovrai perdonarmi, ma il tuo nome ora mi sfugge. -

 

-  Non importa. -  Gray scosse le spalle gettando lo sguardo altrove.

 

-  Posso aiutarti? -

 

-  Indovina… -

 

Olivander la scrutò con attenzione per un istante.

 

-  Ricordi di cos’era composta la tua bacchetta? -

 

Gray scosse la testa -  No. Era quella che tremava in continuazione. -

 

-  Ah! Naturalmente! -  Olivander si ravvivò all’improvviso e corse verso i suoi scaffali. Prese a scrutarli con aria frenetica, ma sembrò non trovare ciò che stava cercando, e si recò nel retro. Gray, mentre aspettava, si guardava in giro: sembrava un vecchio negozio di scarpe.

C’era uno sgabello sul quale delle scatole erano appoggiate alla rinfusa, e sembravano stare in piedi per miracolo. Era lo stesso sgabello sul quale s’era seduta Gray, chissà quanto tempo prima, un bello sgabello intagliato. Adesso aveva soltanto due gambe - quella mancante era stata rimpiazzata da un vecchio bastone - ed era completamente infestata dai tarli.

Improvvisamente uno splendido gufo, che era lì da chissà quanto e aveva l’aria particolarmente scocciata, bussò col becco al vetro della finestra. Gray non aveva idea di come si aprisse, e decise di aspettare Olivander.

 

-  Ecco qui -  Finalmente il negoziante apparve dal soqquadro del retro con una scatola in mano. Non appena l’aprì, la bacchetta al suo interno cominciò a vibrare e saltellare come una forsennata. Gray non credette di riconoscere la sua ex-bacchetta, ma non disse nulla. In verità il Ministero gliel’aveva confiscata così tante volte che non aveva avuto modo di usarla spesso. Non erano mai arrivati a spezzarla comunque. -  Platano Picchiatore. Nessuno ha mai avuto una bacchetta del genere… è un legno molto particolare, sai… bacchette così sono anche troppo corte, a dir la verità. D’altra parte non è facile procurarsi un legname del genere… -

-  Ah-Emh… -  Gray tentò di schiarirsi la voce per farsi sentire, ed indicò la finestra, dove il gufo fremeva di stizza per la lunga attesa.

 

-  Dopo! -  disse impazientemente Olivander gesticolando, e senza voltarsi nemmeno verso la finestra -  Adesso provala, dimmi se è la tua. Ma ne sono certo: ricordo tutti i miei clienti, negli anni, uno per uno, e so esattamente che cosa comprano. Questa è Platano Picchiatore, media, piuma di corvo. Sono certo che è la tua. -  

 

-  Credo di sì -  Gray tentò di prenderla in mano ed ottenne una sonora bacchettata sulle nocche.

 

-  Ahia! -  La bacchetta saltellò per tutta la scrivania buttando all’aria fogli e libri. Olivander non si scompose, ma aspettò che fosse di nuovo a portata di mano per ficcarla nuovamente nella scatola e seppellirla sotto una montagna di cianfrusaglie perché non tentasse di uscire.

-  Ah, temo che non fosse quella. Ma allora quale… ne ero certo… -

 

-  Pensavo che fosse quella. La lunghezza era identica. -

 

-  Si cambia nel tempo, e sono passati anni… ma non credo esistano altri modelli in Platano Picchiatore… - , e Olivander si gettò nuovamente nel retro. Gray decise di cercare una maniglia per poter aprire la finestra al povero gufo. Ma non appena si fu avvicinata, notò un particolare che la fece trasalire: il sigillo del Ministero. Gray ci mise un secondo ad immaginarsi il contenuto della missiva: era una coincidenza ben poco credibile. Sicuramente c’era il divieto di venderle una qualunque bacchetta.

 

-  Mi spiace, amico, ma tu adesso te ne torni da dove sei venuto, -  disse in tono serio, rivolgendosi al gufo, che a sentir quelle parole inalberò un profondo sdegno, drizzandosi in tutta la sua statura. Gray non poteva rischiare che Olivander leggesse, qualsiasi cosa ci fosse scritta.

 

I suoi occhi rossi divennero fiammeggianti, e le pupille sparirono: aprì la mano destra e la fece scorrere sul vetro, davanti al gufo, che si addormentò subito dopo un tremito convulso. Gray trovò l’apertura della finestra, afferrò il gufo e lo lanciò dritto dritto nel cestino della spazzatura; non prima di aver preso la lettera ed essersela infilata in tasca, giusto in tempo per l’arrivo di Olivander.

 

-  Sì, sì, ecco qua! Questa è l’ultima che ho, se non è questa penso che dovrai cercare altrove. - Gray deglutì. Era alquanto improbabile che esistessero altri negozi di bacchette magiche, a meno che non volesse fare un viaggio all’estero. Olivander tolse lentamente lo spago che legava la scatola, che iniziò subito a fremere tanto da stappare la scatola. Il negoziante s’affrettò a chiuderla gettandovisi sopra con tutto il suo peso. -  Molto lunga, sì, proprio molto lunga. Interamente in legno di Platano Picchiatore, ricordo benissimo, l’hanno preso da una foresta là in Irlanda… Silente non era ancora preside, è una bacchetta alquanto vecchia! E poi… aha, crine di Thestral! Bisogna avere un carattere particolare per questo tipo di bacchetta… Forti ma volubili… -

 

-  … Lunatici e violenti? -  concluse Gray.

 

-  Precisamente. -  annuì Olivander interdetto. -  Ed un sacco di altre cose -

 

-  Aprimela, la provo, -  concluse Gray, con un sorriso.

 

-  Attenta. Penso che si metterà a correre per la stanza. Personalmente non credo ti piacerebbe ricevere un’altra frustata sulla mano. Non ho ancora trovato nessuno compatibile con questa bacchetta. E’ il mio peggior fondo di magazzino. E’ anche scheggiata. -

Gray trattenne la bacchetta appena in tempo, prima che cominciasse a lanciarsi fuori dalla scatola a distruggere tutto il negozio. La bacchetta si calmò all’istante e Gray poté allentare la presa. Sull’impugnatura comparve un intaglio a forma di serpente con la scritta: “C.B.”; le scheggiature scomparvero immediatamente mostrando il disegno nodoso del Platano Picchiatore in tutta la sua lucentezza. Olivander osservava sbalordito. Nei suoi occhi si leggeva un vago timore: non si era impressionato di fronte alla bizzarra aura di Gray, che di solito incuteva un certo rammarico al solo guardarla, e ora che finalmente aveva trovato la sua bacchetta, pareva molto agitato e per niente soddisfatto.

 

-  Sarà la mia? Ero sicura che fosse più corta. -  Gray osservava la lunga bacchetta che terminava in cima con una fascia d’argento.

 

-  Ti dissi prima, -  rispose Olivander, -  Che negli anni si cambia, ragazza mia, si cambia spesso in modo vertiginoso. A volte le vicende che attraversiamo ci cambiano completamente il carattere, ma sono lieto di vedere... - , aggiunse, -  che sei ancora una Serpeverde. -

 

-  Tanto la scuola l’ho finita -

 

-  Si, possiamo dire di sì… -  Gray lo fulmino con uno sguardo talmente velenoso che Olivander ebbe un fremito. Per la prima volta una vampata di lava s’era accesa su quel viso così pallido. -  Ma la Casa alla quale uno è appartenuto lo accompagna per sempre. Non parlo solo di reputazione… sono i caratteri distintivi. E’ raro che negli anni uno si mantenga della stessa Casa… la linea è molto sottile, sai… Per esempio, spesso un Tassorosso potrebbe appartenere al Grifondoro e un Corvonero mescolarsi coi Serpeverde. Ma io ho sempre preferito questi ultimi due… li ammiro, piuttosto. Così intelligenti… e così portati all’individualismo… di questi tempi è una dote, non un deprecabile difetto. -

 

Gray sembrava piuttosto annoiata dai discorsi di Olivander, proprio come quando era piccola. Sconfinava in conversazioni soporifere, per quanto forse interessanti, e sembrava essersi totalmente dimenticato che Gray era lì per comprare una bacchetta.

 

-  Bhe? Quanto le devo?, -  incalzò Gray.

 

-  Vedi… -  L’espressione dell’altro si offuscò. Sembrava improvvisamente colto da qualcosa che pareva rimorso. Un sottile drappo ombroso calò sulla sua voce, che si fece riluttante. -  Io… io temo di non potertela vendere. -

 

Gray aveva già le mani nelle tasche, e rimase in quella posizione, immobilizzata da quell’affermazione.

 

-  Sbaglio o ti pagano per vendere? -

 

-  Sì ma… è troppo pericolosa. Io non posso vendertela. -  

 

-  Ah, cretinate! Non ho più quindici anni. -  Olivander fu costretto da quel tono di voce a concludere l’affare -  Non disturbarti per la scatola. -

 

Gray pagò, ed aveva già la mano sulla maniglia della porta quando Olivander la fermò, con la stessa voce ombrosa di pochi istanti prima.

 

-  Gray… quella bacchetta… -

 

Gray si voltò.

 

-  Sì? -

 

Olivander scosse la testa. Per un lungo, interminabile istante, Gray ebbe la sensazione di vedere il terrore negli occhi del vecchio.

 

-  No… -  disse alla fine -  niente. -

 

*

 

 

 

 

 

 

  
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