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Autore: Emily Alexandre    18/06/2011    6 recensioni
Dal testo: Bryce Vandemberg non si era mai curato del giudizio degli altri, era sempre andato avanti per la propria strada seguendo le proprie leggi e le proprie indicazioni, senza però dimenticare mai il ruolo che ricopriva. Aveva sviluppato negli anni quel distacco dal mondo, in maniera quasi naturale, attirandosi le ire di Axel che amava ed odiava con struggente intensità sin da quando era bambino.
Le rose erano state la sua salvezza, quelle rose che curava, coccolava, plasmava, quelle rose che non potevano ferirlo.
Una ragazza gli tese la mano e lui si esibì in un inchino tanto elegante quanto volutamente esagerato, bloccandosi però a metà notando con improvviso e destabilizzante stupore l’anello di lei: una rosa bianca incisa nel diamante.
Joséphine, con il suo abito verde e bianco, si armonizzava tra le rose della serra quasi ne fosse stata sempre parte integrante. Forse era proprio così, forse tutto lì era sempre stato sospeso e cristallizzato, in attesa di lei, della loro signora. Proprio come lui. Le rose che sempre l’avevano affascinato senza apparente motivo, altro non erano state che il preludio di lei. Rosa intra rosas.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Black Friars Fanfiction

Rosa intra rosas

-Preludio di Lei-





 

Le tende del baldacchino erano mosse insistentemente da una brezza che filtrava dalla finestra aperta, ma l’occupante del letto sembrava non farvi caso, perso com’era nel sonno lezioso del primo pomeriggio di una calda giornata estiva. I ricci gli cadevano compostamente sui tratti delicati del viso, quasi fossero stati appena sistemati da mani esperte, ed un braccio era elegantemente posato sul petto che si alzava e si abbassava seguendo il ritmo calmo del respiro. Bryce Vandemberg, secondo in linea di successione al trono della Nazione Sovrana di Aldenor, riposava dopo i bagordi della sera precedente ed in vista di quelli della sera a venire; le lezioni erano terminate e lui e suo fratello avevano deciso di concedersi ancora un paio di settimane ad Altieres prima di tornare a casa, per portare i doverosi omaggi al loro sovrano e fratello, re Fabian, e al loro padre adottivo, il Lord Cancelliere Domenic Weiss.
Un lieve bussare alla porta lo riscosse dal sonno e si alzò quel tanto che bastava per vedere Morton entrare, poi ricadde tra i cuscini.
-Signor Bryce, i vostri vestiti per la serata sono pronti.-
-Grazie Morton- mugugnò quello, con il viso celato per metà da un cuscino di piume. Il maggiordomo, pochi istanti dopo, fece un inchino ed uscì, facendo risprofondare nel silenzio la camera.
Bryce si guardò attorno, beandosi dell’ordine che vi regnava: fogli bianchi e piume nuove erano poggiati sullo scrittoio vicino alla finestra, alcuni oggetti da toletta facevano bella mostra di sé sulla mensola davanti al camino e l’armadio, grande quasi quanto un’intera parete, custodiva i preziosi vestiti del principe, alcuni dei quali usati appena due volte. Altri cinque al massimo. Era inelegante, ripeteva senza sosta, usare gli stessi vestiti troppe volte.
Infine i suoi occhi turchesi si posarono sul mazzo di rose bianche che troneggiava sul davanzale e si illuminarono contenti, come succedeva ogni volta che entrava in contatto con i suoi fiori: studente di Filosofia Naturale, Bryce Vandemberg, aveva solo due passioni nella vita: le piante e i vestiti, non esattamente in quest'ordine[1].
Eppure proprio i fiori in quel periodo erano diventati un suo grande cruccio: da anni era alla ricerca della sfumatura perfetta per le sue rose bianche, che le rendesse diverse da tutte le altre. Inutile dire che il non essere ancora riuscito nell’intento lo deprimeva enormemente e due delle sue ultime crisi, in cui aveva quasi varcato, a parer suo, il confine tra la vita e la morte, le aveva avute proprio di ritorno dalla serra situata dietro al palazzo cittadino dei Vandemberg.
Un lieve broncio increspò le labbra curate del principe, che subito dopo si alzò dal letto; era pomeriggio inoltrato e lui si sarebbe concesso un tè prima di iniziare a prepararsi per quella sera. L’Opera inaugurava la stagione estiva con la prima di uno spettacolo e seguente rinfresco, che sarebbe degenerato in festa smodata non appena gli adulti si fossero ritirati, come da tradizione. Bryce si guardò allo specchio, sistemando il già perfetto collo della camicia, e poi uscì diretto al salottino dove lui e suo fratello erano soliti prendere il tè; Axel era già lì, con gli occhi fissi su un libro che non vedeva davvero e un pallore tale da fare invidia ad un redivivo.
-Fratello, hai una pessima cera! Sicuro di non voler vedere il notaio?- gli chiese mentre si accomodava con studiata noncuranza su uno dei divanetti della sala.
Axel alzò un sopracciglio, staccando finalmente gli occhi dal libro per posarli sul fratello -È una prerogativa che lascio volentieri a te, fratellino. Hai riposato bene le tue delicate membra?-
-Benissimo, grazie. Tu però, ripeto, hai una pessima cera.-
-Fai bene alla mia autostima, non c’è che dire!-
Bryce nascose un sorriso dietro uno sbuffo ed il loro battibecco fu interrotto da Morton con il vassoio pieno di pasticcini e tè aromatizzato. Alle rose, ovviamente.
Mentre il fidato maggiordomo serviva la bevanda ad entrambi, Bryce si concesse pochi attimi di contemplazione del fratello: sapeva che le occhiaie e il pallore erano solo in parte attribuibili all’alcol e alla nottata che avevano trascorso tra case private e locali più o meno malfamati. In parte, un’ampia parte, era riconducibile ad un nome; un nome femminile, perché dopotutto erano sempre le femmine l’origine di ogni problema.
Eloise Weiss.
Un incontro che nessuno dei due aveva previsto, che uno agognava almeno quanto l’altra aborriva.
 
Era seduta su una scalinata con Lara Degret e Megan Linnet e si stava godendo un po’ di frescura serale, coperta solo da vesti leggere che lasciavano poco spazio alla fantasia di chiunque; era stata la risata di lei a richiamarlo, quella risata che avrebbe riconosciuto ovunque, a qualsiasi distanza, perché ne era impermeato ogni ricordo da quando erano bambini. L’aveva riconosciuta anche lui, Bryce, ed intimamente si era preparato al peggio. Sì, perché solo il peggio si poteva aspettare quando si parlava di Eloise ed Axel, che si amavano ed odiavano con la stessa forza distruttiva di un tornado.
Aveva visto l’attenzione del fratello catalizzarsi verso il punto da cui proveniva il suono, il volto sorridente distorcersi in una maschera dolorante. Era sempre così, con lei. Bryce aveva sospirato, posandogli una mano sulla spalla. –Dai, Axel, andiamo.-
Non ci aveva creduto molto neppure lui, ma inaspettatamente suo fratello aveva annuito, forse non desiderando spezzare l’allegria della ragazza con la propria presenza.
Ovviamente ci aveva pensato quell’idiota di Gil Morgan a rovinare tutto. Aveva adocchiato Lara e prima che chiunque capisse le sue intenzioni, e dunque lo fermasse, si era precipitato ai piedi della scalinata, strappando un fiore per strada e porgendolo alla malcapitata, che fissò entrambi con un’espressione di puro disgusto dipinta sul volto.
-Oh Gil per favore, lasciala perdere. Onorabile Lara, perdona quest’idiota! Gentili signore- continuò Ross Granville rivolto alle altre due ragazze –vi porgo i miei omaggi.-
-Ross, taci! Onorabile Lara, è un ben misero omaggio, lo so, ma se solo voi mi concedeste l’onore di un’uscita vi ricoprirei di fiori e parole d’amore.-
-Sparisci, Morgan, prima che io ti ricopra d’insulti.-
Le risate di sei persone si accavallarono nell’aria e Gil guardò offeso dapprima i suoi amici e poi le due ragazze, ancora sedute alle spalle di Lara.
-Voi mi ferite, mia signora!-
-Se soltanto questo servisse a farti desistere in perpetuo dal tuo intento!-
-Forza, Gil, andiamo. Non siamo graditi qui!-
Bryce aveva strattonato neppure troppo delicatamente l’amico, riportandolo in piedi, e si era affrettato a salutare tutti. Non era stato abbastanza rapido, però. Aveva visto Axel aprire la bocca per parlare ed Eloise girare il volto altrove, facendo morire sul nascere qualsiasi parola, che sembrava essere rimasta incastrata nella gola del ragazzo procurandogli un tormento indicibile. La loro nottata era proseguita fino all’alba e nonostante Axel scherzasse e partecipasse attivamente, a nessuno dei quattro era sfuggita l’ombra che aveva offuscato gli occhi blu del principe.
 
-Lei verrà?- Pose la domanda non appena Morton fu uscito, ma le sue parole si persero nel silenzio della stanza. Axel continuò a girare lo zucchero nel tè per un tempo talmente lungo che Bryce, alla fine, aveva rinunciato alla possibilità di qualsiasi risposta.
-Ho saputo da Gil che Lara ci sarà, quindi immagino ci sarà anche lei.- la voce di Axel era stanca, quasi rassegnata, e a Bryce si strinse il cuore. Conosceva le ragioni della loro separazione e se da una parte non poteva dar torto a Eloise, dall’altra comprendeva il fratello e provava dispiacere per lui; aveva assistito alla nascita e alla crescita del loro amore ed era sicuro che prima o poi si sarebbero sposati, perché le cose si sarebbero aggiustate, ma fino ad allora soffriva nel vederli così distanti l’una dall’altro.
-Le passerà, Axel. È una donna ferita, ma ti ama, non potrete stare distanti in eterno.-
Il fratello gli sorrise, assaggiando finalmente il tè e increspando le labbra poco dopo –Bryce che diavolo mi stai facendo bere?-
-Tè alle rose!-
Axel alzò gli occhi al cielo, senza sapere se l’esasperasse di più la passione smodata del fratello per quei fiori o l’aria di sufficienza con cui lo stava fissando.
-Hai notizie da casa?-
-Mi ha scritto nostro padre Domenic, dicendomi che i preparativi per l’arrivo di Jordan qui procedono e che probabilmente con lui si trasferirà anche la signora McRae.-
Axel scoppiò a ridere davanti all’espressione contrita del fratello e si alzò recandosi alla finestra –Andiamo, Bryce, abbiamo bisogno di una donna che porti avanti questa casa, nelle nostre mani la sua situazione peggiora giorno dopo giorno.-
-Ma noi abbiamo Morton.-
-E sarà divertente vedere come riusciranno a convivere quei due. Molto divertente.-
Continuarono a chiacchierare senza un argomento preciso finchè non calò la sera su Altieres, tingendo il cielo dei toni più cupi del blu, alternati al rosso tipico delle serate estive; l’aria era fresca e frizzante e Bryce respirò a pieni polmoni prima di lasciare il fratello per recarsi nella propria camera, dove un completo grigio e una camicia turchese lo attendevano in ordine sul letto. Si vestì con calma, beandosi del contatto della stoffa fresca sulla propria pelle accaldata e rimirandosi allo specchio innumerevoli volte, per essere certo che tutto fosse impeccabile; l’armonia era qualcosa che aveva sempre ricercato… Armonia negli abiti che indossava, armonia tra le rose che amorevolmente coltivava.
Bryce Vandemberg non si era mai curato del giudizio degli altri, era sempre andato avanti per la propria strada seguendo le proprie leggi e le proprie indicazioni, senza però dimenticare mai il ruolo che ricopriva; semplicemente, mentre tutti si affannavano a raggiungere qualcosa –una donna, un successo, una posizione-, lui viveva tranquillo, quasi noncurante, desiderando raramente qualcosa e ottenendo ogni volta l’oggetto di quel desiderio. Aveva sviluppato negli anni quel distacco dal mondo, in maniera quasi naturale, attirandosi le ire di Axel che, al contrario, amava ed odiava con struggente intensità sin da quando era bambino.
Caratteri diversi, percorsi diversi. Dopo la morte dei loro genitori Axel aveva visto in Eloise il proprio porto sicuro, l’ancora di salvezza: lei era divenuta il suo tutto, e in quell’amore il ragazzo aveva riversato i suoi sentimenti, il dolore per la perdita, per l’abbandono, per la fanciullezza finita troppo in fretta.
Bryce, al contrario, aveva messo un muro tra sé e gli altri, quasi a volersi proteggere da altre perdite, altri dolori: gli unici che amava visceralmente erano i propri fratelli ed Eloise, ma quanto agli altri… Voleva bene a pochi amici, non si era mai legato a nessuna donna. Le rose erano state la sua salvezza, quelle rose che curava, coccolava, plasmava, quelle rose che non potevano ferirlo. Ne aveva dedicata una a sua madre, nel tentativo di onorarla e di sentirla più vicina a sé.
Bryce sembrava il più forte tra tutti, ma forse era quello tra loro che aveva il cuore più spezzato.
 
Stephen, Gil e Ross li attendevano comodamente seduti in carrozza, con i calici già pieni di un liquido dorato e frizzante che servirono immediatamente ai due fratelli; il percorso dal palazzo all’Opera non era lungo, ma fu sufficiente a finire quattro bottiglie di champagne, rendendoli alticci ed euforici prima ancora di iniziare la festa; sfuggirono a stento da tutti coloro che volevano rendere omaggio ai principi, dalla sfilata delle donne Granville, dalle moine delle fanciulle che cercavano di sedurli, e quando arrivarono nel palco reale erano tutti e cinque decisamente sfiniti.
-Credete che durerà molto lo spettacolo?-
-Morgan, deve ancora iniziare e già sei stanco?- Axel canzonò l’amico con un sorriso, mentre i suoi occhi già saettavano lungo tutta la sala alla ricerca di una dama.
Eloise poteva usufruire liberamente del palco reale, ma si premurava di farlo solo quando un certo principe si trovava lontano da Altieres e, dunque, non avrebbe corso il rischio di incontrarlo; in caso contrario soleva accomodarsi in qualche altro palco preso in affitto con le amiche ed era lì che Axel la cercava.
Guardarla da lontano gli provocava un dolore fisico ogni volta, ma vista e udito erano gli unici sensi che potevano godere di lei –le sue mani non potevano più sfiorare quella pelle morbida, le sue labbra non potevano più assaporare quelle di lei, raramente gli si avvicinava al punto da permettergli di catturare il familiare odore del suo corpo, ma poteva guardarla, ammirare ogni centimetro, e poteva ascoltare la sua voce, foss’anche solo per udire rimproveri ed offese- e il ragazzo non aveva intenzione di perdere anche quelle possibilità.
Anche Bryce stava scrutando la sala, ma con intenti decisamente diversi: guardare i vestiti delle persone era sempre stato un suo enorme divertimento, soprattutto quando le dame o i signori si presentavano con indosso capi d’abbigliamento improponibili credendo di essere seducenti e alla moda. E così ammirò il vestito giallo canarino di una signora seduta in platea, il cappellino pieno di piume di un’altra accomodatasi in un palco, i pantaloni blu elettrico di un signore poco lontano, fino a che i suoi occhi non furono richiamati da un braccio candido che lascivamente sporgeva da un palco davanti al proprio: non riusciva a scorgere nell’ombra la figura a cui appartenesse, ma c’era qualcosa in quella posa che aveva totalmente calamitato la sua attenzione.
Era così focalizzato sull’elegante curva del gomito, sulle dita lunghe ed affusolate su cui brillava un anello, da non accorgersi che accanto alla donna misteriosa sedeva Eloise, che rideva di gusto, e dietro di loro stavano Megan e Lara; Bryce si voltò verso gli amici e vide che tanto lo sguardo di suo fratello quanto quello di Gil erano puntati lì dove era il suo fino a poco prima.
-Chi credete sia la donna che è con loro?-
Axel sobbalzò, quasi si fosse risvegliato da un sonno prolungato –Crystabel?-
Bryce scosse la testa –Sta entrando adesso- comunicò indicando la bella vampira che prendeva posto accanto ad Eloise –e comunque quel braccio è umano, nonostante il colore perlaceo.-
-Non saprei, fratello, ma immagino lo scopriremo al rinfresco: non esiste donna degna di nota che Gil non si premuri di conoscere.-
-Non quando c’è Lara.- esclamò il diretto interessato, ottenendo in rimando occhiate scettiche e sbuffi esasperati da parte degli amici.
-Ragazzi, silenzio, sta iniziando.-
Ma Bryce non vide nulla dell’opera; il suo sguardo, quasi rispondesse ad impulsi propri, era costantemente richiamato dalla figura nell’ombra, ammirandone ora un braccio, ora due, ora una ciocca di capelli biondi o parte della schiena. E se poteva facilmente spiegarsi perché suo fratello non avesse mai tolto gli occhi da quel palco, difficilmente aveva una spiegazione per se stesso, che certo non era mai impazzito per la lirica, ma notoriamente neppure per le donne.
Non appena l’opera finì i cinque ragazzi scattarono in piedi come molle, ciascuno per un proprio particolare motivo e tutti diretti allo stesso luogo: la sala del rinfresco. Bryce si aggirava inquieto, cogliendo di tanto in tanto sprazzi di conversazione, rispondendo cortesemente alle domande che gli venivano poste, ma con l’incedere del cuore perennemente accelerato, in attesa. Della donna misteriosa, però, neppure l’ombra.
Dopo un’ora perse qualsiasi speranza e si avvicinò al fratello e agli amici, che continuavano a bere e mangiare senza sosta; molti adulti già si erano allontanati e l’aria nella sala si era fatta più frizzante e libertina. Bryce sorrise, scorgendo Stephen chiacchierare in maniera decisamente ravvicinata con una scholara della Societas di Diritto, e mentre era intento a prendere l’ennesimo bicchiere di qualcosa di non precisamente identificato, ma sicuramente alcolico, fu distratto da una frase di Axel.
Non è bellissima?-
Frase a cui Gil rispose affermativamente, parlando palesemente di un’altra persona.
In circostanze normali Bryce avrebbe deriso i due per le loro esclamazioni, ma l’ultima volta che aveva visto Eloise e Lara erano in compagnia di lei, così si voltò verso la direzione indicata dagli sguardi sognanti dei ragazzi.
E finalmente la vide.
Gli voltava le spalle e Bryce potè ammirarne il corpo sottile e slanciato, fasciato da un elegante abito azzurro chiaro la cui chiusura del corpetto sulla schiena era impreziosita da nastri e brillanti. Elegante, non eccessivo eppure appariscente: semplicemente perfetto.
E quel collo sottile, quei capelli biondi raccolti in alto, quelle mani che si stringevano sulla gonna…
-Oh sì, è bellissima.- La frase sfuggì al suo controllo stupendo prima lui dei suoi amici, ma Bryce ormai aveva perso qualsiasi contatto con il mondo che non racchiudesse lei, la donna misteriosa.
Quando lei si voltò, poi, parve quasi che il sangue gli bruciasse nelle vene: aveva il volto più bello che lui avesse mai visto, su cui spiccavano due occhi verdi e calamitanti e due labbra rosee, socchiuse in una risata.
-È la misteriosa donna del palco, fratello?-
-Credo...-
-Beh, allora andiamo a conoscerla.- esclamò immediatamente Gil, cogliendo al volo l’occasione per parlare con Lara.
 
Eloise li vide avvicinarsi da lontano: Bryce, Ross e Gil. E Axel, ovviamente. Axel che non le toglieva gli occhi di dosso neppure un istante. Represse un sospiro infastidito e tornò a parlare con Megan, a cui non era sfuggito il cambio d’umore dell’amica, così come non era sfuggito alla nuova arrivata senza che però potesse spiegarsene il motivo. Eloise ignorò i tentativi di dialogo di Axel e le ennesime profferte amorose di Gil, pregando tra sé e sé affinchè tutto quello finisse in fretta; non potè non notare, però, l’unica nota anomala in una sinfonia già ampiamente conosciuta… Bryce, il cui sguardo di solito andava dal lievemente divertito all’annoiato, sembrava totalmente preso da qualcosa. Da qualcuno.
E sorrise, Eloise, perché avrebbe dovuto prevederlo: per tutta la serata aveva parlato con lei provando una strana sensazione di familiarità, quasi le ricordasse qualcuno.
Solo in quel momento comprese chi effettivamente le ricordasse.
La ragazza richiamò l’attenzione di Bryce e lo fece avvicinare, sorridendo davanti alla sua espressione grata –Lady Joséphine, posso presentarvi il principe Bryce Vandemberg? Principe, lei è Lady Joséphine Lynch, arrivata da Salimarr questa mattina.-
Un lampo di comprensione attraversò gli occhi di Bryce, mentre il suo cuore perdeva un battito. Si dicevano tante cose su Lady Joséphine: unica figlia di uno degli uomini più ricchi di tutte le Nationes, era stata educata in casa tanto nelle arti femminili, quanto in quelle maschili, e la sua bellezza era decantata in ogni angolo del regno. Capelli biondi come oro e pelle candida, così in contrasto con le donne del sud, scure per definizione, si diceva avesse l’animo di un guerriero racchiuso in un corpo apparentemente debole. In molti aspiravano alla sua mano e tutti venivano prontamente rifiutati. Qualcuno diceva che la sua bellezza non fosse poi così reale, qualcun altro la definiva una ragazza schiva e riservata, altri ancora una strega senza cuore. Ma c’era un solo motivo per cui Bryce aveva prestato l’orecchio a quelle voci, da quando anni prima il mito di Joséphine era nato: qualsiasi cosa si dicesse di lei, solo su un dettaglio tutti concordavano… Arbiter elegantiae, la chiamavano: qualsiasi cosa lei indossasse diveniva moda e donne e fanciulle in ogni angolo del regno facevano a gara per essere come lei.
Aveva sempre desiderato conoscerla, Bryce, ma lei raramente si allontanava da Salimarr e lui non aveva mai avuto modo di recarsi in quella Nazione, nonostante non si trovasse poi molto lontana da Altieres.
La ragazza gli tese la mano e lui si esibì in un inchino tanto elegante quanto volutamente esagerato, bloccandosi però a metà notando con improvviso e destabilizzante stupore l’anello di lei: una rosa bianca incisa nel diamante.
-Lady Joséphine, è un onore per me conoscervi.-
-L’onore è mio, principe.- rispose lei, facendo udire per la prima volta la sua voce.
E qualcosa cambiò, irrimediabilmente, incontrovertibilmente, nella vita di entrambi.
 
Trascorsero il resto della serata da soli, chiacchierando di tutto e di niente seduti su un terrazzo a godersi l’aria fresca di una sera estiva; Bryce si ritrovò a fare i conti con sensazioni mai provate, totalmente affascinato dall’allegria della ragazza, dal suo sorriso, dall’occhio critico con cui guardava il mondo, senza che nessun particolare sfuggisse al suo esame.
Bastò poco perché il desiderio si impossessasse di lui.
Un desiderio fisico e mentale, perché se il suo corpo agognava quello di lei, che riusciva appena a intravedere attraverso l’abito, la sua mente sognava di penetrare più in profondità in quella di Joséphine, così brillante ed acuta, così diversa dalle altre, così simile alla sua.
Coglieva, nei suoi gesti, il distacco e la distanza che lei continuava a frapporre tra se stessa ed il mondo, ma al tempo stesso percepiva quanto lei fosse istintivamente protesa verso di lui, divorata dallo stesso implacabile desiderio.
Quando Stephen andò a chiamarli Bryce si alzò e le tese la mano, su cui lei prontamente si appoggiò per alzarsi; un contatto appena accennato, ma che fece bruciare la loro pelle e le loro anime.
Era ancora notte, ma l’alba già si intravedeva all’orizzonte; con somma costernazione di Eloise e Lara i ragazzi si offrirono di accompagnarle, così si avviarono tutti insieme verso il Collegium.
Ma le strade della Vecchia Capitale, soprattutto di notte, non erano un luogo sicuro e presto il gruppo incappò in sette uomini dal volto coperto. Immediatamente i ragazzi si fecero avanti ponendosi come scudo tra quelli e le ragazze, suscitando esclamazioni oscene e derisorie.
-Sono il principe Vandemberg, la mia scorta ci segue da vicino, vi consiglio di andarvene se non volete essere tutti arrestati.-
La voce di Axel spezzò il silenzio e Bryce sorrise, ben sapendo di aver congedato la scorta qualche ora prima.
-Oh un principe… lasciateci le vostre principesse allora.- Esclamarono quelli ridendo.
Bastò un’occhiata tra loro cinque per estrarre le spade dal fodero, pronti a combattere. Erano in inferiorità numerica, ma erano anche cresciuti con le armi in mano, il che conferiva loro un consistente vantaggio.
Le ragazze si fecero in disparte, seguendo il duello con il cuore in gola: Eloise non si lasciò sfuggire un solo movimento di Axel, reprimendo a stento i sussulti quando l’avversario lo aggrediva.
Tanto erano assorte in ciò che stava succedendo che non si accorsero di un uomo che si era staccato dal gruppo ed era andato verso di loro, cingendo Lara per la vita; l’urlo della ragazza li fece sobbalzare e a Joséphine bastò un’occhiata per capire che nessuno dei ragazzi si sarebbe potuto liberare dal proprio avversario per soccorrerle. In un istante, con il sangue freddo che l’aveva sempre contraddistinta, individuò la spada abbandonata di uno che era stato colpito e vi si gettò, impugnandola con forza e voltandosi a colpire l’uomo. Precisa e letale, gli perforò il fianco senza neppure sfiorare Lara, che corse via urlando; con due uomini a terra, i restanti cinque si diedero alla fuga.
Istintivamente Axel corse verso Eloise nello stesso istante in cui Gil correva da Lara, mentre Stephen e Ross andarono a sincerarsi delle condizioni di Megan.
Bryce si avvicinò a Joséphine, rimasta in disparte con la spada ancora in mano, visibilmente scossa, e le cinse la vita con un braccio. –State bene?-
-Si, principe, grazie.-
-Bryce. Solo Bryce, niente titoli.-
Lei gli sorrise, lasciando la spada che cadde a terra con un rumore sordo –Va bene, niente titoli.-
-Siete stata brava.-
-Prendo lezioni di scherma da quando avevo quindici anni, ma non mi ero mai trovata a dover affrontare qualcuno davvero.-
Rimasero a guardarsi per alcuni istanti, senza parlare, fino a quando Axel non li richiamò per riprendere il cammino.
Lasciarono al Collegium le ragazze, Stephen, Ross e Gil, rimanendo in tre: i fratelli Vandemberg e Joséphine, che alloggiava presso una zia non lontano dalla casa dei principi; Axel si tenne in disparte lungo tutto il tragitto, in parte perché, come accadeva ogni volta che si incontravano, l’immagine di Eloise lo torturava quasi fino alla follia, e quella sera la paura che le succedesse qualcosa l’aveva totalmente destabilizzato, in parte perché non aveva mai visto suo fratello così preso da qualcosa o da qualcuno e sperava che Joséphine potesse farlo uscire dalla campana di vetro che aveva costruito attorno a sé.
Rimase ad aspettarlo in strada, mentre lui saliva a scortarla fino alla porta del palazzo.
Bryce e Joséphine camminarono in silenzio, sfiorandosi appena, fino a quando non giunse il momento di separarsi.
-Vi siete sporcata il vestito.- commentò il ragazzo, notando sangue e polvere che macchiavano la gonna di lei.
Joséphine alzò le spalle sorridendo –Non fa niente, difficilmente l’avrei usato ancora.-
Forse fu quella frase, forse lo sguardo di lei, innocente e tentatore al tempo stesso: Bryce l’attirò a sé con violenza, una violenza a lui estranea, immergendo il volto tra i capelli biondi ormai totalmente sfuggiti all’acconciatura. Lei non lo respinse, ma plasmò il proprio corpo affinchè aderisse a quello di lui, percependone le forme virili; gli passò una mano tra i ricci, scostandogli la testa in modo da poterlo guardare.
Gli lesse negli occhi lo stesso desiderio che gli percepiva, sfrontato, tra le gambe, e dovette lottare con tutte le sue forze per non invitarlo ad entrare. Lo desiderava. Desiderava quel principe di cui aveva tanto sentito parlare, quel ragazzo così sui generis, così affine a lei pur non avendolo mai conosciuto prima di quella sera.
-Vi rivedrò? Devo rivedervi. Quando partirete?-
La voce roca e bassa di lui rischiò di farla cedere –Mi rivedrete anche domani, se desiderate, ma non chiedetemi quando partirò: non credete sia più eccitante vivermi giorno dopo giorno senza sapere quando finirà?-
Crudele, sadica, vittima del suo stesso gioco, perché parlare di eccitazione ad un uomo eccitato era stato azzardato persino per lei.
Bryce la spinse contro il muro e la baciò, con una delicatezza così contrastante con l’irruenza del bacino che spingeva verso di lei permettendole di percepire quanto la desiderasse, da costringerla a sostenersi alle sue spalle per non cadere.
Fu Bryce a staccarsi alla fine, con le labbra rosse, gli occhi lucidi e i vestiti perfettamente in ordine, e Joséphine entrò in casa, con il fiato ancora corto, senza voltarsi indietro.
 
Si era sempre chiesto se nel mondo esistesse una donna la cui eleganza e bellezza potessero competere con le rose, ma aveva finito per rispondersi negativamente dopo una infruttuosa ricerca protrattasi per anni; quel pomeriggio, mentre rimirava Joséphine attraverso le porte-finestre del salottino, dovette ricredersi. Il leggero abito verde rendeva il corpo di lei simile ad uno stelo, mentre il foulard che le cingeva le spalle ed il cappello poggiato sui capelli biondi gli richiamarono alla mente i suoi amati petali bianchi: a lei appartenevano l'eleganza e la bellezza. A lei e lei sola, ancor più sublime di una rosa.
-Ti piace molto, non è vero?-
La voce di Axel lo colse di sorpresa, così come il sorriso comprensivo che gli vide dipinto sulle labbra -Nonostante il tuo dichiarato amore per Eloise, persino tu avrai fatto caso alla sua bellezza.-
Axel rise, poggiando una mano sulla spalla del fratello e volgendosi a rimirare Joséphine -Una bellezza così non passa certo inosservata, Bryce. Ma non dirmi che è solo quella ad attirarti verso di lei... mi offenderesti. Ti conosco da sempre, non ti ho mai visto guardare una donna come guardi lei.-
-Non mi sembra neppure reale, fratello. Sembra una rosa... Ed è così misteriosa da stuzzicare la mia curiosità ogni istante.-
-Posso immaginare. Va da lei, non vorrai farla attendere ancora!-
Bryce sorrise al fratello e poi si avviò verso il gazebo dove lei lo attendeva, rapito dai raggi del sole che si riflettevano tra i capelli biondi e sull'anello che portava al dito.
-Perchè una rosa?- le chiese quando fu abbastanza vicino.
Lei si voltò verso di lui e sorrise -Potrei farvi la stessa domanda: i vostri giardini, le vostre serre ne sono pieni.- gli rispose tendendogli la mano, quella su cui brillava l'anello, che Bryce baciò e tenne tra le sue.
-Volete vedere le serre?-
-Perchè non facciamo una passeggiata in giardino, prima?-
Il principe annuì, incapace di negarle qualsiasi cosa, e mano nella mano iniziarono a camminare.
-Sapete che la regina Cleopatra si innamorò della rosa al punto da sostituirla al loto asiatico?-
-No, non lo sapevo.-
Joséphine sorrise, lasciando che il proprio sguardo abbracciasse la totalità del giardino della villa e risalisse su, lungo le finestre. -La vostra camera immagino sia quella.- commentò accennando al balcone su cui i fiori germogliavano rigogliosi.
-Esatto. Joséphine...-
Ma la frase rimase sospesa, strozzata in gola: il cuore di Bryce era totalmente disorientato, la sua mente persa lungo sentieri che non aveva mai esplorato. La prima volta che era stato con una donna aveva sedici anni, era appena arrivato nella Vecchia Capitale e, alla fine, aveva praticamente lasciato che facesse tutto lei, una studentessa di due anni più grande; lei, come molte altre, aveva provato a legarlo a sè, inutilmente... Adorava sentirsi elogiare, adorava sentirsi venerato, dentro e fuori dal letto, ma le donne avevano il terribile vizio di iniziare a pretendere -regali, attenzioni, fedeltà- dopo un paio di uscite e lui non aveva alcuna intenzione di lasciarsi legare e limitare da chicchesia. Era uno spirito libero, Bryce, troppo concentrato su se stesso per pensare a qualcun altro. Con Joséphine, però, era diverso; lei era diversa.
Si sedettero ai piedi della fontana, lontani dalle strade affollate della Vecchia Capitale, e lei si tolse il cappello lasciando liberi i capelli tra cui immediatamente Bryce passò le dita, attirandola a sè.
-Lady Eloise parla benissimo di voi.-
Bryce sorrise, piegandosi a baciarle il collo -Devo ricordarmi di ringraziarla.-
-Siete molto legati?-
-Siamo cresciuti insieme, quando i miei genitori sono morti è stato suo padre, il Lord Cancelliere, a prendersi cura di noi; per me Eloise è sempre stata come una sorella. Inoltre, considerando la mia salute cagionevole, avere un medico in casa fa sempre comodo.-
La risata della ragazza si sciolse nell'aria -Voi non avete una salute cagionevole, siete solo ipocondriaco. Me l'aveva detto Eloise.-
-Allora non devo più ringraziarla.- concluse fingendosi imbronciato.
Joséphine gli accarezzò il profilo perfetto prima di piegarsi e poggiare le proprie labbra su quelle di lui, che rispose prontamente al bacio. Nessun uomo prima d'allora l'aveva mai attirata così tanto; l'espressione ingenua e al contempo vissuta del principe, i suoi modi eleganti, le sue rose... tutto in lui l'attirava come la fonte fa con l'assetato.
Era buffo che proprio lui avesse così tanta paura della morte; non si diceva, forse, che le rose nate dal sangue di Afrodite, feritasi mentre cercava di salvare Adone, rappresentassero la vittoria dell'amore sulla morte?
-Fatemi vedere le serre.- gli sussurrò quando si staccarono.
Bryce la condusse in religioso silenzio in quel luogo che era il proprio santuario, lì dove nessuno poteva entrare senza permesso: rose bianche si estendevano davanti a loro, in solenne silenzio, e Joséphine sciolse l'intreccio delle mani per allontanarsi dal principe e vagare tra i fiori, rapita.
Non aveva mai visto rose così belle.
Bryce rimase sulla porta, il cuore che gli batteva veloce nel petto, gli occhi fissi su di lei.
Si perse ad ammirarne il profilo delicato, i capelli biondi mossi dal vento ed il busto che si alzava appena nel corpetto, seguendo il respiro; tutto in lei era armonia ed eleganza e Bryce rimase per la prima volta senza parole, incantato da quello spettacolo senza eguali. Joséphine, con il suo abito verde e bianco, si armonizzava tra le rose della serra quasi ne fosse stata sempre parte integrante. Forse era proprio così, forse tutto lì era sempre stato sospeso e cristallizzato, in attesa di lei, della loro signora. Proprio come lui.
Rosa tra le rose.
 
Eloise era appena rientrata in camera dopo una giornata all’Ospedale della Misericordia quando era stata raggiunta da un messo da parte di Joséphine, che le chiedeva di raggiungerla per un tè. Eloise titubò un istante, sentendo tutta la stanchezza della giornata crollarle addosso, ma l’idea di rivedere l’amica la tentava troppo per rinunciare: il carattere di quella ragazza era calamitante, le ricordava Bryce e a lei suo fratello mancava moltissimo, più di quanto fosse disposta ad ammettere. Certo, si vedevano, e prima ancora si scrivevano spesso, ma rinunciare ad Axel aveva comportato, inevitabilmente, un allontanamento anche da Bryce, con cui aveva avuto sempre una splendida complicità. E a proposito di Bryce, la sua curiosità prettamente femminile voleva sapere come si fossero evolute le cose tra i due, così, mezz’ora dopo, lavata e profumata sedeva attorno ad un tavolino e ascoltava la melodiosa voce di Joséphine che raccontava dei suoi incontri con il bel principe.
Eloise sorrideva, felice che quelle due anime così simili si fossero incontrate, ma al tempo stesso non poteva ignorare quella fitta di dolore e nostalgia che faceva capolino di tanto in tanto: l’amore era un concetto che faceva male, Bryce portava con sè ricordi che facevano male, e il connubio amore-Bryce era insostenibile, a volte.
Perchè a volte dimenticava il male che lui le aveva fatto, a volte dimenticava il proprio odio, l’astio, la rabbia; a volte erano semplicemente loro e nel suo cuore trovava spazio solo l’amore.
Fortunatamente l’arrivo di Megan e Lara la riscosse da quelle cupe elucubrazioni e pochi minuti dopo sedevano tutte e quattro ad un tavolo dell’Osteria delle Cinque Lune, sorseggiando del vino; sulla mano di Joséphine brillava l’anello a forma di rosa, creando sottili giochi di luce sui bicchieri delle altre ragazze, affascinandole al punto che alla fine Megan le pose la domanda che anche Bryce le aveva fatto, senza però ottenere risposta.
-Perchè una rosa?-
Joséphine sorrise e per un attimo la sua mente si perse in ricordi ormai lontani, offuscati dalla nebbia del tempo –Il mio padrino diceva che somigliavo ad una rosa... piccola, sottile, con un debole per gli abiti bianchi. Morì quando avevo dieci anni e da quel giorno le rose sono state il mio rifugio: cercavo lui in loro, cercavo la vita, la bellezza, l’armonia. Quest’anello è stato il suo ultimo regalo per me.-
-Mi dispiace, non volevo portare alla luce tristi ricordi.-
-Sono ricordi con cui convivo da tempo... E poi- proseguì indicando la porta del locale con un lieve cenno della testa –Quando il principe Vandemberg è nei paraggi non posso essere triste. Al contrario di qualcun’altra...-
Eloise arrossì colta alla sprovvista, mentre il cuore accelerava la propria andatura alla vista di colui che stava entrando -È una storia lunga, Joséphine.-
-Non vi chiedo di narrarmela, ma se un giorno vorrete contate pure sulla mia amicizia.-
Joséphine si dileguò in pochi istanti, percorrendo tra gli sguardi ammirati di uomini e donne i passi che la separavano da Bryce, che la accolse con gli occhi resi ebbri dalla gioia. Nessuno li vide più, quella sera, ma un occhio attento avrebbe potuto scorgerli passeggiare nella serra avvolti dal tenero manto della notte, illuminati appena dalla liquida luce della luna che rifletteva sulle rose e finiva su di loro.
Alla fine fu Bryce a crollare, un bacio dopo l’altro, un sospiro ed un gemito dispersi nell’aria.
La tenne stretta a sé mentre camminavano verso la sua camera da letto, mano nella mano, dita tra le dita, quasi temesse che potesse svanire da un momento all’altro, come fanno i sogni quando arriva il mattino. Ma la luce del sole era ancora lontana, l’allodola riposava tra le fronde degli alberi e l’aria era satura solo dei loro rapidi respiri.
Tutto era come l’aveva lasciato, immerso nella penombra, eppure tutto sembrava diverso; Bryce chiuse la porta e si voltò, sussultando appena quando percepì le forme di lei grazie alla luce tenue delle candele che si spezzava sul suo abito sottile.
Sorrideva, Joséphine, ed era un sorriso che prometteva le gioie dell’inferno più lussurioso dietro un’ombra di ingenuità.
Crollò in ginocchio, il principe, come il servo che venera una dea, perché tutto in lui protendeva verso quella donna spazzando via ogni credo o ideale.
Lei, bella e candida come una rosa.
Sfiorò appena con un dito il profilo del braccio, sospeso in un limbo tra desiderio di carnalità e venerazione, fino a quando lei non gli passò una mano tra i capelli e lo fece rialzare.
Fu allora che oltrepassò il limite. Lo oltrepassarono insieme.
Bramanti, le mani di Bryce andarono a cercare i candidi lacci del corpetto, sciogliendoli con foga mentre con le labbra torturava il collo sottile, beandosi di quel sapore che non avrebbe mai voluto smettere di assaggiare. La spogliò, indumento dopo indumento, petalo dopo petalo, senza accorgersi, tanto era il desiderio di vederla nuda, che Joséphine stava facendo lo stesso con lui e quando i loro corpi, ormai privi di vestiti, si scontrarono pelle contro pelle, il ragazzo perse ogni contatto con la realtà. Dove fossero, chi fossero non contava più.
L’unica cosa che percepisse, l’unica cosa che avesse significato erano loro due.
Non arrivarono neppure a letto.
Caddero a terra baciandosi senza sosta e quando lui le insinuò una mano tra le gambe, trovandola pronta ad accoglierlo tanto quanto lui lo era ad entrare in lei, non ci fu più spazio per i preliminari, per titubanze o inutili tentennamenti: tutto ciò che desiderava era perdersi.
Perdersi saggiando la pelle delicata e lattea, inebriandosi dell’odore pungente e nobile, succhiando il succo di quel fiore con cui fece l’amore per tutta la notte.
Le rose -fu quasi una folgorazione quella notte- le rose che sempre l’avevano affascinato senza apparente motivo, altro non erano state che il preludio di lei.
Rosa tra le rose.

 




Bryce percepiva, nello stato di dormiveglia che precede la totale coscienza, le lenzuola che venivano spostate per lasciare il suo corpo scoperto, un tocco delicato sfiorargli il torace per scendere sempre più giù, lasciandogli sulla pelle una scia infuocata. Aprì gli occhi di scatto e con la mano strinse quelle di Joséphine, che inginocchiata sul letto lo guardava maliziosa; il ragazzo sorrise, trascinandola sopra di sè mentre già il desiderio iniziava a farsi strada in lui.
-Buongiorno mia adorata.- le sussurrò, sfiorando la rosa che faceva capolino tra le ciocche bionde della coda –Come siete entrata?-
-Axel.- gli rispose semplicemente, chinandosi a baciargli il collo e sorridendo davanti ai suoi brividi.
Erano trascorsi due giorni da quando aveva lasciato quel letto, dopo aver fatto l’amore con lui la prima volta; non era, a dispetto delle voci che circolavano sul suo conto, una grande esperta in fatto di uomini, solo in tre potevano vantarsi di averla posseduta... o si sarebbero potuti vantare se non avessero avuto troppo rispetto e venerazione per lei per farlo. Con Bryce però tutto era stato diverso, naturale, sospeso tra l’istinto primordiale, quasi animalesco, ed un’affinità d’anime che li proiettava in cielo vicino agli dei.
Sentì una mano del ragazzo poggiarsi sul suo seno e l’altra tra i capelli, per attirarla a sè, ma Joséphine gli concesse appena un leggero bacio sulle labbra prima di scivolare via e tornare in piedi.
-Vestitevi.-
-Cosa? A questo punto di solito il verbo è spogliatevi.-
-Vestitevi, Vandemberg, dobbiamo andare.-
Bryce continuava a guardarla perplesso, senza capire cosa intendesse e perchè,diamine, si fosse allontanata lasciandolo solo tormentato dal desiderio.
-Partiamo per due giorni, ho già parlato con vostro fratello, che ha parlato con le guardie; ho lasciato l’indirizzo, così sapranno dove trovarvi per qualsiasi evenienza, e Morton ha preparato le valigie.-
-Non potremmo concludere questo discorso e poi partire?- lo sconforto traspariva visibilmente dalla voce del ragazzo.
Joséphine sorrise –Vestitevi.-
Ed un istante dopo era fuori dalla camera, lasciando dietro di sè solo la scia di un croccante profumo di rose.
Quando Bryce, dopo aver inveito per almeno dieci minuti a causa della mancata conoscenza della meta che non gli rendeva semplice la scelta dell’abito, scese all’ingresso vi trovò Joséphine che chiacchierava amabilmente con Axel.
-Fratello, almeno tu puoi dirmi che succede?-
Le labbra di Axel si piegarono in una smorfia divertita –Direi di no, Lady Joséphine me l’ha proibito. Ci vediamo tra due giorni Bryce. Mia signora- concluse poi chinandosi per un elegante baciamano –abbiate cura di questo scapestrato.-
-Guarda che il più serio dei due sono io!-
-Si, certo...-
Joséphine prese Bryce sottobraccio e lo condusse in carrozza, dove già le valigie di lui, nere e rosse, con lo stemma dei Vandemberg, e quelle di lei, bianche con ricami dorati di rose stilizzate, erano state sistemate.
-Non posso conoscere la meta, nè fino a quando vi fermerete ad Altieres. C’è qualcosa che posso sapere?-
Joséphine gli sorrise, sistemandogli un riccio che gli cadeva sulla fronte –No, ma c’è qualcosa che potete avere.-
Le bastò un secondo per sedersi su di lui, anche meno per percepire l’eccitazione premere tra le sue gambe; fu una passione che divampò e si estinse brevemente, lasciandoli talmente spossati da addormentarsi subito dopo.
Fu l’odore pungente della salsedine a svegliare Bryce, insieme al suono dei gabbiani; non vi era nulla di familiare in quella scena, non per lui cresciuto tra la neve delle montagne di Aldenor, ma istintivamente seppe di adorarlo.
Si voltò e vide il profilo di Joséphine rischiatato dal sole che passava attraverso le tende scostate della carrozza; stava per accarezzarle la guancia quando si fermarono e lei si voltò a sorridergli.
-Siamo arrivati.-
-Dove?-
-A casa mia.-
Un uomo aiutò la ragazza a scendere dalla carrozza e Bryce la raggiunse poco dopo, posando per la prima volta lo sguardo su un palazzo dalle bianche mura che si ergeva a pochi passi dal mare; aveva solo due piani, ma proiettava la sua grandezza in orizzontale tanto che un lato sembrava quasi sfiorato dall’acqua. Il sole di mezzodì si infrangeva sulle mura e sul mare conferendo all’ambiente un aspetto idilliaco, quasi irreale, e Bryce sentì stringersi il cuore. Era tutto magnifico.
Joséphine lo prese per mano e lo accompagnò nel castello, dove furono accolti dalla governante che salutò la ragazza con familiarità prima di condurli nelle loro stanze da letto. Ammirò ogni particolare con foga, ammaliato da cotanta bellezza, e non gli sfuggirono le rose stilizzate che ornavano porte, finestre, camini e tavoli...
Anche il baldacchino della sua camera da letto aveva lo stesso ricamo, mentre sul tavolo accanto alla finestra era stato poggiato un mazzo di rose bianche. Joséphine gli sfiorò le labbra con un bacio –Cambiatevi, vi aspetto in spiaggia.-
Sparì prima ancora che lui potesse reagire e Bryce fece ciò che gli era stato detto, incapace di opporsi.
Si spogliò, si rivestì con dei pantaloni leggeri e scese in spiaggia.
C’erano attimi, attimi come quello, in cui si chiedeva se Joséphine fosse reale o appartenesse ad un mondo onirico in cui lui era imprigionato e che prima o poi sarebbe evaporato via, riportandolo bruscamente alla realtà. Il sole pareva muovere i propri raggi a seconda del movimento dei capelli di lei, oppure era il vento a muoverli in modo tale che i raggi ne cogliessero ogni singola sfumatura. Oro fino, cenere, zafferano, a tratti persino crema. E poi... poi c’era una sfumatura che lui non avrebbe saputo definire, ma che avrebbe trascorso le ore a rimirare, non era biondo, nè rosso, nè castano, non era nessuno di quei tre colori oppure li era tutti.
E allora la trovò. E il suo cuore perse un battito.
 
Le onde bagnavano con un ritmo cadenzato i piedi nudi di Joséphine e l’orlo dell’abito lilla che indossava, ma lei sembrava non curarsene; Bryce le si accostò e per alcuni interminabili istanti gli unici rumori furono quelli della natura.
-Dove siamo?-
Joséphine sorrise, continuando a guardare l’orizzonte –Ovunque... o in nessun posto.-
-Tutto questo non ha senso! Se dovessi morire vorrei almeno sapere dove...-
Un dito poggiato delicatamente sulle sue labbra lo fece tacere. –Non vi dirò dove siamo, così come non vi dirò fin quando mi fermerò ad Altieres. Potete non accettarlo, faremo i bagagli e partiremo oggi stesso... oppure- continuò, facendo scivolare l’abito dal suo corpo rimandendo con una leggera veste bianca che ben poco celava alla vista –potete smetterla di farvi domande e seguirmi in acqua. E se morirete, sarà facendo l’amore.-
Pochi minuti dopo Bryce entrò in lei, mentre l’acqua li abbracciava quasi fosse il ventre materno e loro scoprirono un modo diverso di fare l’amore, più scomodo, affrettato, ma anche più intenso e bruciante.
Si concessero un pranzo in giardino, fatto di selvaggina appena cotta e di fragole e limoni, seduti lascivamenti su due divani come fossero imperatori romani sui triclini, e Joséphine spiegò come quella casa fosse stata il dono del suo padrino per lei e quanto amasse rifugiarvisi di tanto in tanto; durante il pomeriggio Bryce scoprì le scuderie e l’armeria, dove la ragazza lo sfidò. Con difficoltà il principe riuscì a vincere, e riconobbe la bravura di Joséphine, molto più abile di tanti ragazzi: al fisico debole sopperiva con un’agilità sorprendente e una mente acuta che le permetteva di prevedere quasi tutte le mosse dell’avversario.
Non aveva mai visto una donna così nè, era sicuro, avrebbe visto mai.
Aveva smesso di fare domande, aveva deciso di fidarsi, lasciando che fosse lei a condurre il gioco.
Ma di gioco si trattava?
Bryce sapeva che non si sarebbe mai sposato, ma sentiva dentro di sè l’avverarsi di una antica predizione. Da bambino, quando il suo sguardo e le sue riflessioni si posavano su Axel ed Eloise, o Fabian e Anna, si chiedeva se anche lui si sarebbe mai innamorato... con l’andare del tempo aveva finito per rispondersi che sì, probabilmente sarebbe successo, ma sarebbe stato un amore consono alla sua indole, una vampata straordinaria che però si sarebbe consumata velocemente, lasciandogli cicatrici ad perpetuam memoriam di ciò che era stato, così che non potesse dimenticare.
Era Joséphine la sua fiamma, con quel suo modo di essere così terribilmente vivo, sfuggente, seducente. Con le sue sembianze di rosa, con il suo profumo di petali nell’aria.
Joséphine era l’unico amore che il fato gli avrebbe mai concesso. L’unico a cui lui avrebbe aperto il proprio cuore.
Quando calò la notte si ritirarono nella biblioteca e la ragazza gli mostrò i ritratti che le avevano fatto nel tempo, da quando non aveva che tre anni, e Bryce si perse a rimirare le diverse fasi di quel viso, riconoscendo sempre lo stesso sguardo frizzante, il sorriso ingenuo e seducente al tempo stesso. Si persero nei ricordi della loro infanzia, tra racconti di avventure e di vita quotidiana, anche se fu soprattutto Bryce a parlare, riportando in superficie immagini dei quattro fratelli Vandemberg, dei loro momenti insieme nonostante i lutti e le differenze di età.
Quando la regina aveva dato alla luce il quarto figlio maschio in molti si erano chiesti come i sovrani sarebbero riusciti a gestirli: quattro figli, quattro potenziali eredi, nonostante lo fosse, de facto, solo il primo. La storia, dopotutto, è piena di lotte fratricide per un trono. Ma tra i quattro principi non era mai esistita neppure l’ombra di una rivalità, forse complice il loro essere così diversi, o la mano ferrea e amorevole del Lord Cancelliere, che dopo la morte dei sovrani aveva dato ad ognuno, nella corte, un ruolo ben preciso.
-Pensate mai a come sarebbe essere re?-
Bryce alzò la testa verso Joséphine, sulle cui gambe era sdraiato, e si concesse una risata prima di rispondere. –Ogni giorno, e ogni giorno ringrazio di non essere l’erede al trono. L’unica responsabilità che voglio, l’unico impegno, è verso le mie rose. Per questo non mi sposerò mai, nè accetterei mai il trono se per qualche strana convergenza astrale toccasse a me ereditarlo.-
-Ma siete un principe e per quel che vi conosco potreste prendere in mano le redini di un regno e condurle al meglio.-
-So che potrei, il punto è che non voglio. Non è ciò che sono. Sinceramente... voi vorreste un impegno del genere?- le chiese mettendosi a sedere in modo da avere il viso all’altezza di quello di lei.
E Joséphine scosse la testa, sorridendo –Perchè siete come me, un’anima libera. E poi son problemi inutili, Fabian e Anna sono abbastanza giovani da poter avere un figlio, e se così non fosse, rimane comunque Axel, che si sposerà con Eloise e farà tanti bambini. Se proprio succedesse una catastrofe, rimane Jordan. Posso dormire sonni tranquilli mia adorata!-
-Dunque credete che alla fine Eloise perdonerà Axel.-
-Non so se lo perdonerà, ma... ho visto il loro amore nascere e crescere, ed è uno di quegli amori che durano in eterno. Sono anime gemelle quei due, prima o poi finiranno col tornare insieme e non importa quanto scioccamente combatteranno contro il destino.-
-E noi? Cosa siamo noi?-
La mano di Bryce le sfiorò il profilo del viso, per scendere poi lungo la spalla e il braccio e la mano, sfiorando infine l’anello.
La cera delle candele si era consumata, la sala era rischiarata solo dalla pallida luna che, giocando a nascondino con le nuvole, proiettava ombre che sembravano render vivi gli oggetti.
-Siamo anime complementari, Joséphine.-
La ragazza gli sorrise, prendendogli il volto tra le mani e lasciandogli un leggero bacio sulle labbra. Si appartenevano, si erano sempre appartenuti, anche se non lo sapevano, e si sarebbero appartenuti per sempre, qualsiasi strada avessero preso le loro vite.
Trascorsero la giornata seguente divisi tra il mare e la spiaggia e nonostante Bryce avesse cercato di carpire qualche informazione continuava a brancolare nel buio, senza avere la minima idea di dove si trovassero. Non che gli importasse davvero, in fondo.
La freschezza di Joséphine allontanava dalla sua mente qualsiasi preoccupazione, almeno fino a quando, la sera prima della partenza, non gli fece una proposta che lo lasciò perplesso.
Si erano ritirati nel salottino dopo cena e Bryce, intento a curiosare in giro per casa, trovò accanto agli oggetti del camino un corto bastone di ferro con il simbolo di una rosa alla fine.
-Cos’è?- la fronte di Bryce era elegantemente corrugata e i suoi occhi sondavano l’oggetto, cercando di carpirne l’utilità. Quando però da Joséphine non arrivò alcuna risposta spostò lo sguardo su di lei, appena in tempo per vederla arrossire.
Non era da lei.
Sempre così impeccabile, sempre così attenta a non far trasparire qualsiasi sentimento, diveniva un libro aperto solo nell’amore, ma per il resto... Arrossire in quel modo non era da lei.
-Joséphine?-
-È imbarazzante.-
-È vostro?-
Joséphine sospirò e gli si avvicinò, prendendo il ferro tra le mani –È un marchio. Me lo feci fare moltissimo tempo fa, di nascosto, da un fabbro. Volevo che la rosa fosse un segno indelebile sul mio corpo.-
-Un tatuaggio non era più semplice?- le chiese pragmatico.
Joséphine scoppiò a ridere, tornando a sedersi –Sarebbe stato prevedibile, scontato, tutto ciò che io non sono.-
-L’avete fatto?-
-Che domande, principe! Eppure pensavo aveste studiato bene il mio corpo! Aspettavo il momento giusto. Un momento come questo, ad esempio.-
Bryce scosse la testa –Se pensate che vi aiuterò siete pazza.-
Le si sedette accanto e Joséphine lo abbracciò, baciandogli il collo. –Potreste farlo con me...-
-Siete uffialmente pazza! Avete idea di quante malattie potremmo prendere? Non pensateci neppure!-
-Bryce... Non volete un simbolo tangibile della mia presenza? Qualcosa che mi leghi a voi per sempre?-
Seppe, con una lucidità disarmante, di essere stato circuito al punto da non avere scelta; Joséphine si era insinuata così profondamente nel suo animo che l’idea di avere qualcosa di fisico che gli ricordasse lei per sempre era una seduzione a cui non aveva la forza di resistere.
Ad perpetuam memoria.
Sospirò e lei seppe d’aver vinto.
Accesero il fuoco, aprendo tutte le finestre per far entrare un po’ di frescura, e misero il marchio tra le fiamme; Joséphine gli slacciò la camicia e gliela tolse, lasciandolo nudo dalla cintola in su. Memorizzò ogni centimetro di pelle, ogni angolo, ogni ombra, mentre lui giocava con i suoi capelli, ipnotizzato dai colori che assumevano illuminati dal fuoco.
Alla fine la ragazza prese il marchio e lo avvicinò al petto di lui, appena sotto il cuore... I loro occhi non persero mai il contatto mentre la pelle sfrigolava sotto la pressione del ferro rovente; Joséphine vi lesse dolore, in quegli occhi turchini, ma non un lamento sfuggì dalle labbra.
Quando fu certa che il marchio fosse ben impresso lo allontanò e ammirò i profili rossi ma precisi della rosa, indelebili sulla pelle. Sorrise e passò una crema sulla bruciatura, prima di chiedere a lui di fare altrettanto sulla sua pelle.
Bryce titubò, ma quando lei si sdraiò e si tirò su la gonna, indicandogli l’inguine come sede del marchio, ogni remora sparì: una rosa, la sua stessa rosa, lì... Era più di quanto lui potesse sopportare.
Vi poggiò il ferro rovente e Joséphine accolse il dolore stoicamente, lasciando poi che lui si prendesse cura di lei. Aveva la sua rosa, finalmente, e l’aveva anche l’unico uomo che avrebbe mai potuto amare.
 
Il letto era cosparso di petali, tacito regalo che lei aveva voluto fargli prima della partenza, e quando lo vide a Bryce sfuggì qualsiasi contatto con la realtà: tutto ciò che voleva era lei. Fecero l’amore lentamente, gustando ogni movimento, ogni sospiro, ogni brivido, morendo l’uno nell’altra e tornando in vita insieme, percependo, forse, ciò che sentivano tutte quelle anime tornate come non-morti. Dopotutto, neppure loro sarebbero più stati gli stessi.
Bryce si svegliò per primo la mattina dopo e il suo cuore perse un battito quando la vide nuda e addormentata su un letto di petali.
Rosa tra le rose.



 

Non appena rientrarono ad Altieres, nonostante la condivisa riluttanza, si separarono per tornare ognuno a casa propria. Bryce aveva la sensazione che il tempo stesse per finire, percepiva attorno a sè una clessidra che stava esaurendo i suoi ultimi granelli di sabbia, ma non provava dolore. Non solo almeno.
Aveva il sapore dell’ineluttabile e lui l’accettava. Sarebbe stato inutile giocare una partita già persa.
In camera rimirò il marchio, meno rosso del giorno precedente: si sarebbe cicatrizzato, sarebbe diventato più bianco, forse si sarebbe persino confuso con il resto della pelle tanto da sfuggire ad un occhio poco attento, ma lui avrebbe sempre saputo che era lì, vicino al cuore. E avrebbe sempre pensato a lei.
La prima giornata senza di lei passò, lasciandolo irrequieto; i suoi amici lo andarono a trovare e con Axel cercarono di distrarlo, ma dovettero arrendersi all’evidenza che ogni tentativo cadeva nel vuoto. Bryce aveva un unico devastante pensiero.
Dov’era lei?
Trascorse anche il secondo giorno e l’animo del principe parve quietarsi: si chiuse nella serra, totalmente coinvolto da esperimenti di cui non dava alcuna spiegazione.
Cercava la forza per rassegnarsi all’ennesimo addio.
Pensava che lei non sarebbe più tornata.
Sbagliava.
La sera del quinto giorno Joséphine apparve tra le rose, quasi fosse un miraggio: non servirono parole nè spiegazioni. La prese lì, a terra, con il profumo dei fiori e della pelle di lei che lo confondeva e destabilizzava. La prese con rabbia, con foga, con la certezza che sarebbe stata l’ultima notte concessa loro.
La prese fino a star male, fino a vomitare amore, fino a piangere nell’incavo del collo perlaceo, continuando ad affondare in lei.
La prese nella serra, con le spine a graffiare la loro pelle facendoli sanguinare.
La prese sul divano dello studio, sul balcone del salone, nel suo letto.
La prese fino a quando i raggi del sole, seppur pallidi, ruppero l’incanto penetrando nella stanza.
La guardò illuminata da un fascio di luce, i capelli scomposti, le labbra schiuse in un sorriso, la pelle rossa attorno alla rosa che risaltava nel pallore.
Si addormentò con quell’immagine divina, Bryce Vandemberg, sussurrando un addio.
 
Morton lo svegliò nel primo pomeriggio portando del tè; Bryce aprì gli occhi con difficoltà e impiegò qualche secondo per comprendere perchè si sentisse così spossato.
Dov’era lei?
La domanda, giunta come una folgorazione improvvisa, gli mozzò il respiro, ma presto un altro pensiero ancor più doloroso gli si affacciò alla mente.
Era mai esistita?
La vita attorno a lui –Morton, la voce confusa del popolo che saliva attraverso la finestra, le chiacchiere di Axel con una guardia- scorreva come sempre, senza che nulla indicasse la presenza di lei.
Era stata solo un sogno?
I suoi occhi si posarono sulla scrivania e il cuore sussultò, scorgendo qualcosa di anomalo: una rosa separata dalle altre, una pergamena fuori posto.
Joséphine gli aveva lasciato una lettera di poche parole, ma sufficiente a farla uscire dalla sfera onirica per renderla reale.
 
Mi avete donato giorni che porterò sempre con me.
Non so se ci rivedremo mai, ma so che non vi dimenticherò.
Eternamente vostra,
Joséphine Rose Lynch.
 
Le parole e le note di Beethoven risuonarono nell’aria.
Eternamente tuo, eternamente mia, eternamente nostri.
[2]
Scese nella serra ignorando totalmente il fratello, troppo preso dal febbrile bisogno di finire ciò che aveva iniziato; vi rimase per tre giorni, poi uscì e fu come se nulla fosse mai accaduto.
Bryce Vandemberg tornò ad essere il solito damerino vanesio e nessuno accennò mai a Lady Joséphine; cosa lui provasse era un mistero per tutti.
 
Tempo dopo, a pochi giorni dall’inizio delle lezioni, Bryce fece chiamare Eloise per un consulto; la ragazza fece il suo ingresso al palazzo di Altieres con il cuore reso pesante dalla possibilità di vedere Axel ed infatti, quando quasi sospirava di sollievo vicino alla porta della camera del più giovane Vandemberg, il ragazzo le tagliò la strada.
-Eloise... Cosa ci fai qui?-
-Bryce è in fin di vita.- rispose brevemente evitando il suo sguardo.
-Come sempre.-
-Lo so, sto andando a sentire cosa accade questa volta.-
-Ti accompagno.-
-Non c’è bisogno.-
Axel abbassò il capo, annichilito dal tono duro di lei: avrebbe voluto parlarle, spiegarsi, mettere la propria vita nelle sue mani, baciarla, fare l’amore con lei.
Si limitò a farsi da parte ed Eloise proseguì per la sua strada cercando di ricordare a se stessa perchè lo odiasse così tanto, pur di vincere l’istinto di rifugiarsi tra le sue braccia familiari.
Trovò Bryce alla finestra e sussultò dalla sorpresa –Credevo fossi moribondo a letto.-
Il ragazzo si voltò verso di lei e sorrise –Spiacente di deluderti.-
Le andò incontro sbottonandosi la camicia ed Eloise attese paziente; non c’era malizia in quei gesti, nè imbarazzo.
-Volevo farti vedere questa.- le disse indicando la bruciatura ormai cicatrizzata –Sta bene?-
Eloise la analizzò brevemente, poi annuì –Ti rimarrà il segno per sempre, lo sai?-
Il ragazzo si limitò ad abbottonare la camicia, sorridendo appena.
Ad perpetuam memoriam.
La ragazza sospirò: aveva già visto quel simbolo, sulla pelle candida di Joséphine quando l’aveva visitata, aveva già visto lo stesso identico tormento che leggeva negli occhi di Bryce. Un amore spezzato... Qualcosa che il suo cuore di fanciulla conosceva fin troppo intensamente.
-Mi dispiace.-
Lui la guardò intensamente, prima di cingerle le spalle con un braccio e di dirigersi verso il giardino; qualcuno li osservava, nascosto dietro una tenda.
-Non devi. Io e Joséphine non siamo nati per un amore normale, composto di giornate condivise, impegni e promesse. Questo è ciò che la vita ci ha concesso. Non essere dispiaciuta perchè l’ho persa, sii felice perchè l’ho avuta.-
La mano elegante del principe aprì la porta della serra ed Eloise, ancora confusa dal discorso, inizialmente non capì cosa il ragazzo volesse mostrarle.
Poi la vide.
Si ergeva maestosa tra le altre rose, bianca e regale, con delle sfumature mai viste prima a secondo della luce che la colpiva: oro fino, cenere, zafferano, crema... E una sfumatura indefinibile, che non era giallo, nè rosso, nè marrone, non era nessuno di quei tre colori oppure li era tutti.
-È bellissima Bryce- pronunciò in un soffio, totalmente assoggettata alla magnificenza di quel fiore –Come si chiama?-
Bryce sorrise, mentre la mano andò inconsapevolmente ad accarezzare il marchio sotto al cuore –Rose.-
Rosa tra le rose.
 

 

 

 


[1]“L’Ordine della spada” Virginia de Winter 
[2]
“Lettere all'Immortale Amata” di Ludwig van Beethoven 

 


Note: Questa storia è nata grazie al contest indetto da Mirya, Rosa Rosae in cui si è classificata settima con un giudizio che mi ha fatto davvero piacere.
Ognuno di noi ha i propri personaggi preferiti, io per prima ne ho molti, eppure solo di uno mi sono follemente e imprevedibilmente innamorata. Almeno fino allo scorso luglio. Almeno fino a Bryce. E così, dopo Motecristo, Virginia è riuscita a farmi innamorare di nuovo, impresa che credevo impossibile. Bryce mi è entrato dentro, in ogni gesto, in ogni parola, e quando Mirya ha indetto il contest scrivere di lui è stato naturale... E vederlo vivere attraverso le mie parole è stata un'emozione indescrivibile. Joséphine aveva un altro nome all'inizio, poi una sera sono stata come folgorata: come potevo non aver dato a lei, rappresentazione vivente delle rose, il nome di colei che per me ha sempre rappresentato le rose? Mary Joséphine Rose  de Tascher de la Pagerie, meglio nota come Joséphine Bonaparte, prima moglie di Napoleone, personaggio che io adoro e che è famosa, tra le altre cose, per le oltre seicento specie di rose coltivate alla Malmaison dopo il divorzio.
Tutti i personaggi sono di proprietà di Virginia de Winter; Joséphine Lynch è un personaggio originale e mi appartiene. Nei dialoghi tra i due protagonisti ho mantenuto il “voi”, mi sembrava più consono all’epoca, dato che non sono amici, nè parenti. Alla fine è  inserita una citazione di Beethoven: è vissuto a cavallo tra il 1700 e il 1800, ma dal momento che BF non è ambientata in un anno preciso mi sono presa la libertà di individuare la storia nel tempo posteriore a quello in cui la lettera del compositore fu scritta. 
Durante la pubblicazione della storia ho corretto refusi ed errori di battitura, ma non differisce nel resto da quella inviata a Mirya. La storia vuole tra le altre cose giocare sul confronto tra l'amore di Axel ed Eloise e quello tra Bryce e Joséphine, come gli stessi personaggi ripetono più volte. Ho scelto l'arancione come rating, ma se qualcuno lo trovasse inadatto me lo faccia pure presente senza problemi.
Mi è stato fatto notare che Joséphine appare troppo artificiosa, in realtà l'idea era quella, come se lei volesse mostrare al mondo solo una maschera ben costruita, lasciare la sua figura in una dimensione sfuggevole, quasi onirica, ma evidentemente è stata troppo forzata e di questo mi dispiace; spero ad ogni modo che abbiate potuto apprezzarla. Detto questo, non voglio annoiarvi con parole inutili. Tutto ciò che voglio aggiungere è un ringraziamento a Mirya, che con la sua splendida idea mi ha dato l'opportunità di realizzare questa storia, la cui scrittura è stata una emozionante avventura. In bocca al lupo a tutte le partecipanti del contest, le cui storie vi invito a leggere perchè ne vale davvero la pena.
E grazie, inifiniti grazie, a colei che ha reso possibile tutto questo.
Virginia, grazie per avermi fatta innamorare ancora. 
per le  


 
   
 
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