Questa storia è stata ispirata al romanzo "Another Note" di Nisioisin. La maggioranza dei personaggi non mi appartiene. Troppo
pericoloso tenere quel quaderno: se qualcuno lo avesse trovato
avrebbe potuto facilmente intuire che ero stato nel corridoio
proibito, luogo che non avrei dovuto esplorare nemmeno nella mia
immaginazione. Se qualcuno lo avesse scoperto di certo sarei andato
incontro a delle punizioni imposte dagli adulti. Tutto ciò
poco
importava comunque, dato che quel giorno sarei tornato proprio in
quel posto. Un lieve
ronzio mi svegliò, era la sveglia che mi ero preparato:
l'avevo
insonorizzata con dei tamponi di spugna, in modo da non svegliare
né
Mello né Matt, dato che i due avevano sempre avuto il sonno
pesante. Come
l'altra volta mi alzai e mi preparai cercando di non provocare alcun
rumore, poi mi alzai ed uscii con il quaderno sotto braccio. Di nuovo
attraversai la casa silenziosa e salii le scale, stavolta senza alcun
timore. Raggiunsi il catenaccio e lo aprii di nuovo, entrai nel
corridoio e senza neanche gettare uno sguardo alle altre stanze mi
rifugiai in quella di B. Richiusi
piano la porta alle mie spalle e finalmente sospirai. Di nuovo
nessuno aveva visto nulla. Indeciso sul da farsi mi appoggiai sul
letto e infine non riuscii a resistere, perciò decisi di
riprendere
la lettura. Il
giorno tanto atteso arrivò. Il signore venne a casa mia con
una
grande automobile. Mi disse di salire, che mi avrebbe portato nel
luogo promesso. Sì, andava tutto bene: sarebbe diventata la
mia
nuova casa. Lo pensavo mentre salutavo quella della mia infanzia,
diretto verso un futuro ignoto e proprio per questo più
affascinante. Il
viaggio durò a lungo, ondeggiavo la mia testa con andamento
musicale
al ritmo della parlata del mio interlocutore. Quando
arrivammo mi ero addormentato sul sedile. Riaprii gli occhi e fui
colto immediatamente da un senso di meraviglia e di timore allo
stesso tempo. Davanti a me c'era un enorme cancello nero che recava
la scritta in ferro battuto “The Wammy's House”. Scesi
dall'auto affascinato da tanta imponenza e incredulo non potetti fare
a meno di chiederne conferma: “Quillsh, è
qui?”. L'anziano
signore mi rispose annuendo. Il
cancello si aprì sotto il tocco dell'uomo ed entrammo.
Improvvisamente mi trovai in un mondo che avevo solo potuto
immaginare: giardini enormi, bambini che giocavano come preferivano,
la casa appariva come un castello, autoritaria ma meravigliosa.
Quella sarebbe diventata la mia casa. Salii le
scalette di fronte all'ingresso principale sotto lo sguardo degli
altri bambini e una volta dentro mi lasciai condurre da Quillsh senza
sapere precisamente dove mi stesse portando. Mi
condusse ad una stanza e mi chiese di attendere qualche minuto da
solo. Entrò lasciandomi fuori. Tutto
ciò che vedevo mi sembrava enorme. Ero stranamente felice,
speravo
con tutto me stesso di poter cominciare una nuova vita senza
più
problemi. Dopo
poco tornò il vecchietto che mi disse che il direttore
voleva
parlarmi. Entrai un po' timoroso all'idea di fare quella conoscenza.
Trovai un altro uomo anziano seduto dietro una scrivania. Non guardai
il cartellino, ma mi bastò guardarlo negli occhi per
conoscere il
suo nome: Roger Ruvie. Roger mi
salutò con una voce stanca, che lasciava intuire le fatiche
degli
anni passati, e mi chiese il mio nome. Il mio
nome? In un
attimo di paura mi resi conto che non ero in grado di ricordarlo.
Possibile? Il mio nome, l'informazione più semplice da
ricordare per
una persona... l'avevo dimenticato? Forse era semplicemente per il
fatto che in quei giorni nulla avevo fatto se non vivere
passivamente: un'informazione simile non poteva di certo aiutarmi. “Allora?
Come ti chiami?”, a queste parole ripetute mi voltai verso
Quillsh
visibilmente agitato. Potevo sapere il nome di qualsiasi essere umano
solo guardandolo negli occhi e non conoscevo il mio? Era sempre stato
così fin dalla nascita, anzi da prima della nascita. Prima
della nascita. Beyond Birthday. Mi
decisi e dissi di chiamarmi così. Dalla
reazione dei due uomini credo che il mio nome sia sembrato bizzarro,
ma non aggiunsi nient'altro: quello sarebbe stato. Roger lo
annotò su un foglio e poi disse a Quillsh qualcosa che non
compresi,
ma l'uomo disse di sì, ed annuì dicendomi di
andare. Mi
condusse al di fuori della stanza e mi fece percorrere un atrio dove
si trovava una grande scala. L'uomo
mi spiegava ogni cosa del funzionamento dell'istituto, mi diceva che
a sinistra c'erano le classi a destra la biblioteca... Mi staccai
per un secondo dalla lettura. Quindi il luogo dove si stava svolgendo
il tutto era proprio lo stesso dove mi trovavo? Certo, una
descrizione tanto dettagliata non poteva che essere stata fatta da
una persona che era stata davvero lì. Nessuno può
entrare nella
casa se non ne fa parte. Persino l'operaio del giorno prima aveva
molte restrizioni. Poteva trovarsi solo vicino all'ingresso e non
poteva entrare in nessuna stanza che appartenesse a noi bambini a
meno che non fosse strettamente necessario. Mi
indicò la strada. Dovevamo entrare in un corridoio che
mostrava
varie porte. Quillsh mi sospinse in una stanzetta dove regnava il
colore bianco. Però avevo visto che altri bambini non
stavano in un
luogo così isolato, allora chiesi il perché di
una tale
differenziazione all'anziano. Quello mi rispose solo di aspettare un
po', disse che mi avrebbe lasciato un po' da solo per familiarizzare
con l'ambiente. Allora
attesi. Dopo
molto tempo che l'uomo se ne era andato, sentii un rumore dietro la
porta. Lasciai
che la persona che lo produceva entrasse. Mi disse di essere un
medico che mi doveva controllare. Mi fece
una visita a tutti gli effetti e poi mi fece alcune domande e tra
queste mi chiese cosa avevano i miei occhi. Ora ero
davvero intimorito. Risposi
flebilmente che quello era il loro colore, che non avevano nulla di
strano, ma non credette alle mie parole. Mi assecondò per un
po',
poi si allontanò da me dicendo che sarei dovuto rimanere
lì,
nell'area adibita ad ospedale psichiatrico della The Wammy's House. Ospedale
psichiatrico?! Quel luogo era una stanza d'ospedale? Mi guardai
intorno ed effettivamente notai che quel bianco che dominava sovrano
nella stanza era tipico degli ospedali. Eppure non c'era nient'altro
che potesse far pensare una cosa simile. Forse le prove erano state
eliminate? Non
capivo. Ero considerato un pazzo? Perché mi avevano messo in
luogo
simile? Decisi di non pensare alla questione per evitare di cedere
alle mie emozioni e di comportarmi davvero come un matto. Nei
giorni successivi mi fecero frequentare delle lezioni scolastiche,
feci amicizia con altri bambini che non mi giudicavano in base al
colore dei miei occhi. Devo ammettere che molti di loro avevano delle
stranezze ben peggiori della mia, ma alla fine li trovavo
interessanti proprio per questo motivo. Quel
luogo era quello sognato da ogni bambino in fin dei conti: potevamo
decidere noi se e quando studiare senza invasioni da parte di adulti,
potevamo decidere cosa mangiare. Ad esempio, se qualcuno avesse
voluto, avrebbe potuto nutrirsi solo di cioccolato. Sorrisi.
Quest'affermazione non poté non farmi venire alla mente
Mello. Più
che una voglia di cioccolato la sua era quasi una dipendenza: non
resisteva un giorno senza mangiare almeno una barretta, ma Mello era
quel che era... Effettivamente è strano che in una casa come
quella
si sia così rigidi su certe regole eppure su altre si lascia
una
certa libertà. Ancor oggi non credo impongano molti limiti
sull'alimentazione dei bambini che si ritrovano lì. Per il
resto era una normale scuola, dove si studiavano le solite materie,
si facevano i soliti compiti. Passai
un bell'autunno in quei luoghi, mi sentivo grande e imbattibile, come
vorrebbe essere ogni bimbo. Ero stimato dai miei amici e oramai non
mi preoccupavo più di essere nel reparto adibito a ospedale
psichiatrico, dato che per me le cose non cambiavano troppo, solo
dovevo sottopormi a controlli periodici.
Eppure
un giorno cominciai ad odiare sul serio quel reparto. I medici
che avevano il dovere di controllare che io stessi bene cominciarono
a fare cose che avevano più l'aria di essere esperimenti,
piuttosto
che veri e propri controlli, dato che si resero conto che io e i miei
occhi nascondevamo qualche anomalia e avevano tutta l'intenzione di
scoprirla. Non mi permettevano di uscire se non per frequentare la
scuola, cercando di scoprire chissà cosa. Proprio per
questo, per me
studiare diventò un sollievo, ero felice di farlo, ma appena
tornato
nella mia stanzetta la tristezza mi assaliva. I medici erano sempre
lì ad aspettarmi, erano molto gentili con me, ma era solo
per
interesse. Speravo
che sarebbe arrivato un qualcosa, un qualcuno per farli smettere. Se c'è
una divinità a controllare la vita su tutti noi forse ha
ascoltato
le mie preghiere, ma è una divinità beffarda, si
prende gioco degli
esseri umani. Esaudisce un desiderio, ma crea altre preoccupazioni. Ti darà
qualcosa, caro lettore, ma ti chiederà molto in cambio. Già,
perché se la mia situazione ti appare complicata
già da ora, sappi
che siamo appena agli inizi del disastro. I veri
problemi sono arrivati verso la fine di quell'autunno. Di certo non
potevo immaginare che di lì a pochi momenti ci sarebbe stata
una
vera rivoluzione in quella casa, una rivoluzione che avrebbe
sconvolto il modo di vivere di molti, che avrebbe cambiato tutti. Ebbene,
a metà dicembre Quillsh uscì dalla casa, dicendo
che doveva andare
a fare una commissione. Io non diedi troppa importanza alla cosa,
dato che non era la prima volta che accadeva. Passò
la mattinata come tutte le altre, tra scuola e amici. Tornato nella
mia stanza, trascorsi il pomeriggio come tutti gli altri tra studio e
ozio puro. Improvvisamente
sentii un suono che non avevo mai sentito: le campane. C'era un
campanile? Mi affacciai alla finestra e vidi la neve cadere candida.
Vidi anche una torre con un grande orologio. Era da lì che
proveniva
il suono. Rimasi
incantato ad ascoltare ancora quel suono cupo, ma bello al tempo
stesso. Come
potevo non aver mai sentito un suono così intenso e anche
pauroso? Quello,
unito alla neve così pura, creava un'atmosfera davvero
difficile da
dimenticare. Tutto sembrava quasi magico di fronte a quella visione. Sorrisi. Sentivo
dentro di me che il mio destino sarebbe cambiato di lì a
poco. Come
ogni bambino lì, sognavo. E mi sembrava di star vivendo una
di
quelle fantasie notturne che facevo in silenzio nel mio letto bianco.
Qualcuno stava arrivando. Non sapevo chi fosse, ma sapevo che volevo
incontrarlo. Forse
quelle campane erano lì proprio per annunciare il suo
arrivo, che
avrebbe cambiato per sempre il mio modo di agire. Uno scherzo del
destino, forse? Ora
dimmi, caro lettore: hai mai sentito parlare di L? ________________________________ Authoress' words Salve! Eccomi qui col quarto capitolo!
Sono molto felice di cominciare a parlare un po' della The Wammy's
House, dato che è una scuola che mi affascina davvero tanto,
è un'ambientazione perfetta per le storie! Questa è stata una
settimana stranissima per me dato che ho avuto una serie di alti e
bassi incredibile... Insomma, ero allegra, improvvisamente trstissima,
poi piena di energia, poi depressa... Credo di aver dato del filo da
torcere a tutti in questo periodo, mi chiedo come mi sopportino! Bene, come al solito mi perdo in
chiacchiere inutili quanto noiose... Quindi evito di farvi perdere
altro tempo a leggere questa roba. ^-^ Al prossimo capitolo! Any