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Autore: L_Fy    20/06/2011    23 recensioni
...Se lo disse anche a fior di labbra, sottovoce: "Veronica Alberice Scarlini della Torre, sei uno schianto."
Aveva diciotto splendidi anni, era raffinata, ricca, alla moda, trendy da morire, più fashion di Paris Hilton, più glamour di Anna Wintour, più sensuale di Monica Bellucci. Nessuno del centinaio abbondante di ragazzi della sua scuola poteva non sbavare mentre lei passava senza degnarli di un solo sguardo, nessuna delle 2000 oche della sua scuola poteva non morire d’invidia, nessuno del corpo insegnanti poteva non rimpiangere di non avere avuto un solo grammo del suo allure nella loro triste, patetica esistenza.
Quindi, non poteva essere altrimenti: lui finalmente l’avrebbe guardata.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Allora, te lo ridico: un’onda luminosa è emessa da una sorgente monocromatica; la luce raggiunge uno specchio semiargentato H; parte della luce viene diretta verso lo specchio A, mentre parte
raggiunge lo specchio B…”
Paolo parlava e Veronica nemmeno lo ascoltava. Ci aveva provato, davvero, le era venuto il mal di testa a forza di concentrarsi, ma era più forte di lei. Partiva guardando il foglio pieno di formule e finiva per fissare quelle tre virgole di capelli sulla nuca; o il lobo dell’orecchio che spuntava tra le onde bionde quando Paolo ci passava in mezzo la mano con impazienza; o la ruga che gli veniva tra le sopracciglia quando si concentrava; o la più sconvolgente, quella che le faceva perdere completamente il filo della ragione… la punta rosea della sua lingua che si intravedeva tra le labbra quando scriveva qualcosa di particolarmente ostico. L’aveva costretto a riscrivere le formule di Michelson e Morley almeno dieci volte solo per farglielo rifare… Era così adorabile. 
“…lunghezza pari a HB = L1 e HA = L2. Capito?”
Paolo si girò a guardarla e Veronica vide le sue iridi chiare al di là delle lenti: l’unica cosa che aveva capito era che la relatività non le sarebbe mai entrata in testa e che gli occhi di Paolo erano meravigliosamente azzurri.
“C-Come…?” si riscosse come da un sogno.
“Ti ho chiesto se hai capito.”
“Io.. ehm… certo che ho capito. Siamo ancora a Michelson e Morley, vero?”
Paolo sospirò e si appoggiò all’indietro con la schiena, togliendosi gli occhiali dal naso e massaggiandosi gli occhi stanchi.
“Così non va.” borbottò depresso e in quel mentre, senza nemmeno bussare, entrò la nonna ondeggiando non proprio in linea retta.
“Signorina le va un caffè?” chiese con un sorriso sdentato all’attaccapanni, pensando probabilmente che fosse la sua ospite; Veronica l’avrebbe preso anche volentieri se non ne avesse già bevuti tre su quindici sue richieste. Paolo intanto imprecava tra i denti, sottovoce.
“Nonna, la vuoi piantare di interromperci?”
“Le frittelle sono quasi pronte” confidò la vecchia all’attaccapanni, ignorando bellamente il nipote “Adesso gliele porto.”
“Nonna?!?!”
La vecchia era già uscita richiudendo a porta alle spalle.
“Scusala.” borbottò Paolo trucemente: si doveva ancora rimettere gli occhiali con cui giocherellava nervosamente.
“E perché mai? E’ molto gentile.”
“Già. Con l’attaccapanni.”
“Pensava che fossi io. Lo prendo come un complimento, sai? Guarda com’è magro…”
Lui sorrise quasi senza volerlo e Veronica seguendo un impulso momentaneo prese i suoi occhiali (stando bene attenta a non toccarlo… aveva paura di prendere la scossa), frugò dentro la Martha Bag e tirò fuori dall’astuccio dei suoi occhiali da sole una fine pezzuola di seta di Hermes con la quale pulì delicatamente le lenti.
“Grazie.” disse lui sorpreso e Veronica abbozzò facendo spallucce: in realtà l’operazione aveva il solo scopo di impedirgli di coprire quei due gioielli celesti che aveva per occhi, ma lui ovviamente non poteva saperlo.
Mentre stava per parlare la porta si aprì di nuovo, facendo sbucare le teste identicamente bionde di Laura e Silvia.
“Ciao!”
“Ciao!”
“Ragazze!” sbuffò Paolo visto che era già la terza volta che quelle due irrompevano in camera sua “Almeno bussate!”
“Abbiamo bussato!” protestò Laura.
“Sì, tre volte fa!”
“Volevamo un parere da Veronica…”
“… che è la regina dello stile…”
“… per il look di stasera!”
“Perché, dove pensate di andare stasera?” si aggrottò Paolo dimenticandosi di Veronica e del bon ton a lei associato.
“A una festa.”
“In centro!”
“Scordatevelo. E’ giovedì sera, domani c’è scuola e mamma e Dante devono andare in piscina.”
“Embé?”
“Embé chi porta fuori Biagio?”
“Tu, no?”
“No cocca, io l’ho portato ieri e se guardi la tabrutta…”
“La che?” si intromise Veronica incuriosita.
Paolo, ricordandosi della sua presenza, arrossì.
“La… ehm, la tabella degli impegni settimanali della famiglia.”
“E’ talmente odiosa e mal scritta che invece di chiamarla tabella lui la chiama tabrutta.” spiegò Laura.
“Patetico!” commentò Silvia in una inconsapevole ma molto riuscita imitazione di Veronica quando parlava del volgo.
“Avete una tabella degli impegni familiari?” domandò lei per togliere Paolo dall’imbarazzo.
“Già. Mica tutti hanno un segretario personale che organizza la vita.”
“Tu ce l’hai Veronica?” chiese Laura sgranando gli occhi e prima che Veronica potesse rispondere la precedette Paolo stesso.
“Sì, ce l’ha. Una simpatica ragazza che si chiama Gladi.”
Sorrise teneramente dicendo il suo nome (cioè, quello di Veronica) e questo le fece salire la mosca al naso.
“A volte credo sarebbe meglio avere la tabrutta.” mormorò sottovoce e Paolo le lanciò il primo sguardo ostile della giornata.
“A me è sembrata molto brava, professionale, affabile e oltremodo gentile” la contraddisse severamente “Dovresti essere contenta di lei.”
La stava difendendo. Stava difendendo Gladi da se stessa… se Freud fosse stato vivo studiando questa situazione sarebbe caduto in estasi mistica.
“Sono contentissima di lei” sbuffò Veronica arrossendo suo malgrado “Ma non dovresti essere tu a tessere le sue lodi, visto che nemmeno la conosci.”
“Le ho parlato al telefono” si difese Paolo arrossendo a sua volta “E l’ho trovata simpatica.”
“Allora, per quel consiglio?” si intromise Laura, che evidentemente se ne strafregava delle segretarie.
“Manca poco a stasera.” ribadì Silvia sventolandole sotto il naso una maglietta di sintetico rossa e un autentico obbrobrio color spremitura d’uva putrefatta.
Paolo alzò gli occhi al cielo, e in quel momento, grazie agli dei dell’Olimpo, arrivò nonna Adalgisa con un piatto pieno di frittelle fumanti e grondanti di burro, risparmiando a Veronica l’ardua scelta tra l’obbrobrio viola e l’aborto rosso.
“Le frittelle!” esalò scattando in piedi.
Ne prese una ringraziando la nonna che stava maternamente sorridendo alla libreria alle sue spalle. “Sono buonissime.” ammise resistendo all’impulso di leccarsi le dita e di sfuggita si accorse che Paolo la stava guardando a bocca semiaperta e aria molto poco ricettiva.
“…”
“Davvero, le trovo deliziose.”
“….”
“Bianchi, sei vivo o stai sublimando?”
“Che mi venga un colpo.”
“Anche due. Che c’è?”
“Stai mangiando.”
“Ebbene sì, lo ammetto, anche io mi nutro, e non di sola carne umana. Sei proprio una mammoletta a sconvolgerti per una frittella.”
“Non è per la frittella. E’ che…”
“…che non ti aspettavi che Grimilde potesse fare qualcos’altro nella vita a parte rifilare mele avvelenate alle fanciulle innocenti?” concluse lapidaria.
“Grim…? Ehm, no, ehm… chi ti ha detto che…?”
Che Veronica sapesse del suo delizioso soprannome l’aveva colto evidentemente di sorpresa, non quanto vederla allegramente mangiare una frittella ma abbastanza per fargli diventare il viso color amaranto.
“Non ricordo chi me l’ha detto” rispose Veronica con leggerezza (anche se era stato proprio lui a confessarlo alla simpatica Gladi) “Ma non ti preoccupare, non rifilerò una mela avvelenata anche a te solo per questo.”
Gli sorrise. Un po’ le era scappato ma il tempismo era evidentemente perfetto perché lo colse di nuovo di sorpresa. Arrossì fin dentro il colletto ed era così adorabile che se Inocencia non le avesse inculcato fin dall’infanzia la sua estrema pudicizia colombiana probabilmente lo avrebbe baciato. Facendogli così venire un bell’infarto al miocardio, sospettò. Mentre Paolo era ancora in pieno shock anafilattico, entrò Dante con la fida palla sotto il braccio e un sorriso a 180 denti: si era pettinato e aveva la riga da una parte così dritta che sembrava arata di fresco.
“E’ ora del gelato!” strillò con voce assordante “La strega deve andare via!”
Che gioiello di educazione: la nemesi di Ingrid, la sua insegnante svizzera di bon ton.
 Le gemelle e nonna Adalgisa esplosero in strilli costernati ma Paolo chiuse il libro di matematica con aria definitiva (e notevole sotterraneo sollievo). Veronica non sapeva bene se questo la mortificava o la faceva infuriare.
“A quanto pare è finita la lezione.” evidenziò con un tono di voce molto Grimildesco.
“Scusa se mio fratello ha la delicatezza di un bisonte nella prateria” sospirò Paolo girandosi verso di lei pur senza trovare il coraggio di guardarla in faccia “Ma è bravissimo a contare i minuti e il gelato glielo avevo promesso. Comunque questa era solo una lezione di prova… dovevamo solo vedere se, ehm, coff… umpf…”
“Se eri in grado di sopravvivere a un’ora di terapia intensiva con Grimilde?” finì Veronica per lui, profondamente scoraggiata.
Paolo la fissò sorpreso e quasi più scoraggiato di lei.
“Se avresti sopportato la lezione senza voler sterminare l’invadente, maleducata, rumorosa famiglia Bianchi al completo.” corresse poi con lentezza.
Era gentile: Veronica non sapeva bene se faceva così perché non voleva mortificarla o perché lo pensava davvero, ma in ogni caso era ancora più adorabile del previsto.
“Beh, siete ancora tutti vivi, no?” accennò prudentemente.
“Già. Chissà da questo cosa si evince.”
“Chi è che vince?” domandò Dante perplesso “Stavate facendo una gara?”
Caro Dante: piuttosto intuitivo per essere quello che sapeva solo giocare con la palla.
“No, Dante, non stavamo facendo una gara. Deve solo decidere se tornare o no qui a lezione.”
“Chi deve decidere?”
“Veronica.”
Che bello il suo nome detto da Paolo, con quella voce paziente, affettuosamente fraterna. Veronica arrossì senza motivo e la cosa probabilmente venne interpretata dai Bianchi come un chiaro segno che le la lezione non era stata di suo gradimento, con conseguente sgomento da parte di tutti a  parte Dante che continua a sorridere beato e Paolo che sembrava più impenetrabile della sfinge.
“Tornerai, vero Veronica?” anticipò ansiosamente Silvia invadendo il suo spazio vitale.
“Hai ancora bisogno di lezioni, vero Veronica?” aggiunse Laura ancora più ansiosa andandole quasi in braccio.
“Ti do un piatto di frittelle da portare a casa.” buttò lì pure nonna Adalgisa sorridendo amabilmente all’accappatoio di Paolo appeso dietro la porta.
Erano carini, anche se inopportuni, invadenti e rumorosi. Se non fossero i parenti di Paolo, Veronica avrebbe probabilmente chiamato lì suo maggiordomo per sterminarli.
“Beh, io…” iniziò poco convinta: quello che le interessava era che fosse Paolo a chiederle di tornare. Almeno un cenno piccolo così di interesse… almeno una vibrazione di ciglia…
“Non credo che Veronica tornerà.” disse invece d’un tratto lui con freddezza artica.
Un coro di sospiri affranti si levò dal parentado e Veronica non poté fare altro che alzarsi lentamente in piedi, col cuore nel petto che tirava verso il basso tanto era pesante.
“Molto bene” rispose con voce dignitosa: era ora che gli insegnamenti di Ingrid fruttassero qualcosa “A quanto pare è meglio che vada. Il mio autista mi aspetta.”
“Già.”
Paolo l’aveva detto quasi con cattiveria. Come Veronica era affranta, come Grimilde mortalmente offesa. Probabilmente avrebbe detto qualcosa di sferzante e altezzoso se Dante, con un gesto lungo e pieno di entusiasmo, non le avesse allungato sotto il naso il suo mazzo di ciclamini semimorti recuperati in soggiorno.
“I fiori!” strillò convinto sorridendo con aria estasiata.
Veronica li prese automaticamente, disorientata: quei fiori erano i più tristi e deprimenti che avesse mai ricevuto e d’improvviso sentì quasi l’impulso di commuoversi. Quasi.
“Grazie, Dante” mormorò con voce incolore “Sono molto belli. Non… non dovevi.”
“Che galantuomo.” sospirò nonna Adalgisa soddisfatta.
Dante annuì, saggiamente.
“Quando torni ti do le gerbere” le concesse magnanimo “Sono più belle anche se puzzano di pipì.”
Di nuovo le preziose lezioni di impassibilità di Ingrid tornano più che utili a Veronica.
“Sei molto gentile, ma Paolo non vuole che torni.” rispose educatamente.
Il sorriso di Dante si appannò mentre le gemelle giravano un identico sguardo assassino su Paolo e la nonna alzava trucemente il mento verso l’accappatoio.
“Perché non vuole?” chiese Dante spaesato “Paolo, non è mica vero che la strega puzza, l’hai detto anche tu. Anzi, profuma di tanto buono ed è tanto bellissima.”   
“Guarda che è lei che non vuole tornare.” si difese Paolo di nuovo rosso come un gambero ed evidentemente alterato.
Che puerile bugia! Cuore spezzato o no, quello era un affronto che Veronica non poteva lasciare impunito! Si rivolse a Dante con quanta calma riuscì a racimolare.
“Io non gli ho affatto detto che non voglio tornare” scandì con chiarezza fissando Dante negli occhi “Dì al tuo degno fratello che è molto scortese a mentire così sfacciatamente.”
“Cosa devo dirgli?” chiese affannato Dante, confuso.
“Io non stavo affatto mentendo” si intromise Paolo, rosso in viso come la cresta di un gallo “Dì a V-Veronica che s-si vedeva piuttosto chiaramente che n-non voleva tornare.”
Dante questa l’aveva capita: si girò verso Veronica con molta dignità, anche se aveva l’aria ancora decisamente infelice.
“Veronica, Paolo dice che si vedeva che te non volevi tornare.”
“Non è vero.” rispose lei automaticamente, e Dante si girò verso Paolo per riportare l’ambascia.
“Ha detto che non è vero che si vedeva.”
“No!” esclamò Veronica arrossendo ignominiosamente “Volevo dire che non era vero che non volevo tornare.”
Di nuovo Dante tentò diligentemente di riportare quanto detto.
“Ah. Paolo, Veronica ha detto che non voleva… non si vedeva… che non tornava… beh, hai capito lo stesso.”
“Ma sembrava così.” mugugnò Paolo guardando fisso Dante negli occhi: il suo broncio abbinato alle guance color carminio era davvero adorabile, corbellerie a parte.
“Beh, non lo era” sbuffò Veronica e Dante tornò ad ascoltarla con un sospiro rassegnato “Dì al tuo nobile fratello di non usare i miei silenzi per dire quello che vuole lui.”
Dante era ammutolito; Paolo invece più che imbarazzato sembrava arrabbiato.
“No, dì alla tua molto bellissima e profumata regina delle nevi che conosco molto bene il suo sguardo da sparisci, scherzo della natura.”
“Uffa!” esplose Dante facendo un passo indietro e lasciando Veronica e Paolo a fronteggiarsi tutti soli “Se volete litigare parlatevi da soli!”
Veronica non voleva litigare: e nemmeno Paolo, evidentemente, perché si sbollirono tutti e due contemporaneamente. Paolo lanciò uno sguardo timido e ostile insieme a Veronica: l’effetto fu quello di sbloccarle la lingua.
“Io aspettavo che tu mi chiedessi di tornare.” si decise a dire buttando la maschera, e al diavolo Ingrid, l’autista che la aspettava in strada e persino il maggiordomo assassino.
“E io aspettavo di capire se tu volessi tornare o no, ma con te chi ci capisce qualcosa?”
“Però i fiori sono carini.” chiocciò tutta contenta nonna Adalgisa che aveva probabilmente scambiato i due licheni mollicci che teneva in mano Veronica per un rigoglioso mazzo di rose.
“Nonna, che c’entra” sbuffò Laura che si stava bevendo l’alterco tra Veronica e Paolo come se stesse guardando un film “Lasciali finire.”
“Sì, insomma, Veronica torni o no?” supplicò Silvia che evidentemente non aveva capito niente.
Veronica si limitò a fissare Paolo con aria ostile, ricambiata.
“Tu che ne pensi, Bianchi?” mormorò infine saltando il conto terzi di Dante con un accenno di diplomazia nella voce.
“Che dovresti tornare.” rispose lui immediatamente, molto serio e convinto: stava pensando al mucchio di soldi che avrebbe intascato sopportando Grimilde per tre ore a settimana o stava pensando a qualcosa di più ottimistico, tipo che in fondo non era poi così terribile come gli era sembrata per tredici anni? Impossibile dirlo.
“Va bene” sentenziò bruscamente Veronica distogliendo lo sguardo da Paolo senza apparentemente scomporsi di un pollice “Sarò qui dopodomani alla stessa ora.”
Lo strillo di gioia delle gemelle venne soffocato dagli squittii di nonna Adalgisa.
“Studia le formule di Morley.” le suggerì Paolo accompagnandola alla porta.
“Noi prepariamo alcune cosette che abbiamo comprato al mercato da farti vedere, così ci consigli!” trillarono in coro Silvia e Laura saltellandole dietro.
“Io faccio le lasagne.” decise nonna Adalgisa, seguendo le voci. 
“Buone le lasagne!”
“Dante, non le dare corda! Nonna, al pomeriggio non si può…”
“E chi lo dice? Se uno ha fame mangia quando gli pare. E poi la signorina è così magra…”
“Come un attaccapanni” confermò Veronica con un’ombra di sorriso che, stranamente, si rifletté sul viso corrucciato di Paolo “Ancora grazie per i fiori, Dante, sono bellissimi.”
“Ciclamini!” strillò Dante evidentemente emozionato “Ciao strega!”
Il resto dei saluti fu un turbine di entusiasmo e promesse culinarie da cui Veronica fuggì frastornata, con l’unico rimpianto di non aver sentito in quella cacofonia il suono pacato della voce di Paolo che diceva il suo nome.
*          *          *
Veronica entrò nel salotto trattenendosi a stento dal saltellare come una bimba a cui hanno regalato un lecca lecca: si bloccò di colpo quando vide l’alta figura del cugino elegantemente assisa sul divano.
“Grimilde carissima!” sospirò questi sorridendole sardonico “Sei letteralmente radiosa. Devo dedurre che hai seguito il mio consiglio mostrando il tuo regale decolté al povero Bianchi?”
Veronica buttò la Martha bag sulla poltrona, immediatamente sulla difensiva.
“Anche se il lessico è quello di un milord inglese, riesci sempre e comunque a dire delle cazzate, carissimo Tebaldo. Tu che ci fai qui?”
“Sono venuto a vedere se Elton e David godono di buona salute. E ad accertarmi che il tuo incontro con Bianchi sia andato a buon fine, naturalmente. Dalla tua faccia direi di sì: non ti ho mai visto così bella, sei quasi luminosa.”
Era un complimento sincero, intuì Veronica, forse il primo che lui le faceva. Chissà perché la cosa la spaventò.
“Il mio incontro è andato bene” tagliò corto abbassando lo sguardo “E Elton e David sono ancora vivi, nonostante la puzza micidiale che continua ad emanare quella tua sottospecie di cane. Come mai tanto interesse?”
“Luce dei miei occhi, il mio è puro dovere parentale” tubò Tebaldo sgranando gli occhi “Ma ammetto che è davvero un’esperienza alternativa vedere la bella, irraggiungibile, semifrigida Grimilde che ha le scalmane per un gelatinoso secchione con le pezze al culo…sembra, come dire, una sorta di strana giustizia poetica.”
Tipico di Tebaldo sminuire e mortificare qualsiasi cosa non lo riguardasse personalmente: ma Veronica si era decisamente stufata di giocare al suo stesso livello.
“Io non ho le scalmane per Bianchi” rispose quindi con pacata sicurezza sedendosi sul bordo della poltrona “Io mi interesso di Bianchi. Di lui a tutto tondo…”
“Anima e core?”
“Personalità e cervello.”
“Davvero insolito, Grimilde. Non mi risulta che tu sia andata mai più in là dell’interesse per l’underwear.”
Glielo disse con voce vellutata, lanciandole uno sguardo vagamente allusivo.
“Forse perché fin’ora per nessuno era mai valsa la pena.” rispose Veronica lapidaria.
Per niente scalfito, Tebaldo rise divertito.
“Touché! Però dai, Grimi carissima, non mi dire che non sembra fantascientifico il tuo interesse per quel mezzo lombrico occhialuto.”
“E il tuo per lo stecchetto grigiastro, come procede?” cambiò marcia Veronica freddamente.
“Piuttosto bene. Anzi, volevo ringraziarti per l’incentivo del cane… mi ha di molto facilitato le cose.”
“Ne sono lieta. Mi ero accorta che la tuo stecchetto stava origliando una conversazione privata e un po’ mi angosciava l’idea che questo potesse ostacolare i tuoi piani.”
“Ti ringrazio di cuore, ma i miei piani procedono a gonfie vele anche senza il tuo aiuto.”
Sorrise malignamente e Veronica rivide di sfuggita il viso di Serena riflesso nello specchio del bagno della scuola, quell’espressione da cucciolo ferito mentre ascoltava la verità su Tebaldo.
“Sono più che contenta se intendi togliermi lo stecchetto dai piedi” dichiarò giocherellando coi bottoni della camicia “Ma mi chiedevo al contempo che gusto potevi trovarci nel fare del male a una cosina tanto indifesa e insignificante.”
“Io non intendo affatto farle del male. Intendo solo divertirmi.”
“Tu sei un grasso, smaliziato, perfido gatto che giochicchia con un topolino piccolo e tremebondo. Questo non è divertimento, è pura crudeltà.”
“Detto da te risulta assolutamente esilarante. Comunque potrei dire lo stesso di te e Bianchi. Chi ti dice che il mio cuore non batta per il topolino come il tuo batte per il mezzo lombrico?”
“Te l’ho già detto, Tebaldo, tu non hai un cuore.”
“Opinione opinabile, Grimi carissima: il fatto che tu non l’abbia mai voluto vedere non significa che non ce l’abbia.”
Veronica si concesse il lusso di guardare Tebaldo dritto negli occhi con la guardia abbassata: lo colse in un momento in cui il suo sguardo era franco, genuino. I suoi occhi erano bellissimi, come quelli che vedeva riflessi nello specchio ogni mattina, eppure al contempo erano completamente diversi. Era come se assurdamente li vedesse per la prima volta.
“Sono anni che non ti vedo con così poco trucco” mormorò di punto in bianco Tebaldo con aria pensierosa “Mi ricorda quando eravamo bambini e tu eri già una perfida, piccola Grimilde in divenire. Bella da lasciare senza fiato, ma letteralmente pestifera. Impossibile non adorarti.”
Veronica sbatté le ciglia momentaneamente confusa.
“Guarda che eri tu quello pestifero. Quando andavamo a prendere il te da nonna Veronica riuscivi sempre a farmi beccare con le dita nella zuccheriera.”
“E tu riuscivi sempre a farmi sporcare i pantaloni di piquet bianchi. Conception mi faceva una testa così per giorni. Come potevo dirle che sopportavo tutto quello solo per amore?”
Veronica sbatté di nuovo le ciglia.
“Per amore? Tu eri innamorato di me?”
“Cotto come una pera.” le confidò Tebaldo piacevolmente: ma il suo sguardo era ancora franco e genuino e Veronica fu lì lì provare qualcosa di completamente sconosciuto, qualcosa che somigliava alla nostalgia. Poi ripensò al sogghigno segreto di Tebaldo mentre tesseva le sue subdole tele e il suo viso tornò freddo e duro.
“Sta a vedere che adesso salta fuori che è colpa mia se sei diventato così maledettamente stronzo.” commentò appoggiandosi compunta allo schienale della poltrona.
Tebaldo fece spallucce, sospirando ironicamente.
“Mi piacerebbe fartelo credere, ma in realtà credo che sia per colpa di qualcosa di genetico. Però sarebbe molto romantico, non trovi?”
“Sarebbe più romantico se ti impegnassi a non fare troppo male a una ragazza innocente come stecchetto Colombi.”
L’altezzoso sopracciglio di Tebaldo scattò sull’attenti, ironico e sprezzante come al solito.
“Mia carissima Grimilde! Oltre che di Bianchi, ti preoccupi anche di uno stecchetto qualunque che tra l’altro è la sua attuale fidanzata, quindi tua prima e diretta nemica? Se continui così potrei pensare che ti sta crescendo un cuore nel petto.”
“La cosa ti preoccuperebbe così tanto?”
“Beh, tutti i diamanti che ci hai stipato dentro in questi anni dopo dove li metti?”
“Avrei un’ottima sebbene triviale risposta da darti, ma mi trattengo perché sono una signora.”
Tebaldo con un gesto fluido si alzò in piedi mantenendo uno scaltro sorriso stampato sul viso.
 “In confidenza, credo sia stipato di diamanti anche lì.” commentò allegro.
Le strizzò l’occhio e scivolò via con indolenza: quando fu uscito e Veronica riuscì a rilassarsi, le rimase addosso un diffuso quanto inspiegabile senso di malessere.
*          *          *
A scuola l’ora di ginnastica per Bianchi era sempre stata un supplizio. Non era particolarmente atletico, ma se si fosse trattato di comune attività sportiva se la sarebbe cavata più o meno dignitosamente. In quella dannatissima scuola, però, l’ora di ginnastica era l’occasione per sfoggiare le più assurde e improbabili discipline sportive per ricchi e annoiati rampolli dell’alta società. Croquet; polo; equitazione; golf; tennis. Solo la mazza da croquet costava come un intero campo da calcio! Paolo aveva sempre ripiegato sul tennis, l’unico sport che fosse alla sua portata. Quel giorno si apprestava a estrarre la sua vetusta racchetta dall’armadietto in cui veniva custodita quando si accorse che si era rotta.
“Merda secca.” ringhiò tra i denti. Quando gli era successo? Non ricordava di averla tanto maltrattata, l’ultima volta. Sì, la racchetta era vecchia e consunta e le corde avevano un malsano colorito giallastro, ma sembrava intenzionata a durare fino alla fine di quel faticoso ultimo anno scolastico. E invece…
“E adesso come faccio?” brontolò fra sé e sé.
Senza racchetta non poteva giocare a tennis; senza il tennis e tolto qualsiasi cosa somigliasse a un cavallo rimaneva l’esaltante alternativa del croquet, ovvero un bel meno sul registro del professore che inalberava uno snobismo ancora più assurdo di quello dei suoi alunni.
“Prendine una delle mie” lo sorprese una voce alle sue spalle “Ne avrò una decina.”
Bianchi si girò di scatto appiattendosi prudentemente contro il muro: era nientemeno che Tebaldo Santandrea della Torre. Si stava cambiano la maglietta ed era tranquillo come se non avesse fatto altro che parlare con Bianchi, pur essendo la prima volta in 18 anni che gli rivolgeva la parola.
“Oh? Eh?” grugnì Paolo sfiorato dal panico: che Re Tebaldo parlasse con lui non era affatto, affatto una cosa normale. Era come vedere un drago che si metteva tranquillo come un angelo a pascolare tra una mandria di giovenche. Tebaldo gli lanciò un breve sguardo sprezzante.
“Rilassati, anche se mi incantano i tuoi capelli, questa non è una proposta di matrimonio. Ho dieci racchette, oggi ho deciso di non giocare e l’oroscopo diceva che potevo affidare una delle mie proprietà a un villico qualunque con animo sufficientemente sereno.”
Bianchi per un pezzo rimase immobile, lo sguardo dietro le lenti fermamente sospettoso: alla fine, quando cominciava a sentirsi ridicolo, si decise a rilassarsi e a spingersi nervosamente gli occhiali su per il naso.
“Uhm, ah… ok, grazie?”
“Si si, come vuoi. Prendine una e sparisci.”
“Graz…, ehm, volevo dire, ok. Una qualsiasi?”
“Sì, lascia solo indietro quella col manico verde: quella è per Gladi.”
Immediatamente, il sospetto di Bianchi si trasformò in sorpresa.
“Gladi la segretaria di Grim… ehm, di Veronica Scarlini?” chiese precipitosamente.
Non gli sembrava così strano che Tebaldo la conoscesse: dopotutto lui e Grimilde non erano consanguinei? Tebaldo intanto si era girato a guardarlo con aria sorpresa.
“Proprio lei. La conosci?”
“S-no, ehm, cioè, quasi. E’ una donna simpatica.”
“Una ragazza, vorrai dire. Più che simpatica la definirei decisamente decorativa. Giusto?”
Bianchi arrossì abbassando lo sguardo sulla prima racchetta che aveva afferrato.
“Beh, ecco, a dire il vero ci ho parlato ma non l’ho mai vista.”
“Ah. Beh, ti sei perso un bello spettacolo. Ovviamente non è il mio tipo, ho gusti un po’ più raffinati, io. Ma per il volgo deve risultare una preda piuttosto appetibile.”
Bianchi, combattendo una breve lotta intestina fra la timidezza e la curiosità, decise infine di buttarsi allo sbaraglio.
“Che tu sappia è fi-fidanzata?”
Tebaldo nascose un sorrisetto sardonico dietro un’espressione vagamente annoiata.
“Macché, è tutta casa chiesa e virtù. Una tipica brava ragazza: Veronica non saprebbe letteralmente dove sbattere la testa senza Gladi.”
“Allora per caso non sai mica dove ha il negozio suo padre?”
“Negozio.”
“Sì, il negozio di fiori.”
“Fiori? Esilarante. E perché non un negozio di ferramenta?”
“Perché in ferramenta non si vendono fiori, ma tubi e chiavi inglesi, ed essendo il papà di Gladi un fioraio…”
“Un fioraio. Il papà di Gladi. Effettivamente così avrebbe un senso. Diamine, questo pezzo mi mancava, non sapevo dell’attività di famiglia. Ma so che Gladi fa spesso volontariato alla mensa dei poveri.”
“Davvero?” si illuminò Bianchi, ormai dimentico di stare comunicando con Re Tebaldo in persona.
“Sì. So anche che adora le grigliate di carne argentina, e che ha una vera passione per i coleotteri: ha studiato anche entomologia, fra le sue varie attività.”
Gli occhi di Tebaldo scintillavano segretamente: non poteva sapere il povero Bianchi che la dieta macrobiotica di Veronica escludeva la carne e che la ragazza aveva un’autentica fobia per gli insetti volanti. Finalmente però un barlume di sospetto si insinuò negli occhi azzurri di Bianchi.
“La conosci piuttosto bene.” buttò lì freddamente: Tebaldo rispose con un sorriso di blanda intesa maschile.
“Beh, sì, per essere una segretaria è piuttosto interessante. Ma fa troppo la difficile.”
Bianchi interpretò quello scarno commento con l’idea che le avances da principino di Re Tebaldo non avessero avuto presa sulla sua dolce Gladi, e il suo cuore segretamente gioì: il professore di ginnastica arrivò in quel momento a richiamare gli alunni al dovere e Tebaldo indossò prontamente la sua solita maschera altezzosa.
“Quando hai finito rimetti la racchetta nel borsone insieme alle altre” sentenziò con arroganza avviandosi “O se preferisci considerala un regalo. Ma non dire in giro che in realtà sono così buono, o mi troverò con la fila all’armadietto.”
Se ne andò, lasciando Paolo Bianchi col dubbio se stesse o no parlando sul serio.
*          *          *
“Pronto… Gladi?”
“Bi… ehm, Paolo?”
Le telefonava di nuovo da scuola! Veronica si era dovuta rifugiare in bagno, lasciando le tre Marie a chiedersi quale catastrofe nucleare stesse scuotendo le fondamenta della famiglia Scarlini per far suonare il telefono delle emergenze per ben due volte nella stessa settimana.
“Sì sono io! Come stai?”
“Ehm, bene… ma… dove sei?”
“A scuola. Volevo raccontarti come è andato il primo match con Grimilde.”
La voce era allegra e impietosamente ottimista, nonostante le parole non fossero troppo lusinghiere.
“Oh. E com’è andata?” azzardò Veronica coprendosi gli occhi con una mano stanca.
Paolo ci mise un po’ a rispondere e quando lo fece aveva una voce strana, un po’ sorpresa e un po’ titubante.
“Sai che non lo so? Cioè, come insegnante oserei dire che è stato un completo disastro… Grimilde avrà anche un intuito sopraffino per la moda, ma di fisica quantistica ne sa tanto quanto un criceto in cattività e, almeno apparentemente, altrettante possibilità di impararla.”
Veronica premette ancora più forte i pollici sulle palpebre, cercando di non farsi ferire da quelle parole mortificanti dette con quel tono allegro e spensierato. In quel momento non doveva pensare come Grimilde, ma come Gladi. L’imparziale, professionale, maledettissima Gladi.
“Magari sei tu che non le hai spiegato bene le cose” reagì cercando di dominarsi “Gri… Vero… la signorina Scarlini non è affatto scema come la dipingi.”
“La stai difendendo di nuovo” sottolineò Paolo in tono quasi ammirato “Sei la persona più leale che io abbia mai conosciuto.”
Veronica si sentì piccola e viscida come un lombrico appena sgusciato dal terreno.
“Ma davvero la trovi così terribile?” domandò in tono scoraggiato.
Nuova pensatina silenziosa.
“No” ammise poi Paolo lentamente “Cioè, è intera come un esercito di  manici di scopa e sembra sempre che si aspetti di essere incoronata da chiunque le rivolga la parola, ma…”
“Ma?” incalzò Veronica speranzosa.
“Ma insomma, ha mangiato le frittelle di Nonna. Non ha ucciso Laura e Silvia, anche se io stesso le avrei tagliuzzate a fettine tanto sono state invadenti e cafone. E poi è stata gentile con Dante. Gentile davvero, senza tante falsità… Grimilde gentile! Mi aspettavo che Dante cominciasse a declamare endecasillabi, per compensare lo stupore.”
Di nuovo Veronica rimase in bilico tra la delusione e la speranza.
“Quindi?” prese tempo, in attesa.
“Quindi tornerà. E se riusciremo a mantenere rapporti civili, potremmo persino finire il ciclo di venti lezioni. Cavolo… potrei pagarmi l’iscrizione all’università tutto da solo!”
C’era così tanto genuino entusiasmo nella sua voce che Veronica si sentì rapita via.
“Che università vuoi fare?” gli chiese interessata: Paolo glielo disse con dovizia di particolari, facendole anche intuire quanto la sua situazione familiare e i suoi sogni accademici fossero in netto contrasto tra di loro.
“Quindi, come conti di fare con i soldi?”
Paolo le disse anche questo con voce lenta e grave, e Veronica capì quanto ci aveva pensato e sofferto sopra ad alcune decisioni. La scelta di rimanere vicino ai genitori, nonostante le attitudini e i sogni lo portassero lontano, diceva di lui molto più di mille discorsi: diceva che era leale, coraggioso e buono. Ad ogni sua parola Veronica sentiva il cuore gonfiarsi sempre di più di qualcosa mai provato prima: rispetto, forse. Consapevolezza che il valore di una persona è inversamente proporzionale al suo vantarsene, quindi il valore di Paolo cresceva a ogni parola poiché faceva di tutto per sminuirsi. E invece era buono. Buono, dolce, allegro… se lo immaginava camminare buttando a destra e a manca quelle lunghe gambe disarmoniche, con i capelli illuminati modello aureola e le mani gesticolanti e provava una specie di risucchio al cuore, una sensazione di bene, male e malinconia che la facevano sentire debole e timida. Lei, Grimilde! Veronica sorrise mestamente considerando l’assurdità della situazione.
“… e quindi questa storia delle lezioni private è stata una vera e propria manna dal cielo. Già mi vedevo lavorare al porto di notte, a scaricare sacchi di ferro circondato da ex galeotti sfregiati e rasentando i muri per non subire una sodomia… e invece guarda che colpo di fortuna!”
“Te lo meriti.” mormorò Veronica con sincero calore.
Paolo, stranamente, tacque.
“Non dovresti parlarmi così” disse infine lentamente, come ponderando bene le parole “Tu non mi conosci abbastanza.”
“Eppure non riesco a immaginare nessuno più meritevole di te, né appena conosciuto né conoscente di vecchia data.” rispose Veronica prontamente: aveva bisogno di dirlo e dietro la maschera di Gladi, paradossalmente, si sentiva libera di parlare con una leggerezza che mai aveva provato in vita sua.
Ma il silenzio di Paolo si faceva sempre più greve e pesante.
“Bi… Paolo?”
“Sei davvero gentile” rispose infine “E spero che tu lo pensi veramente.”
“Beh, ovvio.”
“Perché vorrebbe dire che in qualche modo, in maniera circoscritta alle sole telefonate che ci siamo scambiati, tu hai davvero stima di me.”
“Beh, ovvio.”
“E questo mi spinge a provare nei tuoi confronti la stessa schietta simpatia che mi dimostri.”
Beh, ovvio ancora? Perché no, meditò Veronica.
“Beh, ovvio.”
Anche se non lo era più così tanto: la temperatura della voce di Paolo era decisamente tropicale.
“Quindi, che ne dici di vederci una sera?”
“Beh, ov… eh?”
Il telefono cadde dalle mani di Veronica divenute improvvisamente mollicce e umide come filetto di pesce decongelato.
“Pronto…? Pronto…? Gladi?”
“Auz… mi è… coff!, caduto il... Ehm!... telefono, scusa. Dicevi?”
“Che mi piacerebbe vederti una sera.”
Oh, si!! Esultò la voce di Gladi nella testa; al contempo, l’umore di Veronica rotolò sotto i piedi.
“Io, ecco, beh, vedi di solito sono molto impegnata…”
“Se non ti va di vederci puoi dirlo subito tranquillamente, sai? Non mi offendo mica, e non voglio obbligarti ad accampare scuse.”
Che era esattamente quello che stava facendo, per il motivo diametralmente opposto a quello che avrebbe pensato lui.
“No, davvero! Io vorrei davvero incontrarti… ma.. c’è un piccolo problema che… mi impedisce… i contatti sociali… ultimamente.”
“Capisco.” mormorò lui: il tono era talmente deluso che Veronica si sentì sciogliere le viscere.
“Davvero Paolo! Incontrarti sarebbe una cosa che mi piacerebbe moltissimo! Ma… adesso non posso. Davvero.”
“Problemi fisici?”
“No, psichici” meditò Gladi angosciata mentre Veronica coglieva la palla al balzo.
“Sì! Ehm, cioè, ho avuto dei… problemi alla p-pelle del… naso… del viso! E, ehm…”
“Allora si piega tutto!” esclamò Paolo con voce deliziosamente sollevata “Capisco che tu non voglia farti vedere in giro, se non ti senti al massimo della forma. E’ imbarazzante per tutti, ma soprattutto per una bella ragazza come te.”
Bella ragazza?, berciò Veronica infuriata mentre Gladi gongolava.
“Se non ricordo male non ci siamo mai visti. Da cosa avresti dedotto che sono una bella ragazza, di grazia? Dalla mia precisione nel prendere appunti?”
“A dire il vero, me l’ha confidato qualcuno che ti conosce.”
Dopo un attimo di puro sconcerto, Veronica, che non era una cima ma la matematica spicciola la masticava piuttosto bene, arrivò all’unica conclusione logica: Tebaldo! Quel lurido viscido stronzo manipolatore!
“Non che avesse importanza per me” si affretto a specificare Paolo “Credo che troverei estremamente piacevole la tua compagnia anche se fossi il mostro della laguna. Ma capisco che per qualcuno abituato a presentarsi in un certo modo, non sia piacevole perdere quella parte di sé che rende i rapporti con le persone molto più facili.”
“Infatti” ringhiò a denti stretti “Beh, quindi capisci perché al momento sono impossibilitata a uscire con qualcuno. Anche se… devo ammetterlo… quel qualcuno sembra essere una persona molto interessante.”
Paolo tacque e Veronica intuì in quei pochi secondi di silenzio tutta la sua emozione: ne venne contagiata suo malgrado, finché la campanella non la salvò da quel momento di impasse.
“Devo andare, Gladi.” disse Paolo con sincero rimpianto.
“Si ho sentito, devi rientrare in classe.”
“Già, mi è persino sembrato di sentire la campanella in stereo!”
Promemoria per Gladi: trovare un locale insonorizzato durante le chiamate scolastiche di Bianchi.
“Allora, ci… risentiamo…”
“Si. Presto, se non ti dispiace.”
“Non mi dispiace.”
“Ok… alla prossima.”
Veronica aspettò che riattaccasse: anzi, in realtà fu Gladi ad aspettare. Alla regina Grimilde non era concesso farsi venire i batticuori per dei biondini occhialuti coi maglioni slabbrati; Gladi invece sì che poteva permettersi tutti quegli stupidi e futili comportamenti da ragazzina qualunque. La Gladi che quasi sicuramente non avrebbe disdegnato qualche canzone di San Remo e una bella bistecca al sangue per cena, la Gladi che paradossalmente, nella sua piccola cerchia di banalità, si sentiva straordinariamente libera. Alla povera Veronica a quel punto, chiusa nella sua torre di pietra, non rimaneva altro che la dolente consapevolezza delle proprie dorate catene.
  
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