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Autore: LivingTheDream    21/06/2011    3 recensioni
"Mi gettai subito carponi, affondando le ginocchia nella terra umida del sentiero, e, facendo leva con la gamba sana, afferrai il polso di Sherlock, tirandolo su con tutta la forza che mi rimaneva in corpo.
Rimase qualche secondo bocconi davanti a me, ansimando, ma quando alzò la testa senza dire una parola scorsi nei suoi freddi occhi grigi un'enorme gratitudine, e le sue labbra si incurvarono in uno di quei sorrisi che -più volte avevo notato- mi concedeva esclusivamente quando eravamo da soli."
Se Watson avesse provato accendere il cervello, forse sarebbe andata così.
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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I personaggi di questo racconto non mi appartengono,

ma bensì sono stati creati dalla mirabile penna di Sir Arthur Conan Doyle,

che veneriamo come un dio sceso in terra.

 

Nda: What if? di un'idiota che si spaccia per scrittrice e che ha versato lacrime per “l'ultima avventura”.

Ecco la sua versione, non che sia meno angst, però. Vi ho avvertiti!

 

 

Mentre me ne andavo, vidi Holmes appoggiato con le spalle a una roccia, a braccia conserte, che osservava il turbinare delle acque. Quando arrivai quasi in fondo alla discesa mi voltai ma, da quel punto, era impossibile scorgere la cascata; si vedeva però il sentiero che curvando, s'inerpica lungo la dorsale delle colline e porta alla cascata.

Ricordo che, lungo quel sentiero, vidi un uomo che camminava molto rapidamente.

Ne vedevo la sagoma scura stagliata contro il verde dei prati. Lo notai, come notai il suo passo agile e deciso, poi mi passò di mente mentre mi affrettavo verso la mia destinazione.*

Fortuna volle che la mia mente tornò a quell'uomo solo pochi minuti dopo aver lasciato il mio amico, e, con un orribile presentimento, presi la lettera dalla tasca della mia giacca, appoggiandomi ad una roccia, e la stesi per bene.

Tenendola forte per evitare che il vento la portasse via insieme con i miei ultimi sospetti, trovai come previsto un biglietto scritto dallo stesso Steiler come appunto nel caso dimenticassimo il nome della locanda di un suo conoscente da lui consigliataci, a Rosenlaui, la nostra prossima meta.

Confrontai velocemente le due scritture, e, anche senza avere la mente brillante del mio amico, riuscii facilmente a capire che la lettera non era stata scritta dal direttore; in questa, infatti, la calligrafia era più tondeggiante, e mentre Steiler aveva la bizzarra abitudine di mettere un puntino solo alla i nel suo cognome, il misterioso uomo che ci volle giocare uno scherzo aveva dimenticato questo particolare.

Rimisi quelle carte al loro posto, pensando a chi mai avesse avuto interesse a farmi allontanare, quando sentii il cuore farmisi di piombo.*

Le gambe iniziarono a tremare, ma nemmeno le lancinanti fitte che mi porto dietro dalla guerra riuscirono a rallentare la mia corsa a perdifiato lungo tutto il sentiero che portava a quelle terrificanti cascate.

«Holmes!» gridai, ancora a metà della salita, ma non mi rispose alcuna voce che non fosse la mia stessa eco.

Una volta giunto in cima, ansante, mi guardai intorno, con lo stomaco chiuso dal rimorso di aver compiuto una tale avventatezza.

Non avrei mai dovuto lasciarlo solo con uno sconosciuto, e più ripensavo a quella figura nera e più i brividi correvano lungo la mia schiena.

Doveva per forza essere Moriarty.

«Holmes!» chiamai nuovamente, e stavolta avvertii come un gemito.

Mi precipitai presso il punto dove il sentiero si interrompeva a capofitto sulle nere rocce appuntite, e, oltre l'orlo di rovi e felci strappate e maltrattate, vidi una mano stanca che stava per lasciarsi andare.

Tentai di sporgermi, stava per fare buio ed il proprietario di quella mano poteva benissmo essere il temuto criminale.

Cercavo di fornire una risposta ai miei dubbi quando sentii una voce, quasi un sussurro, invocare il mio nome.

Anche se sommessa proveniva di sicuro dalla persona davanti a me ed anche se soffocata riconobbi immediatamente il tono di Holmes.

Mi gettai subito carponi, affondando le ginocchia nella terra umida del sentiero, e, facendo leva con la gamba sana, afferrai il polso di Sherlock, tirandolo su con tutta la forza che mi rimaneva in corpo.

Rimase qualche secondo bocconi davanti a me, ansimando, ma quando alzò la testa senza dire una parola scorsi nei suoi freddi occhi grigi un'enorme gratitudine, e le sue labbra si incurvarono in uno di quei sorrisi che -più volte avevo notato- mi concedeva esclusivamente quando eravamo da soli.

Ma il tempo di ricambiare l'espressione, che la sua mutò nuovamente in uno stato di enorme sorpresa e timore.

«Stia giù, Wats-» nemmeno il tempo di terminare la frase, che mi ritrovai lungo sul sentiero a causa di un colpo di bastone.

Fortunatamente non era nulla di grave, e tenendomi la spalla livida mi rialzai, subito dopo Holmes.

«Allora quelle voci eravate voi. Non mi stavo sbagliando.

Lei dev'essere il dottor Watson. Non ho molto piacere di conoscerla» qui fece una pausa, sorridendo nel modo più maligno che io abbia mai visto. «Sono il professor Moriarty.»

Sussultai, era la conferma dei miei sospetti. Si rivolse al mio amico -il quale era in posizione di difesa- agitando il bastone che riconobbi essere proprio quello di Holmes.

«Mi risultava di averla già uccisa, Holmes, che fa, ha nove vite?»

Sferrò un affondo che Sherlock scansò abilmente, per poi bloccargli il polso ed afferrare il bastone prima con una e poi con entrambe le mani.

In quel momento si ingaggiò una lotta che mai avevo visto prima; facendo leva con le mani sul bastone, tutti e due cercavano di spingere l'altro oltre il bordo del sentiero.

Entrambi avevano alle spalle il baratro costellato di rocce appuntite, entrambi non avrebbero mai mollato, entrambi avevano la morte che gli stava con il fiato sul collo.

Fu solo nel momento in cui Holmes era sull'orlo del sentiero ed invocò il mio nome che mi resi conto di star assistendo alla morte del mio amico senza reagire. D'istinto, cavai la pistola di tasca e la puntai contro quell'intreccio di due vite che si dibattevano.

Non avrei colpito Holmes, di questo ne sono sicuro, la mia coscienza non me lo avrebbe mai perdonato, ed infatti preso di striscio il braccio di Moriarty, e quel poco bastò per permettere ad Holmes di ribaltare la situazione se non fosse stato per l'ennesimo colpo del suo avversario.

Il professore gli bloccò un piede, facendolo inciampare, e in pratica fu come vedere Sherlock cadere nel vuoto.

Lo afferrai giusto in tempo per il colletto, tirandolo in salvo senza troppe cerimonie e puntando la pisola alla gola di Moriarty.

Ero così vicino a lui da sentirne il respiro sul volto, e gli intimai di lasciare il bastone.

Lentamente mollò la presa, e un tonfo sordo mi diede la conferma che aveva eseguito l'ordine.

La mia posizione, però, non era delle migliori; ero con la schiena curvata verso l'abisso, e il piede destro del nostro nemico appoggiato ad una roccia era l'unico freno che impediva la tragedia.

«Ora ci segua fino alla prima stazione di polizia, chiaro? Al primo tentativo di giocarci qualche brutto scherzo, le giuro su quanto ho di più caro che sparo. A Scotland Yard non interessa averla vivo.»

Non so come riuscii a mantenere tutto quel sangue freddo vista la situazione, ma sembrava lo avessi convinto. Sentivo che a pochi metri di distanza da noi c'era Holmes, che aveva recuperato il bastone e lo teneva puntato contro il criminale.

«Mi lasci solo dire una cosa, dottore...» lasciò la frase in sospeso per qualche secondo, e questo fece scattare in me una molla, un attimo di paura mi distrasse.

«Ci vediamo dall'altra parte.» mi soffiò queste parole in un orecchio, e, nello stesso istante, il rumore di un meccanismo rivelò l'arma segreta di Moriarty, dalla cui manica scattò un artiglio che andò a conficcarsi dritto nella gamba che tanto aveva patito in Afghanistan.

Non potevo permettere che facesse del male anche ad Holmes.

In un ultimo gesto di disperazione, diedi un calcio alla roccia alla base del nostro precario equilibrio.

Un dolore lancinante mi impedì di rimanere in piedi a lungo, e la terra sotto i nostri piedi si sgretolò, consumata da anni ed anni di acqua battente.

Già stinsi le palpebre, sicuro che nel giro di pochi secondi mi sarei spezzato l'osso del collo sul fondo di quella voragine.

Non so quale miracolo riuscì a far sì che la mia mano restasse appesa per qualche secondo alla sporgenza, ma anche quell'evento fortuito era inutile; l'arma di quel criminale era ancora ben artigliata alla mia gamba, e, mossa dal peso di un altro corpo umano, mi procurava un dolore inimmaginabile.

«Watson!» mi sentii chiamare. «Watson!»

Pochi attimi dopo vidi affacciarsi il volto del mio migliore amico, ed il dolore fisico passò in secondo piano.

«Watson, mi dia la mano, ce l'abbiamo fatta, lo abbiamo mandato all'altro mondo, quel furfante, ora potremmo...» la sua voce si ridusse ad un sussurro quando vide il mio sorriso rassegnato e il nostro uomo ancora aggrappato a me.

«Lei deve continuare ad assicurare sonni tranquilli ai londinesi, agli stranieri ed a chiunque necessiti del suo aiuto, intesi?

Non si dovrà mai fermare.»

«No, Watson, lei non può-» forse per la prima volta vidi un'emozione che non fosse la rassegnaizone, l'eccitazione o l'imbarazzo sul volto del mio camerata. La voce era tremante, ma come al solito cercava di darsi un tono.

«Afferri il mio bastone, così la tiro su e poi ci liberiamo di quel criminale.» ma sapeva benissimo che non poteva trarmi in salvo senza dare un'altra occasione a Moriarty per uccidere entrambi.

«Le gesta del grande Sherlock Holmes saranno tramandate e conosciute anche senza i romantici resconti del dottor Watson, stia tranquillo.» io non ero così poco umano come il mio amico, infatti sentii gli occhi inumidirmisi, e sorrisi dolcemente alla persona a cui dovevo tutto.

«Saluti i miei conoscenti, Mary e Mrs. Hudson, soprattutto.

Si ricordi che c'è molta gente che ha bisogno di lei, e lasci stare quella sua dannata droga.»

La mia presa si allentava.

Tentò di dirmi altro, ma era come se avesse finito le parole. Ormai era inginocchiato nella terra umida, a pochi centimetri da me.

«Non smetta mai di sorprendere il mondo con le sue opere. Conoscerla è stata l'avventura più grande della mia vita.»

Un'altra fitta alla gamba mi fece capire che non eravamo ancora fuori pericolo, e quindi lasciai la presa.

Sentii il vento attraversare i miei capelli, qualche schizzo d'acqua gelata andò ad imzupparmi la giacca, e mi preparai all'impatto.

«Watson!» sentii ancora una volta.

Ero riuscito a lasciarmi andare giusto in tempo per non far vedere al mio migliore amico Sherlock Holmes che stavo piangendo.

 

 

 

*estratti da “L'ultima avventura”.

Nda: essendo in vacanza non ho avuto l'occasione di usufruire di un betaggio decente. Chiedo quindi ai miei lettori -principalmente le mie adorate Miss Adler, ginnyx e minnow- di correggere eventuali punti errati.

Grazie di aver letto, Alex.

   
 
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