Cecilia si aggirava per l’ambasciata lentamente,
mentre i suoi pensieri correvano veloci nel tempo. Il trillo del telefono la
distolse dai suoi pensieri:
“Cancelliere …” rispose lei gentilmente, poi
abbassando la voce disparve.
La segretaria dell’ambasciatore entrò nell’ufficio:
“Signo Jua-n”
“Francisca, mi chiamo Juan! Juan! Non
è tanto difficile”
“certo Jua-n, la stà cercan
un giovan si chiam Samuel”
“vuoi dire Samuele?” chiese Juan pazientemente
“No mi chiamo Samuel Munez, sono qui per il posto di
consulente”
“Piacere – si alzò e allungò una mano
–certo si accomodi”
“Conosco molto bene il vecchio ambasciatore, il signor
Parker, diciamo che eravamo molto in confidenza” concluse il giovane
“se è così, non posso che avere l’onore di averti al
mio fianco in questa nuova gestione, stimo molto il signor Parker, e se non
fosse stato per lui, non sarei qui dove sono adesso”
concluse.
La porta dell’ufficio si spalancò nuovamente, ma non
era Francisca, era Sofia; entrando notò subito il giovane di fronte al suo fidanzato.
Grandi occhi verdi e capelli neri che gli ricadevano scompigliati sulla fronte.
Con la sua sicurezza del sapere di essere bella, si presentò a lui:
“Io sono la fidanzata di Juan, piacere”
Lui la guardò compiaciuto, la sua bellezza non lo
aveva lasciato indifferente. Conclusero l’accordo, ed
ora l’ambasciata aveva un nuovo collaboratore.
Samuel Munez lasciò l’ufficio e nell’immenso salone il
suo sguardo catturò la figura bionda e la chiamo:
“Cecilia!”
Quella voce. Aveva sperato di non doverla sentire mai
più, ed invece … si voltò e mostrando il suo sorriso
chiese:
“Che ci fai qui?”
L’ambasciatore li vide ed
intervenne:
“Lui è il mio nuovo consulente, Samuel”
“Cecilia, non sei contenta?”
“Fra tutti julianensi proprio lui dovevi
assumere?” chiese secca andandosene.
Samuel sorrise. Sofia vedendo la scena da poco lontano
pensò che fosse ancora una bambina immatura; mentre Juan, la seguì con lo
sguardo, nonostante fosse cresciuta, riusciva a leggerla come se fosse un libro
aperto.
Scese la sera.
Cecilia era seduta sul bordo della fontana del
giardino, dove una dea teneva in mano una brocca, dalla quale usciva acqua.
Triste rimaneva in silenzio, con le braccia chiuse attorno a se. In silenzio
accanto a lei si sedette Juan che le chiese:
“Che hai Cecilia?”
“Niente!” rispose sconsolata
“una volta non mi avresti detto “niente” ma bensì mi avresti raccontato tutto”
“E’ passato tanto tempo … non sono più una bambina”
“Lo vedo! Non sono cieco. Ma cos’è che ti rende così
triste, non mi piace vedere quell’espressione sul tuo volto … perché sei scappata da Santa Juliana?”
“Ti sbagli Juan, non sono scappata”
“E allora perché sei qui?”
Silenzio.
Cecilia Parker non rispose. Non poteva e non voleva dire la verità. E anziché rispondere chiese a sua volta:
“Perché mi hai mentito? Tu stai con Sofia, eppure ti
fa soffrire …”
“Sofia … -sussurrò quel nome –sono anni che la
inseguo, ci perdiamo e ci ritroviamo, sto solo aspettando che lei capisca
davvero che io sono il suo uomo, sto aspettando che capisca una
volta per tutte che la voglio per sempre con me … dopo tutto questo
tempo credo di amarla. Tu perché soffri?”
Sospirò e si decise a dire:
“L’amore. Juan è l’amore che ci fa
soffrire!”
L’amore? Juan la guardò, i suoi occhi castani si
velarono leggermente. Così piccola già soffriva per amore? Provò un senso di
fastidio nel sapere che il cuore di Cecilia soffriva per amore. Ma ignorò quel sentimento, e dandole un bacio sulla fronte
la salutò, per raggiungere la sua stanza. Lei lo guardò muoversi per il
labirinto di siepe che aveva creato la sua mamma del cuore.
Qualcosa era cambiato. L’acqua della fontana sgorgava.
Juan non era più lo stesso ragazzino impulsivo, adesso era un uomo. E forse
anche lei non era più la stessa. Per fortuna adesso non era più bambina.