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Autore: tersicore150187    21/06/2011    13 recensioni
In un ipotetico sequel della terza serie, è ambientata una storia di profondo amore e di scoperta sentimenti autentici. Per una volta non ci sono cadaveri a fare da sfondo, ma corpi vivi che sentono, tremano, amano.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap 8. L’amore non deve implorare e nemmeno pretendere.
 
Kate era da parecchi minuti sotto l’acqua calda della doccia. Sentiva ancora freddo e le faceva male la testa per quanto aveva pianto. Si sentiva svuotata. Il risveglio era stato brusco, si era sentita come se le avessero strappato un arto quando si era dovuta allontanare da quel corpo che la aveva protetta durante quelle ore. Il soccorso stradale era arrivato presto, aveva armeggiato parecchio per preparare la macchina da trainare mentre loro se ne stavano sul ciglio della strada, guardandosi con dolcezza, ma anche tristi entrambi. Il viaggio era stato silenzioso. Sotto casa della detective, Castle le aveva proposto di prendere un caffè, ma lei aveva rifiutato debolmente, incapace di sostenere altre relazioni per quella giornata.
Il suono del campanello le arrivò ovattato dentro la doccia. Si mosse lentamente sperando che, chiunque fosse, aspettasse qualche minuto. Non aveva voglia di vedere nessuno ma la sua vita doveva pur continuare. Si mise un’asciugamano addosso, si coprì con l’accappatoio e si avviò alla porta tamponandosi i capelli. Quando aprì se lo trovò davanti che armeggiava davanti alla porta con un meraviglioso fascio di fiori in braccio. “Kate!” si sorprese lui. Lei rimase immobile in silenzio sulla porta. “Non ho insistito alla porta, ho creduto che magari stessi riposando, volevo solo lasciare ecco…beh…insomma…sì sono….tieni”. Le porse i fiori, mentre lei a bocca aperta lo guardava stupito. Lui aveva uno sguardo triste e teneva gli occhi a tratti bassi, a tratti sul viso di Kate. Prese una risoluzione e si voltò facendo per andarsene. “Castle” la voce della giovane donna lo bloccò “entra”. “Accomodati” disse lei sforzandosi di essere più dolce possibile. “Se mi dai un attimo per vestirmi ti faccio un caffè”. Lui si sedette sul divano annuendo.
Kate tornò dopo pochi minuti in una tuta morbida di cotone e i capelli ancora bagnati. Lui la guardò un attimo restando a bocca aperta. Provò a parlare. Scosse la testa vistosamente per riprendersi. La luce del sole si rifletteva sui capelli di lei renderdoli lucenti, mentre le ricadevano umidi incorniciandole il viso. Castle capì improvvisamente che ogni parola aveva un suo esatto corrispettivo nella realtà, in quel momento la parola per Kate era “scintillare”. Se lo appuntò mentalmente, sicuro che, ogni volta che in una pagina di un suo libro avesse usato quel termine, gli sarebbero venute in mente quelle ciocche brillanti. Non appena si riprese dall’immagine luminosa di Kate nella sua mente, la pregò di andare ad asciugarsi i capelli, ma lei insistette per restare. Doveva dirgli poche cose e sarebbe stata veloce. Quello che era accaduto non era certamente uno sbaglio, era forse ciò che più lei intimamente avesse desiderato negli ultimi anni della sua vita, ciò di cui aveva bisogno. Ma lei ci voleva andare piano, non sapeva quanto e se era pronta ad avere una relazione. Sistemò i fiori in un vaso sorridendo, preparò il caffè mentre si scambiavano un paio di battute anonime, con tono leggero. Solo quando lei gli porse la tazza fumante i loro occhi si incontrarono e lei potè vedere quanto Rick fosse combattuto e triste e, forse, sembrò a lei, quasi colpevole.
Lo guardò inquisitoria per capire il motivo di quell’espressione e prima che lei potesse parlare lui disse “Mi dispiace Kate. Mi dispiace se io…insomma, in quella situazione di stanotte, mi sono lasciato prendere da…ho esagerato. Mi sento uno schifo, ti prego perdonami”. Lei non riusciva a credere alle sue orecchie. “Castle!” esclamò sorpresa richiamando la sua attenzione. Gli prese la mano invitandolo silenziosamente a guardarla negli occhi “siamo due persone adulte, secondo te se non avessi voluto che accadesse non ti avrei fermato? Insomma non sei certo il primo maniaco sbucato dall’angolo, io ti conosco…” dicendogli quest’ultima frase gli poggiò una mano sul braccio dolcemente e lo accarezzò. Voleva fargli capire che, per una volta, neanche per scherzo lui doveva sentirsi “rimproverato”. Giocare ai ruoli andava bene, ferirlo per questo no.
Lui appoggiò la mano sulla sua sorridendo poco convinto e poi le disse “Allora…è tutto ok?”. Lei distolse lo sguardo sentendosi colpevole per la marcia indietro che stava per fare e abbassò il viso. “Kate è tutto ok?” ripetè lui preoccupato. “No perché…l’espressione che hai in questo momento sul tuo viso mi fa più pensare che tu non voglia mai più vedermi in vita tua…e a questo punto…non capisco.”. Lei inziò a comportarsi esattamente come una fidanzata che sta per lasciare il suo amoretto della giovane età…gli disse che lui era una splendida persona, che non era colpa sua, che era lei ad essere sbagliata. Rick si sentiva come uno dei protagonisti di un film d’amore di seconda categoria. Gli girò lievemente la testa e si accorse di avere una tremenda paura. Paura di perderla.
La interruppe bruscamente. Le prese le mani e le disse “Kate, perché fai così?”. Il suo tono era quasi supplichevole. Avrebbe usato qualsiasi arma in suo possesso per tenerla a sé. Nessuno dei due, in quella che stava per diventare una lite, si rese conto che erano entrambi troppo fragili per avere quella discussione. Lui troppo impaurito, lei troppo ferita.
“Kate io non posso immaginare una vita senza…”
“Castle non dirlo, non farlo…non voglio sentire quello che stavi per dire!”
Kate si stava innervosendo, ma Rick si sentiva come il legittimo vincitore della gara a cui viene negata la medaglia. Non avrebbe mollato.
“  “Castle”? Mi chiami “Castle” dopo la notte che abbiamo trascorso insieme? Dopo che io avrei dato la mia vita per farti smettere di piangere anche solo per un secondo? Oh mio Dio Kate, guardami, sono qui! Ti sto dicendo che io per te ci sono, ora!”
Kate lottava contro se stessa mentre una voce dentro di sé la implorava di lasciarsi andare e di fidarsi di quella persona. Ma tutto il buio del suo passato sembrava fagocitarla e lei continuava a ripetersi sottovoce “non ce la faccio”.
“Lasciami stare Rick, non ti voglio nella mia vita!”
“Non puoi decidere tu Kate, non hai scelta! Io ci sono e ci resterò anche se tu proverai ad allontanarmi. Perché sei diventata troppo importante per me…sei…”
Lei lo interruppe con rabbia “Non lo capisci che non riguarda me e te? Questa faccenda è più grande di quello che avessi creduto!”.
Lui si avvicinò e provò a calmare quel dolore come aveva fatto poche ore prima. La prese dalle braccia e cercò di avvicinarla a sé, di cullarla, di avvolgerla. Ma Kate non era la stessa ragazza della sera precedente. Ora erano alla luce del giorno e lei non si sarebbe più potuta tirare indietro. Dentro o fuori. Si divincolò con forza, non usò tutta quella che aveva in corpo, gliene bastò una piccola dose per liberarsi da quelle mani protettive ma fragili allo stesso tempo. Per entrambi fu un doloroso strappo. Kate bilanciò male il peso del suo corpo e si riequilibrò col braccio per non cadere a terra, sfinita dalla lotta del cuore. Ma la sua mano andò dritta a colpire il vaso che cadde infrangendosi al suolo in mille pezzi intorno ai fiori e all’acqua che si spandeva sul tappeto. Il rumore li colse all’improvviso. Si voltarono un istante verso i cocci del loro amore appena sbocciato, prima di vedere un rivolo scuro correre lungo il polso di Kate.
Rick si gettò su di lei terrorizzato gridando “Kate!”. Le posò immediatamente la mano intorno al piccolo polso, incurante del sangue che gli sporcava le dita. “Ti fa male? Vieni dobbiamo disinfettare…”. Non fece in tempo ad avvicinarla al lavandino della cucina, che udì la sua voce debole. “Non puoi stare qui Rick, è pericoloso”. “Kate sono solo due vetri rotti, che vuoi che sia…ora puliamo e torna tutto a posto non preoccuparti”. La sua voce era dolce e rassicurante. Lei gli strinse la mano con forza, costringendolo a guardarla negli occhi, e poi fece “no” con la testa, sussurrando “non torna a posto…” mentre costringeva le lacrime a restare là dove erano, in bilico sul davanzale delle sue ciglia. “Vai via ti prego”. Gli occhi erano migrati su un altro angolo della stanza, la mano aveva lasciato la presa, sporca del suo stesso sangue. “Vai via”. Un sussuro, un’implorazione. “No, io non ti lascio! Perchè vuoi allontanarmi?...dannazione, Kate, rispondimi!”. Lei non disse niente, troppo distrutta per parlare. Prese un canovaccio abbandonato sul mobile della cucina e se lo annodò attorno al polso che non smetteva di sanguinare. Si avvicinò alla porta di casa e la aprì. Restò immobile mentre le lacrime le scendevano silenziose senza un gemito sulle guance, inarrestabili. Impossibile anche solo pensare di fermare il dolore che le stava invadendo il corpo. Vide oltre il suo sguardo appannato l’ombra dell’uomo che a testa bassa usciva, mentre le sue urla riecheggiavano ancora nell’appartamento. Non appena i pezzi dello scrittore ebbero varcato la soglia, lei richiuse l’uscio con forza, girando la chiave nella toppa per assicurarsi che Rick non potesse rientrare spinto da ciò che avrebbe udito.
Infatti non provò nemmeno a zittire quel pianto e quelle urla furiose che volevano uscire dalla sua gola. Anni di sofferenze, rabbia, paura, stavano solo in quel momento iniziando ad uscire dal corpo e dalla mente di Kate, grazie alla minuscola breccia che, col suo stesso corpo, Rick Castle aveva aperto in lei quella notte. Subito sentì la voce dell’uomo che invocava il suo nome oltre la porta, sentì il rumore della maniglia che lui provava a forzare, i suoi pugni che bussavano contro il legno, disperati. Si accasciò sul pavimento, con le spalle appoggiate alla porta, tappandosi le orecchie, sorreggendosi la testa che sembrava volesse esplodere e urlò e pianse con tutto il fiato che aveva in corpo, mentre le lacrime, la saliva e il suo stesso sangue le macchiavano il volto, quel volto che un tempo era stato felice e spensierato.
 
Il rumore lo scosse. Alzò lo sguardo e vide Kate entrare nel soggiorno dal corridoio a piedi scalzi. Diresse lo sguardo in basso, attirato dalla mancanza dei sandali vertiginosi della sua dama e solo allora vide dei vetri sul pavimento. Pensò di avere le allucinazioni fin quando non si accorse che il bicchiere d’acqua da cui lei gli aveva dato da bere Kate, gli era scivolato. Sorrise un attimo pensando di avere un deja vu, poi allungò un braccio velocemente ammonendo Kate di non muoversi, se non voleva tagliarsi. “Ho combinato un disastro, scusami”. Disse lui più gentilmente che poteva, sperando che quell’imprevisto non avesse esiti inaspettati. “Hey” gli disse lei, facendo il giro del divano dall’altro lato “Non fa niente. È solo un bicchiere. Ora mi metto le scarpe e pulisco tutto, ok?”. “Ok” sussurrò lui rassicurato, con il volto disteso. “Kate, come mai sei a piedi scalzi?”. Si sedettero sul divano vicini, mentre la ragazza si raccoglieva i capelli e si tirava il vestito leggermente sopra le ginocchia per comodità. Lei lo guardò con dolcezza e un po’ di imbarazzo e Rick non potè fare a meno di pensare che, oltre che bellissima, gli sembrava serena. “Ho notato che hai avuto una reazione forte quando sei entrato nell’appartamento…io capisco che…insomma sono successe cose molto drammatiche l’ultima volta che…insomma è quasi insopportabile pensarci”. Solo allora Rick, abbassando la testa, si accorse dei libri che Kate aveva poggiato vicino a sé. Lei si accorse del suo sguardo e con un po’ di imbarazzo gli disse “Ecco, insomma…mi sono tolta le scarpe andando in camera da letto…sai la stanchezza…eh…c’erano questi sul mobile…sì insomma. Castle sono i miei diari.” Lui sorrise al pensiero che lei, nell’imbarazzo, lo aveva di nuovo chiamato per cognome, e prese fra le mani uno di quei diari, aprendolo e riconoscendo la scrittura di Kate. “Li ho scritti durante questi mesi, me lo ha chiesto il…cioè, è stato un bene, lo ammetto”. Kate aveva ancora difficoltà ad ammettere che era dovuta tornare a riprendere un percorso che anni prima aveva solo lasciato in sospeso, col dottor Miller. Non ci fu bisogno di parlare. Era molto più di quanto entrambi si fossero aspettati. Quella giornata era inizata come una favola, ma i loro cuori erano pieni di paure ed ora, nel buio della notte, tutto sembrava stare tornando lentamente al suo posto. C’era solo un’ultima cosa da fare. Mettere a posto due corpi stanchi, stanchi per la festa, stanchi per l’amore, stanchi per la lunga attesa.
 
Kate guardò dolcemente Rick chiedendogli se stesse bene. Lui annuì riponendo il diario insieme agli altri, pensando a che rivelatrici verità avrebbe scoperto fra quelle pagine, chiedendosi se ne avrebbero parlato insieme, come una vera coppia, come due persone che si sostengono a vicenda, sul serio.
Si alzarono e insieme raccolsero i pezzi di vetro del bicchiere, attenti a non ferirsi questa volta. Kate prese un grosso sacco di plastica e Rick tirò via il sottile tappeto, per fortuna non proprio prezioso, ormai troppo pieno di schegge per i piedi sempre nudi di Kate. Quando ebbero finito lei si ritrovò a guardarlo di nascosto appoggiata allo stipite della porta, mentre, con meticolosa cura, si preoccupava di ispezionare angoli in cui potevano essere schizzati altri pezzettini del bicchiere. Gli si avvicinò e gli prese la mano facendolo distrarre dal suo impegno. Lo guardò negli occhi con un sorriso un po’ impaurito, di quella paura però adolescenziale, la paura dell’amore che si ha a sedici anni quando si sa che il cuore vorrebbe buttarsi, ma non sa come fare. Poi si ricordò delle sue paure di un tempo, si ricordò delle sue ultime parole…“non torna a posto…”.
“È tutto a posto Rick” gli disse lievemente. Sollevò il polso, dove ora non c’era più ombra di sangue, tirando la sua mano con sé. Con passi leggerissimi e lenti, uno di fronte all’altro, camminarono verso la camera da letto, Kate di spalle. Non smisero di guardarsi. Lei lo svestì lentamente, mentre lui con estrema dolcezza e un tocco quasi innocente le liberava il corpo da quella seta giallina morbidissima. Sempre con infinita pace lei si appoggiò alla spalla di lui con la testa e accompagnò le sue braccia a cingerle la vita. Lui la strinse con dolcezza, reclinando la testa sulla sua e senza sciogliere l’abbraccio, la portò con sé sul letto che li accolse. La freschezza della stoffa delle lenzuola fu come un tuffo in un fiume di acqua fresca dopo una lunga passeggiata sotto il sole. Kate alzò la testa e fissò il suo sguardo nel suo, lui prese ad accarezzarle i capelli e la guancia con un tocco lievissimo. Si mossero leggermente fin quando i loro corpi non trovarono quella posizione perfetta, unica. Erano davvero come ying e yang, si completavano a vicenda. Lui posò un lungo bacio sulla fronte della ragazza sentendo il suo profumo invaderlo fino all’anima. Lei sollevò la testa ed incontrò le sue labbra. Era perfetto. In quel singolo bacio, pensarono entrambi, c’era tutto l’amore del mondo.
 
Ora era veramente tutto a posto.




Angolo dell'autrice:

Carissimi, 
è finita. Questa storia  che si è portata via un pezzetto del mio cuore, è finita.
Forse un giorno scriverò un seguito, non lo so.
Ora voglio solo credere che quei due staranno per l'eternità abbracciati immersi nel loro amore e che, in virtù di questo sentimento, tutto sia davvero "a posto".

Il titolo del capitolo è un aforisma di Herman Hesse.

Grazie di cuore a tutti tutti quanti, a tutti coloro a cui qualcosa dentro è cambiato, anche qualcosa di piccolissimo, dopo aver letto queste mie parole.

Vi abbraccio con affetto,

Tersicore150187

  
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