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Autore: _Shantel    21/06/2011    18 recensioni
Liceo scientifico L.
Prendete Alice, liceale di diciotto anni che vive in un mondo fantastico; aggiungete Davide, il bello-e-dannato della scuola che è il suo sogno proibito: sommate anche Federico, il migliore amico di Alice, di cui lei si invaghisce; infine moltiplicate per Edoardo, il fidanzato immaginario della ragazza che assume le fattezze dell'affascinante "Blaine", uno gigolò. Risultato?! Un gran pasticcio per la povera Alice da lei stessa creato, senza immaginarsi quello che poteva succedere. Ma in questo caos riuscirà anche a scoprire l'amore per la prima volta. Già perchè, come dice lei stessa...
Mi chiamo Alice Livraghi e non ho mai baciato un ragazzo
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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set

Ehm...Salve xD
Mi scuso per l'immenso ritardo con cui arriva questo capitolo, ma gli esami mi stanno uccidendo! Non dico nulla, i commenti alla fine.
Voglio solo consigliarvi di leggere questo capitolo con in sottofondo Set fire to the rain, di Adele che mi ha ispirata. Ora vado a nascondermi per evitare linciaggio di massa xD

C a p i t o l o 12

Set fire to the rain


Mi appropriai per un'ultima volta delle sue labbra, prima che si allontanassero da me forse per sempre. Avevo desiderato ed atteso a lungo quel bacio, immaginandolo come la scena più romantica di un film d'amore. E invece non era stato affatto sentimentale, solo triste e malinconico, bagnato dalla pioggia battente e da lacrime dal sapore amaro.
Ci guardammo intensamente negli occhi, entrambi con la convinzione che quel bacio non aveva significato, che lo avremmo dimenticato ben presto, sepolto da altri innumerevoli ricordi.
«Scu-scusa» mormorò «Non avrei dovuto baciarti»
Abbassai lo sguardo, incapace di sostenere anche per un misero istante i suoi occhi, intimorita di affogare in quel mare nero di emozioni. Annaspai, prendendo fiato, senza però riuscire a dire nulla. Dario percepì la mia tensione e il mio disagio, così si morse un labbro e mi superò rientrando in casa. Rimasi per un attimo da sola su quel balcone a fissare la pioggia che, incessante e furibonda, sferzava la città. Solo in quel momento mi accorsi di avere freddo e che stavo tremando. Tra le braccia di Dario sembrava tutto così dannatamente perfetto, nemmeno il gelo era riuscito a scalfirmi. Ma dopo che era entrato in casa, ero stata catapultata nuovamente in quella realtà imperfetta in cui nulla sembrava aver senso.
Scossi la testa per cacciare via quei pensieri. Dovevo smetterla di pensare a lui quasi ne fossi innamorata, anche se la paura che qualcosa stava nascendo verso di lui mi attanagliava. Rientrai in quella casa che sapeva di lui e nel buio delle stanze, tornai in camera da letto, illuminata solo dalla flebile luce di una abatjoure. Dario era davanti all'armadio, quasi del tutto nascosto dall'anta, che cercava qualcosa in quel labirinto di stoffa. Poco dopo ne tirò fuori una maglietta bianca e un paio di pantaloni di una vecchia tuta e li lanciò sul letto.
«Sono per te» disse distaccato «Ti andranno un po' larghi, ma sempre meglio che niente»
«Grazie» sussurrai, rimanendo ferma sulla porta ad osservarlo nella speranza di incontrare i suoi occhi. Ma la sua attenzione era tutta dedicata all'armadio di ciliegio chiaro. Aprì un cassetto dal quale tirò fuori un plaid blu scuro e finalmente richiuse le ante. Fece il giro del letto, passandomi davanti, senza però degnarmi della benché minima attenzione. La sua indifferenza fu inaspettata ed amara, era come se mi avesse calpestata senza ritegno. Prese i cuscini e, con loro, il plaid blu prima di passarmi accanto per uscire dalla stanza.
«Cosa stai facendo?» gli domandai ingenuamente.
«Vado a dormire sul divano» rispose freddo «Buonanotte» aggiunse e non attese nemmeno la mia risposta, che già si era allontanato da me.
Mi morsi un labbro e dopo essere rimasta imbambolata per alcuni secondi su quella dannata porta, entrai definitivamente nella camera da letto di Dario. Mi cambiai rapidamente con i suoi vestiti che mi andavano leggermente larghi, spensi la lampada e mi infilai sotto le coperte con la speranza che quella dormita portasse via con sé non solo i miei sogni ma anche la malinconia di quella serata.
Nonostante cercassi di chiudere gli occhi e dormire, non riuscivo a prendere sonno, forse per la tensione di quella nottata o forse per l'assenza di Dario in quella stanza. Mi voltai verso il letto vuoto e accarezzai la coperta, illudendomi che lì accanto a me ci fosse lui, che la mia mano stesse sfiorando il suo corpo. Ero stata una stupida a urlargli contro di uscire dalla mia vita. Solo non saperlo vicino a me in quel momento era un tormento. Ma ormai ero sicura che non si potesse correggere quello sbaglio, premere il tasto rewind e sistemare tutto. Potevo solo alleviare la mia tristezza godendo appieno di quelle poche ore che ci rimanevano. Scansai bruscamente le lenzuola e mi alzai dal letto, dirigendomi silenziosa verso il salotto. Dario era sdraiato sul divano, rannicchiato in quella coperta e chiuso in un abbraccio. Sembrava un bambino così, tenero ed indifeso. Mi inginocchiai davanti a lui e deglutii a vuoto prima di parlare.
«Stai già dormendo?» mormorai.
Dario non rispose e non sapevo se perché fosse già tra le braccia di Morfeo oppure mi stesse ignorando completamente. Rimasi a fissarlo qualche istante, incantata dal suo respiro regolare e dal suo viso che aveva perso qualsiasi parvenza di sensualità e che mostrava tutta la sua dolcezza. Sorrisi teneramente e gli accarezzai una guancia delicatamente per non rischiare di svegliarlo, semmai stesse dormendo. Mi rialzai e mi voltai per tornare in camera da letto, quando Dario mi prese un braccio.
«Non stavo dormendo» disse, aprendo un occhio «Ci stavo provando, però»
«Scusa, non volevo disturbarti» mormorai imbarazzata.
«Tranquilla» rispose «Tanto non riuscivo ad addormentarmi»
«Nemmeno io» ammisi, sorridendo.
«Il letto è scomodo?» si preoccupò.
«No, assolutamente!» risposi subito «È che...insomma» esitai intimidita, arrossendo e ringraziai il buio che nascondeva il mio imbarazzo «Beh non so. È meglio se torno di là» risi nervosamente.
«Non andare via Alice»
Il mio cuore si fermò per qualche istante dopo quelle parole, riprendendo poi con una folle corsa irregolare. Sorrisi e mi voltai verso di lui che, intanto, si era seduto sul divano.
«Vuoi che ti canti una ninna nanna?» domandai sarcastica.
«Perché no» ridacchiò.
«Sono affari tuoi se poi avrai danni irreversibili all'udito» sorrisi.
«Allora meglio di no» ribatté sghignazzando.
Mi morsi un labbro e congiunsi le mani sotto il ventre, dondolandomi avanti e indietro come una bambina imbarazzata. Schioccai la lingua e sorrisi di nuovo.
«Co-cosa dovrei fare qui, allora?» domandai.
Dario non rispose, allungò solo un braccio verso di me spingendomi verso il divano e costringendomi a sedermi. Mi accarezzò la guancia con il dorso della mano, imprigionandomi in quella rete di petrolio che erano i suoi occhi. Cercavo di liberarmi da quella stretta astratta, ma le mie iridi erano state letteralmente soggiogate da quelle di Dario. Mi morsi un labbro, assaporandolo in cerca del gusto del bacio che ci eravamo scambiati sul balcone. Dario sfiorò i miei capelli, prima di affondarci la mano e spingermi delicatamente verso di lui, verso il suo petto e il battito del suo cuore.
«Resta con me» sussurrò, abbracciandomi.
Affondai nella maestosità del suo petto, stringendo la sua felpa e inebriandomi di quel suo odore che, ormai, era entrato a far parte di me. Guidata dal suo profumo e dal mio istinto che aveva ancora fame di Dario, alzai il viso incontrando il suo sorriso che mi incantò e che cancellò qualsiasi mia lucidità. Chiusi gli occhi e mi allungai verso di lui, lambendo e assaporando la pelle del suo collo. Al contatto con le mie labbra, la stretta di Dario si fece più intensa, spingendomi sempre di più verso il suo corpo. Accarezzai con la mia bocca ogni millimetro di quella pelle vellutata che bruciava più del fuoco.
«Che co-cosa stai fa-cendo, A-Alice?» domandò incredulo, con la voce incrinata da alcuni sospiri.
Abbandonai il suo collo e lo guardai a lungo negli occhi, perdendomi ancora una volta in quel mare di petrolio e dal quale non volevo più uscirne. Gli posai l'indice sulle labbra, per impedirgli di dire qualsiasi altra cosa, per impedirgli di distruggere quel momento.
«Non dire nulla» mormorai.
Inaspettata, mi impossessai delle sue labbra, bramosa di quella bocca e del suo sapore che mi aveva resa quasi insaziabile. Dario rimase stupito dalla mia intraprendenza, tanto che sgranò gli occhi, incredulo. Mi strinse le spalle come se volesse spingermi via e frenare quel mio momento di folle passione. Affondai le mani tra i suoi capelli per godere un unico breve istante ancora di lui, prima di essere allontanata dall'oggetto del mio desiderio. Ma, contrariamente alle mie aspettative, Dario allentò la presa e si lasciò trascinare dal mio bacio. Le sue mani scivolarono rapide lungo la mia schiena, lasciandosi dietro brividi di piacere che si propagarono lungo tutto il mio corpo, e fermandosi sui fianchi. La sua lingua s'insinuò nella mia bocca alla ricerca della mia per poterla sfiorare, accarezzare. La malinconia che ci aveva colto sul balcone sembrava essere sparita, cancellata da quella irruenta passione che infiammava la stanza. Avrei dovuto essere spaventata in quel momento, perché non erano state le lacrime e la malinconia a far nascere quel bacio, ma ero stata io a volerlo, a desiderarlo così ardentemente. Avrei dovuto sentirmi in colpa nei confronti di Davide e, per quello, avrei dovuto tirarmi indietro, combattere quella brama. Ma mi risultava impossibile allontanarmi da Dario, sottrarmi alle sue labbra e al suo corpo che ardevano all'unisono con me.
Senza mai interrompere il nostro bacio, Dario mi fece stendere delicatamente sul divano e lui sopra di me, accolto dalle mie gambe. Sapevo che stavo sbagliando, che stavo correndo troppo velocemente e che se lo avessimo fatto mi sarei pentita. Mi ritrovai sospesa tra il rimorso e il rimpianto, obbligata da me stessa a dover scegliere una via davanti a quel bivio.
La mano ruvida di Dario s'intrufolò rapida sotto la mia felpa, andando ad accarezzarmi il ventre e facendomi fremere ad ogni suo delicato tocco. Si fermò appena sotto il seno, forse intimorito di quello che stava accadendo, da quello che sarebbe potuto accadere dopo quella notte. Infilai una mano sotto la mia maglietta e andai ad accarezzare la sua, stringendola poi e accompagnandola verso il mio seno. Le sue dita indugiarono spaventate e il suo bacio si affievolì come se volesse interrompere quel momento. Glielo impedii, stringendogli il viso tra le mani e costringendolo quasi a non smettere di baciarmi. Accolse quel mio bisogno di lui, mordendomi un labbro e stringendomi il seno, strappandomi un gemito che si infranse nella sua bocca.
Afferrai i lembi della sua felpa e la sollevai quel tanto che bastava per fargli capire che volevo disfarmi di lei. Abbandonò per un istante le mie labbra e si levò quell'ingombrante indumento, mostrandomi il suo fisico asciutto che avevo visto soltanto nelle fotografie del suo profilo.
«Alice, non credo che...» tentò di dire, ma non m'interessava sentire il resto della frase.
Lo attirai verso di me, lambendo nuovamente le sue labbra e facendolo aderire completamente a me. Ogni centimetro del suo corpo combaciava perfettamente con il mio. Il suo bacino si mosse, strofinando contro il mio inguine e facendomi sentire quanto mi stesse desiderando in quel momento. Mi sentii avvampare e la parte razionale di me urlava di smettere prima che fosse troppo tardi, ma l'intero mio corpo aveva deciso di non ascoltare il cervello, ma di farsi trasportare da quel turbine di strane e nuove sensazioni.
Si staccò dalle mie labbra e mi guardò profondamente negli occhi, con un sorriso sghembo da bambino pronto a fare una marachella. Si leccò un labbro, prima di sollevarmi leggermente a felpa e succhiare il mio ventre, mentre la sua mano superava l'ostacolo reggiseno e stuzzicava un capezzolo. Ansimai e mi inarcai leggermente colta dal piacere. Non immaginavo che un semplice tocco potesse farmi godere e capii in quel momento perché Benedetta era una specie di ninfomane. La sensazione che si provava a fremere sotto delle dita esperte non era paragonabile a nulla e, ad ogni suo bacio, cresceva in me la voglia del tanto temuto sesso.
Decisi di liberarmi anche io della maglietta, vergognandomi di mostrargli quel seno quasi inesistente. Dario alzò lo sguardo malandrino verso di me e sorrise malizioso, abbandonando il ventre e scagliandosi voglioso verso il mio petto. Sollevò il reggiseno e lambì un capezzolo, solleticandolo con la lingua, quasi lo stesse assaporando. Ormai la mia bocca era indipendente e si lasciava andare a gemiti di piacere.
Ad un tratto, puntò le mani accanto al mio viso e si sollevò per guardarmi negli occhi, senza nessuna traccia del bambino monello, ma solo con un viso apprensivo.
«Alice, non voglio che la tua» deglutì «prima volta sia con me»
«Dario» esitai «non farti desiderare»
Lui sorrise sghembo, ritrovando la sua precedente malizia. Tornò a percorrere il mio corpo con una scia di baci roventi fermandosi poco sotto l'ombelico. Esitò qualche secondo prima di afferrare il lembo dei pantaloni per abbassarli. Sollevò un attimo il suo sguardo verso di me e sorrise.
«Sei pronta?»
Annuii, anche se non avevo la benché minima idea di quello che voleva fare. Baciò un'ultima volta il mio ventre e scese ancora di più, affamato di me. Lentamente abbassò il mio orribile paio di slip e in quel momento sprofondai nella vergogna. Forse non avrei dovuto arrivare a quel punto, forse avrei dovuto rimanere nella sua camera da letto. Se avessi detto qualcosa magari si sarebbe fermato, ma qualsiasi parola mi morì in gola. Mi coprii il viso con le mani, per nascondere anche a me stessa il mio imbarazzo. Dopo poco, sentii il suo fiato sulle mie nocche e un bacio a fior di labbra.
«Hai paura, piccola?»
Tolsi le mani dal viso per poterlo guardare e gli sorrisi, mordendomi un labbro. Sentivo che c'era qualcosa nei pantaloni di Dario che continuava a crescere e che mi incuteva anche un certo timore. Stando alla biologia che avevo studiato, era pronto all'accoppiamento. Ormai mi ero spinta troppo oltre e non potevo tirarmi indietro.
«Un pochino» risposi con voce tremante.
Dario sorrise dolcemente e mi accarezzò. Cercò nel mio sguardo l'assenso a continuare e il mio sorriso gli diede il via libera per le sue porcherie. Scivolò ancora verso il mio inguine e mi solleticò con la lingua e piccoli baci. Subito, sobbalzai dal piacere, da quella nuova sensazione che mi spiazzò per la sua irruenza. Sentivo il mio corpo surriscaldarsi e strane scosse partire dal basso ventre e propagarsi in tutti i miei anfratti, facendomi perdere il controllo su di me. Mi mordevo un labbro per cercare di smorzare dei mugolii che volevano uscire troppo intensi perché mi vergognavo, non volevo urlare per paura che gli altri mi sentissero, che mi sentisse Dario. Quando, però, la sua lingua sfiorò più in profondità la mia intimità, nulla riuscì a trattenere un ansimo. Il respiro cominciò a farsi sempre più affannoso e l'ossigeno sembrava essere sparito d'un tratto, quasi stessi scalando il monte Everest. Tremavo e non sapevo che cosa fare, come muovermi, impaurita di fare qualcosa di sbagliato. E intanto il mio piacere cresceva insieme al ritmo della bocca di Dario, così come i miei ansimi incontrollati.
Mi strinse forte le cosce e approfondì quel rapporto, mandandomi completamente in estasi. Chiusi gli occhi, facendomi travolgere da quella passione e affondai entrambe la mani tra i suoi capelli, stringendoli sempre più forte ad ogni spasmo. La stanza sembrava che stesse andando a fuoco e l'adrenalina di cui aveva parlato Dario mi disorientò e sconvolse ogni parte del mio corpo. Ogni muscolo si contraeva al tocco di quella lingua esperta. Arcuai la schiena e piegai la testa, lasciandomi sfuggire il suo nome strozzato da quel godimento. Qualsiasi cosa intorno a me perse fisionomia e mi ritrovai come sbalzata in un'altra dimensione in cui c'eravamo solo io e Dario, lontano perfino dal ricordo delle persone e dei luoghi della nostra vita. Era come se la memoria fosse stata spazzata via, come se fossimo esistiti sempre e solo noi due, in uno spazio indefinito e in un tempo inesistente.
Mi assaporò ancora, provocando ancora quella dolce e piacevole agonia chiamata piacere, prima di percorrere tutto il mio corpo con leggeri e sensuali baci, fino ad incontrare le mie labbra. Strinsi il suo viso tra le mani e lo baciai ardentemente, ansimando di tanto in tanto per lo sfiorarsi dei nostri bacini. Sentivo il desiderio pulsante di lui espandersi dalla mia intimità e riempirmi, nonostante la sua bramosia crescente continuasse a incutermi un certo timore. Scattò in piedi qualche istante e un sorriso tirato, quasi dolorante si dipinse sul suo volto.
«Spero non ti dispiaccia» mormorò quasi imbarazzato calandosi pantaloni e boxer nello stesso istante.
Scossi la testa, nonostante vederlo nudo ed eccitato mi fece sprofondare nell'imbarazzo più totale. Tornò a sdraiarsi su di me e riprese a baciarmi con la stessa intensità di poco prima, sfiorandomi con la sua eccitazione, facendomi tremare nuovamente e ansimare nella sua bocca. Non mi sarei mai immaginata nulla di tutto quello che stava accadendo, sia psicologicamente che fisicamente. Ad ogni suo tocco mi contorcevo, ma quella sensazione era la migliore che avessi mai provato, nonostante la vergogna e l'imbarazzo.
Mentre lo sentivo muoversi sinuoso sopra di me, non sapevo cosa fare per quello che gli stava succedendo. Avevo il terrore che qualsiasi mio movimento fosse sbagliato, di fare qualche sciocchezza. Fece perno su una mano e si staccò della mie labbra per guardarmi con quegli occhi che anche nell'ombra di quella stanza, brillavano come diamanti preziosi e mi accarezzò dolcemente. Forse voleva dirmi qualcosa ma non aveva il coraggio, sembrava quasi imbarazzato. Deglutii a vuoto e con la mano percorsi la sua schiena, fermandomi all'altezza dell'anca, per poi proseguire verso il suo desiderio. Appena lo sfiorai, un gemito uscì dalle sue labbra e la sua espressione si rilassò. Ormai ogni oggetto in quella stanza aveva preso fuoco, soprattutto quel divano che scottava più della lava. Lo sfiorai di nuovo, prima di essere più intraprendente e stringere quella libidine. Dario ansimò di nuovo e il braccio su cui si reggeva cominciò a tremare. Seppur con un certo imbarazzo, mossi lentamente la mano, senza nemmeno sapere che cosa stessi facendo. Sapevo solo che lui stava gradendo ed ogni mio gesto, da quel momento, divenne così naturale da spaventarmi. Mi muovevo lenta, strappandogli qualche sfuggente mugolio di piacere. Quando intensificai il ritmo, i suoi gemiti si fecero sempre più lunghi e sospirati, il suo fiato si fece più pesante e il braccio stava per cedere sotto al peso di quel piacere che lo stava facendo godere. Cedette quando il movimento della mia mano si fece più deciso e serrato e si appoggiò con un gomito, mentre strizzava gli occhi e ansimava intensamente
«Scusami» arrancò, tra uno spasmo e l'altro.
Mi baciò a fior di labbra, prima di scattare in piedi e fiondarsi fuori dal salotto. Mi misi a sedere per guardare la porta dalla quale era uscito, sicura di aver commesso qualche sciocchezza e di averlo fatto scappare. Sentivo qualche ansimo ovattato e strozzato, ma non riuscivo a capire che cosa stesse succedendo. Poi la sua voce fu sostituita da un lieve getto d'acqua, come se si stesse facendo una doccia. Tornai a stendermi, nuda, su quel divano e solamente in quel momento realizzai ciò che avevo fatto e il pensiero di Davide tornò a bussare con prepotenza nella mia mente. Avevo tradito il mio ragazzo solo dopo ventiquattro ore che eravamo insieme e mi sentivo una schifezza.
Dopo poco, Dario ritornò in salotto con i capelli ancora gocciolanti e un paio di boxer puliti. Appena lo vidi entrare, scattai in piedi e sistemai il reggiseno, tirando su anche slip e pantaloni, colta da un'improvvisa vergogna di mostrarmi nuda. Dario abbassò lo sguardo e si torturò il labbro inferiore.
«Scusami» mormorò «Avrei dovuto fermarmi prima. Ma non ci sono riuscito. So-sono uno schifoso pervertito» ringhiò, mettendosi le mani tra i capelli.
Mi avvicinai a lui e gli accarezzai una guancia, sorridendogli.
«Non prenderti tutta la colpa. C'ero anche io e se non avessi voluto ti avrei fermato» dissi «Non so cosa mi sia preso» arrancai, fuggendo con lo sguardo «Non avrei dovuto. Mi, mi sento...»
«Una schifezza» completò per me Dario.
Annuii. Gli occhi cominciarono a pungere e, poco dopo, scoppiarono in lacrime. Cercai di non farmi vedere da lui, di smorzare i singhiozzi in gola ma, come se Dario avesse percepito la mia tristezza, mi trascinò verso di lui e mi strinse forte a sé. Affondai il viso nel suo petto, mentre lui mi accarezzava la schiena amorevolmente.
«Mi sono spinto troppo oltre» mormorò.
«Ci siamo spinti troppo oltre» lo corressi.
«No, Alice. La colpa è mia. Sapevo cosa stavo facendo, sapevo che stavo sbagliando eppure ho continuato. Tu sei stata spinta da me a fare quello che hai fatto» ribatté «Dio mio, faccio schifo!» ringhiò e mi allontanò da lui, sedendosi poi sul divano.
«Dario» mormorai, con le lacrime che ancora mi solcavano il volto e mi misi vicino a lui.
«Mi è sembrato di tornare indietro nel tempo in quella cazzo di casetta degli attrezzi. Se solo penso a quanta sofferenza ho seminato attorno a me, mi verrebbe voglia di picchiarmi da solo» sibilò.
Non capii a quale casetta degli attrezzi si stesse riferendo, ma quelle parole mi avevano smosso il cuore. Non avrei mai pensato che Dario fosse così fragile e che soffrisse così tanto. Lo avevo sempre visto forte e sicuro di sé e, invece, in quel momento aveva abbassato quel muro di spocchia che aveva costruito attorno a lui.
«Hai fatto bene a dirmi addio» riprese «Se avessimo continuato a frequentarci avrei fatto soffrire anche te. Già stai piangendo a causa mia»
Cercavo di dire qualcosa, ma il mio cervello non riusciva a formulare una frase di senso compiuto. Sembrava quasi avesse staccato la spina e smesso di funzionare in quel momento, non permettendomi né di parlare né di muovermi.
«Vai a dormire e cerchiamo di dimenticarci questo piccolo particolare»
Chiamalo piccolo!
Di piccolo non c'era nulla, né quello che era successo tra di noi e nemmeno il pitone di Dario. Capivo perché aveva cominciato a fare il gigolò.
No, ok, con calma Alice, che pensieri stai facendo?!
Mi asciugai velocemente le lacrime e cercai di non pensare più a lui nudo sopra di me e alla mia mano che lo aveva toccato. Che vergogna, santo cielo! Non poteva essere solo uno stupido sogno?! Ancora mi sembrava di sentire la sua bocca lì dove non batteva il sole. Si rivestì velocemente e si stese nuovamente su quel divano che era stato complice di quel nostro momento di passione. Si accucciò sotto il plaid e chiuse gli occhi, il viso ancora amareggiato. Perché avrei dovuto dimenticare tutto? Non era come diceva Dario, io sapevo benissimo quello che stavo facendo e mi era anche piaciuto. Era stata una delle cose più emozionanti della mia vita e non volevo, non dovevo dimenticare.
«Posso dormire con te?» gli domandai, con un leggero imbarazzo.
Dario aprì un occhio, per richiuderlo subito dopo e darmi la sicurezza che quello fosse un no. Si rannicchiò contro lo schienale e batté a fianco a sé. Sorrisi come una scema e non esitai ad accettare quell'invito, stendendomi subito vicino a lui.
Ci coprì con il plaid e subito mi abbracciò, stringendomi forte contro il suo corpo. Avvampai nel sentirlo così vicino a me, nel sentire il suo fiato infrangersi sulla mia pelle e nel ricordare il suo corpo sul mio.
«Buonanotte» sussurrò.
«Bu-buonanotte» risposi.


Sentii parlottare, delle voci che sembravano venire da un'altra dimensione. Non riuscivo a capire se stessi sognando o se quello che sentivo era reale. Aprii gli occhi con la convinzione e la speranza di ritrovarmi nella mia stanza, che quello che era successo la sera prima era stato frutto della mia fantasia, ma i raggi mattutini del sole mi mostrarono il salotto moderno di Dario. Mi misi a sedere e mi stropicciai gli occhi, sbadigliando e stiracchiandomi come un gatto. Mi voltai, notando che lui non era più accanto a me. Avrei potuto andare a raccattare i miei vestiti e sgattaiolare via da quella casa, troppo imbarazzata per poterlo guardare in faccia. Ma volevo vederlo, salutarlo, sapere chi c'era lì con lui. Mi diressi in cucina, da dove provenivano le voci, tentennante.
«Dario?!» esitai, rimanendo sulla porta.
Lui mi guardò e sorrise intimidito, mentre tre paia di occhi sospettosi mi perforarono. A capotavola sedeva una bella donna austera e con l'aria da snob sofisticata, tutta impettita che mi squadrava dall'alto al basso. Sul lato lungo del tavolo stava un uomo che era la copia di Dario, se non fosse stato per gli occhi azzurri e, subito accanto a lui, il mio caro gigolò. Appoggiato al muro, un ragazzo alto e dalla bellezza statuaria con degli occhi glaciali. La donna, appena mi vide comparire, si stizzì e assunse un'aria quasi disgustata, mentre l'uomo si era portato una mano sulla fronte e scuoteva la testa.
«Pensavo avessi smesso» sussurrò, rivolto a Dario.
«Non è come credi»
«Nuova città, vecchie abitudini eh, Dario?!» ridacchiò il ragazzo dagli occhi di ghiaccio.
«Smettila idiota» sibilò.
«Ti ricordi almeno come si chiama la tua nuova preda?» lo provocò nuovamente.
«Fottiti, 'Ma!» ringhiò Dario, che assumeva sempre più un'aria incupita.
«Sei incorreggibile» intervenne la donna, stizzita più che mai.
Il mio gigolò mi morse il labbro inferiore, abbassando lo sguardo in difficoltà, martoriato da quella raffica di accuse a cui non sapeva come rispondere e dal ricordo della notte precedente. Una stretta si impossessò del mio cuore nel vederlo così e, d'istinto, feci un passo avanti sorridendo a quegli sconosciuti.
«A-Alice, piacere» mi presentai. Poi esitai qualche istante «La fidanzata di Dario»
Mi avvicinai a lui e mi sedetti sulle sue gambe, baciandolo a fior di labbra, assaporandole ancora una volta e sentendolo ancora fremere sopra di me. Gli sfiorai per un solo attimo la lingua, prima di tornare a guardare quegli sconosciuti che mi osservavano dubbiosi. Dario scoppiò a ridere nervosamente e mi strinse a sé.
«Eh già» ridacchiò «Surprise!»
La donna e quello che sembrava Dario, sorrisero increduli mentre il ragazzo dagli occhi di ghiaccio era rimasto senza parole, basito con la bocca semi-dischiusa.
«Non ce lo avevi detto» esclamò felice la donna.
«Volevo farvi una sorpresa» rispose Dario, teso come una corda di violino.
«Da un estremo all'altro» osservò il ragazzo appoggiato al muro «Prima un rinoceronte e adesso un manico di scopa» ghignò.
«Sei un bastardo, 'Ma» esclamò Dario indispettito.
«Sei sempre il solito bambino. Quando non sai cosa rispondere, offendi» ribatté «Vedi di crescere. Hai 23 anni, dovresti aver attivato il cervello da qualche anno ormai»
«Perché non te ne sei rimasto in Congo o dove cazzo eri tu? Magari ti beccavi la malaria e ci rimanevi secco» borbottò.
«Ti sarebbe piaciuto eh, che fossi crepato?» lo provocò «You're a bod bad guy, Dario» ridacchiò «E, data la tua ignoranza, significa che sei proprio un cattivo ragazzo»
Dario si umettò le labbra e contrasse la mascella, visibilmente irritato dall'antipatia di quel ragazzo. Sembrava quasi sul punto di scattare in piedi e prenderlo a botte. Così, gli accarezzai la guancia e lo baciai leggermente per cercare di tranquillizzarlo. Lui mi guardò negli occhi e sospirò stizzito, regalandomi poi un sorriso tirato.
«Da quanto tempo state insieme?» domandò la donna, a disagio, come se volesse cambiare discorso.
«Due mesi»
«Tre mesi» mi fece eco Dario.
Ci guardammo confusi e leggermente spaventati, poi tornammo a sorridere alla donna.
«Due mesi» «Tre mesi» esclamammo insieme.
La signora ci guardò perplessa e cominciai a ridere nervosamente insieme a Dario, che aveva un colorito che spaziava dal bianco latte al rosso paonazzo.
«Sì, insomma» annaspai «Due o tre mesi» tagliai corto.
Lei e quello che doveva essere suo marito annuirono con poca convinzione e un certo sospetto negli occhi. Sorrisi come una deficiente e baciai di nuovo Dario a fior di labbra, stringendolo poi stretto al mio seno, lasciandolo letteralmente basito. Mi guardava stranito, come se volesse spedirmi in un ospedale psichiatrico.
«E quanti anni hai Alice?» domandò l'uomo.
«Diciassette» risposi.
La donna sgranò gli occhi e quasi si strozzò con il caffè che stava bevendo, mentre lo sguardo di suo marito rimbalzava stupito da me a Dario. Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio sghignazzò e si staccò dal muro per sedersi sull'unica sedia disponibile.
«Carne fresca» ironizzò.
«In realtà ne ho praticamente diciotto» risi «Tra un mese sarò maggiorenne»
La signora guardò in modo truce Dario, che continuava a muoversi sotto di me come se la sua sedia fosse stata piena di spilli. Era teso e nervoso, completamente a disagio e non sapevo perché. Lei stava per aprire di nuovo bocca, ma il mio gigolò la interruppe prima che parlasse, terrorizzato da altre eventuali domande.
«Alice, non ti ho presentato la mia famiglia» sorrise «Lei è mia madre, Nicoletta» e le strinsi la mano «Mio padre Salvatore. E lui è Mauro»
Il ragazzo dagli occhi di ghiaccio mi sorrise e mi guardò con superiorità.
«Il dottor Mauro Vitrano» puntualizzò, lanciando un'occhiataccia al fratello.
Dio mio quanto era antipatico quel tipo! Se avesse insultato solo un'altra volta il mio Dario lo avrei preso a sediate sulla schiena. Nicoletta s'illuminò d'un tratto e sorrise compiaciuta a sentire quelle parole.
«Eh già, io mio Mauro fa il medico, come noi due» cominciò «Centodieci e lode! Non sai che soddisfazione alla sua laurea. Ha preso una specializzazione in cardiochirurgia e adesso ha deciso di fare il medico volontario in Somalia. BlaBlaBla»
Mamma che noia! Non mi interessava assolutamente nulla di Mauro e della sua biografia. Le sorrisi ed annuii, fingendo di ascoltare le sue lodi, nonostante mi venisse da sbadigliare e a fatica non mi trasformai in un ippopotamo. Guardai di sottecchi Dario che aveva cambiato espressione, incupendosi e che guardava il tavolo amareggiato. Non sapevo perché s'intristì così d'improvviso, ma mi venne naturale sorridere a Nicoletta e interrompere il suo discorso.
«Dario è un ragazzo davvero speciale, sa? Sembra un duro, ma in realtà è un cucciolo indifeso. Non sarà medico, ma almeno non è Mr. Antipatia dell'anno. Ha un sacco di qualità e non ha bisogno di sventolare una laurea per essere speciale» dissi e fulminai Mauro con lo sguardo.
Dario mi guardò stupito, con un mezzo sorriso incredulo ed io lo abbracciai forte.
«S-sì» tentennò lei «È un ragazzo meraviglioso» disse non del tutto convinta.
Dopo le mie parole, calò come un pesante sipario il silenzio su di noi. Nessuno incrociava gli occhi degli altri e nessuno sembrava voler sollevare quel manto che ci aveva sorpresi.
«Allora» la voce di Salvatore riempì la stanza «Come va il negozio?» domandò rivolto a Dario.
Negozio?!
Di che diavolo stava parlando? Il mio gigolò sorrise nervosamente e boccheggiò, torturandosi il labbro inferiore e passandosi una mano sulla barba.
«Abbastanza bene, direi» rispose con voce tremante.
«Gli affari?»
«Buoni»
Domande rapide e risposte ancora più lapidarie. Nella famiglia di Dario non ci doveva mai essere stata una grande armonia. Sembravano più che altro degli estranei più che parenti. E mi domandavo perché, se quei due erano medici, quindi con un sacco di soldi in banca, Dario facevo il gigolò.
Mauro scattò in piedi all'improvviso e si picchiettò il polso, indicando l'orologio.
«Tra poco inizia il convegno, medici»
I due controllarono l'ora e annuirono. Con distacco salutarono sia me che loro figlio, mentre il ragazzo dagli occhi di ghiaccio non lo calcolò nemmeno. Quando Dario si richiuse la porta alle spalle, tirò un sospiro di sollievo e mi sorrise.
«Grazie per quella bugia. Mi hai salvato le chiappe!» ridacchiò.
«Nulla» dissi in un soffio.
«Vado a cambiarmi e ti riporto a casa»
Prima che se ne andasse, lo fermai e lo invitai a sedersi sul divano. Lui, titubante, accettò quella richiesta. Mi morsi un labbro e respirai a fondo per prepararmi a quel terzo grado che, ero sicura, lo avrebbe messo in difficoltà.
«Di qu-quale negozio parlava?»
Prima domanda fatta.
Dario scosse la testa e abbassò lo sguardo verso il tappeto. Tamburellò nervosamente un piede e credevo mi avesse mandata a quel paese, aggiungendo un Non sono affari tuoi.
«È ovviamente una cazzata» ridacchiò nervoso «Non potevo di certo dir loro che faccio il gigolò. Già mi odiano, figurati se scoprissero che mi prostituisco»
«Odiano?» ripetei, curiosa e intimorita di ferirlo allo stesso tempo.
«Già» soffiò «Io sono la vergogna della famiglia Vitrano. Mi odiavano già prima che nascessi» esitò «Vuoi sapere tutta la verità?»
Annuii e mi persi nel petrolio liquido dei suoi occhi.
«Loro non mi volevano. Un figlio bastava per loro e farne un secondo significava sottrarre tempo al loro lavoro. Avrai capito anche tu che sono molto legati a camice bianco e stetoscopio» ridacchiò «Solo che una sera hanno alzato u  po' troppo il gomito ed ecco il risultato»
Gran bell'errore, mi ritrovai a pensare.
«Mio fratello si è visto togliere la sua unicità. Non c'era più solo lui, ma anche un bambino che ha iniziato ad odiare piano piano. I miei genitori non sono mai stati presenti con me e forse è per quello che con l'adolescenza sono diventato una testa calda. Certo, non tutta la colpa è loro, alcune cazzate potevo risparmiarle. Finché uscivo la sera e tornavo tardi, mi beccavo una strigliata e fine della storia. Ma quando ho iniziato a infangare il nome dei Vitrano, la mia condizione in quella famiglia è precipitata.
«Ho scopato con la nipote del primario del reparto in cui lavorava mio padre. Fin lì, amen. Purtroppo non sono stato molto attento e quindi, fregati! Lei è rimasta incinta e ha rivelato tutto alla sua famiglia. Subito si è diffusa la voce che il figlio di Vitrano era un pervertito e il primario non si è risparmiato con mio padre, ovviamente»
«E lei?» domandai incredula.
«Ha abortito e l'hanno fatta andare a studiare in un collegio» scosse la testa, prima di riprendere il discorso «Così tutta la famiglia Vitrano ha cominciato ad odiarmi e quando ho detto loro che sarei partito, subito dopo la maturità e che non avrei studiato Medicina mi hanno voltato le spalle. Cazzo, io non volevo stare seduto dietro una scrivania, io volevo essere famoso! Ero troppo bello per rimanere chiuso in uno studio.
«Ho preso i soldi che i miei avevano depositato per pagarmi l'Università e mi sono pagato i vari viaggi alla ricerca dei più disparati provini per trasmissioni televisive e film. Ho provato a fare l'attore, il valletto, il presentatore, ma non mi hanno preso da nessuna parte.
«Allora sono venuto qui, a Milano, con quei pochi soldi che mi hanno permesso di prendere questa casa in affitto. Ma avevo bisogno di un lavoro per potermi pagare le bollette e tutto il resto. Ho fatto il cameriere per diverso periodo, ma lo stipendio era una miseria e arrivavo a fine mese mangiando pane e formaggio.
«Così ho mollato quel lavoro e ho usufruito del mio talento con il sesso, facendone un lavoro»
«E quello pseudonimo?» domandai.
«È stato il primo nome che mi è venuto in mente, Blaine. Non volevo che le donne urlassero il mio nome vero e non volevo che qualcuno che conosco scoprisse questo mio segreto. Immaginati solo la vergogna della mia famiglia. Già per loro è abbastanza umiliante quello che ho fatto, sapere anche che un Vitrano si prostituisce li farebbe crollare e io sarei definitivamente morto per loro. Sono scappato da loro e dico di odiarli, ma non è così. Sono sempre la mia famiglia e non la posso rinnegare»
Dopo quel racconto non fui più in grado di dire una sola parola. Tutto quel discorso mi aveva congelato. Non avrei mai immaginato nulla di quello che era uscito dalle sue labbra e ancora non riuscivo a capire come una famiglia potesse odiare un figlio, quando poi il figlio in questione era una persona fantastica come Dario.
«Ti ho lasciata senza parole» osservò con un sorriso tirato.
«Non, non me lo aspettavo» risposi scossa.
«Sono stato un incosciente. Ho fatto delle cazzate senza nemmeno pensare alla conseguenze» soffiò «Ormai è inutile piangere sul latte versato»
Mi guardò e sorrise amaramente. Gli accarezzai una guancia con il pollice e lo attirai verso di me, abbracciandolo e facendomi inebriare ancora una volta dal suo profumo. Sentirlo così vicino a me richiamava alla mente tutti i ricordi della sera precedente, quel piacere che sentivo nel sentire le sue labbra e il suo corpo sul mio.
«Sarà meglio che ti riporti a casa» sussurrò nel mio orecchio.
Annuii e mi allontanai da lui a malincuore. Ormai era come se fossi legata a lui sia psicologicamente che fisicamente, come se ci appartenessimo a vicenda. Ma dovevo scontrami con il duro destino. Una volta uscita da quella casa, da quel salotto che racchiudeva i nostri ricordi e i nostri gemiti, lui mi avrebbe accompagnata a casa e ci saremmo detti addio, mentre io, come una scema e con le lacrime agli occhi, avrei guardato per l'ultima volta la sua macchina che lo allontanava da me.
«La camera è a tua disposizione per cambiarti» disse, comparendo nel salotto mentre si stava infilando un maglione «I miei vestiti lasciali pure sul letto»
«Ok» risposi flebilmente.
Senza nemmeno guardarlo, raggiunsi la sua stanza a passo svelto. I miei vestiti erano accuratamente piegati e adagiati sulla coperta. Mi spogliai rapidamente e indossai maglione e felpa, piegando alla carlona gli indumenti di Dario. Mi sedetti qualche istante sul letto ed accarezzai la coperta, sorridendo amaramente mentre sentivo le lacrime pulsare. Afferrai il suo cuscino e lo annusai, riempiendomi i polmoni del suo odore, per non dimenticarlo mai più. Presi un respiro profondo e sistemai il cuscino, prima di abbandonare per sempre quella camera. Dario mi aspettava seduto sul divano già con la giacca indosso.
«Andiamo» soffiai.
Lui si limitò ad annuire.
Quando sentii la porta chiudersi dietro di me realizzai che era tutto finito tra noi due, che non ci sarebbero stati più sguardi intensi né il tocco della sua mano. Le scene dei giorni passate assieme sfilarono davanti ai miei occhi, come se fosse un film. Il nostro primo incontro e la prima volta che mi aveva abbracciata a lui, che mi aveva fatto sentire il suo odore. Le nostre chiacchierate e la sua risata all'unisono con la mia. I nostri litigi e le nostre urla. Non ci sarebbe stato più nulla di tutto ciò, non ci sarebbe più stato Dario.
Salii sulla Mito, sentendo rimbombare nella testa le mie parole urlate con tanta rabbia, come se fossero rimaste racchiuse in quella macchina tutta la notte. Nessuno dei due parlava, entrambi non sapevamo che cosa dire. Attendevamo solo il momento in cui l'auto si fosse fermata sotto casa mia, il momento in cui la mia paura di perderlo si sarebbe concretizzata. Ero ancora in tempo per rimediare, chiedergli scusa e recuperare tutto ciò che si era costruito tra di noi.
Avanti dì qualcosa Alice!
Lo guardai di sottecchi, concentrato sulla strada, così bello da essere quasi perfetto. Boccheggiai in cerca di ossigeno e di qualcosa di sensato da dire. Ma dalla mia bocca usciro solo dei sospiri senza senso.
Sei ancora in tempo per sistemare le cose.
Entrammo nel paese e soli pochi metri ci separavano da casa mia. Dario rallentò, come se nemmeno lui volesse che la nostra rottura definitiva giungesse, come se stesse aspettando che gli dicessi qualcosa. Svoltò nella mia via, i secondi per sistemare tutto e ammettere il mio sbaglio diminuivano, mentre il cuore iniziò a pompare sangue irregolarmente.
Parla Alice! Sennò sarai costretta a dirgli...
«Addio» soffia, non appena la macchina si fermò davanti al portone.
Non ero riuscita a rimediare. Avevo cercato di convincermi a parlare, ma la mia bocca era rimasta sigillata, forse perché mi sentivo in colpa per quello che era successo quella notte, perché avevo tradito Davide e allontanarmi da lui era la soluzione migliore.
«Addio» rispose distaccato, senza nemmeno regalarmi per l'ultima volta il piacere di annegare nei suoi occhi.
Fu in quel momento che sentii il cuore stringersi in una morsa troppo stretta, un dolore che dal petto si espanse in tutto il corpo. Le lacrime mi annebbiarono la vista, ma cercai di non piangere, non davanti a lui. Cercai per l'ultima volta il suo sguardo, ma non lo trovai. Così, scesi dalla Mito e rimasi ferma davanti al portone con la speranza che lui mi raggiungesse per non farmi scappare da lui. Non avvenne nulla di tutto ciò. Il motore ruggì e poi la macchina si allontanò, così come avevo immaginato, portandosi via con sé Dario.












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Ed eccoci alla fine di questo capitolo.
Ve lo aspettavate così? Io, sinceramente, no. La parte iniziale doveva essere molto diversa, ossia niente zozzerie. Ma non ho saputo resister! Era il momento adatto per farli andare al sodo >.< Mi sono contenuta, nei limiti del possibile e non li ho fatti copulare, almeno quello! Solo un piccolo assaggio per la nostra Alice del sesso. Spero che non via abbia deluso e che non vi abbia scosso in qualche modo, ma mi è uscito davvero di getto.
Alice, diciamo, che non si è comportata proprio benissimo nei confronti di Davide. Certo, non la biasimo perché anche io avrei ceduto con Dario, però si è fatta trasporatre troppo, diciamo. E la svestizione metaforica di Dario continua. Lo stiamo conoscendo sempre di più nella sua dolcezza e fragilità. Addirittura in questo capitolo è intervenuta la sua famiglia che, chi sta leggendo Mistake, avrà già imparato a conoscere. Avete avuto un assaggio della vita del nostro Dario e un tuffo nel suo passato e la motivazione per la quale fa il gigolò. 
Non so davvero cosa aggiungere, sono anche io senza parole xD

Quindi direi di passare subito ai ringraziamenti.
GRAZIE alle 12 persone che hanno recensito lo scorso capitolo (mi scuso se non ho risposto a tutti. Lo farò a breve ç__ç)
GRAZIE alle 16 persone che hanno inserito la storia nelle ricordate.
GRAZIE alle 49 che l'hanno aggiunta tra le preferite.
GRAZIE alle 111 persone che hanno deciso di seguirla.
Siete la mia forza, davvero :') come farei senza il vostro sostegno?
Poi, un GRAZIE immenso alla Lover. IoNarrante che legge i capitoli in anteprima e li corregge, mi consiglia e sopporta le mie cagate giornaliere. Ti lovvo ♥

Ricordatevi, se volete aggiornamenti, spoilers o semplicemente conoscermi:
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In più, due storielle che ho sto scrivendo a quattro mani con la mia Lover. Una è dedicata all'adolescenza di Dario ♥

Come in un Sogno
You're a mistake I'm willing to take.

Un bacio a tutti, Manu ♥

   
 
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