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Autore: Shadowolf    21/06/2011    5 recensioni
Fine anni '60, Jersey Shore.
Cronaca di un'estate passata ad ammazzare il tempo cercando di non pensare al futuro, tra motori, musica, erba e spiaggia. On The Road meets American Graffiti, con la colonna di Bruce Springsteen.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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‹‹ Non puoi stare senza far niente tutto il giorno, Robert, così la tua vita è INUTILE! ››
Mia madre quel giorno aveva deciso di assumere le veci del mio altro genitore, approfittando del suo essere via per lavoro, e aveva cominciato a gridarmi contro praticamente dal momento in cui avevo messo piede in cucina per fare colazione. A volte adoravo la mia vita.
‹‹ Come al solito, no? ›› mi limitai invece a sospirare, fissando soltanto la tazza ormai vuota davanti a me. Cinque minuti – mi ripetevo – cinque minuti e poi sono fuori di casa. Resisti Robert, resisti.
‹‹ Esatto! Ma non può andare così per sempre, devi decidere che fare della tua vita, non p- ››
Tempo scaduto. Ding dong.
‹‹ Non è per sempre, mamma! È temporaneo, okay? E... ›› aggiunsi, anticipando sul tempo la sua risposta ‹‹ non cominciare a chiedermi quando penso che finirà “questo temporaneo” perché davvero, non lo so. Non lo posso sapere. ››
Portai la tazza nel lavabo e prima che potesse muovermi altre lamentele contro guadagnai nuovamente le scale e poi la mia camera, raccogliendo qualche spicciolo dalla scrivania, i miei Ray Ban graffiati trovati qualche giorno prima per strada e il mio cappello, improvvisandomi poi gatto per sgusciare di soppiatto fuori di casa, e tirare finalmente un sospiro di sollievo. Ancora una volta ero riuscito a controllarmi, impedendomi di cominciare ad urlare di prima mattina. Per di più contro mia madre, che poverina, a guardarla dal suo punto di vista non aveva neanche una gran colpa. Era mio padre che rompeva le palle, sempre e comunque, anche quando era fuori città. Era capace di fermarsi in un bar soltanto per telefonare a sua moglie e dirle di venirmi a tirare giù dal letto, “ché si vive di giorno, mica di notte, e sono affari suoi se ritorna sempre tardi. Magari così imparerà cosa significa vivere da uomo!”. E lei, poverina, si faceva investire in pieno dalle parole di lui, convincendosi che, fossi andato avanti così, non avrei mai realizzato nulla in tutta la mia vita, e probabilmente già mi immaginava a fare le elemosina sotto un ponte come un disperato (cosa che d’altronde io stesso mi divertivo a fomentare, probabilmente in preda ad un insito impulso suicida). Fatto sta che di frequente si ritrovava a fare le sue veci, ed io dovevo continuare a tenere la mente focalizzata su altro, fosse un passo di un libro, uno scambio di battute di un film o un verso di una canzone. Non era mia madre, la persona che doveva subire la mia rabbia.
La casa di Jamie distava solo un paio di isolati dalla mia, complice l’alta gerarchizzazione del piano urbanistico di Asbury Park, grazie alla quale la città era divisa né più né meno in base al reddito della famiglia di appartenenza. A dirla tutta, più che tramite una disposizione comunale questa cosa era venuta su spontaneamente, durante l’ultima guerra, che aveva fatto una sorta di tabula rasa di tutto ciò che c’era prima e aveva portato le donne a lavorare in primo piano, in uffici e istituzioni. E l’edilizia aveva seguito questa tendenza, creando dei mini quartieri poco distanti dal litorale con case modeste e discrete, tutte sommariamente uguali ma nello stesso tempo con piccoli tratti caratteristici che aiutavano a differenziarle le une dalle altre. Successivamente, quando gli uomini furono tornati a casa dal fronte, e con l’arrivo della paura di un attacco atomico, chi disponeva di qualche soldino in più aveva cominciato ad edificare più a sud, dando vita a quello che tutt’oggi è il quartiere (nel vero senso della parola, questa volta) più benestante dell’intera città. Certo, era sempre poca cosa, non c’erano ville, né appartamenti, ma si riconosceva l’appartenenza altra di quelle case rispetto alle costruzioni precedenti. Le grandi ville... quelle erano fuori città, ed erano tutta un’altra storia.
Trovai Jamie già in strada, appoggiato alla staccionata che limitava il suo giardino, lo sguardo già fisso nella direzione dalla quale sapeva sarei arrivato
‹‹ Sei in ritardo. ›› non mancò di sottolineare, mentre ci scambiavamo il nostro gesto d’ordinanza.
‹‹ Lo so. Mia madre. ›› mi limitai ad aggiungere, scrollando le spalle. Sapevo che avrebbe capito.
‹‹ Tuo padre è fuori città, eh? ››
‹‹ Già. ››
‹‹ Com’è andata? ››
‹‹ Stavo per. ›› ammisi, sospirando e guardando intorno a me, per non incrociare i suoi occhi. Mi vergognavo di questa mia debolezza, di questa mia tendenza a perdere le staffe troppo facilmente negli ultimi tempi, ed era una cosa che mi capitava solo con lui. Non volevo tediarlo con i miei stupidi problemi, quando lui stesso ne aveva già una quantità non certo indifferente, e ammettere in sua presenza di quanto non sapessi tenermi dal litigare con i miei un giorno sì e l’altro no era un qualcosa che mi pesava ogni volta, che desideravo tanto non fare. Purtroppo ne ero anche troppo dipendente per riuscire a nascondere quello che mi passava per la testa quando ero con lui. Jamie non era solo il mio migliore amico. Era il mio fratello maggiore disperso alla nascita, nonostante avesse la mia stessa età. Era l’unica persona al mondo con cui potevo essere me stesso, da cima a fondo.  Anche se a volte – come questa, ad esempio – volevo tanto non avere questa immensa fortuna.
‹‹ Bravo il mio Milkshake... ›› mi sorrise, mettendomi un braccio intorno alla spalla e cominciando a camminare con me in direzione della spiaggia.
Era venerdì, e come tutti i venerdì avevamo un’importante missione da attendere: convincere il proprietario del bar sulla spiaggia ad affittarci il deposito dove teneva le sue vecchie tavole da surf, e che ora giaceva lì inutilizzato e mezzo abbandonato. Avevamo tentato di tutto per convincerlo, ma non ci eravamo riusciti. Continuava a dire che senza soldi, potevamo anche scordarcene. Perché sì, in effetti non potevamo pagarlo, manco per sogno. Ma questo non ci avrebbe fermato, intenzionati com’eravamo ad avere un posto tutto per noi, un posto dove nessuno sarebbe venuto a dirci di abbassare il volume della musica, o a svegliarci presto la mattina, o generalmente a romperci le scatole. Ovviamente non si trattava di una casa, non ci avremmo vissuto, ma l’avremmo usata come una specie di rifugio dal mondo esterno. Il nostro rifugio. Peccato che il vecchio Jackman non voleva sentir ragioni.
‹‹ Voi due non avete proprio nient’altro da fare con le vostre vite da quattro soldi, eh? ›› ci accolse infatti anche quel giorno, il tono gioioso e scanzonato come sempre, incurante del fatto che stava servendo un’anziana signora mentre si rivolgeva a noi a quel modo. Ma tanto erano tutti così abituati a lui e alle sue dolci maniere che non ci prestavano neanche più caso.
‹‹ Dài, Jack, che ti costa? ›› esordì Jamie, sedendosi ad uno degli sgabelli di fronte al bancone e appoggiandosi al ripiano. Pessima scelta. Ricevette in cambio un’occhiata minacciosa e un confronto faccia a faccia.
‹‹ Bimbetto, o prendi qualcosa o stai in piedi. Per l’ennesima volta. ››
‹‹ Infatti voglio un... tè. Al limone. ›› improvvisò, girandosi subito verso di me come Jackman gli diede le spalle, sbuffando e chinandosi per recuperare la brocca. Annuii e gli sorrisi, prendendo posto accanto a lui. Cosa che non sfuggì al barista, ovviamente, e stavolta fu il mio turno di ritrovarmelo ad un palmo di naso.
‹‹ Lo vuoi anche tu? ››
‹‹ Dividiamo. ››
‹‹ Allora stai in piedi. Una consumazione, un posto. Questa è la regola. ››
‹‹ La tua regola f- ›› cominciai, ma una gomitata di Jamie mi lasciò senz’aria e mi suggerì il silenzio.
‹‹ Ha ragione, Robbie. Stai in piedi, dài. ›› annuì nella mia direzione, mentre tossivo e riluttante abbandonavo lo sgabello, sistemandomi alla sua sinistra.
‹‹ Inutile, sai? Non attacca lo stesso. ›› lo apostrofò Jackman, versandogli il tè e allungandogli il bicchiere.
‹‹ Niente ghiaccio? ››
‹‹ Il ghiaccio è un extra. Lo vuoi ancora? ››
Il suo ghigno arrivava da parte a parte. Jamie si trattenne dal fare del sarcasmo e rispose distrattamente, fingendo che non gli importasse.
‹‹ No, in fondo è già bello fresco così. ››
‹‹ Ottimo allora! ››
Scossi la testa, più a me stesso che a qualcuno in particolare, e lanciai una breve occhiata a Jamie, che si limitò ad annuire e sorridere. Non voleva afferrare il punto.
‹‹ Jamie, non è per dire, ma... uff, ci odia, non ce lo darà mai e poi mai. ››
‹‹ Nah, è solo pessimismo il tuo. Stamattina tua madre t’ha rotto le scatole e adesso sei lì tutto mogio perché ti ho impedito di sfogarti sul vecchio Jack. Io dico che capitolerà, prima o poi. Ama troppo le sue tavole da surf per non capire che prima o poi gliele fregheranno da lì se non ci sta qualcuno a tenergliele d’occhio ogni tanto. ››
‹‹ Odia più noi di quanto ami le tavole...››
‹‹ Non ci sovrastimare, Robbie. ››
Scossi la testa e guardai l’oceano, nascondendogli un sorriso di ammirazione, perché sapeva sempre come affrontare le situazioni senza mai perdere quella leggerezza d’animo che gli invidiavo un sacco. La cosa migliore è che sapeva come contagiarmi. Non riuscivo a rimanere incazzato a lungo quand’ero con lui. E questo poteva solo essere un beneficio.
‹‹ Allora, oggi gli diciamo che in cambio della baracca lo aiutiamo qui al bar. Che ne dici? ›› mi fece dopo qualche minuto, passandomi il bicchiere mezzo vuoto. Ne presi un sorso e arricciai le labbra. Sembrava tè caldo lasciato a raffreddare.
‹‹ Già tentato. ›› gli risposi, fermandomi un attimo prima di continuare, imitando l’accento australiano di Jackman a bassa voce ‹‹ “Non mi servono due sfaccendati come voi tra i piedi.” ››
Lui rise di gusto, lasciandomi una pacca sulla spalla e annuendo.
‹‹ Giusto... Vediamo un po’, allora... Li puliamo casa? ››
‹‹ “Manco per sogno! Non farete danni anche lì! ›› continuai nella mia performance ‹‹ Come se non ne avessi già troppi di pe-“ ››
‹‹ Be’, devo dire che sei bravo, almeno quello. ››
Trasalii al suo di quella voce, e realizzai troppo tardi di aver probabilmente compromesso per sempre la nostra operazione. Soldato semplice Downey, lei è radiato dall’albo militare. Consegni pistola e distintivo, prego. Girandomi verso il bancone ebbi conferma della mia intuizione.
‹‹ Oh, signor Jackman, non è assolutamente come crede, io... ››
‹‹ Sono sicuro. Dissolviti, va b- ››
Una serie di urla pensarono a coprire il resto della frase di Jackman. Ci voltammo tutti nella direzione dalla quale sembravano provenire, e dopo qualche frenetico secondo passato a sondare l’orizzonte realizzai che, a momenti alterni, una testa piccolina emergeva tra le onde agitate, a qualche metro di distanza dalla spiaggia. L’attimo dopo una seconda voce entrò nelle nostre orecchie, anch’essa gridando, con un’urgenza in più.
‹‹ La mia bambina! La mia bambina, oh, per favore! ››
Ero lì mezzo paralizzato, incapace di prendere una decisione. Perché una rapida panoramica mi aveva rilevato che nessun altro si sarebbe buttato in acqua. La spiaggia era pressoché deserta, il tempo quella mattina era nuvoloso e l’oceano particolarmente agitato (cosa che in serata avrebbe richiamato parecchi intrepidi surfisti, se non avesse piovuto). Oltre a noi c’era soltanto qualche anziano che ne aveva approfittato per godersi una giornata senza che il sole estivo gli friggesse il cervello, e ovviamente Hugh Jackman. Ma lui era automaticamente scartato, per via del ginocchio ko che l’aveva costretto a ritirarsi dal cavalcare la tavola da surf. E Jamie non sapeva nuotare.
‹‹ Robert, muoviti! ››
La sua voce mi trasse via dai miei pensieri, all’improvviso.
‹‹ C-Cosa...? ››
‹‹ Valla a salvare, idiota! ››
‹‹ Io... Io non... ››
Uno scappellotto pari ad un mattone si andò ad infrangere contro la mia nuca, lasciandomi spiazzato per qualche secondo prima di riflettere da chi fosse partito.
‹‹ MUOVITI, CAZZO! ››
I minuti che seguirono furono confusi e disordinati. Come se Jamie avesse premuto chissà quale pulsante rivelatore nel mio cervello, presi a svestirmi quanto più velocemente potevo e poi corsi all’impazzata incontro alle onde, tuffandomi non appena i miei piedi toccarono l’acqua resa fredda dal cielo coperto e cominciando a nuotare seguendo le urla più acute. Quando finalmente arrivai a toccare la bambina ero a corto di fiato, sia per via della temperatura sia perché nel frattempo le onde l’avevano portata più lontano ancora, al punto che, afferratola per la vita e preso a nuotare nuovamente verso la riva, più volte pensai che non ce l’avrei fatta. Immaginai i titoli dei giornali della sera piangere per la scomparsa di una “bimba troppo innocente per un simile destino” e di un ragazzino “nel fiore dei suoi anni”. Vidi il mio funerale pieno di gente cui in realtà non era mai fregato niente di me e mia madre piangere intorno alla fossa dove stavano calando la mia bara, tenendo mia sorella tra le proprie braccia e appoggiandosi a mio padre, imperterrito nella sua divisa da ex ufficiale dell’esercito. E vidi Jamie, che guardava fisso il pavimento, pieno di sensi di colpa.
Feci finanche in tempo a guardare la mia tomba scendere piano dentro la fossa prima di accorgermi che no, non sarei morto, in effetti, dato che avevo appena toccato di nuovo il bagnasciuga.
Gettai fuori un paio di colpi di tosse e lasciai andare la bambina, che immediatamente venne avvolta dalle braccia tremanti di sua madre prima e da un asciugamano immenso poi, mentre una piccola folla di bagnanti formava un cerchio intorno a loro. Mi stesi a braccia aperte continuando a cercare di riprendere fiato e subito il volto di Jamie apparve sopra di me, un sorriso a trecentosessanta gradi dipinto da parte a parte.
‹‹ Sei stato fantastico, Milkshake! ››
‹‹ Ho visto il mio funerale... ››
‹‹ Melodrammatico. Tipico tuo. ››
E mio malgrado gli sorrisi, scuotendo la testa. Era più forte di me.
‹‹ No, sul serio. C’era un sacco di gente e mia madre era lì che piangeva. Oh, c’eri anche tu. Tutto mogio in un angolo. ››
‹‹ È logico, avevo appena perso il mio Milkshake preferito, come potevo non essere distrutto? ››
‹‹ Be’, non me l’aspettavo. Non da te, almeno. ››
‹‹ Non ti preoccupare, era solo un’immaginazione. Sei vivo, no? E... ›› aggiunse, gettando uno sguardo più in là, dove c’era il capannello di gente ‹‹ suggerirei una ritirata immediata, se non vuoi finire circondato da quella stessa gente che stava al tuo pseudo funerale. ››
Seguii la direzione verso la quale stava guardando e soppressi un piccolo spasmo, annuendo e balzando immediatamente a sedere prima, e poi in piedi.
‹‹ Sì, andiamo via. ››

Il resto della giornata lo trascorremmo nella casetta sull’albero del giardino di Jamie, approfittando del fatto che entrambi i suoi genitori erano al lavoro per stare lì a leggere fumetti. Erano battisti vecchissimo stampo, e non vedevano di buon occhio qualunque forma di svago diversa dai canti religiosi, men che mai i fumetti, che vedevano soltanto come “strumento di deviazione eterna dalle strade del Signore”. Ragion per cui Jamie era costretto a tenere le sue copie nascoste sotto il pavimento, grazie ad una lastra di legno mobile che avevamo scoperto un giorno per puro caso.
Poi ad un tratto la sveglia suonò e, giratomi a guardare il mio amico, un’espressione più che perplessa in volto, assistetti al nascere di quel suo mezzo ghigno che purtroppo troppo bene avevo imparato a conoscere. Guai all’orizzonte, potevo prevederlo.
‹‹ È ora. ›› fu la sua secca risposta di fronte alla mia espressione interrogativa, e senza attendere oltre mi prese per mano e mi guidò giù per strada, una certa eccitazione mista ad impazienza dettava i suoi movimenti.
‹‹ Jamie, sta piovendo! ›› lo interruppi, nella vana speranza che sarebbe stato sufficiente.
Ovviamente non lo fu.
‹‹ Lo so, ho visto. Non vuoi l’ombrello, giusto? Tu hai paura degli ombrelli! ››
Corretto anche questo.
‹‹ No, è solo che... Mi vuoi dire dove cazzo stiamo andando sotto la pioggia? In caso non te lo ricordassi, ho già fatto un bagno oggi, direi che è abbastanza per un singolo giorno come questo... ››
‹‹ Dài, non rompere sempre le palle, abbiamo un appuntamento! ››
‹‹ Un appuntamento. ››
‹‹ Esatto! E farai il bravo e mi ci accompagnerai, devi per forza, ne sarai eccitato anche tu. ››
‹‹ Sono carine almeno? ››
Mi gettò un’occhiata significativa e intimidatoria allo stesso tempo, ed io optai per assecondarlo come sempre, conscio che non me ne sarei liberato comunque.
Percorremmo la città lungo Main Street fino a quando questa non prendeva il nome di Atlantic Avenue, diventando la freeway 71, proprio sul limitare dei confini della città. La pioggia non accennava a cadere e con l’incedere della sera stava facendo salire un’umidità quasi intollerabile, che sentivo addosso un po’ dappertutto e che mi rendeva la pelle insopportabilmente appiccicosa.
‹‹ Jamie, dove cavolo stiamo andando? ›› gli chiesi infine, il livello di sopportazione al massimo tollerabile.
‹‹ Ci siamo, Robbie, smettila di lamentarti. L’appuntamento è... ›› sospese la frase, accelerando il passo ancor di più e prendendomi per il polso, girando l’angolo e fermandosi poi all’improvviso ‹‹ qui. ››
Fece un segno con la testa ad indicare una macchina spenta pochi metri avanti a noi, che riconobbi qualche secondo più tardi come una vecchia, stupenda Dodge del ’59, modello Coronet D-500.
‹‹ Wow... ›› disse la mia bocca per me, strappandomi una esclamazione meravigliata e di pura adorazione che avrei tanto voluto tener nascosta a Jamie, almeno per provare a rimanere scocciato con lui per tutta quella strada a piedi. Ma non avrei mai potuto, non di fronte ad un simile spettacolo. ‹‹ Cazzo, Jamie, potevi dirmelo che l’appuntamento era con questa gran figa... ››
‹‹ Guarda meglio, Milkshake... ›› ridacchiò per risposta, spostando il mio mento di qualche centimetro a destra, verso il cofano dell’auto.
Fu allora che lo vidi.
Seduto sul cofano della Dodge, i piedi scalzi, una bottiglia di birra alle labbra, bagnato dalla pioggia fine e umida di una sera di inizio Giugno ’69.




CORNER'S AUTHOR: Ebbene sì, eccomi di nuovo qui con l'aggiornamento della spazzatura immonda che era il prologo di questa nuova AU. In caso ve lo steste chiedendo, no, non ho cambiato idea sulla qualità di ciò che scrissi. Vi chiederete dunque perchè continuare. Eh, bella domanda. Onestamente manco lo so, forse è che l'idea in sè mi piace troppo, essendo cresciuta con questo ambiente qui (no, non sono nata nel New Jersey - magari! -, figuriamoci ad Asbury Park - sarebbe stato un sogno! - ... però è da quando ho 17 anni che respiro quest'aria e ho trovato tantissime analogie con il posto in cui sono nata e vissuta - ahimè - per non restarne affascinata all'inverosimile - ma di questo a voi frega niente, vabbè), o forse è che ascoltando certe canzoni di Springsteen (che - non l'ho scritto finora ma devo rimediare subito - fa da colonna sonora a tutta questa AU) continuavo ad immaginarmi sviluppi alla storia, fatto sta che alla fine sono capitolata e mio malgrado (e con grande fatica) l'ho plottata tutta... o quasi. Perché sì, c'è ancora qualche capitolo con dei punti interrogativi come descrizione. Uno è questo (e si vede). A conti fatti è inutile, e scritto anche male. Soprattutto la prima parte, c'ho messo una vita ad andare avanti. E' che mi serviva tentare di approfondire il rapporto di Rob con Jamie, quanto importante sia per lui, e soprattutto introdurre certe tematiche che torneranno in seguito.
Ma la cosa migliore è come m'è venuto in mente! Perchè sì, signore e signori, dovete sapere che l'ho sognato. Stanotte. O_o Ovviamente nel sogno non c'erano Jamie e Rob, c'ero io (nei panni di Rob, surprise surprise -.-), ma Hugh Jackman sì, ed ecco spiegato la sua misteriosa comparsa in una fic in cui non c'entra un beneamato cazzo niente. So che è esperto di surf, e tutto il resto del mio sogno era fattibile come capitolo, e insomma, in mancanza di una ispirazione migliore l'ho messo nella sua totalità. Cercate di perdonarmi, se potete T_____T

Passando a darvi un po' di info varie, avrete forse notato che Jamie non parla proprio perfettamente, soprattutto sintatticamente. E' un effetto voluto ovviamente, nel tentativo di rendere almeno in parte la differenza di tono/accento/costruzione tipica dello slang nero. Tra l'altro, la questione della lingua mi ha fatto un po' lottare con me stessa, ero indecisa infatti se scrivere completamente in italiano o tenere i dialoghi in inglese come mio solito. Alla fine ho scelto la prima opzione, in nome di una certa unità di lettura e comprensione, trattandosi di una AU long basata su capitoli facenti parte di un tutto unico. Ovviamente si perdono certi scambi basati sul doppio senso di genere, ma pazienza, credo sia meglio così.
Anche il discorso sull'edilizia non è campato per aria (per quanto lo possa sembrare LOL), è vero che la costituzione delle cittadine sulla East Coast ha seguito questi dettami, ho tagliato un po' sui dettagli per non rendere troppo pedante il tutto ma insomma, se doveste mai capitare in quelle zone lì il tutto è constatabile anche ad un occhio non esperto.
Qualche info sui personaggi. Facendola brevissima, Rob, Jude e Jamie sono tutti della stessa età, mentre Hugh è sulla trentina. La sorella di Rob è più piccola ed ha circa quindici anni.
Riguardo la macchina, potete ammirarla qui in tutto il suo splendore. Questa fic è molto "maschile" per certi versi, per le tematiche di cui tratta, per il mondo in cui è ambientata, per il punto di vista dei personaggi. Non so che farci. Cioè, onestamente, a me queste cose piacciono un sacco, e togliendole la storie perderebbe quella caratteristica per la quale la sto scrivendo. Perciò se vi piace abbiate pazienza, e sorbitevi queste breve parentesi di mondo macho di tanto in tanto (anche perchè, diciamola tutta. Provate ad immaginare Jude tipo così su una macchina del genere... non è la perfezione pura? *O*)
Avrete notato la foto alla fine del capitolo. Dopo un breve consulto ho deciso di metterne una alla fine di ogni chap, giusto per aiutarvi ad inquadrare il setting, ché mi rendo conto risulta sconosciuto alla maggior parte (se non tutti) di voi.
Oh, ultima cosa prima di lasciarvi in pace. Le lyrics che danno il nome al capitolo sono prese dall'orgasmo uditivo costituito da una canzone intitolata Jungleland (che io non riuscirò mai più ad ascoltare probabilmente ma vabbè, questo non c'entra con noi T_______T). Non è rilevante ai fini della AU, ma ecco, ci tenevo a passarvi il link, mi sembrava giusto.

Bene, direi che con questo ho finito. Alla prossima, se volete continuare a seguire.

   
 
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