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Autore: Shadowolf    04/06/2011    5 recensioni
Fine anni '60, Jersey Shore.
Cronaca di un'estate passata ad ammazzare il tempo cercando di non pensare al futuro, tra motori, musica, erba e spiaggia. On The Road meets American Graffiti, con la colonna di Bruce Springsteen.
Genere: Drammatico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Racing in the street

La prima volta che incontrai Jude fu poco dopo aver lasciato la scuola. O meglio, dopo che dissi a me stesso che non sarebbe comunque servito a nulla continuare. I miei ovviamente intuivano qualcosa, ma non ne parlavano mai apertamente con me, e probabilmente neanche tra loro. Anche perché erano entrambi presi da altre folli questioni per prestarmi un’attenzione continua che forse avrei meritato.
Ripensandoci adesso, magari avrei fatto meglio a dire le cose apertamente, piuttosto che lasciarle intendere. Ma dopotutto avevo solo 21 anni, e il concetto stesso di futuro sembrava troppo lontano e troppo complicato per essere degnato della mia attenzione. Quando ci avevo provato, mi era venuta voglia di fuggire lontano, facendo completamente perdere le mie tracce. Non una grande idea, ovviamente. Così a lungo andare avevo preso ad ignorare ogni prospettiva che superasse i sei mesi di progettazione e a vivere letteralmente alla giornata. Mi alzavo tardi, buttavo giù un bicchiere di latte quando me ne lasciavano, mi vestivo ed uscivo di casa intorno a mezzogiorno, solo per farci ritorno un paio di ore più tardi e cominciare la solita trafila di battibecchi con i miei, che ovviamente lamentavano quella che a loro pareva essere solo totale mancanza di interessi. In realtà era solo una visione mutuata da un’ottica obsoleta, che non sentivo più come mia, se mai c’era stato un periodo in cui l’avevo condivisa. Il solito stacco generazionale, suppongo. Quel che è certo è che in quel periodo stavo cambiando, anche se non me ne accorgevo affatto.
 
Era già da un paio di settimane che mi parlava di lui, Jamie. Diceva che era solo questione di tempo prima che arrivasse quella che a lui piaceva chiamare “La Novità”. E andò avanti per giorni e giorni senza dirmi cosa – o chi, come sarebbe apparso chiaro in seguito – fosse. Avrei voluto mandarlo al diavolo tante di quelle volte, quando tutto ad un tratto – mentre stavamo seduti sul portico di casa sua a guardare le ragazze passare di lì, o sdraiati sulla spiaggia, dopo un bagno – si stampava quel suo sorriso bianchissimo sulle labbra e guardava l’orizzonte, ripetendo due o tre volte “Sta arrivando, Robbie. Sta arrivando.”
Ma alla fine lo lasciavo parlare e pavoneggiarsi di questa grande novità, dubitando fortemente che potesse essere questa gran cosa, magari capace di cambiarmi la vita. In quel momento avevo tutta l’intenzione di andare avanti a quel modo il più a lungo possibile, e in cuor mio speravo che il tempo prendesse a scorrere più piano, per permettermi di godere appieno quell’atmosfera sospesa e tranquilla nella quale mi piaceva crogiolarmi.
Non sapevo se Jamie cogliesse questa mia propensione al dolce far nulla, al fregarmene di tutto quello che mi capitava attorno, al vivere quei miei giorni senza aspettarmi niente, cercando solo di andare a dormire ogni volta senza la fottuta consapevolezza dello scorrere del tempo. Però rimaneva sempre con me, e tanto mi bastava. Il resto dei ragazzi del posto mi girava alla larga, non sapevano che aspettarsi da me, e in cuor mio li ringraziavo, perché non avrei mai potuto sopportare la compagnia di persone che mancavano anche di idee proprie, oltre che di qualsiasi voglia costruttiva. E lo stesso facevano con Jamie, ma per ben altri – e più stupidi – motivi.
Così alla fine ci eravamo trovati, ed in breve tempo eravamo diventati amici, forse anche dei migliori. Perché entrambi non avevamo nessun altro di veramente fidato, eravamo disillusi, stanchi di lottare contro quell’invisibile mano che ti respinge ogni volta indietro, e credevamo che era nel nostro diritto prenderci un periodo di pausa. Senza fissare una data di scadenza.
Per questo quando quella mattina del giugno 1969 Jamie si decise a sputare finalmente l’osso accolsi la rivelazione con molta perplessità e un pizzico di scocciatura. Non avevo granché voglia di fare una nuova conoscenza, ripartire da zero con quelle stupende domande su chi sono, cosa ho fatto e dove voglio andare, che se un giorno dovessi capirne l’utilità probabilmente poi potrei anche morire contento.
‹‹ Dio, Jamie, mi hai rotto le palle tutto questo tempo solo per un ragazzo? Pensavo avessi trovato un modo per comprare quella cazzo di tavola da surf! ››
‹‹ Scusa eh, ma cosa ci dovrebbe essere di nuovo in una tavola da surf, testa vuota? ››
‹‹ Jam1, tu sei capace di eccitarti anche se tuo padre torna a casa con un nuovo tipo di shampoo. ››
Ci guardammo serissimi per un paio di secondi prima di scoppiare entrambi a ridere, come spesso ci capitava quando stavamo da soli. Ridere per qualcosa che il mondo esterno non avrebbe mai potuto capire. Non lo shampoo in sé.
‹‹ I nostri capelli richiedono più cure nel caso non lo sapessi, milkshake vanigliato. ››
‹‹ Certo, è un dato di fatto. Come io adoro lavorare. ››
‹‹ Quello si chiama essere uno scansafatiche. Cosa c’entra ora? ››
‹‹ Adesso ho voglia di milkshake. ››
‹‹ Idiota. ››
‹‹ Darmi dell’idiota non ti salverà dalle tue responsabilità. ››
‹‹ Sarebbero? ››
‹‹ Comprarmi un milkshake. ››
‹‹ I dollari hanno dichiarato guerra alle mie tasche. ››
‹‹ Dovevi pensarci prima. ››
Smise di rispondere a quel gioco idiota che facevamo sempre e mise su di nuovo quel ghigno. Lo avevo perso di nuovo, e in poco tempo. Cominciai a portare il conto e prima di arrivare a 4 udii la sua voce riprendere a parlare.
‹‹ No, ma sul serio, Robbie. Lui è il meglio di quest’estate. ››
‹‹ Scusa, mi sono perso. Stiamo mettendo su un’impresa e nessuno m’ha detto niente? ››
‹‹ Dài, è vero! Tu non lo conosci, ma fidati qu- ››
‹‹ Cos’ha di speciale!? ››
E qui i suoi occhi si illuminarono come non mi era mai capitato di osservare prima di quel momento. Mi rivolse quello sguardo mezzo allucinato e sorrise se è possibile ancora di più.
‹‹ E’ inglese! ››
Rimasi a fissarlo come impietrito per una decina di secondi prima di rispondergli, il sarcasmo nel mio tono che toccava i massimi storici.
‹‹ Grande, uno di noi proprio... ››
‹‹ Nonono, fidati, è in gamba, e inglese! ››
‹‹ Jamie, ho capito che è inglese! Scusa se non faccio i salti di gioia all’idea di avere una conversazione di cui capirò sì e no la metà di quello che si dice... ››
‹‹ Che esagerato... ››
‹‹ No, è vero. Avrò un handicap, che ne so! ››
Lui sghignazzò e ancora una volta mi fissò negli occhi, facendomi per un momento interrogare sul suo stato di salute mentale. Eravamo due squilibrati.
‹‹ Che c’è ancora? ›› gli chiesi, facendo di tutto per mantenere uguale il sarcasmo.
‹‹ Vuoi sapere il suo nome? ››
‹‹ Che mi cambia saperlo in anticipo? ››
‹‹ Fidati. Sarai eccitato anche tu. Almeno un po’. ››
Era così su di giri che mi sembrò inutile ribattere, e anzi, ritenni cosa buona farglielo sputare fuori, nella speranza che poi ci avrebbe dato un taglio.
‹‹ Va bene, dimmelo. ››
‹‹ Si chiama Jude. ››
Per un attimo pensai che scherzasse, ma quella lucina nei suoi occhi mi disse che no, era serio, purtroppo. Jude.
‹‹ I Beatles mi hanno rotto le scatole. ››



AUTHOR'S CORNER: Io una volta ero un tantino più normale (anche se stenterete a crederci). Avevo dei principi. Ultimamente non so che razza di fine abbiano fatto. Risultato è che adesso vi beccate questa cosa senza capo nè coda che ho scritto giusto perchè ieri stavo scazzata al massimo e mi misi a guardare un live di Bruce Springsteen in cui c'è la song che dà il titolo a questa AU e che ho sempre voluto inserire in qualche cosa RDJude. Non c'era nessunissimo bisogno di farne una long (un'altra), visto che oltre a fare schifo l'idea, ne ho già un'altra pendente ed io purtroppo mi conosco troppo bene per non preoccuparmi.
In più postare su EFP sta diventando di una deprimenza assurda, perchè mi sembra sempre di far discorsi senza arte nè parte e di parlare di cose che uno mi guarderebbe così: O_o
Tutte queste cose sono motivi più che validi per non postare quello che invece ho postato. 
Il punto è che stamattina stavo dando di nervi per altre cose e l'unico modo per far finta di niente di tutto quanto era buttarmi su questa long (che comunque, a parte tutto, io fossi io morirei dalla voglia di leggere, ma perchè sono cose che interessano me e che lasciano perplesse la maggioranza delle persone.
... E mio padre è appena entrato gridando in camera mia, vabbè.
Ci sarebbero un po' di cose serie da dire riguardo al setting eccetera, ma adesso mi limiterò a darvi qualche dettaglio accennato, riservandomi al prossimo capitolo di approfondire (più che altro perchè potrei uscire da un momento all'altro, e non so quanto torno poi -.-). 
Il Jersey, per quanti di voi se lo stessero chiedendo, è lo stato immediatamente appiccicato a quello di New York. In particolare, la cittadina dove si svolge la storia, Asbury Park, dista da NYC circa un'ora e un quarto di macchina, che in pratica separa la periferia (e l'arretratezza mentale) tipica del New Jersey con la sfavillante e temeraria grande città. Tenetelo a mente durante tutta la AU, perchè questo è un punto cruciale per la comprensione delle dinamiche dei personaggi.
Prima di chiudere e lasciarvi finalmente in pace devo fare una precisazione. Il tono del prologo non so da dove venga fuori, non vi aspettate che lo mantenga per tutta la AU, perchè così ovviamente non sarà. Fa schifo e me ne rendo conto, è completamente sconclusionato e scritto probabilmente anche a cavolo, e di questo mi scuso.
Comunque, per quel che può valere, la fic è tutta tutta per Fra', si può dire che l'abbia scritta solo per lei, visto che stanotte quando m'è venuta l'idea s'è mostrata tutta entusiasta (senza che ne valga la pena, ovviamente) e mi ha dato quel pizzico di pazzia che mi ha fatto andare a dormire ripensando a questa malsana idea che poi ha preso disgraziatamente forma. Per te, Fra', anche se non è all'altezza.
Peace out.

   
 
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