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Autore: Guitarist_Inside    22/06/2011    3 recensioni
Eccomi.
Here I am.
Finalmente, potrei aggiungere.
Finalmente posso lasciarmi alle spalle un uragano di fottutissime bugie a cui non appartengo.
Finalmente posso prendere in mano la mia vita.
[...] E quindi, eccomi qui, che non ne posso più, e che cerco di lasciarmi alle spalle tutto ciò, questa terra di false credenze che non crede in me e in cui nemmeno io credo. Anzi, me ne frego altamente, o almeno così tento di fare.
Eccomi qui, dunque, che cerco di scappare da tutto questo, diventato fin troppo opprimente, per provare a trovare quello in cui IO credo.
...Direte che ho fatto una scelta fin troppo drastica, che ho esagerato, che sono pazza, o altre cazzate del genere. Ma voi non siete me. Voi non abitate nei contorti meandri della mia mente. Voi non avete vissuto quello che ho vissuto io. Voi non potete capire assolutamente niente di tutto ciò, quindi non fate i finti saccenti che si prodigano a dire le solite, ennesime, boiate. [...]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Hey!
Duuuunque, per prima cosa un grandissimo grazie a voi che avete letto e, in particolar modo a voi che avete recensito (ShopaHolic e m i n o r i t y *__*). Riguardo a quest’ultime, direi che con questa “nuova” fic – S.M.F.F. (Sclero Mentale Formato Famiglia) inizierò ad usare quella bell’invenzione che è il form per la risposta alle recensioni, senza intasare come al mio solito con un angolo di idiozie e ringraziamenti questo spazio sopra al capitolo, non appena il mio PC me lo permetterà… :)
Premesso che mi fa molto ma molto piacere che, almeno dalle impressioni ricevute, l’idea non sia male, il primo capitolo vi è piaciuto, e ne vale la pena di continuare a scrivere questa fic… Ho continuato :D.
Mi spiace se è passato un bel po’ di tempo prima che riuscissi ad aggiornare, ormai è diventata una consuetudine che non riesco ad eliminare… Tra una cosa e l’altra, prima il torchio della scuola fino a metà giugno, poi balle varie, oltre alla mia troppa non-convinzione, mi hanno impedito di postare prima…
Sumimasen (I’m sorry).
Per “non-convinzione” intendo dire che questo second capitolo è stato un po’ difficile, nel senso che non mi convince appieno. Voglio dire, sembra un po’ uno di quei brevi capitoli dall’apparenza inutile, che poi, però, rivelano anche la loro utilità, quindi non potevo eliminarlo perché sarebbe parso che mancasse un pezzo, una parte della storia… Un po’ come (perdonatemi il paragone ma al momento non me ne vengono altri), nell’ambito di anime e manga, i cosiddetti
filler: certo, se uno vuole può saltarli e la comprensione generale della storia non ne rimane intaccata in particolar modo, però, magari oltre che divertire, proprio quei capitoli “filler” aiutano a comprendere meglio un particolare, oppure integrano alcuni aspetti della vicenda permettendo di capire meglio come si è arrivati a qualcosa (una situazione, un comportamento, eccetera), perché un determinato personaggio è in quel posto in quel momento a fare quelle cose, etc…
Ok, mi sono dilungata troppo, pardon ^^”. Ad ogni modo, anche se non mi convinceva appieno, proprio per questi motive sopra citati, oltre al fatto che se avessi cancellato tutto forse non avrei fatto in tempo a postare prima di partire a fine mese… Eccomi qui a postare anche questo secondo capitolo!
An, un’ultima cosa poi vi lascio (finalmente… lo so, ancora una volta mi sono persa e ho scritto un papiro) al capitolo… Ho già scritto, in momenti di ispirazione, metà del terzo capitolo (in realtà sarebbe stato un quarto, ma per motivi di tempo ho deciso di dividerlo in due parti – che probabilmente saranno intervallate da un quarto capitolo di cui ho già, anche per “lui”, un bel po’ di appunti scritti – , in modo da riuscire, magari, a postare ancora prima di settembre – sarò a casa, dotata di connessione ad Internet, qualche giorno a fine luglio… e
magari potrei postare qualcosa…)

Ok, ora, come promesso, vi lascio al capitolo (siate clementi! ^^” LOL), sperando che neanche ‘sta volta sia una totale Boiata e possa piacervi almeno un po’… Fatemi sapere cosa ne pensate! Lasciare una recensione, della lunghezza che volete, per dirmi che ci siete, farmi sapere la vostra idea e darmi eventuali consigli, non mi pare che abbia mai ucciso nessuno! LOL (voce-fuori-campo: “Non postarla invece, costituirà motivo per essere azzannati a morte…”; just kidding, just kidding XD ..Ad ogni modo, mi farebbe sempre molto piacere!)
Well, see ya soon!






CAPITOLO 2
Welcome to the East Bay…


Mi guardai intorno, in mezzo a tutta quella gente che andava e veniva, in quella confusione che sembrava seguire una sorta d’ordinata frenesia.
Ero riuscita a riottenere le mie valige, che avevo preso pochi minuti prima dal nastro trasportatore, e che ora giacevano quiete al mio fianco, una in corrispondenza ciascuna mano, accompagnate dal mio “piccolo-ma-non-troppo” amplificatore. Mi ero messa lo zaino in spalla, ma nonostante ciò ero riuscita a portare sulla schiena anche la custodia morbida contenente la mia amata chitarra, facendo una magistrale attenzione a non rovinarla. Diciamo che me la cavavo ad arrangiarmi… Comunque, dato che mi ero fermata, decisi fosse cosa più saggia appoggiarla a terra, anch’essa accanto a me, più precisamente tra il mio fianco destro, il mio braccio e la valigia che giaceva da quella parte. A completare il quadro, le cuffie appollaiate sulla mia spalla destra, il cui filo spariva nella tasca dei jeans, dove avevo riposto il mio iPod ormai scarico.
Mi guardai di nuovo intorno, scrutando la folla, alla ricerca di Alex.
Gettai una veloce occhiata all’orologio: per una frazione di secondo rimasi di stucco, leggendo l’ora sul quadrante che mi pareva quanto mai improbabile confrontata al tramonto che tingeva il cielo, per poi darmi della stupida ricordando che lo strumento era ancora sintonizzato sull’orario italiano. Quindi, fatto un rapido calcolo del fuso orario, regolai di conseguenza l’orologio nove ore indietro, per evitare altri equivoci.
Non passarono due secondi che alzai nuovamente il polso, per ricontrollare l’orario: i troppi pensieri che vagavano e si aggrovigliavano nella mia mente avevano già sopraffatto quell’informazione.
19:43. Diciassette minuti alle 8 di sera.
L’appuntamento che avevamo concordato il giorno precedente era lì, alle 8 meno 20.
Beh, poco male, pensai: Alex sarebbe arrivato di lì a poco, non era mai troppo in ritardo.
Aguzzai nuovamente la vista, esaminando la gente che passava.
Poi, ad un tratto, sentii qualcuno chiamare il mio nome, alle mie spalle.
Sobbalzai sensibilmente, ma non saprei spiegarne esattamente il motivo.
Per un attimo mi sembrò come se fosse la prima volta che sentissi quel nome, il mio nome. E mi parve finalmente detto con la sua giusta, autentica, pronuncia, e con il giusto tono che gli si addiceva.
Per un attimo mi parve di cogliere l’essenza di quel nome. Per un attimo.
Non feci in tempo a voltarmi che una mano si poggiò, non proprio delicatamente, sulla mia spalla sinistra.
Non potei fare a meno di ridacchiare, scuotendo debolmente la testa.
Sapevo già a chi apparteneva, e girandomi ottenni la conferma, trovando, a pochi centimetri dal mio viso, il suo, su cui spiccava un sorriso smagliante, sincero, ed al tempo stesso beffardo, mentre due occhi di quel colore così peculiare erano intenti a fissarmi.
Nel frattempo, con la mano libera, scostò, con un gesto veloce, un ciuffo ribelle che il vento gli aveva gettato poco gentilmente davanti alla faccia, coprendogli parte del campo visivo. Poi alzò suddetta mano, in cenno di saluto.
Sì, era proprio lui.
Ancora stentavo a crederci, era tutto dannatamente troppo bello per essere vero…
– Hey Alex! –
Se non avessi avuto chitarra, zaino e valige che dipendevano dalla mia posizione, probabilmente l’avrei abbracciato, forse anche di slancio, come si vede fare in quei film dove due si ritrovano dopo tanto tempo ad una stazione o che-so-io. Nonostante tutto ciò non fosse nelle mie consuetudini, forse l’avrei anche fatto, dati la felicità, l’entusiasmo del momento, e quell’aria di libertà che arrivava inebriante ai miei polmoni…
– Hey Amy! – rispose lui, continuando a sfoderare il suo sorriso a trentadue denti – Welcome to the East Bay!
Poi raccolse da terra le mie due valige e, prima che potessi ringraziarlo, mi fece cenno di seguirlo.
Raccolsi la mia chitarra, l’amplificatore, e lo raggiunsi.
– Hey, grazie… Di tutto, volgio dire… – gli dissi non appena fui nuovamente al suo fianco.
Lui, in risposta, alzò semplicemente le spalle, pronunciando a mezza voce un “no probs”, per poi cambiare argomento.
– Beh, che te ne pare? – fece poi, mentre uscivamo dall’aeroporto.
– Che me ne pare… di cosa? –
– Di tutto… Voglio dire, del viaggio, di San Francisco, della East Bay, dell’aria che tira qui, della tua nuova vita che ti aspetta, eccetera… –
– Domandina semplice semplice, eh? – risi io, ironica.
– Più o meno – rispose lui, cogliendo la palla al balzo, con finta indifferenza ed un ghigno velato.
– Beh, una cosa è certa: il viaggio poteva andare peggio, San Francisco e la Bay Area le sto vedendo dal vivo ora per la prima volta, ma nonostante tutto si prospettano fottutamente un’assoluta figata; l’aria che tira qui mi sembra più libera e leggera di quella che mi soffocava prima in Italia, e per la nuova vita… beh, boh. Ci sono tante aspettative, un intrico che non ti immagini di sogni, ed un altro di timori, e un altro ancora di ogni sorta di sentimenti che provo o potrei provare che si mischiano in una matassa così complessa e intricata che ora non ho voglia di mettermi qui a srotolare per tentare di capirci qualcosa… Insomma, ho già troppi problemi di mio, un cervello pazzoide affaticato dal viaggio e tutto il resto, e dobbiamo arrivare da te prima di notte fonda, no? Quindi mi sa che per ora non ho il tempo di analizzare tutto ciò. – feci una pausa e ridacchiai – Che te ne pare, come risposta? Può andare? –
Dopo avermi ascoltato con quell’attenzione che lo distingueva da tutti gli altri, rimase in silenzio un’altra manciata di secondi, continuando a camminare accanto a me, e assumendo un’aria quasi pensierosa.
– Uhm… Sì, per ora potrebbe andare… – disse poi, con finta aria di sufficienza, per poi scoppiare a ridere due secondi dopo, non riuscendo più a trattenersi – Sei forte, ragazza! Te l’ho già detto, sì? Beh, chissenefotte, te lo dico ancora: sei fottutamente forte! – ribadì, battendomi una pacca sulla spalla.

– Senti… Ho dietro qualche soldo… Prendiamo un taxi, ok? Così arriviamo in un tempo decente, e poi se non sei troppo stanca molliamo giù la tua roba e ti porto in giro a vedere un po’ la zona, ti va? – propose Alex.
Yeah, it would be great… – sorrisi – Però… – aggiunsi due secondi dopo, più seria, riflettendo – Voglio dire, non è così tardi, possiamo andare anche coi mezzi e… –
– Mica vado in miseria per un taxi! – esclamò lui, quasi ferito in quello che si suole chiamare orgoglio, prima ancora che potessi terminare la frase – E poi, dobbiamo festeggiare, no? – terminò, mutando espressione in un sorriso allegro.
Scossi debolmente la testa, mentre le mie labbra tornavano a piegarsi all’insù.
Se quel ragazzo si metteva in testa una cosa, era difficile fargli cambiare idea. Avrei dovuto averlo imparato, ormai.
D’altra parte, anch’io avevo un bel caratterino, e quando mi impuntavo era difficile distogliermi dal mio obiettivo: sarebbe stata dura prevedere chi l’avrebbe spuntata tra noi due se avessimo insistito. Ma in quel momento non avevo voglia di ostinarmi: insomma, se riteneva di poter prendere un taxi senza problemi, perché dovevo rifiutare una gentilezza e litigare per una cazzata? Certamente ci sarebbe rimasto male, magari si sarebbe anche sentito davvero ferito in quel suo fottutissimo orgoglio, e le prime avvisaglie stavano già in quell’esclamazione fin troppo celere con cui aveva interrotto la mia obiezione… Nah, non valeva assolutamente la pena litigare per una cazzata del genere, anche se poi ci sarebbe passata velocemente e tutto.
E quel suo sorriso mi faceva propendere per la sua proposta. In fondo, aveva ragione: dovevamo festeggiare.
– Ok, allora… – acconsentii – Se per te non è un problema… –
– Ma figurati! Let’s go! – rispose lui, prima ancora di lasciarmi terminare.
Poco più di cinque minuti dopo eravamo seduti su un taxi ad attraversare il Golden Gate.
Dio, era davvero fantastico!
Il ponte era veramente lunghissimo, sembrava non finire mai, ma la vista, dorata ed imbrunita dagli ultimi raggi del sole, che trapassavano l’aria di quella calda ma piacevole giornata di inizio estate che stava giungendo a termine, per poi specchiarsi sull’acqua e rischiarare le terre sotto di noi, la rendevano davvero magnifica… E il fatto che per me quel ponte rappresentasse una specie di passaggio simbolico e fondamentale della mia vita, un punto di svolta vitale che mi portava verso nuovi orizzonti che si prospettavano misteriosi ma, in qualche modo, comunque interessanti e freschi di libertà… beh, non faceva altro che renderla ancor più speciale.
Perché quella giornata, una qualsiasi giornata di un qualsiasi mese di un qualsiasi anno, una giornata che si sussegue ad un’altra, quella giornata dall’apparenza innocente e “normale”, beh, quella giornata, per me, non era una giornata qualsiasi, ma una giornata speciale, sostanziale nel percorso della mia vita, che speravo veramente cambiasse in meglio.

   
 
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