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Autore: formerly_known_as_A    22/06/2011    1 recensioni
Alza lo sguardo verso il cielo ed ha il riflesso di buttarsi nella sabbia, liberando nella caduta un po' dell'ansia che gli sta mangiando pezzo per pezzo lo stomaco. E' grigio. Probabilmente pioverà tra poco. E' uno di quei momenti di calma irreale prima di un temporale. E' tutto troppo calmo per non insospettirsi.
Oh, ironia. Persino gli elementi lo prendono in giro. O forse è solo lui a vedere similitudini ovunque.

[Personaggi: Norvegia; Danimarca - Bashing contro un pg femminile, ma giustificato dallo stato d'animo del personaggio su cui si basa il punto di vista]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Danimarca, Norvegia
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Note dell'autrice del primo capitolo:

Sembra che qualcuno abbia preso a cuore questa storia al punto di scriverne un seguito, dal punto di vista di Norge. Ho deciso di pubblicarla, con il suo permesso, come secondo capitolo.

Sembra che questa diventerà una Long a quattro mani, ma non ne sono sicura, visto che non era la mia intenzione originaria (e per questo motivo la tengo “completa”). Come potrete notare, abbiamo due modi di scrivere totalmente differenti, quindi potrà risultare un po' strano leggere l'uno e l'altro capitolo.

Buona lettura a tutti. :)
Amy





Due settimane.

Non è molto tempo, ma è abbastanza.

Due settimane senza vederlo, senza nemmeno sentirlo.

Non ha potuto nemmeno scrivergli, chiedergli come stesse, non dopo averlo lasciato in quel modo, non dopo essersene andato con la sua mano sanguinante impressa nella mente.

Il senso di colpa lo sta uccidendo.

Non si pente di averlo lasciato, era la cosa giusta da fare.

Baciare un'altra persona, donna o uomo che fosse, è stato un motivo più che valido -dal proprio punto di vista- per allontanarsi.

Se è arrivato fin lì, se ha permesso che accadesse, se ha provato attrazione per lei... non poteva -assolutamente- restare insieme a Danimarca. Non sarebbe stato giusto.

Gli manca. Certo, gli manca molto.

Gli mancano soprattutto le stupidaggini e la sua risata chiassosa.

E' come quel guanto, singolo; e forse dovrebbe darglielo.

Così potrebbe usarli tutti e due normalmente. Gli piacevano.

Lui preferisce non rimescolare troppo i ricordi, anche se... una parte rumorosa di sé gli sussurra di tenerlo, perché non vuole separarsi da quello stupido indumento.


Ricorda il sangue che gli macchiava le labbra. Lui, che prende e lo lascia in quello stato, a fissare a tratti il mare, a tratti quella stessa mano che gli aveva stretto brevemente per farlo smettere.

Sarebbe fuori luogo chiamarlo. In parte non ha semplicemente il coraggio.

Sarà andato da Svezia? L'importante è che non stia solo.

Con che diritto continua a preoccuparsi per lui? E' adulto e...

Sì, ma non sta bene. E' sempre stato fragile e psicologicamente instabile. No, lo era. Era.


Quando cammina per strada con Ucraina, nessuno li addita né li guarda male.

Sono una coppia giusta, legittima e normale per la gente. Un uomo e una donna, come dovrebbe essere.

Lei lo tiene sottobraccio e sorride, parla in continuazione con una vocetta allegra, riempie il silenzio.

E' bello camminare con lei senza sentirsi al centro dell'attenzione.

E' strano. Nonostante siano tanto diversi e non lo capisca del tutto, stanno bene insieme.

Solo...

Dov'è la passione? Quella travolgente, accecante nebbia che prendeva possesso della sua mente e lo spingeva a premere Danimarca contro la prima superficie disponibile, non appena erano soli in casa? Non c'è niente di tutto quello. Non che cerchi la passione, ma non c'è.


Danimarca starà bene.

(Ci crede davvero?)


Riunione.

Per la prima volta dopo infinito tempo sono nella stessa stanza come due estranei.

Seduti al tavolo insieme ai propri Capi, con fogli pieni di scritte fittissime sotto il naso, a discutere di politica e riforme.

Deve dargli merito, non credeva si sarebbe presentato così presto.

Danimarca non lo guarda -almeno non a quanto gli sembra-, ma resta testardamente con gli occhi bassi a bere caffè e a parlare solo quando è il suo turno, concentrato e serio.

Troppo serio.

Non è abituato a non sentire nemmeno una battuta, sia pure durante le riunioni ufficiali.

Indossa dei guanti di pelle. Bruttissimo segno.

Non è affar suo, quindi eviterà di chiedergli qualsiasi cosa ed eviterà di farsi vedere troppo.

Finita la riunione, andrà a lavarsi le mani -maledette penne e il loro inchiostro- e tornerà a casa.

Non ha bisogno di chiedergli come stia, può indagare con le altre Nazioni.

Vede la confusione di Islanda dipinta in ogni tratto del suo viso sempre un po' infantile.

Non gli ha detto niente e di sicuro nemmeno lui.

Dev'essere incredibilmente strano vederli seduti lontani. Chissà a cosa sta pensando.

Non ha intenzione di star lì a spiegargli come sia finita. Mani e casa. Veloce.

Si alza, non appena è chiaro che la riunione sia conclusa, raccoglie le sue cose e si dirige con passo sicuro verso la toilette. Evita attentamente di passare dalla parte di tavolo dove è seduto il fratello e volge la sua attenzione alla porta.

In bagno posa la valigetta in terra e apre l'acqua del lavello. Si lava le mani con cura, come sempre.

Non si accorge nemmeno della porta che si apre alle sue spalle e dei passi incerti che si avvicinano.

E' tardi quando solleva il viso e vede nello specchio il volto di Danimarca, le sue mani inguantate protese in avanti.

Non fa nulla per difendersi, resta semplicemente a fissarlo, apatico.

Se lo merita?

Forse.

Le mani si stringono attorno al proprio collo pronte a soffocarlo.

La cosa peggiore è il suo sguardo.

Uno sguardo che non avrebbe mai voluto rivedere. Mai, mai più.

Socchiude gli occhi e resta a fissarlo mentre cerca di ucciderlo.

Danimarca però non stringe. Rimane semplicemente con le mani in quella posizione e per quanto il gesto sia minaccioso, nelle mani non c'è forza né volontà, per cui sembra quasi qualcosa di tenero.

Passano meno di cinque secondi, scanditi dal suono di poche gocce d'acqua, prima che si ritragga.

Norvegia continua a guardare il suo aspetto tremendo con occhi inespressivi.

“Perché ti sei fermato.”

Ma lo sa. Sa che non gli ha mai fatto del male, in nessuna circostanza.

Lui lo guarda di rimando, le mani tremanti che gli si stringono adesso intorno al petto, tirandolo indietro e abbracciandosi in maniera scomposta.

“Non... non si fa del male alla persona che si ama. Me l'hai insegnato tu.”

Mattæus, non dire così. Non continuare ad amarmi.

Sospira e abbassa la testa, prendendogli una mano -senza trovare resistenza alcuna- e sfilandogli lentamente il guanto di pelle nera.

Come temeva: sotto, la mano è completamente fasciata da bende che iniziano a trasudare sangue, forse per la tensione muscolare di poco prima.

Le srotola e si riavvicina di quel mezzo passo necessario a mettergliela sotto l'acqua.

“Se continui non guarirai mai.”

“Non voglio guarire.”

Sì, perché dolore scaccia dolore. Lo so, me l'hai detto.

Gli libera anche l'altra mano e mette sotto l'acqua anche quella, lavando via il sangue per quanto possibile. Sono ferite fresche, come se si fosse appena staccato la carne a morsi.

Odia quello spettacolo, ma sa di esserne la causa.

Non può chiedere scusa, non avrebbe senso.

Con un altro sospiro -consapevole di dare l'impressione di fregarsene di lui, forse di essere perfino infastidito, ma incapace di reagire in altro modo-, prende un mucchio di carta e gliele protegge in un impacco.

Si volta e lo guarda direttamente negli occhi, dopo un lento momento speso a raccogliere il coraggio di farlo per affrontarlo di nuovo.

“Abbi cura di te stesso, per favore.”

Danimarca ridacchia, un suono insano e incerto.

“A chi importa?”

A me, idiota. Anche se ora non lo credi possibile.

“Fallo e basta”, sbuffa voltandosi per riprendere la valigetta.

Viene travolto e spostato, buttato di peso dentro un cubicolo della toilette.

In un attimo è stretto tra le sue braccia, malamente costretto in una presa di puro panico.

Danimarca cade seduto sulla tazza chiusa, portandoselo contro, emettendo un verso strano e stringendolo con delicatezza.

“M-Matt...”, tenta debolmente.

“Lukas... Lukas... solo un... momento...”

E' stato abbastanza freddo e distaccato, alla spiaggia?

Ora come può negargli un abbraccio? Sembra averne un bisogno inesauribile.

Poi, non è che non gli importi più nulla di lui dall'oggi al domani.

Norvegia annuisce e si lascia stritolare senza obiettare, ma anche senza ricambiare la stretta.

E' imbarazzante. Chiusi in quel bagno, in quel modo.

Se ne accorge a scoppio ritardato, ma ha il cuore nelle orecchie. Un tamburo costante.

Danimarca sposta il viso e finisce con il naso sul suo collo, immerso tra il colletto della camicia e i capelli biondi un po' lunghi. Lo sente respirare veloce, ma lottare per calmare quell'affanno e aspirare meglio il profumo che -ha sempre detto- gli sente addosso. Un profumo di cose dolci.

Lo lascia fare, incerto su quanto tutto quello possa essere sano.

E' piacevole essere stretti da lui, ma deve interromperlo.

Non stanno più insieme e quel tipo di abbraccio ha così poco dell'amicizia...

“Adesso basta”, mormora cercando di non essere troppo duro, ma con voce ferma.

Lo sente emettere un altro piccolo verso, una specie di gemito di protesta.

Non mi hai guardato mai... mai... ed io avevo sempre gli occhi su di te... volevo che mi guardassi almeno un istante... solo un secondo della tua attenzione, Lukas...”

Deve essere di nuovo il bastardo della situazione? Sia.

“E' finita, Danimarca. Ti prego, lasciami andare.”

E' certo che stia pensando di essere patetico e si starà odiando, ogni secondo.

Dev'essere incredibilmente triste per lasciarsi andare tanto.

“Ho baciato un'altra p...”

“Questo lo so!”, sbotta Danimarca stringendolo ancora di più a sé. “Lo so molto bene. Me l'hai detto. Tino con le tette, come faccio a dimenticarlo?!”

Una pausa nervosa, prima di una domanda che deve premergli molto.

“Stai insieme a lei adesso?”

Lascia passare qualche momento, pensando a cosa rispondere. Poi, opta per la verità, come sempre, anche se potrebbe benissimo tacere.

“No.”

Lo sente rilassarsi un attimo e poi tornare a stringerlo, muovendo le braccia dietro la sua schiena.

“Sei... tu sei... innamorato?”

No, non ha mai provato niente del genere per lei, ma non è quello il punto.

“Ti ho tradito. Mi sembra sufficiente.”

L'altro scuote la testa e torna a respirare il suo profumo direttamente dal collo, tenendogli i fagotti delle mani contro la scapole.

Sente un mugolio, ma è perché deve aver risposto qualcosa. E' talmente vicino e schiacciato che non riesce a parlare bene. Cos'ha detto?

Non ha tempo per questo, deve uscire da lì.

“Non importa.”

Sta scherzando?

“Non mi importa niente.”

Questo lo fa arrabbiare. A lui importerebbe, moltissimo. Significherebbe che non ha più senso stare insieme, che tutto quello in cui credeva non esiste più. Perché non lo capisce?

“Devo andare, dico sul serio.”

“Voglio solo restare con te, cazzo! E' tutto quello che mi interessa! Vada a farsi fottere anche quel bacio!”

Resta immobile, lasciando che si sfoghi, facendo in modo che la propria rabbia sfumi e non esploda. Odia perdere il controllo, anche in una situazione del genere.

“Non è giusto e non devi pensarla così.”

“Non dirmi come devo pensarla, Lukas!”

Non sta gridando, ma è alterato.

Non ama i toni alti e la voglia di tornarsene a casa è diventata quasi un'urgenza.

“Mm, allora la penso io in un altro modo. Un modo che non mi permette di...”

“Sta-stammi a sentire!”, sbotta spostandosi e prendendogli il viso tra le mani, se 'mani' possono essere quei mucchietti umidi di carta ruvida. Danimarca lo guarda, ma solo per un breve istante: abbassa lo sguardo e parla con lui, fissando un punto imprecisato della sua camicia.

“Mi importa, mi fa stare male e mi fa morire dentro pensare... anche solo ad un bacio... ma non ce la faccio, capisci? Non ce la faccio senza di te. E' più importante stare ins... non... non sto...”

Bene. Non stai bene. Lo vedo. Mi sembra di rivederti impazzire secondo dopo secondo.

Non posso farci niente. Non posso aiutarti, né tornare indietro.

Approfitta della sua momentanea debolezza per liberarsi. Si alza, si allontana, si libera della sua presa e resta appoggiato con la schiena, in piedi, alla porta chiusa dietro di sé.

Danimarca non tenta di riprenderlo, ma china la testa e respira pesantemente.

“Abbi cura di te stesso”, gli ripete in un soffio.

“Mi importa”, lo sente replicare in un sussurro tremante, come se non avesse sentito. “Mi importa molto che tu l'abbia baciata. So che è qualcosa di speciale, conosco l'importanza che hanno per te i baci.”

Grazie. Basta parole, adesso. Sto aprendo la porta, non lo senti?

“Non mi ami più?”

Norvegia si blocca, sussultando involontariamente.

Dove lo trova il coraggio di porre domande tanto dirette? A lui, poi.

“Questo non l'hai detto. Quando... quando hai smesso?”

Quando ho smesso? Mai. Mai, ovviamente. E' complicato.

Non hai bisogno di me.

Lei mi piace. Volevo stare con una donna. Volevo baciarla.

Il solo fatto di averlo pensato e fatto... mi allontana da te. Lo capisci. Lasciami andare.

Non voglio arrabbiarmi per chi mi giudica.

Quegli sfigati che non capiscono niente della vita, giusto?


Non gli risponde. Non può farlo.

Apre la porta e lo abbandona.


Di nuovo.


Il guanto che ha lasciato sul lavello aspetta di essere raccolto.

   
 
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