CAPITOLO
VII: BLOODY CARNIVAL
Suona il citofono, rispondo.
“Gianni? Vieni dobbiamo
andare!”
È il capitano.
“Non so… ho un brutto
presentimento, come se anche stavolta qualcosa andrà storto… Molto storto… Un
incontro diretto con il nostro nemico…”
“Gianni, questa sarà
probabilmente la battaglia finale, non possiamo mancare!”
“Hmmm… va bene, mi dia il
tempo di prepararmi”
Quando mezz’ora dopo scendo,
trovo il capitano vestito da Babbo Natale che urla: “Ohohoh! Buon Natale!”
“Capitano, non è Natale, ma
Carnevale”
“Davvero?”
“Già…”
“Ah, pensavo fosse Natale… Ho
anche comprato al mio nipotino l’xbox che mi aveva chiesto…”
“Vabbé, in fondo è pur sempre
un travestimento, ciò che conta è questo”
Il capitano annuisce, poi mi
squadra un po’ incuriosito.
“Tu invece da cosa sei
vestito, Gianni?”
“Da Coniglio Pasquale”
“Ah… a proposito, come faremo
a riconoscere Robin Hood se sarà mascherato?”
“Be’, lui lo è sempre, se è
per questo!”
“Non mi sembra una cosa
positiva”
“Escogiteremo un modo,
intanto andiamo”
Detto questo ci dirigiamo
verso la folla festeggiante, vestiti da mascotte di festività che non c’entrano
nulla col Carnevale.
Tra la gente c’è molta
allegria, aiutata anche dai continui ‘Buon Natale’ detti dal capitano, ma di
Hood nessuna traccia. E io continuo ad avere un certo timore all’idea di
fronteggiarmi con lui.
“Dobbiamo proprio?” chiedo al
capitano con un tono che tradisce la mia preoccupazione.
“Sì, Gianni, è il nostro
lavoro” mi risponde il capitano fiero.
La sua sicurezza riesce a
risollevarmi un po’, ma nulla mi è possibile fare per evitare il divorzio tra
il mio tono e la mia preoccupazione.
D’un tratto sentiamo un grido
squarciare e uccidere l’aria e cominciamo a soffocare. Quando riusciamo a
rialzarci, corriamo verso la fonte dell’urlo, ma troviamo solo un cadavere.
È il presidente della
multinazionale ‘Facciamo vestiti di Carnevale e controlliamo se i CD sono
digeribili’.
Anzi, è il suo cadavere.
E ha una freccia conficcata
sul collo.
Cominciamo a guardarci intorno
alla ricerca di Hood, ma le persone mascherate ci confondono, impedendoci di
capire chi sia il colpevole.
D’un tratto vedo un uomo con
una faretra allacciata alla schiena e grido subito: “Capitano, guardi
quell’uomo!”
“Chi?”
“Quello vestito da Pesce
d’Aprile!”
“Ha una faretra! E le frecce
sono di un colore orribile! È sicuramente Robin Hood!”
L’uomo, al sentire quelle
parole, si volta di scatto, ci vede e comincia a scappare.
Io e il capitano ci muoviamo
in un rocambolesco e difficile inseguimento tra persone e bancarelle, cercando
disperatamente di raggiungere il Pesce d’Aprile. La fiera si svolge in una
piazza, ma l’uomo potrebbe anche decidere di uscirne, complicando la mia
situazione (non del capitano che si è stancato e seduto dopo 10 metri di corsa).
È strano… perché scappa
quando potrebbe ucciderci? L’ultima volta non è fuggito, è riuscito a
costringere alla fuga me!
Come volevasi dimostrare,
l’uomo esce dalla piazza per non avere più la folla tra i piedi e si precipita
attraverso delle strette viuzze, nel vano tentativo di seminarmi. Non sono
Gino, ma non sono comunque lento!
D’un tratto l’uomo tenta di
inoltrarsi in un altro gruppo di persone dove nascondersi da me, magari
togliendosi il costume, ma sono più veloce e telefono subito a Gino.
Hood non ha il tempo di
girare l’angolo che si trova davanti la Ferrari del mio sottoposto ed è
costretto a proseguire dritto.
Continuiamo a correre verso
una struttura abbandonata. La sede cittadina della multinazionale ‘Maltratta
& Co’.
Ma certo, come abbiamo potuto
non pensarci prima! Hood non aveva un rifugio quando ha compiuto la prima
strage e ha sfruttato la struttura abbandonata per nascondersi finora!
Il Pesce cerca di entrare
nell’edificio, ma da un cespuglio sbuca fuori Babbo Natale che si avvinghia a
lui e lo blocca urlando: “Ohohoh! Buon Natale!”.
“Grazie, capitano!” esclamo
quasi senza fiato appena lo raggiungo.
“Di nulla, Gianni”
“Ma come sapeva che si
sarebbe diretto qui?”
“Durante il mio riposino
pomeridiano ho avuto modo di riflettere e ho capito che il rifugio era
sicuramente questo”
“E non mi ha detto nulla?”
“Tu mi hai svegliato, ero
arrabbiato con te!”
Si volta dall’altra parte con
le braccia conserte e il broncio, mentre io sollevo il fuggiasco da terra e lo
ammanetto. Il caso è finalmente risolto.
Chiamo Gino per farci venire
a prendere e mi muovo con il capitano verso la strada.
Appena un attimo prima di
raggiungerla, accade una cosa inaspettata.
Robin Hood cade a terra.
Morto.
Con una freccia nel collo.
Io e il capitano prendiamo le
pistole e cominciamo a guardarci intorno.
D’un tratto il capitano nota
qualcosa, punta rapidamente l’arma, ma la vecchiaia lo rende lento.
Anche lui cade a terra.
Con una freccia nel collo.
Mi volto subito verso la provenienza
della freccia e lo vedo: Robin Hood.
“Non si preoccupi, ispettore,
è ancora vivo” mi dice con tono innocente “Ho anche evitato di prendere la
trachea, così che possa parlare, scambiando parole*”
Mi avvicino barcollando al
corpo del capitano, con le lacrime che mi rigano il viso.
Mi chino su di lui e lo
osservo, poi mi volto verso Hood gridando con la voce rotta dal pianto: “Ora
ucciderai anche me?!”
Robin ride come riderebbe un
pazzo omicida. E lui È un pazzo omicida.
“No, con te voglio ancora divertirmi
un po’” mi risponde sorridente “Quell’uomo sapeva troppo, come la mia esca
vestita da Pesce d’Aprile. Tu non sai nulla”
Prendo la pistola e faccio
per puntargliela, ma lui salta via, lontano dalla mia visuale e non torna
indietro.
“C… capitano…” sussurro in
lacrime.
“Gianni…” mi risponde
lentamente e con difficoltà.
“Mi dispiace… Non sono
riuscito a salvarla…”
“Non preoccuparti, Gianni…
Era giunta la mia ora… è giusto così… non è colpa tua…”
“Non si affatichi, capitano”
“Gianni… ho bisogno di un ultimo
favore…”
“Qualunque cosa!”
Il mio capo trascina vicino a
sé il pacco dei doni allegato al costume, ne tira fuori un pacco e me lo porge,
sussurrandomi: “Dai questo… al mio nipotino… e auguragli buon Natale da parte
mia… è la sua xbox…”
Scoppio in lacrime e il
capitano cerca di confortarmi perché io non pianga nel momento della consegna.
Lui non lascia cadere neanche
una lacrima.
Se ne va così, fiero e
coraggioso, come un vero poliziotto, l’unico uomo che abbia mai ammirato
veramente durante tutta la mia vita.
Mi faccio accompagnare a casa
del figlio del capitano da Gino e busso alla porta. Mi sono vestito da Babbo
Natale, usando il costume del capitano, che abbiamo pensato bene di vestire in
modo più consono all’ultimo viaggio.
Anche perché conoscendo la
sua velocità sarà un viaggio moooolto lungo.
Busso alla porta e mi viene
ad aprire il nipotino del capo.
“Ciao, piccolo, buon Natale”
gli dico porgendogli il pacco.
Mi raggiungono i suoi
genitori e mi guardano con faccia allibita.
“Ma oggi non è Natale” dice
il figlio del capitano.
Il bambino intanto è andato
nella stanza accanto a scartare il regalo. Appena i genitori sentono di che si
tratta, capiscono.
“Mio suocero…” comincia la
donna “È da parte sua quel regalo, vero?”
Annuisco silenziosamente.
“Come mai non è venuto lui?”
chiede l’uomo.
“Non… non è potuto venire…”
rispondo a testa china.
“Quel vestito l’ho cucito io
per lui” afferma la donna “Ci sono le sue iniziali cucite sopra!”
In quel momento il degno
figlio di suo padre capisce.
“Quando è morto?” mi chiede
“Un… Un’ora fa… circa…”
rispondo trattenendo le lacrime a fatica.
“Perdonatemi…” dice l’uomo,
allontanandosi in fretta.
Chiunque sarebbe distrutto
alla notizia della morte del proprio padre.
“Lei è l’ispettore Rossi?” mi
chiede la donna
“Come… come fa a saperlo…?”
“Mio suocero parlava sempre
di lei, nutriva molta stima, tanto che Stima ha dovuto seguire una dieta,
poverina! Immaginavo che un uomo che venisse qui annunciando la sua morte e
trattenendo le lacrime a fatica potesse essere solo lei”
Comincio a piangere a dirotto
e mi getto sulla donna, che mi abbraccia e cerca di confortarmi.
Finito lo sfogo mi congedo,
dicendo un’ultima frase: “Vendicherò il capitano Bianchi. Lo giuro”
La donna sorride e chiude la
porta, io salgo nella macchina di Gino. Anche lui è distrutto al pensiero della
morte del grande capitano di polizia Giacomo Bianchi.
“Andiamo, Gino, torniamo in
centrale” dico subito “Dobbiamo lavorare”
“Posso aiutarla nelle
indagini, ispettore?”
“Sì, Gino, ho bisogno di un
aiutante”
Lui sorride e torniamo verso
casa.
Il giorno dopo si tiene il
funerale, con tutto il corpo di polizia. Lo stesso giorno vengo promosso a
capitano, secondo le ultime volontà del defunto Giacomo Bianchi, promosso a
questore, pertanto Gino diventa ufficialmente ispettore e mio braccio destro.
Seguendo le stesse volontà,
il questore Bianchi viene seppellito con un aderente vestito da motociclista
anni ’50.
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*citazione Iliade