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Autore: Malvagiuo    22/06/2011    2 recensioni
Riprendo un fanfiction scritta da Clive Danbrough, di cui - diciamo - mi ha ceduto tutti i diritti.
Questa è la storia di Altair prima dell'inizio del videogioco. Il suo passato, la sua vita prima di diventare l'eroe della leggenda.
Genere: Avventura, Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altaïr Ibn-La Ahad
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Altaïr!»
Marouf correva a perdifiato lungo lo scosceso pendio su cui sorgeva il villaggio di Masyaf. Si dirigeva verso la sommità del colle, dove si stagliava maestoso il castello degli Assassini, autentico monumento alla potenza che l’ordine aveva guadagnato, omicidio dopo omicidio, nel corso dei secoli. Il forte, tanto grande da coprire con un velo d’ombra l’intero villaggio, era stata la meta di Marouf fino a pochi minuti prima.
Dopo aver scorto un cappuccio bianco in mezzo alla folla, le sue gambe lo fecero affrettare senza indugio verso quella direzione, tanto che urtò diversi uomini nel tentativo di agganciare il suo obiettivo. Quando, dopo diverse imprecazioni e parecchi ruzzoloni per terra, ebbe raggiunto l’uomo dal cappuccio bianco, era il ritratto dell’affanno. Ma la fatica, per quanto grande, si annullò innanzi allo stupore e allo sgomento, quando si avvide che l’uomo che aveva inseguito non era affatto Altaïr.
Dinanzi ai suoi occhi si ergeva Malik, e lo sguardo che gli rivolse esprimeva tutto fuorché comprensione.
«Ti sembra il modo di comportarti, Marouf? Se svolgerai i tuoi futuri incarichi con la stessa discrezione con cui ti sei avvicinato a me, temo che non arriverai mai a indossare il cappuccio bianco».
Marouf era ancora trafelato. Approfittò di quei pochi istanti per riprendere fiato, ma il suo affanno non parve dileguarsi.
«Sto… cercando… Altaïr…»
«Questo l’ha capito mezza Masyaf» ribatté Malik. «Penso si trovi al castello. Posso sapere perché lo cerchi con tanta disperazione?»
Marouf alzò gli occhi e, per la prima volta da quando si erano incontrati, sostenne lo sguardo del suo superiore.
«Suo padre sta morendo».
Malik tacque.
Aspettava quella notizia da mesi, ma chissà perché non avrebbe immaginato che sarebbe arrivata proprio quel giorno. Il suo volto si rabbuiò. Sapeva che cosa doveva fare.
«Torna alle tue mansioni, Marouf. Darò io la notizia ad Altaïr» mormorò Malik e, vedendo il tentativo di resistenza da parte del suo sottoposto, aggiunse: «È un ordine».
 
Malik camminava a passo sostenuto, ma senza fretta. Tra lui e Altaïr non vi era un vero rapporto di amicizia. Tra i due sussisteva una reciproca tolleranza. Per la verità, Altaïr non aveva mai stretto un rapporto con qualcun altro della setta, limitandosi unicamente alle interazioni indispensabili. Il fatto di esser divenuto Priore era testimone della sua innegabile abilità. Nessuno aveva mai raggiunto tale rango a quell’età senza intrattenere buoni rapporti con la maggior parte dei confratelli. La sua elevazione, dunque, non poteva che essere imputabile a un talento che si scopriva una volta ogni cinquant’anni.
Ed era stato Ayman a trovare quel talento.
Molti grandi Assassini avevano intessuto le lodi di Ayman, benedicendolo per la pietà che così tanto aveva significato per l’ordine. Ciononostante, difficilmente le stesse lodi venivano rivolte al frutto di quella pietà.
Ogni Assassino si augurava di dover svolgere un incarico assieme ad Altaïr.
Eppure, allo stesso tempo, ogni fratello lo disprezzava. Chi per invidia, chi per sdegno, ma nessuno lo benediceva alla stregua di Ayman, a parte i giovani novizi, che sognavano di diventare come lui.
Malik era un caso a parte.
Non lo disprezzava, perché era incompatibile con la sua natura disprezzare un uomo tanto grande e capace. Un poco lo ammirava, dentro di sé lo ammetteva, anche se con remore. Anche lui, un tempo, aveva sognato di raggiungere un simile prestigio. Ora si limitava a svolgere al meglio delle proprie possibilità gli incarichi che gli venivano assegnati, senza badare alla gloria.
All’entrata del cortile del castello, si domandò perché avesse strappato a Marouf il compito di informare Altaïr dell’imminente morte del padre.
Dopotutto, lui non era certo più in confidenza di Marouf con il Priore.
Aveva sentito di doverlo fare. Tutto qui. Aveva obbedito all’istinto. E Malik, del suo istinto, si fidava.
 
Nella corte d’armi Altaïr non c’era. Riconobbe molti novizi e addestratori, ma non vide nessun cappuccio bianco che gli ricordasse la sua sagoma furtiva.
Attraversò velocemente il cortile e si diresse verso il primo luogo che gli venne in mente, il più vicino. La biblioteca del castello. L’entrata era esattamente dinanzi alla corte, un poco sopraelevata, ma distante a sufficienza perché gli eruditi non venissero disturbati dal clamore delle armi.
Varcata la soglia della biblioteca, fu avvolto dalla penombra e dalla frescura. Gli parve di essere penetrato in un altro mondo. Il silenzio regnava sovrano, l’unico rumore percepibile era quello proveniente dal vicino recinto di addestramento, soffuso e smorzato dalle spesse mura. Il suo udito addestrato percepì la presenza di diverse persone, nonostante la sala apparisse vuota.
A sinistra, due eruditi si spostavano silenziosamente da uno scaffale all’altro, senza produrre il minimo rumore. Malik non li vedeva, ma era certo che loro fossero lì. A destra sentì la presenza di un solo uomo, nascosto anch’egli dagli scaffali. Fidandosi ancora una volta della sua intuizione, Malik si diresse verso quest’ultimo, e fu ripagato dalla scelta.
Altaïr si stagliava a pochi passi da lui, dandogli le spalle. Alto e fiero come sempre. Persino ora, nonostante non lo stesse guardando, avvertiva la supponenza del suo sguardo. Dal movimento delle sue braccia, Malik comprese che stava maneggiando un libro. Si avvicinò, cautamente e lasciando che il Priore si accorgesse della sua presenza.
«Che cosa vuoi, Malik?»
Malik si arrestò, trepidante.
Lentamente, Altaïr si voltò. Dall’ombra del cappuccio, si intravedeva un solo occhio. L’altro era coperto dal lembo dell’indumento candido. Un bagliore sinistro brillò per un istante nella sua occhiata gelida, poi scomparve.
Malik si abbassò il cappuccio in segno di rispetto.
«Tuo padre sta morendo, Altaïr».
Si era ripromesso di sostenere il suo sguardo, per dimostrargli la propria forza, ma non vi riuscì. Malik fu costretto a osservare le lastre di pietra del pavimento.
Un fruscio di mantello gli fece comprendere che Altaïr si era voltato di tre quarti.
«Mi dispiace» aggiunse in fretta Malik.
Senza dire una parola, Altaïr gli si avvicinò. Era a meno di un passo da lui.
Per un folle istante, Malik credette che avrebbe estratto la lama nascosta e l’avrebbe ucciso per stizza. O forse per il dolore. Tremò, senza che potesse controllarlo. Ma prima che potesse accennare una reazione, Altaïr lo sorpassò, lasciandolo solo in quella sezione della biblioteca. Per un fugace istante, Malik credette di intravedere un sorriso delinearsi sul suo viso, divertito dalla paura del confratello.
Forse si era sbagliato, tuttavia.
   
 
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