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Autore: Natalja_Aljona    22/06/2011    1 recensioni
Natal'ja vende fiammiferi e sogna la Rivoluzione.
Siberiana fin nelle ossa e nel sangue, nel cuore e nell'anima, nipote di uno dei capi dei Decabristi ed ultima erede della famiglia russa più temuta dallo zar, è quasi impazzita in prigione ma sa che non è finita.
Geórgos vive per la guerra e per il cielo di Sparta.
Nato durante la Guerra d'Indipendenza Greca e nipote del capo dei Kléftes, i briganti e i partigiani del Peloponneso, ogni notte spara alle stelle perché ha un conto in sospeso con gli Dei.
Feri è uno zingaro ungherese, il terzogenito di Kolnay Desztor, il criminale del secolo, e il più coraggioso dei suoi fratelli.
Legge il destino tra le linee della mano, e tre anni di galera e lavori forzati non sono bastati a fargli smettere di credere nel suo.
Nikolaj, ussaro polacco e pianista mancato, crede di aver perso tutto.
Sa che l'epilessia, i complessi d'inferiorità nei confronti del padre morto, l'ossessione per sua cugina e i suoi sogni infranti lo uccideranno, ma la sua morte vuole deciderla lui, e a ventidue anni s'impicca per disperazione e per vendetta.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
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Memorie dalla casa dei morti - Cappello di volpe, sorriso da atleta


Anche questi occhi

Fame di nascere per morir di fame

Si son passati un dito di saliva sui ginocchi

(Uomini Persi, Claudio Baglioni)


Omsk, 30 Gennaio 1833



Sangue.

Ardente.

Luce tremò al contatto delle sue dita con la pelle rotta delle gambe.

Il grano le era caduto dalle mani, pesava come pietra.

Mani graffiate, caldo bagno di sangue sulla dolce neve di Omsk.

-Natal'ja, se torna Zarkhov... Se torna Zarkhov...-

Era Dana Davidoff, la sua compagna di cella.

Luce lo sapeva bene, cosa intendeva dire Dana.

Il lavoro veniva prima della vita.

Il pregiudizio veniva prima dell'innocenza.

Viktor Zarkhov le avrebbe fatto più male delle infezioni del ferro.


Impotente, lei.

Di occhi lividi a scrutare il cielo e capelli biondi a nascondere le ferite.

Di pelle lacera e mani che non avvertivano la presa.

La stretta del freddo, l'amore materno.

Nostalgia lama d'argento, voce sottile fantasma di lacrime, nebbia selvaggia spirale di silenzio.

Julyeta. Anželika. Nikolaj.


Poi, Natal'ja, piangi.

Cerca le nuvole che ti hanno creato.

Ascolta le voci del mondo. Voci di sogno dipinto, voci della vita che c'è fuori.

E spera.


Poi, Natal'ja, corri.

Taci.

Va' avanti, già tremi.

Sorridi.

E spera.


-Dobbiamo andarcene-

Dana sgranò gli occhioni smeraldini.

Avevano sette e quattordici anni, erano due bambine stremate dal freddo e dai lavori, erano due piccole straccione in catene, due illuse.

E poi... Poi c'era Zarkhov, il ghigno estatico in volto, gli occhi severi.

C'era l'ombra della Mërtvogo Doma, proprio di fronte all'intreccio dei due fiumi, cupa e spiovente come sparviero in picchiata, c'era la Fortezza di Omsk.

C'era la paura.

-Non possiamo...non ci riusciremo mai-

La sua voce era roca e spenta, ma Luce la ricordava dolce e squillante come nel giorno in cui era entrata nella sua cella, quando ancora non sapeva.

-No...-

Non è vero, avrebbe voluto dire.

Non è giusto, avrebbe voluto urlare.

Solo che poi si era rivista il primo giorno d'inverno, sulla soglia dell'Emporio con Nikolaj.

Il primo stipendio di soldato, il sorriso splendente di suo cugino. La bancarella dei cappotti.

"Scegli il più bello!".

Non poteva scegliere il più bello, lo sapeva.

I soldi di Niko dovevano bastare fino alla fine del mese e oltre al cappotto avevano bisogno di un paio di scarpe nuove, tutti e due.

Scarponcini robusti e stringati, di almeno due misure in più della sua, poiché quelli bellissimi che le aveva regalato Baykla ormai erano corti e consumati.

Si era rivista davanti al cugino con il cappotto nuovo, un po' largo ma caldissimo e morbido, il cappotto dei suoi sogni, un regalo di Nikolaj.

L'ultimo.

Si era rivista lì, con il cuore in gola e le manine fredde, le labbra pallide, secche, increspate, il visetto bianco di luce e rovente di fumo.

Si era rivista a casa.

-Dana, Péter è uscito. Péter Ivanovič Bolkonskij, il mio compagno di cella di prima. Lui è uscito di qui. Ho visto un giovane con un cappello di volpe parlare con Zarkhov, poi sono venuti a chiamarlo ed è uscito. E' successo qualche giorno prima del tuo arrivo. Dana, si può uscire-

Il motivo per cui Occhi Verdi aveva lasciato la Mërtvogo Doma, la ragione di quella grazia, Luce non la conosceva.

Il cappello di volpe, però, l'aveva riconosciuto.

Era un cappello dell'Emporio di Forradalom, ne era sicura.

Il cappello preferito di un ragazzo dai capelli biondissimi e gli occhi identici ai suoi.

Un ragazzo che indossava l'uniforme degli ussari, ma che a Kutuzov avrebbe sempre preferito Wolzart.


Quem me leva os meus fantasmas,

Quem me salva desta espada,

Quem me diz onde é a estrada?


Chi mi toglie i miei fantasmi?

Chi mi salva da questa spada?

Chi mi dice dov'é la strada?

(Quem me leva os meus fantasmas, Pedro Abrunhosa)



Note


Pilota biondo camicie di seta, cappello di volpe, sorriso da atleta.

Fabrizio De Andrè, Volta la Carta.

E' così che mi immagino Nikolaj.

Soldato biondo, per la precisione. ;)

Questo capitolo mi piace abbastanza, devo dire.

Siamo sempre più vicini alla soluzione del mistero -ovvero la morte di Nikolaj- ma sappiate che prima dovremo passare per Varsavia e Minsk e, soprattutto, far uscire Luce dalla Mërtvogo Doma.

La fatidica liberazione dovrebbe avvenire in uno dei prossimi capitoli.


A presto! ;)

Marty


  
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