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Autore: Tsukichan    22/06/2011    13 recensioni
Aveva detto due settimane, non due minuti.
Aveva detto tanti ricordi, non solo il suo sorriso.
A Rolo che mi sopporta e supporta sempre .. la donna ^^
Genere: Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami | Coppie: Nami/Zoro
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Benissimo il cielo si stava annuvolando e lei come sempre l’ombrello non l’aveva preso. Affrettò il passo sperando di non trovarsi sotto l’acquazzone che di lì a poco si sarebbe sicuramente scatenato. Lo sentiva nell’aria. Quel frizzante odore di pioggia che precede il suo arrivo, le stava solleticando il naso.

Eccole le prime gocce scontrarsi con il viso freddo.

Portò una ciocca rossa dietro l’orecchio e si affrettò ancora.

No, no, maledette gocce le stavano bagnando gli occhiali che aveva indossato fino a qualche istante prima in biblioteca. Li sfilò dal viso e se li  mise in tasca.

Lo sguardo corse lungo le vetrine alla sua sinistra.

Le parve quasi di essere in uno dei suoi sogni. L’aveva visto davvero?

Tornò indietro di qualche passo, fermandosi davanti alla vetrina di un bar.

Intanto l’acquazzone si era scatenato e i leggeri abiti erano quasi zuppi e incollati alla sua pelle.

La gente dall’interno dal bar, osservava incuriosita quella strana ragazza immobile di fronte a loro. Tutti guardavano. Tutti , tranne lui.

Perché lì? Perché in quel preciso momento? E soprattutto perché lui?

Lì di sera, in quel bar, non si aspettava di trovare di certo lui a stringere tra le mani un boccale.

La mente ripercorse velocemente i precedenti due anni. Le risate, i bisticci, i litigi veri e propri e quel modo tutto loro di fare pace.

Il cuore prese a batterle all’impazzata, il respiro corto e le mani sudate nonostante la leggere frescura sollevata dalla pioggia.

Doveva entrare?

Due anni prima avevano smesso di vedersi in un bar, in quel bar.

Un leggero tremore le scosse la mano destra. La sollevò e spinse delicatamente la porta d’ingresso, cercando di non destare la sua attenzione.

Prese posto ad un tavolino dietro di lui, in penombra.

-          Signorina vuole ordinare? – il cameriere apparso al suo fianco la fece trasalire – mi dispiace non volevo spaventarla

-          Non si preoccupi, prendo un caffè nero molto forte – disse senza degnare di uno sguardo il menù che il cameriere li tendeva con la mano

Con lo sguardo si fermò a fissare le sue spalle larghe, seguendo la linea della sua spina dorsale leggermente pronunciata ed evidente sotto maglietta scura che indossava. Le braccia muscolose che si muovevano ritmiche attorno al bicchiere poggiato sul bancone e le gambe tornite allungate sotto lo sgabello.

Che stupida, in balia dei suoi ormoni, come un’adolescente.

Mandò giù il caffè senza prestare attenzione a quanto fosse bollente. Scattò in piedi, gli occhi arrossati e pieni di lacrime. Afferrò la borsetta e corse in bagno.

Si poggiò di peso sul lavabo e tirò su il viso per guardarsi. Un disastro in tutto e per tutto. Trucco sbavato, capelli schiacciati in fronte, abiti inzuppati.

Tirò fuori la lingua arrossata.

Che scema! Neanche un  caffè era in grado di bere in sua presenza.

Perché poi si erano lasciati? Ah si, aveva deciso di troncare perché lui aveva i suoi sogni, lei i suoi e quindi non erano più in grado di riuscire a convivere.

Quella mattina le era crollato il mondo addosso. Lei era riuscita solo ad annuire, non era riuscita a dire nulla di sensato se non urlargli contro e mollarlo seduto ad un tavolino di quel bar.

Sentì un leggero rumore alle sue spalle. L’urlo che ne sarebbe seguito avrebbe fatto accorrere tutto il bar in bagno se non fosse stato per la mano che si era posata sulle sue labbra.

-          Quanto tempo è passato? – chiese tranquillamente il ragazzo dietro di lei continuando a tenerle la bocca tappata – un paio d’anni giusto? – la lasciò andare poggiandosi al ripiano alle sue spalle

Nami annuì con il capo.

-          Allora come stai? – gli chiese ancora il ragazzo piegando la testa ad un lato per osservarla meglio, facendo tintinnare gli orecchini al lobo sinistro

-          Bene – sussurrò Nami evitando di guardarlo direttamente negli occhi – bene Zoro, tutto bene

Aveva ancora quel suo modo di fare strafottente con quel ghigno stampato sul viso.

Basta non poteva resistere più.

-          Dovrai perdonarmi – gli afferrò i lembi della maglia e poggiò le sue labbra contro quelle del ragazzo

La mano salì verso l’orecchio giocherellando con i tre orecchini che tanto l’avevano fatta eccitare a suo tempo. Le labbra erano screpolate, non le ricordava così, ma forse era dovuto ai primi freddi di quei giorni.

Lui non sembrava disapprovare. Le mani del verde salivano lungo la maglietta fradicia stringendola forte a lui, facendole emettere un gemito per la stretta troppo forte, tale da fargli perdere il fiato costringendola a staccarsi per un po’ d’aria.

Affondò la testa nel collo taurino di lui, stringendo la maglia e i capelli per inspirarne avida il profumo.

-          Perdonami non ho resistito – si allontanò raccogliendo la borsetta caduta a terra nell’impeto  – è stato un piacere rivederti – sorrise raggiungendo la porta

-          Alt – richiuse la porta facendo scattare la serratura – la girò verso di lui sbattendola contro la parete e leccandole le labbra, tacito invito a dischiuderle

-          No – gli allontanò il viso dal suo – no … due anni fa abbiamo detto no, tu hai detto no

Sbuffò pesantemente poggiando la fronte contro quella della ragazza.

-          Avevo paura di continuare i rapporto

-          Balle Zoro, eravamo insieme da due anni – lo scostò mettendo qualche passo di distanza da lui

-          Sto morendo stupida – sospirò sollevando gli occhi al soffitto del bagno

Dopo due anni, sempre in quel bar, ancora una volta il mondo le stava crollando addosso

-          Co …co – balbettò incapace di costruire una frasi di senso compiuto

-          Hai capito bene … mi hanno diagnosticato un tumore e ora mi mancano un paio di settimane

-          E io perché lo so solo ora? Perché non me l’hai detto due anni fa – urlò la rossa ancora sconvolta

-          Non volevo che perdessi tempo accanto a me

-          Ma tu dovevi mettermi al corrente, poi sarei stata io a decidere … oh mio dio non ci posso credere – spostò i capelli facendovi passare una mano attraverso e asciugò alcune gocce colate sul viso – due anni, hai aspettato due anni per dirmelo. Per dirmi cosa poi? Due settimane … oh mio dio! – ripeté quel ‘oh mio dio’ una decina di volte fino a fermarsi davanti a lui – dimmi che non è vero

Zoro le sorrise dolcemente, fermandosi a pochi centimetri dal suo ciuffo ribelle, evitando di accarezzarlo come faceva tempo prima, quando ci si perdeva a farlo. Fu lei ad avvicinarsi facendo sfiorare i capelli contro la sua mano, attendendo il tocco che per fortuna non tardò ancora ad arrivare. Si beò di quel tocco, socchiudendo gli occhi e le labbra.

-          È vero Nami – non riuscì a trattenersi dal sottolinearlo, guardandole spalancare gli occhi – forse avrei dovuto dirtelo prima – allontanò la mano cacciandola in tasca

-          Togli il forse Zoro – abbassò la testa – due settimane … hai aspettato due anni per dirmi che ti mancano due settimane – nonostante se lo ripetesse ad alta voce non riusciva ancora ad accettarlo

-          Due settimane, quindi non dovremmo perdere tempo – con la mano l’attirò a sé prendendola dalla maglietta e baciandola ancora una vola

-          Tu poi andrai via e a me cosa rimarrà?

-          Il ricordo di queste settimane – azzerò per la terza volta le distanze tra le loro bocche

Si lasciò andare tra le sue braccia, aggrappandosi alle sue spalle.

Mio dio fu l’unica cosa che riusciva a pensare. Un unico bacio la stava andando in estasi. Si sentì afferrare dai glutei e poggiare sul marmo del lavabo.

Le sue mani frugavano vogliose sotto la sua maglietta, dall’ombelico su fino al suo reggiseno. Riversò la testa all’indietro lasciando che le sue labbra scivolassero lungo la sua pulsante carotide. I gemiti dapprima delicati si intensificarono quando una mano si era insinuata nei suoi jeans, poi nelle sue mutandine, poi nella sua intimità.

Nami gli afferrò la testa baciandolo appassionatamente, leccando lungo la mandibola fino al suo orecchio, quello sinistro, quello con i tre orecchini. Li tirò con i denti, baciandolo poi sulle labbra arricciate in una leggera smorfia di dolore. Gli sfilò la maglietta, sfiorando quel petto glabro rovinato dalla cicatrice trasversale che lo attraversava, ma che in fondo lo rendeva davvero sexy. Scese sulla cinta dei suoi pantaloni, facendoli calare alle caviglie.

-          Certo la situazione non delle più stimolanti – ridacchiò guardandolo conciato in quel modo

-          C’è da accontentarsi – l’aiutò a togliersi i jeans

-          Ti sei innamorato in questi due anni? -  chiese fermandogli un attimo le mani

Lo fece sospirare sui suoi seni, causandole la pelle d’oca.

-          No! – le leccò i capezzoli – non mi è mai servito innamorarmi di qualcun altro – le tappò la bocca per fermare l’urlo dell’orgasmo

Ebbe un giramento di testa che lo portò ad appoggiarsi di peso su Nami.

-          Zoro?! – gli sollevò il volto

-          Sto bene – sorrise avvicinando il bacino al suo, ma ebbe un secondo mancamento

La rossa si rimise in piedi, cercando di metterlo a terra senza fargli male. Il verde le passò un foglietto con un numero.

-          Chiama qui e passami i vestiti – tentò di sorridere e di rivestirsi

 

Si ritrovò di fronte a quella porta della stanza dell’ospedale.

Ormai i suoi abiti era asciutti. Ormai i brividi le percorrevano il corpo. Ormai il suo cuore batteva solo perché era un muscolo involontario, se fosse stato per lei avrebbe dovuto smettere.

Aveva detto due settimane, non due minuti.

Aveva detto tanti ricordi, non solo il suo sorriso.

L’aveva appena visto sdraiato supino sul letto, occhi chiusi, corpo abbandonato senza vita.

Non era riuscita a far nulla da quando i paramedici lo avevano portato via. Era riuscita solo a tenergli la mano, poi i dottori l’avevano trascinata di peso fuori e lui le aveva sorriso ancora. Poi l’aveva rivisto senza vita.

Lui che ancora aveva quelle quattro cinque cose che le sarebbero servite per vivere: la sua saliva, la sua schiena, la sua forza, le sue mani, il suo amore.

Lui era andato via e non le aveva lasciato altro che l’amarezza di essersi lasciata sfuggire due anni della sua vita a causa dell’ orgoglio.

   
 
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