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Autore: MinorityVicious    23/06/2011    3 recensioni
Vedevo i sorrisi sui loro volti.
Sorrisi di circostanza, che ostentavano una falsa felicità.
Ma io percepivo nei loro occhi quella sofferenza che inutilmente cercavano di nascondermi.
E questo perché già sapevo la verità.
Stavo morendo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"Girasole"


L’infermiera entrò in quella stanza bianca e spoglia, poggiando un vaso accanto al mio letto.
Un pensiero da parte dei tuoi genitori” mi aveva detto.
Rimasi con lo sguardo fisso nel vuoto fino a quando lei non uscì dalla stanza, e fu lì che decisi di guardare quel regalo.
Erano dei fiori di girasole, credo fossero dieci, e il loro colore che ricordava le sfumature del sole, dava un piacevole senso di calore in quella stanza così vuota.
Restai ad osservarli per molto tempo, come se volessi cercare in loro quello sprizzo d’infanzia nei miei ricordi.
Da bambino, infatti, amavo andare dal fioraio.
Lì e solo lì riuscivo a vedere quei fiori in tutta la loro bellezza, visto che nella città dove abitavo non ne crescevano.
Passavo in quel negozio ogni volta che uscivo da scuola, tanto che un giorno il proprietario me ne regalò uno.
Ricordo che quel giorno mi diressi a casa tutto contento, con il mio fiore di girasole tra le mani, non vedendo l’ora di mostrarlo alla mia mamma.
Ma quello che per me era un gran regalo, per il mio patrigno era qualcosa di orrendo.
Lui odiava i fiori, odiava i loro colori allegri e il loro profumo, e soprattutto non tollerava di averli in casa.
Fatto sta che, una volta che mi vide, me lo strappò dalle mani e lo gettò nel caminetto.
Con gli occhi appannati di lacrime, vidi i suoi petali venire risucchiati dalle fiamme, fino a perdere il loro bellissimo colore.
Da quel giorno non passai più dal fioraio, anzi, preferivo fare la strada più lunga per arrivare a casa, piuttosto che ritornare lì.
Se ripenso a quell’episodio mi viene quasi da ridere, considerando il fatto che adesso me ne avevano portato un mazzo intero.

<< Hai visite. >>

La voce dell’infermiera Anna, mi fece voltare verso le figure che erano appena entrate.
Il mio patrigno e mia madre.

<< Ciao, Nicola. Vedo che i fiori ti sono arrivati. Spero ti siano piaciuti! >>

Fece lui, sforzando un sorriso.
L’uomo che circa dieci anni fa aveva gettato tra le fiamme lo stesso fiore che si trovava ora accanto a me, e che adesso si stava trattenendo a non storcere il naso.
Annuii, senza guardarlo in faccia.
I miei occhi azzurri cerchiati dalla stanchezza, si posarono invece sulla figura minuta di mia madre, che in quel momento stringeva con forza un fazzoletto tra le mani.
Probabilmente per cercare di controllare le emozioni.
Ci riusciva penosamente.

<< Come stai oggi? I dottori hanno detto che vedono dei notevoli miglioramenti! >>

Trattenni a stento una risata ironica.
Come pretendeva che stessi?
Ho sedici anni, e invece di godermi la mia adolescenza, sono rinchiuso da ormai sei mesi in questo ospedale, con un cancro al cervello incurabile.
La mia malattia mi ha tolto tutto.
Le speranze, i sogni e la voglia di vivere.
Desideravo viaggiare, girare il mondo e vedere posti nuovi.
Invece sono costretto in questo letto, solo, con l’unica certezza che presto sarei morto.
Soltanto i miei genitori non lo volevano ammettere, nonostante io lo sapessi già.
Vedevo i sorrisi sui loro volti. Sorrisi di circostanza, che ostentavano una falsa felicità.
Ma io percepivo, nei loro occhi, quella sofferenza che inutilmente cercavano di nascondermi.
Sapevo che presto sarei morto, ma loro facevano finta di nulla, cercando di non darmi preoccupazioni.

<< Sì, mi sento meglio... ma mi piacerebbe uscire un po’ fuori... >>

Vidi gli occhi di mia madre spalancarsi dallo shock, mentre il mio patrigno deglutì.

<< Sai benissimo che non puoi uscire! Sei troppo debole, e l’aria all’esterno potrebbe farti male! >>

Rispose lui, come se di medicina se ne intendesse alla grande.
Ormai non me la prendevo nemmeno più, dato che mi sbolognava sempre questa scusa.
E io non avevo di meglio da fare che chiedergli ogni volta la stessa richiesta. Così, per semplice masochismo.
Non avevo molto con cui divertirmi, in effetti.
Anche se venivano i miei compagni di scuola a trovarmi, il massimo che potevo fare era accoglierli con un sorriso stanco, cercando di ignorare i loro sguardi di compassione e tristezza.
Cercavo ogni volta di essere allegro e spensierato per non far pesar loro questo disagio, anche se dentro di me sapevo che non sarebbe bastato.
Passarono le ore, e i miei decisero di tornare a casa.
O meglio. Lo decise il mio patrigno, dato che se fosse stato per mia madre, sarebbero rimasti fino a domani mattina.
Povera donna, che non riusciva ad opporsi alle decisioni di quell’uomo così rude che aveva deciso di sposare.

<< Noi andiamo. Torneremo domani. Mi raccomando, riposati! >>

Disse lui, dandomi una pacca sulla spalla.
Non era mai stato uno che si sbilanciava, nemmeno nei gesti d’affetto.
Delle volte mi sembrava di avere a che fare con una lastra di ghiaccio.
Sentii le braccia tremanti di mia madre cingermi le spalle, facendo attenzione a non stringere troppo.
Era convinta che solo perché ero debole, automaticamente ero anche fragile.
Chissà se era a conoscenza del fatto che un abbraccio non poteva certo uccidermi.
Il tempo dei saluti era finito. Ero rimasto di nuovo solo, in quella stanza vuota.
Solo quei fiori mi tenevano compagnia.

<< Mi siete mancati, sapete? >>

Sussurrai, come se stessi parlando a delle persone reali.
Mi alzai dal letto, prendendone uno tra le mani.
La sensazione di poter di nuovo toccare quella fetta del mio passato, mi fece stare subito bene.
Mi sdraiai sul letto, rigirandomi tra le mani quel fiore, contemplandone ogni dettaglio.
Lo appoggiai sul cuore e sospirai, sentendomi leggermente debole.
Davvero frustrante sapere di dover fare uno sforzo sovraumano solo per alzarmi dal letto, ma ben presto capii che non era per quello che mi sentivo a pezzi.
Stavo morendo, era evidente. Stranamente, però, non avevo paura.
Avrei soltanto voluto vivere di più, conoscere il mondo e stare accanto alle persone che amavo.
Ma a quanto pare non era possibile.
Dopotutto, se Dio mi aveva chiamato accanto a sè, chi ero io per sfidare la sua parola?


Sentì gli occhi chiudersi dalla stanchezza, e il respiro farsi sempre più leggero.
Un’ultima lacrima scese dal suo volto, prima di spegnersi.
Fu così che lo trovarono quella sera stessa, nel silenzio di quella stanza.
Gli occhi chiusi, il volto sereno di chi ha lasciato questo mondo con il cuore in pace, e un fiore di girasole stretto tra le mani.



--

Dedicata al mio amico Nicola, che oggi avrebbe compiuto diciannove anni.


Rage&Love
   
 
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