Dieci
anni.
Dieci
anni erano trascorsi da quando la mia vita era finita.
Dieci
anni erano trascorsi nella più totale passività
rispetto a tutto
ciò che avveniva intorno a me.
Dieci
anni da quando tutto era cambiato, da quando il mio mondo non
aveva più senso.
Tutto
era cambiato tranne una cosa: il dolore. Il dolore che provavo
assiduamente, ogni volta che entravo in quella che era stata la nostra
stanza,
ogni volta che rivedevo lei negli occhi di nostra figlia, ogni volta
che
riflettevo sui momenti trascorsi insieme, ogni volta che pensavo a lei.
Dieci
anni erano trascorsi dalla morte di mia moglie.
E
proprio quello era il giorno in cui ricorreva l’anniversario
dell’avvenimento che mi aveva ucciso dentro. Il giorno che
temevo più di tutto
l’anno perché, nonostante lei fosse sempre nei
miei pensieri e non potessi fare
nulla per evitarlo, in quel giorno non potevo fare a meno che sentirmi
in colpa
per ciò che era successo.
Ero
disteso sul nostro letto, fissando la vetrata di fronte a me.
Sapevo che di lì a poco qualcuno della mia famiglia sarebbe
arrivato a casa,
provando a distrarmi, sapendo di non riuscirci. Da quando lei non
c’era più,
tutti cercavano di farmi distrarre in qualche modo, con la caccia,
competizioni
di ogni genere, di tutto e di più, ma purtroppo era inutile.
Sinceramente non
desideravo smettere di pensare a lei nemmeno per un istante, il mio
dolore era
la giusta punizione per la mia incoscienza. Emmett e Jasper stavano
arrivando:
sentivo i loro pensieri e, sorprendentemente, erano incentrati su di
me.
Stavano vagliando le possibilità di cosa fare per tutta la
giornata. Jasper
voleva andare a caccia mentre Emmett voleva simulare un paio di
combattimenti.
Ero semplicemente grato che non stessero pensando a lei, non sarei
stato in
grado di sopportarlo già di norma, figuriamoci in quella
giornata. Varcarono la
soglia ed entrarono senza bisogno che gli aprissi la porta e si
fiondarono
nella stanza dove mi trovavo, pensando a come farmi uscire da
lì.
Andiamo,
Edward! Perché
non andiamo a caccia?
pensò Jasper, prendendomi per un braccio.
«Preferirei
restare qui, grazie» risposi in tono monocorde, tono che
avevo adottato da dieci anni ormai. La mia voce non aveva
più un’espressione,
sembrava una riproduzione di un registratore rotto.
Invece
no! Tu vieni con
noi. Andiamo a combattere un po’ nella foresta
suggerì Emmett. Come ai vecchi
tempi.
«Se
vengo la smettete di assillarmi?».
Si, pensarono in coro. Senza
aggiungere altro, mi alzai dalla mia posizione e mi diressi in cucina
con la
scusa di dover preparare la colazione a mia figlia. Cucinai una decina
di
frittelle, prevedendo l’arrivo di Jacob, e le servii sul
piccolo tavolo.
«Nessie,
la colazione è pronta!» dissi, con un tono di voce
leggermente
più alto. Mi avrebbe sentito in ogni caso e
arrivò in cucina in pochi attimi.
Renesmee non era più una bambina ormai, era una donna a
tutti gli effetti: il
suo fisico era cresciuto velocemente, trasformandola in una bellissima
ragazza
dai capelli biondi, dagli occhi castani…
«Sono
qui» disse, una volta entrata in cucina, sedendosi al suo
solito
posto dove avevo già sistemato un piatto vuoto da riempire
con le frittelle che
erano poste poco più in là.
«Ciao,
piccola» sussurrò Jasper, dandole un bacio sulla
guancia.
«Che
fai oggi?» chiese Emmett, scompigliandole i capelli.
«Non
so, aspetto Jake e poi decidiamo». La sua voce era
più cupa quel
giorno, probabilmente una giornata di svago con Jacob le avrebbe
giovato ma
sapevo benissimo che anche per lei quello era un giorno nero.
«Ti
dispiace se portiamo tuo padre a caccia?» domandò
poi Jasper.
«No,
divertitevi» ci augurò, forzando un sorriso. Le
accarezzai i
capelli prima di uscire con i miei fratelli che la salutarono con un
«Ciao!» affettuoso.
Jasper ed Emmett correvano davanti a me, chiacchierando di cose senza
importanza come una partita di baseball che avevano in programma e cose
del
genere, quando trovammo la nostra prima preda. Era un puma, animale che
non mi
entusiasmava più di tanto, avevo perso anche il gusto del
sangue. Emmett e
Jasper me lo lasciarono, dicendo che avevano fiutato un branco di alci
più in
là. Dissanguai la mia vittima e poi completammo
l’opera con il gruppo di
erbivori.
«Allora,
Edward, che ne dici? Ti va di venire alla partita stasera?
Porta anche Nessie, magari» suggerì Emmett con il
suo solito entusiasmo, quando
avemmo finito.
«No,
grazie, Emm... preferisco rimanere a casa. Forse a Renesmee
farà
piacere venire. Può giocare al mio posto...»
declinai subito l’invito.
«Ma
non è lo stesso senza di te» si lamentò
Jasper, dandomi una pacca
sulla spalla.
«Davvero.
Voglio stare un po' da solo...».
Come
sempre... Se è
proprio questo che vuoi, non possiamo mica costringerti... rifletté
Emmett.
Non
puoi fare sempre
così, però. Alice sente la tua mancanza e anche
Carlisle e Rosalie, per non
parlare di Esme... ogni giorno pensiamo a un modo per stare tutti
insieme come
ai vecchi tempi, ma tu ci bocci tutto! stava
pensando Jasper, ma non gli stavo prestando molta attenzione: erano
discorsi
che ormai ero abituato a sentire e a sopportare.
«Mi
dispiace ragazzi». Si rassegnarono più in fretta
del solito,
prevedendo che non mi sarei lasciato smuovere nemmeno di una virgola e
quindi
tornammo tutti a casa. Renesmee non era ancora tornata, probabilmente
era con
Jacob e si stava divertendo con lui a La Push. Emmett e Jasper se ne
andarono
poco dopo, immaginando cosa stessi per fare. Ogni anno, quando
ricorreva
“quella” data, facevo sempre una cosa che,
normalmente, durante l’anno non mi
sarei mai concesso. Presi una scatola riccamente decorata in argento e
mi
accomodai sul letto. Lo aprii e trovai davanti a me una lettera e un
anello.
Presi prima il gioiello fra le mani e lo rigirai fra le dita.
Immediatamente un
ricordo si fece strada nella mia memoria...
«Isabella
Swan? Prometto
di amarti per sempre, in ogni singolo giorno, per
l’eternità. Mi vuoi
sposare?». Fissavo i suoi occhi castani mentre ero
inginocchiato di fronte alla
donna della mia vita e che di lì a poco avrebbe accettato di
diventare mia
moglie.
«Si»
sussurrò,
rendendomi l’uomo più felice
dell’universo.
«Grazie»
dissi,
veramente riconoscente.
Chiusi
gli occhi con forza, sforzandomi di allontanare il ricordo, ma
soprattutto di frenare l’ondata di dolore che voleva
risucchiarmi. Spesso avevo
desiderato la morte, di raggiungere il mio grande amore e di ottenere
la felicità
eterna, anche all’inferno. Ma quella lettera,
quell’innocuo pezzo di carta
nella scatola me lo impediva. Presi con mano tremante la busta nella
quale era
contenuta la notizia che aveva cambiato la mia vita per sempre.
Estrassi il
foglio di carta ben ripiegato e lo aprii, preparandomi alla sofferenza
che la
lettura di quelle parole avrebbe provocato. Iniziai a leggere,
lentamente,
nonostante conoscessi quelle parole a memoria e le odiassi per il
messaggio che
contenevano.
Caro
Edward,
ti
imploro di perdonarmi per ciò che sto per dirti, ma
purtroppo devo
farlo. Aro sa tutto. Crede che Renesmee sia una bambina immortale
perché Irina
gli ha detto di averla vista nella foresta con me e Jacob. Sostiene che
io sia
venuta da sola per tenergli nascosta la sua esistenza e ha usato questo
come
prova per condannarmi a morire al posto tuo e della mia bambina,
secondo la
legge dei vampiri. Non potevo permettere che arrivasse a voi, non
potevo. Non preoccuparti
per me: sono felice, felice di morire al posto di qualcuno che amo,
perché
credo che sia un buon modo per andarsene. In compenso devo chiederti di
farmi
una promessa: non fare niente di stupido o insensato, ricordi? Me lo
dicesti tu
e ora io ti chiedo solo di promettermi di restare al fianco della
nostra
piccola brontolona. Ha bisogno di te, ha bisogno di suo padre, ha
bisogno di
qualcuno che la guidi e che le indichi la strada giusta da prendere. E
chi
meglio di te? Tu, che mi hai cambiato la vita, rendendola degna di
essere
vissuta. Tu, che mi hai amata più di qualunque altra e che
mi hai fatto sentire
importante anche quando meritavo di essere lasciata da sola a soffrire
i mali
causati da me stessa. Tu, che sei l’uomo migliore che io
abbia mai conosciuto e
che mi hai reso la donna più felice dell’universo.
Semplicemente tu, Edward,
l’uomo che io ho amato, che amo e che amerò per
sempre. Non temo l’inferno, non
ho paura di ciò che mi attende dopo la morte
perché nel profondo so che ci
sarai tu a vegliare sulle due cose più importanti che ho al
mondo: Renesmee e
te. Ti chiedo, inoltre, di non farle dimenticare di me, di ricordarle
di sua
madre nei momenti di sconforto, di non ostacolare la sua
felicità... Fai sapere
a Alice, Esme, Carlisle, Emmett, Rosalie e Jasper che li adoro e che
saranno
per sempre nel mio cuore. Dì a Jacob che gli voglio un mondo
di bene, che i suoi
sorrisi mi mancheranno come il suo branco di amici. Informa Charlie e
Renèe che
sono stati i migliori genitori di sempre e che gli ho voluto un bene
dell’anima. Infine voglio solo ricordarti una cosa: ti amo,
Edward Cullen e
diventare tua moglie è stata la cosa migliore che io abbia
fatto nella mia
vita.
Perdonami
per ciò che ti sto infliggendo
Ti
amo, qualunque cosa accada, per l’eternità
Bella
Lasciai
cadere la lettera e mi portai le mani al viso. Desideravo solo
di poter piangere, di potermi disperare, di poter dare sfogo al mio
dolore...
Perché tutto ciò era capitato a me?!
Perché ero stato così stupido da lasciarla
andare da sola in Italia?! Sapevo che Aro avrebbe trovato il modo per
ucciderci, uno alla volta, ma sapevo che qualora ciò si
fosse avverato, avrei
seguito lei immediatamente. Ma quella lettera, le sue ultime
volontà, mi
avevano impedito di compiere ciò che desideravo
più di qualunque altra cosa. Ricordavo
come avevo definito la mia vita senza di lei, prima di conoscerla: come
un’eterna mezzanotte, un cielo scuro privo della luna ma con
qualche stella.
Una volta avevo anche detto che ero rimasto accecato da lei, dal mio
sole,
dalla mia meteora, tanto da non riuscire più a vedere quelle
stelle che erano i
miei punti di riferimento... Ma ora... ora tutto era cambiato. Le
stelle non
c’erano più. Erano state risucchiate in un enorme
buco nero lasciando al loro
posto un vuoto infinito ed incolmabile... un vuoto che mi stava
uccidendo
lentamente, fino a lasciare al mio posto un blocco di pietra
insensibile a
tutto tranne che al dolore che tale situazione aveva provocato.
Trascorsi
l’intero pomeriggio a piangermi addosso come uno stupido,
fino a quando Esme
non venne a farmi compagnia. Entrò da sola e mi raggiunse
nella mia stanza,
trovandomi ancora con la testa fra le mani e la lettera in terra.
«Oh,
Edward» sussurrò, raccogliendo il foglio e
rimettendolo al suo
posto. Richiuse la scatola e la ripose nel cassetto del mio comodino,
dove
stava abitualmente. Poi si accomodò al mio fianco,
stringendomi a sé come con
un bambino che ha bisogno di conforto. Non volevo più essere
l’anello debole
della famiglia ma non riuscivo più ad uscire da quella
situazione.
«Shh,
shh» mormorava per far calmare i singhiozzi che mi
straziavano il
petto.
«Non
ce la faccio più, mamma... non credo di
farcela...» spiegai,
ansimando.
«Lo
so, caro. Credimi, lo so...». Esme era l’unica con
la quale
riuscissi a parlare di ciò che provavo perché
sapevo che non provava pena per
me, per niente. Ma lei mi capiva, riusciva a capire il dolore al quale
ero
sottoposto perché lo aveva vissuto.
«Ho
bisogno di lei».
«Manca
anche a me, moltissimo. Era una ragazza d’oro,
l’unica che è
stata in grado di renderti felice».
«E’
stata tutta colpa mia, non riesco a perdonarmi!» singhiozzai,
disperato.
«Non
dire così. Si è sacrificata per te e Renesmee e
tu dovresti accettarlo.
Non è stata colpa tua. È stata una sua
decisione» mi confortò.
«Avrei
preferito essere io al suo posto, essere io a morire».
«E
l’avresti condannata ad una sofferenza simile?»
chiese, premurosa.
Non riuscii a rispondere, ma solo a continuare a tremare tra le braccia
rincuoranti di mia madre. Dopo un po', però, lei fu
costretta a lasciarmi di
nuovo da solo. L’accompagnai alla porta, momentaneamente
calmo per lo sfogo
precedente.
«Perché
non vieni anche tu? Sarà divertente. Ti distrai un
po'...» mi
incoraggiò Esme, riferendosi alla partita di baseball
organizzata durante la
giornata.
«No,
non sono in vena, grazie lo stesso...».
«Cerca
solo di non deprimerti troppo... non è il caso e poi non ti
fa
bene».
«Ci
proverò» mentii. L’unica cosa che
riuscivo a fare da dieci anni a
questa parte era quella di deprimermi, punendomi per ciò che
era accaduto.
Tornai nella mia stanza, aspettando in silenzio il ritorno di Renesmee
a casa.
Stava tardando più del solito ma non me ne preoccupai: lei
era una persona
responsabile. Mi sdraiai sul letto, tentando di non pensare ma non me
ne diede
il tempo.
«Sei
ridicolo» sentenziò. Avrei voluto con tutto me
stesso costringermi
a non guardarla, a ignorare la sua presenza, a posarmi un cuscino sul
volto per
aspettare che sparisse, ma non lo feci. Avevo bisogno di vederla. Avevo
bisogno
di sentirla parlare. Anche se quella figura era solo frutto della mia
immaginazione e dava voce a ciò che pensavo ma che non ero
in grado di
ammettere nemmeno a me stesso, volevo ascoltarla, solo per sentire la
sua voce.
Alzai lo sguardo verso i piedi del letto e lei era lì: in
piedi, con le braccia
incrociate sul petto, il viso piegato in una smorfia di disgusto.
«Sembri
un bambino che ha bisogno di conforto. Perché non cresci un
po'?» chiese, amareggiata.
«Non
ce la faccio. Non posso».
«Sciocchezze!»
esclamò, alzando di alcune ottave il tono della voce.
«Cosa
dovrei fare? Dimenticarti?» sussurrai, ansimando quasi per il
dolore che mi provocavano quelle parole.
«Non
ci riusciresti. E comunque no, basta che superi la mia
perdita»
disse, con dolcezza.
«Non
so se ci riesco» ammisi.
«Almeno
provaci» mi consigliò esasperata. Annuii, serio ma
sapevo che
non sarebbe servito a nulla. Mi concessi un ultimo sguardo alla
creatura
stupenda che avevo di fronte, prima che lei sparisse
nell’oscurità della notte.
Come sempre rimasi a guardare il vuoto per qualche minuto, in silenzio,
quando
il suono del telefono mi fece sobbalzare. Risposi in fretta e sentii la
voce di
Renesmee che mi avvisava che avrebbe passato la notte da Jacob.
«Va
bene, Nessie. Stai attenta» acconsentii, tranquillo. Per
ammazzare
il tempo, trascorsi la notte a guardare la televisione, non
soffermandomi per
più di un minuto su ogni canale. Niente sembrava darmi pace,
niente mi
interessava, niente riusciva a farmi pensare ad altro. Le lancette
dell’orologio si muovevano lente, scandendo con precisione
anche i secondi,
risultandomi insopportabili, ma, fortunatamente, anche quelle poche ore
di buio
passarono e il sole tornò a rivendicare il suo posto in
cielo, per quanto a Forks
il sole possa vedersi. Verso le dieci del mattino, inaspettatamente, il
telefono di casa squillò e pensai che fosse Renesmee che mi
avvertiva di
qualcos’altro o, al massimo, uno dei miei fratelli che mi
invitava a fare
qualcosa che non avrei voluto.
«Pronto?»
chiesi, appena alzata la cornetta. Nessuno rispose ma sentii
solo dei singhiozzi disperati e una
donna che ansimava. Sembrava sconvolta, emozionata da qualcosa, ma non
avrei
saputo dire cosa.
«Pronto?»
ripetei con più insistenza ma niente. Dopo pochi secondi
cadde la linea. Chi poteva essere stato a chiamare? Poteva essere stato
uno
scherzo, di sicuro, eppure una minuscola parte del mio cervello non la
pensava
così. Non ebbi il tempo di riflettere meglio
sull’accaduto, perché entrarono
Renesmee e Jacob in casa, mano nella mano, sorridenti come sempre
quando erano
insieme.
«Ciao,
papà» mi salutò Renesmee.
«Come
stai, Edward?» domandò Jacob.
«Bene,
grazie» mentii, ma ormai non mi credeva più
nessuno. «Avete
fame, ragazzi? Avete fatto colazione?» chiesi per mostrarmi
benevolo.
«Si,
Billy ci ha preparato le uova» rispose mia figlia.
«Bene».
«Noi
andiamo in camera mia» mi informò lei.
«Va
bene» acconsentii. Si diressero verso la porta della stanza
di
Renesmee e più tardi pranzarono in cucina, dove gli preparai
qualcosa di
semplice. Verso le tre del pomeriggio uscirono nella foresta,
desiderosi di
stare un po' da soli probabilmente. Per quel pomeriggio era prevista
una prova
d’abito per Renesmee ed Alice e Rosalie sarebbero arrivate da
un momento
all’altro. Quando arrivarono, si impossessarono della stanza
di mia figlia,
trasformandola in un camerino in piena regola, fino a dover dividere i
due
promessi sposi per gli impegni previsti. Come se ciò non
bastasse, tutti
intorno a me erano entusiasti e pretendevano che ricambiassi il loro
stesso
sentimento. Renesmee era rinchiusa in camera sua con Alice e Rosalie,
mentre
provavano l’abito da sposa. Per dimostrarmi il più
bendisposto possibile,
tentai di entrare, manifestandomi quantomeno disponibile, se avessero
avuto
bisogno di me. Bussai piano prima di entrare, aprendo la porta
leggermente.
«Posso?»
mormorai, imitando quello che poteva essere interpretato come
un sorriso.
«Certo,
papà» rispose automaticamente Renesmee, felice che
stessi
dimostrando un minimo di entusiasmo. Puntai lo sguardo sulla mia
bambina: era
semplicemente stupenda, con i capelli intrecciati in
un’acconciatura familiare.
Alice teneva due spilli tra le labbra e sembrava preoccupata da come
corrugava
le sopracciglia, mentre Rosalie la guardava soddisfatta.
«Che
te ne pare?» chiese Renesmee, scendendo dallo sgabello dove
era
posizionata e facendo una giravolta di fronte a me.
L’osservai mentre
piroettava come una bambina che si sente una principessa, guardando
attentamente l’abito. Aveva qualcosa di molto familiare.
Troppo familiare.
L’ultima volta lo avevo visto indosso ad un’altra
persona.
«E’
l’abito della mamma» confermò Renesmee,
mentre Alice la guardava
appagata, come se al posto di mia figlia ci fosse un’opera
d’arte appena
terminata. A quel punto non sentii più nulla, non vidi
più nulla, la mia mente
tornò a dieci anni prima, nella sala addobbata in cui si era
svolto il mio
matrimonio…
“Più
che altro pensavo
una cosa: che non ti dovrò mai abbandonare” disse
la più stupenda creatura che
avessi mai conosciuto, stringendosi a me.
“No,
mai più” promisi,
chinandomi per baciarla.
Di
colpo chiusi gli occhi, indietreggiando di vari passi. Sbattei
leggermente contro la porta aperta mentre Renesmee esclamava:
«Papà, stai
bene?».
Edward.
Il
rimprovero di Alice risuonò forte e chiaro nella mia mente
ma fu
tutto inutile. Rivedevo ancora mia moglie fra le mie braccia e la
consapevolezza che non ci sarebbe mai più tornata mi
ammutoliva. Non riuscivo
più a guardare mia figlia, consapevole solo di dover uscire
da quella stanza.
Quando il mio corpo di pietra volle ubbidirmi, mi ritrovai finalmente
nella
nostra stanza, dove non avevo bisogno di nascondermi, di nascondere
ciò che
provavo. Uscii nel nostro piccolo giardino, appoggiandomi alla vetrata.
«Perché
lo hai fatto?» mormorò una voce al mio fianco. Mi
girai di
scatto e la vidi: era proprio lì, seduta sull’erba
innevata, con le gambe
strette al petto come le piaceva stare. Quelle visioni erano sempre una
medicina per il mio cuore di pietra, ma il mio dolore non faceva che
aumentare
dopo ognuna di esse.
«Non
lo so» risposi in un sussurro. Non riuscivo a toglierle gli
occhi
di dosso. Era bellissima: i suoi capelli scompigliati, i suoi pantaloni
della
tuta e i suoi maglioni orribili, proprio come quando l’avevo
conosciuta.
«Invece
sì» ribatté con la sua vocina petulante
di quando non voleva
darmela vinta. All’improvviso la visione sparì,
all’entrata nella stanza di
Jacob.
«Edward,
posso parlarti?» domandò con una nota rabbiosa
nella voce.
Senza dire una parola chiusi la vetrata ed entrai in casa. I suoi
pensieri
erano furiosi ma stava facendo di tutto per non farmene intuire il
motivo.
«Cosa
c’è, Jacob?».
«Sai
che con il tuo comportamento fai soffrire tua figlia, vero?! Non
può sentirsi rifiutata da te solo perché indossa
un abito cha apparteneva a
Bella!» urlò l’ultima parte, dando sfogo
alla sua rabbia. Udire il suo nome fu
come una pugnalata al cuore: abbassai lo sguardo e portai le mani alla
testa,
come per voler coprire le orecchie. Non volevo sentire ciò
che aveva da dirmi.
Sapevo che il mio comportamento poteva dare fastidio a Renesmee ma,
purtroppo,
non riuscivo a farne a meno. Quando l’avevo vista con
quell’abito indosso era
come se il mondo mi fosse crollato addosso. Ma Jacob non si dava per
vinto: prese
il mio polso con una mano e lo spinse finché non ebbi le
orecchie libere per
poterlo ascoltare bene.
«Bella
è morta!» urlò con la voce incrinata
dal dolore che produceva
quella consapevolezza. «Non tornerà
più! Perché non riesci a superarlo?! Tutti
lo abbiamo fatto in un modo o nell’altro! Tutti! Persino tua
figlia! Reagisci!»
continuò. I suoi pensieri rafforzavano il concetto con
immagini di Renesmee
mentre fissava una foto della madre, sorridendo e parlandole come se
fosse lì
con lei. Non riuscendo a evitare di ascoltarlo, mi piegai sulle
ginocchia,
ansimando. Non volevo ammetterlo nemmeno a me stesso ma Jacob aveva
ragione.
Quando notò l’effetto delle sue parole e quando si
fu calmato, si accovacciò di
fronte a me.
«Ascolta.
Lo so che è difficile. Anche io ho amato Bella. Era una
ragazza stupenda, una delle migliori che io abbia mai conosciuto. Ma
ciò non
cambia le cose: non c’è più»
sussurrò addolcendo il tono.
«Credi
che non lo sappia?!» urlai all’improvviso,
alzandomi. «Ma tu non
puoi venire a dirmi che hai provato il mio stesso dolore! Il tuo era
solo una
brutta copia sbiadita di ciò che provo io!». Si
alzò e, guardandomi negli
occhi, disse: «Lo so. A me, in questo momento, sta a cuore la
felicità di
Renesmee e non permetterò che tu e la tua depressione la
offuschiate.
Ricordatelo questo, succhiasangue» aggiunse, facendosi
minaccioso. Non mi
importava: nessuno poteva capire come mi sentivo. Nessuno nella mia
famiglia
aveva mai perso nessuno che amava come io amavo lei. Jacob
uscì dalla casa a
grandi passi senza aggiungere nulla, mentre io rimasi seduto sul letto,
ad
occhi chiusi, tentando di non pensare a nulla, senza perdere in alcun
modo però
la consapevolezza del terribile dolore al quale ero perennemente
sottoposto per
mia volontà. Quella notte cominciò a nevicare
all’improvviso, interrompendo il
silenzio totale al quale ero sottoposto. L’unica cosa a farmi
compagnia erano i
sogni di mia figlia che però era tranquilla e non stava
pensando a nulla di
particolare. Per evitare ricordi legati alla neve rimasi disteso,
guardando il
soffitto, senza fare nulla, come una pietra insensibile a qualsiasi
cosa. Solo
quando mi resi conto che Renesmee era sveglia già da un bel
po' mi tirai su,
andando a prepararle la colazione.
«Buongiorno»
disse, sorridendo, appena mi vide.
«Ciao,
Nessie».
«Come
va?».
«Come
al solito. Cosa fai oggi?». Sapevo che mia figlia stava solo
tentando di condurre una conversazione normale ma come al solito non
riuscivo a
concentrarmi per portarla avanti nel migliore dei modi.
«Alice
vuole vedermi».
«Per
il matrimonio?».
«Probabile.
Abbiamo quasi finito». Con suo dispiacere non mostrai
nemmeno un minimo di interessamento, nemmeno quel poco che imponevano
le buone
maniere e tornai alla mia occupazione giornaliera: starmene in camera a
rimuginare
sul passato.
«Vado
da Alice!» sentii Renesmee che urlava prima di uscire quando
una
telefonata la fermò. Risposi subito, sconcertato
dall’orario della chiamata.
«Pronto?».
Ed ecco di nuovo i singhiozzi e le lacrime trattenute di
qualcuno che soffriva. Attesi qualche secondo ma nessuno rispondeva,
quando
all’improvviso una donna sussurrò:
«Edward...» e cadde la linea. Ma chi poteva
essere? Chi poteva conoscere il mio nome e il mio numero? Chi, la cui
voce mi
era così familiare ma che non riuscivo a identificare,
temendo che mi sarei
fatto del male?
«Chi
era?» chiese Renesmee, facendomi notare che ero andato in
salotto.
«Nessuno»
dissi, non avendo ancora le idee chiare. «Oppure qualcuno che
aveva voglia di scherzare».
«Che
ha detto?». Non sapevo nemmeno che espressione dovevo avere
per
suscitare così tanto interesse in mia figlia.
«Niente»
mentii. «Non ha parlato». Non volevo condividere le
mie
paranoie con Renesmee.
«Va
bene» si arrese. «Allora io vado».
«Divertiti»
augurai, distrattamente prima di vederla uscire. Rimasi
qualche altro minuto a ripensare a quella voce, quel pianto trattenuto
che
aveva caratterizzato le ultime due chiamate, quando
all’improvviso il telefono
squillò di nuovo.
«Pronto?»
chiesi subito. Come le volte
precedenti, nessuno parlava dal ricevitore, si sentivano solo
singhiozzi e
qualcuno che ansimava. Non riuscivo a parlare perché quei
suoni mi erano molto
familiari, troppo familiari. Volevo solo che parlasse, doveva dire
qualcosa...
volevo che confermasse la mia speranza, che inevitabilmente stava
cominciando a
crescere dentro di me.
«Ti
amo, Ed...» sussurrò la voce dall’altro
capo del telefono. Non riuscì a finire, però.
Cadde la linea. Rimasi ancora per
qualche secondo con la cornetta vicino all’orecchio, tentando
di dare un senso
a quanto stava accadendo. La persona che chiamava doveva essere lei,
avrei
riconosciuto quella voce ovunque, sempre e comunque. Il suo tono, i
suoi
singhiozzi, tutto era inconfondibile e non riuscivo a non valutare
quest’idea.
Ma se era viva, perché Alice non riusciva più a
vederla? Perché non vedeva le
sue decisioni? Ma soprattutto perché solo ora?
Perché non dieci anni fa? Non
riuscii a darmi una risposta ma non me ne preoccupai per il momento:
dovevo
solo dire a Renesmee ciò che stava succedendo, dirlo a
Alice, a Carlisle, a
tutti. Se era viva dovevamo cercarla, riportarla a casa... Non ci
pensai due
volte: uscii di casa e raggiunsi in un batter d’occhio casa
Cullen. Trovai
Renesmee ed Alice in salotto ma non ebbi nemmeno il tempo di capire
cosa stavano
facendo perché mi fiondai su di loro, urlando la mia
scoperta.
«Come
hai fatto a non vederla?! Lei è viva!».
Immediatamente i loro sguardi increduli si spostarono su di me. Le loro
espressioni mi dicevano che credevano che fossi pazzo ma non me ne
importava
nulla. Se mia moglie era viva avrei fatto di tutto per riportarla sana
e salva
da me.
«Chi?»
sussurrò Alice, come se non conoscesse
la risposta.
«Chi?!»
esplosi. «Bella è viva! Viva, lo
capisci?». Pronunciare il suo nome fu come una liberazione ma
mi ero lasciato
trasportare dagli eventi perché continuare a pronunciarlo
come se nulla fosse
non era possibile. Ogni volta sarebbe stato un dolore fisico come lo
era ogni
volta che rivivevo i momenti con lei. Ma in quel momento era
intervenuta la
speranza, la speranza che prima o un poi mia moglie sarebbe tornata tra
le mie
braccia.
«Edward,
non dire stupidaggini» cominciò mia
sorella. «Lei... non c’è
più».
«No,
ti sbagli!» dissi subito. «Lei è
viva!».
Perché non voleva credermi? Non era una notizia stupenda?
«Edward
non può essere viva!» urlò Alice, con
occhi accecati dalla rabbia per me che volevo destare un piccolo
granello di
illusione nel suo cuore di pietra. Guardai Renesmee, aspettandomi che
dicesse
qualcosa, ma non lo fece. Invece lei fissava il pavimento, sconvolta e
seccata.
Continuai a discutere con Alice mentre sentivo i pensieri dei miei
fratelli che
si interrogavano su cosa stesse succedendo. Quando Alice si arrese, mi
guardò
semplicemente con uno sguardo nero, affranto.
Perché
devi fare così? Non è già abbastanza
difficile senza queste tue
stupide convinzioni? pensava.
All’improvviso Renesmee si alzò dal suo posto,
urlando.
«Basta!
Smettila! Lei è morta! È morta da dieci
anni!». Non riuscivo
nemmeno ad ascoltarla. Perché doveva dire queste cose? Lei
conosceva benissimo
il dolore che io provavo, ora che mi si era accesa la speranza, doveva
per
forza riportarmi alla realtà? Avevo bisogno della mia
illusione privata, volevo
solo poter credere di avere una speranza.
«Devi
reagire! Non puoi continuare così!» mi
pregò, con le lacrime agli
occhi. «Lei non c’è più e non
può tornare!». Subito mi diede le spalle,
asciugandosi gli occhi delle lacrime che era stanca di versare. Prese
la mano
di Alice che le si era avvicinata e attraverso il suo potere le disse
che
avrebbero continuato più tardi. Quando lei uscì a
grandi passi dalla sala, non
riuscii a muovermi dalla mia posizione rigida. Quando ricominciai a
pensare a
ciò che stava succedendo intorno a me, sentii i pensieri
degli altri.
Ma
cosa sta succedendo? pensò
Jasper, iniziando a scendere le scale.
Proprio
adesso... si
rattristò Esme.
Era
il caso di uscirsene con una
stupidaggine del genere? mi
rimproverò Alice, che non si era ancora ripresa dallo shock.
Continuavo a
guardarla, stupito dalle loro reazioni: perché non erano
felici? Lei era viva!
Dovevamo trovarla... dovevamo...
Ma
chi volevo prendere in giro? Ero un uomo che immaginava di avere a
fianco la moglie nei momenti peggiori e che credeva a delle telefonate
anonime
nelle quali una donna pronunciava il suo nome e diceva di amarlo. La
verità era
solo che mi sentivo terribilmente solo e che il mio inconscio mi dava
una scusa
per continuare a sperare e per provare a dare un senso alla mia vita,
dopo
averlo perso da dieci anni ormai. Jasper ed Esme erano in salotto ormai
e,
mentre mio fratello tentava di capire cosa era successo da Alice, Esme
mi si
avvicinò, appoggiandomi una mano sulla spalla.
«Va
tutto bene, Edward... perché non chiami Emmett, magari
andate da
qualche parte, vi distraete un po'...» propose con un sorriso
incoraggiante.
Non la guardai nemmeno, mi scrollai la sua mano di dosso e uscii, senza
dire
nulla. Avevo bisogno di stare da solo, per qualche minuto, per il tempo
necessario a rimettere ordine ai miei pensieri. Sapevo dove dovevo
andare: nel
luogo dove tutto era cominciato, dove la parentesi più
splendida e felice della
mia vita si era aperta, dove lei mi aveva visto per la prima volta per
quello
che ero...
La
radura. La nostra radura.
Corsi
più velocemente che potevo nella foresta, ignorando gli
alberi e gli
animali intorno a me, concentrandomi sul mio compito. Dovevo parlare
con lei,
chiederle consiglio e sapevo che appena mi fossi ritrovato da solo lei
sarebbe
apparsa per rimproverarmi del mio comportamento. Giunto nel punto
esatto del
bosco, feci un respiro profondo prima di addentrarmi tra
l’erba del posto che
anni prima mi era sembrato il più bello del mondo. Ora
sembrava solo un posto
vuoto e desolato ma serviva allo scopo: rimanere da solo. Mi accasciai
sull’erba fredda, ghiacciata per la neve che fortunatamente
aveva smesso di
cadere. Bastarono pochi secondi prima che lei apparisse. Era seduta al
mio
fianco, tanto vicina da poterla toccare se non fosse stata frutto della
mia
immaginazione.
«Come
fai a credere a delle stupidaggini del genere? Hanno ragione loro:
forse stai impazzendo» disse subito, costringendomi a girarmi
per guardarla.
Era sempre perfetta con quel suo abbigliamento casuale e per niente
studiato,
se l’avesse vista, sicuramente Alice sarebbe andata in
bestia. Sorrisi ai
ricordi.
«Non
posso farne a meno...» mi giustificai.
«Invece
sì. Devi farlo. Per tua figlia... per me!» mi
ricordò.
«Ma
se ci fosse anche la minima speranza che...» cominciai ma non
mi diede
tempo di finire.
«Io
sono morta! Perché non vuoi accettarlo?! Tutti soffrono per
colpa tua!
Pensa a tua figlia! Io appartengo al passato!»
urlò, alzandosi. Quelle parole
mi colpirono come... come... non c’era un’immagine
abbastanza potente che
potesse descrivere la forza di quelle parole. Forse l’unica
poteva essere la
prima volta che avevo sentito il suo delizioso profumo da umana...
«Stai
ancora pensando a me! Te lo leggo negli occhi!» mi
rimproverò,
severa.
«Come
faccio a non farlo?» sussurrai con tono implorante.
«Concentrati
su altro. Aiuta Renesmee con i preparativi per la festa.
Mostrati entusiasta. E parlale di me, rendila felice, esaudisci ogni
suo
desiderio...» consigliò con il suo tono dolce e
affascinante allo stesso tempo.
Mi alzai e mi ritrovai di fronte a lei, incrociando il suo sguardo
stupendo.
«Te
lo prometto» giurai. La magnifica immagine del mio inconscio
sorrise,
felice e soddisfatta, prima di sparire e di arrecarmi una fortissima
scarica di
dolore. Riuscii a sopportarla però. Lei aveva detto cosa
dovevo fare: il mio
unico compito era quello di rendere felice mia figlia, un compito che
stavo
trascurando, procurandole solo sofferenza. Decisi di tornare a casa, da
mia
figlia per scusarmi. Volevo farmi perdonare e così tornai il
più velocemente
possibile a casa. Trovai Renesmee in cucina mentre mangiava la cena che
aveva
preparato e, diversamente dal solito, mi sedetti di fronte a lei,
sorprendendola. Non riuscivo a guardarla negli occhi perché
mi vergognavo ma
cominciai comunque a parlare.
«Nessie,
mi dispiace per quello che ho detto» sussurrai.
«Non
voglio le tue scuse, papà. Voglio che tu reagisca».
«Lo
so... Ma non è facile! Lei... lei... era tutto per
me» mormorai, senza
riuscire ad aggiungere altro.
«Non
parli mai di lei» notò.
«Non
ci riesco» ammisi. «Mi dispiace per quello che ti
ho fatto passare in
questi dieci anni».
«Papà
ti stai torturando da solo» disse. «Non
preoccuparti per me, io sono
felice». Finalmente riuscii a guardarla negli occhi prima di
spiegarle il mio
comportamento.
«Scusami
se non ti ho mai parlato di lei... Tu le somigli così
tanto!».
«Davvero?».
«Si»
risposi, inquieto. «Hai
i suoi stessi occhi e anche il colore delle tue
guance è identico».
«Vuoi
parlarmi di lei?» chiese insicura. Non mi aspettavo quella
domanda,
ma ora non potevo negarle di sapere qualcosa in più sulla
madre. Persi qualche
secondo a pensare da cosa cominciare, cosa raccontarle, cosa evitare
per non
soffrire ulteriormente e bloccarmi senza motivo apparente.
«Ci
siamo conosciuti a scuola...» spiegai. «Lei
era nuova e piaceva a tutti...
io avrei dovuto ignorarla come facevo con gli altri umani, ma lei era
la
creatura più bella che avessi mai visto! Mi piaceva tutto di
lei e non riuscivo
a starle lontano...».
«Quindi
è stato un colpo di fulmine»
scherzò lei, ma non riuscii a sorridere. Il mio sforzo nel
parlare di lei era
tale da non concedermi distrazioni.
«La
desideravo così tanto da odiarla.
Infatti, scappai e stetti via qualche giorno...ma la vedevo ovunque e
non
riuscivo a dimenticarla, così decisi di tornare».
«Perché
dovevi starle lontano?».
«Rischiavo
di ucciderla! Era così fragile e
aveva un odore così buono. Avrei potuto perdere il controllo
e ucciderla. Ma
decisi di restare, lei era una calamità che attirava
disgrazie, era difficile
trovare un giorno in cui nessuno avesse cercato di farla
fuori».
«Era
davvero speciale» mormorò Renesmee, con gli occhi
lucidi.
«Si»
confermai, sul punto di smettere di parlarne. «E'
sempre stato
tutto contro di noi, ma non ci siamo mai arresi...».
«Ne
è valsa la pena!» sentenziò.
«Certo!»
la rassicurai. Non riuscivo più a vivere nel passato:
sentivo che
se avessi continuato a parlare di mia moglie sarei potuto finire di
nuovo
schiavo del dolore, fino a chiudermi in me stesso, provocando
sofferenza a mia
figlia. Non potevo permetterlo, nonostante Renesmee sembrava poco
soddisfatta
dalle mie risposte evasive e poco dettagliate. Mentre non riuscivo a
vincere la
sensazione di vuoto che dominava tutto me stesso, rimanevo seduto
lì, a
guardare un punto impreciso della parete mentre Renesmee continuava a
mangiare,
fissandomi. Quando si alzò per andare a letto la fermai,
desideroso di mettere
in chiaro una cosa molto importante. Le afferrai un braccio e la
guardai dritta
negli occhi.
«Nessie,
aspetta! Lo
so che a volte sono freddo, distante e che spesso ti faccio stare male.
Mi dispiace.
Mi dispiace per tutto. Per non averti parlato di lei. Per aver reso
questi
dieci anni un incubo per te. Ma non voglio che tu pensi che non ti
voglio bene!
Sei parte di me e sei sempre uno dei miei primi pensieri... Sei sempre
stata la
nostra ancora, sai? Anche tua madre si è aggrappata a te
quando l'oscurità
stava per portarmela via! Ora anch'io mi sto aggrappando a te,
piccola!»
sussurrai tutto d’un fiato, senza riuscire a fermarmi. Vidi
delle lacrime
addensarsi sugli occhi di mia figlia e la strinsi a me, colmando per un
solo
secondo il vuoto che mi opprimeva. Non potevo più far
soffrire Renesmee ma non
potevo nemmeno smettere di provare il dolore. Ciò che sapevo
era che avrei
dovuto fingere, evitando di mostrare ciò che provavo. Lo
avrei fatto per Renesmee,
per lei. Appoggiai il viso tra i suoi capelli biondi, mentre lei
affondava la
testa nel mio petto. Poi, quando si separò da me, mi
lanciò solo un’occhiata
più tranquilla e poi tornò in camera sua. La
nottata trascorse tranquilla,
senza apparizioni particolari, e il giorno sembrò arrivare
più in fretta del
solito. Quella mattina andai a caccia con Carlisle e con Emmett, per
svagarmi
un po' e riuscire ad acquistare un minimo di buon umore prima della
serata che
ci attendeva. Ottenemmo un bottino abbastanza sostanzioso, uccidendo un
paio di
orsi. Emmett era più eccitato del solito e dopo un po' mi
sfidò a fare una gara
di corsa.
«Vediamo
se sei ancora il più veloce» disse
a mo’ di provocazione.
«Comincia
a correre» risposi, lanciandogli
un’occhiata d’avvertimento.
«Non
mi serve nessun vantaggio. Ci vediamo
a casa, quando ci arriverai».
«Via!»
esclamai all’improvviso, senza
preavviso. Iniziai a correre, sfruttando tutta la mia potenza,
arrivando quasi
a non vedere nulla intorno a me.
«Non
vale, imbroglione!» urlò Emmett dietro
di me, quando mi raggiunse. Poi pensai ad un piccola scorciatoia che
conoscevo
molto bene. Sarei passato vicino ad uno di quei sentieri che davano
quasi sulla
strada. Come sempre la corsa mi inebriava anche se aveva un sapore
agrodolce:
non correvo più molto spesso. Avevo già percorso
qualche chilometro, quando
arrivai in un piccolo spiazzo, lo stesso che avevo visto tanti anni
prima. Mi
frenai di colpo, rivedendo come uno spettatore la scena del primo bacio
che
avevo dato a mia moglie.
«Continua
a correre» mi ordinò la sua voce,
apparendo all’improvviso. Mi sforzai di chiudere gli occhi,
tentando di muovere
i piedi, ma sembravano incollati al terriccio.
«Ricorda
per chi lo stai facendo» disse
lei, facendo sbloccare i miei piedi, improvvisamente. Riuscii a
muovermi,
continuando a correre, non più divertito però.
Non vedevo l’ora di allontanarmi
da quel luogo. Raggiunsi la villa e vi trovai Emmett e Carlisle che mi
aspettavano: il mio fratellone non vedeva l’ora di
rinfacciarmi una vittoria
del genere, con tanto margine di vantaggio e con una partenza che non
era stata
delle migliori.
«Ah!
Ti ho battuto! La prossima volta sii
un po' più lento, ti sarai stancato!»
urlò subito, prendendomi in giro. Non
avevo proprio voglia di rispondergli e così lo ignorai.
Carlisle, invece, si
accorse della mia espressione e mi chiese subito cosa non andasse.
«Nulla...
Tutto a posto... Forse dovremmo
prepararci per stasera» suggerii, desideroso di cambiare
argomento.
«Forse
è il caso» rispose mio padre.
«Si!
Stasera ho proprio voglia di battere
qualcuno a braccio di ferro, mi sento motivato!» mi
apostrofò Emmett, ancora. In
quel momento uscii Jasper dalla casa, accompagnato da Esme, annunciando
che per
tutta la sera gli uomini erano banditi dalla casa.
«Bene!
E’ ora di andare a prendere lo
sposo!» urlò Emmett, prendendo Jasper per un
braccio e trascinandolo verso casa
mia. Esme si appoggiò a Carlisle e gli chiese di
accompagnarla a comprare
qualcosa da mangiare per la serata. Lui accettò.
«Ci
vediamo stasera allora?» chiesi.
«Certo».
«A
dopo allora».
Tornai
a casa e subito andai nella mia
stanza. Renesmee era già andata via e i miei fratelli
avevano già preso in
ostaggio Jacob. Indossai una felpa marrone chiaro e un jeans semplice,
d’altronde dovevo andare ad un falò sulla
spiaggia. Non avevo voglia di
festeggiare però... probabilmente mi sarei messo in disparte
per non rovinare
la festa agli altri. Quando fui pronto, presi le chiavi della mia Aston
Martin
e mi diressi subito a La Push, parcheggiando vicino alla spiaggia. Poco
più in
là, un gruppo di licantropi si stavano radunando intorno ad
un fuoco, salutandosi
affettuosamente e scherzando come un normale gruppo di amici.
«Ciao,
Edward!» urlò Seth, avvicinandosi.
«Ciao,
Seth...» sussurrai. Il suo sorriso
era evidente e non volevo rovinargli l’umore e
così mi costrinsi a sorridere,
anche se mi uscii più una smorfia.
«Come
stai?» chiese, intuendo il mio umore.
«Tutto
a posto, grazie» risposi, mettendo
le mani in tasca in un gesto casuale.
«Mi
fa piacere...» mormorò, guardando
altrove. Si sentiva in imbarazzo, era evidente. Non riusciva a trovare
un
argomento che riuscisse a portare avanti una conversazione. Quando
stavo per
dire qualcosa, arrivò Jacob per salutarmi e ci unimmo alla
compagnia già
riunita. Emmett, Jasper e Carlisle erano già arrivati e si
stavano
intrattenendo con gli altri licantropi.
«Dove
sono Sam e Jared?» chiese Jacob a
Paul.
«Avevano
il turno di ronda... non vengono»
rispose.
«Non
potevano farsi sostituire da Colin e
Brandy?» sibilò Jacob, adirato.
«Evidentemente
no». Carlisle diede una
pacca sulla spalla del promesso sposo, dicendogli di non badare a
ciò che era
successo. Mi sedetti su un tronco, vicino a Seth che, però,
dopo un po' fu
assorto in una conversazione con i suoi compagni di branco. Emmett e
Paul non
facevano che sfidarsi a braccio di ferro, e il perdente chiedeva sempre
una
rivincita e così si tenevano occupati. Carlisle e Jasper
stavano discutendo di
alcune strategie utilizzate negli anni precedenti con Quil.
All’improvviso mi
alzai, andando verso la riva. Non era una brutta serata ma mi sentivo
di
troppo, totalmente in disparte per colpa mia. Dopo pochi minuti quando
stavo
fissando le onde infrangersi sulla battigia, Jacob mi raggiunse,
probabilmente
desideroso di un po' di pace.
«Tutto
bene?» chiese, preoccupato.
«Si,
è solo che ho paura di rovinare la
festa con il mio cattivo umore» risposi sinceramente.
«Già,
a chi lo dici. Non avrei nemmeno
voluto organizzare un falò, ma tua sorella è
ferma sul fatto che si debba fare
un addio al celibato e quindi...». Sorrisi, immaginando come
Alice stesse
rendendo la vita un inferno al povero Jacob.
«Ti
capisco. Jasper ed Emmett mi rapirono
la sera prima del mio matrimonio...» sussurrai,
interrompendomi subito,
ricordando dove ero e cosa stavo vivendo nel momento in cui lo avevano
fatto.
«Lo
hanno fatto anche con me! Forse ci
provano gusto!» esclamò.
«Si,
probabilmente».
«Okay,
ascolta. Stasera puoi essere anche
silenzioso e depresso per tutta la notte, ma domani ti chiedo un
atteggiamento
diverso, per Renesmee...» mi implorò.
Sorrisi.
«Tenterò».
«Grazie
e scusa per quando sono esploso...
non lo meritavi».
«L’ho
già dimenticato» assicurai.
«Bene...
manca anche a me, sai?».
«Manca
a tutti».
«Già»
sospirò. «Sapeva sempre cosa dire al
momento giusto. Era la mia migliore amica...».
«Ma
almeno non era la tua unica ragione di
vita» gli ricordai.
«Si,
ma ricorda che tu hai una figlia,
delle responsabilità, una famiglia che ti ama... siamo
fortunati in questo».
«Non
posso essere d’accordo, ma apprezzo lo
sforzo, davvero». Rimanemmo in silenzio, ognuno perso nei
propri pensieri,
guardando il mare scuro che si agitava con violenza, provocando onde
molto
alte.
«Che
fine ha fatto lo sposo?!» urlò
all’improvviso Emmett, chiamando Jacob a rapporto.
Sospirò di fronte a quello
che lo attendeva e mi lanciò un’occhiata
implorante prima di tornare alla festa
in suo onore. Dopo poco decisi di unirmi ai festeggiamenti, seppur
rimanendo in
silenzio o dicendo una parola ogni tanto. Nel complesso,
però, la serata
trascorse tranquillamente, nel migliore dei modi, probabilmente. La
mattina
dopo tornai a casa solo per cambiarmi e mi diressi subito a casa
Cullen. Il
grande giorno era arrivato. Indossavo
il mio smoking nero mentre Renesmee era prigioniera di Alice e Rosalie
che la
stavano preparando per il grande avvenimento. Mia figlia stava per
sposarsi,
non potevo crederci! Doveva essere tutto perfetto e sorridevo quasi
mentre
aiutavo Jasper, Emmett e Carlisle per i preparativi della sala e della
cena,
che era prevista fuori, nonostante il grande freddo e la neve. Alice
era sicura
che avrebbe fatto più caldo del solito e poi aveva
posizionato qualche stufa
qua e là per gli umani invitati. Salvo gli ultimi dettagli
del momento, era
tutto pronto. Mancavano solo tre ore all’inizio della
funzione e Renesmee e
Jacob erano adeguatamente divisi in due diversi piani della casa.
Renesmee si
trovava nella stanza di Alice dove si stava finendo di truccare e
pettinare,
mentre Jacob era in garage. Il motivo del perché si trovasse
lì mi era del
tutto oscuro, così pensai di andare a fargli i miei auguri
prima che fosse
troppo tardi e che cominciassero ad arrivare gli ospiti.
«Ehy»
lo chiamai, cercando di attirare la sua attenzione.
«Ciao,
Edward» disse con un tono così nervoso che mi fece
preoccupare. Mi
avvicinai con un timido sorriso, tentando di calmarlo.
«Non
è che ci hai ripensato?» scherzai.
«Assolutamente
no...» rispose subito. «Solo che io non sono tipo
da feste
del genere. Non so cosa fare, come comportarmi... Voi siete tutti
così
perfetti, sembrate nati in smoking... io sembro un cretino».
«Non
dirai sul serio! Stai benissimo, l’unica cosa da ricordare
è tenere
sempre la testa alta e il morale a mille. Per il resto lascia fare a
Renesmee,
il tuo amore nei suoi confronti farà il resto».
«E
se dovessi commettere qualche errore?».
«Jacob,
ti garantisco che non te ne accorgeresti».
Sospirò, di fronte alla
mia logica e poi drizzò le spalle e alzò la
testa, fiero. Feci un cenno
d’assenso, vedendo che aveva capito perfettamente cosa
intendevo.
«Perfetto»
dichiarai.
«Grazie,
Edward».
«Di
nulla» dissi. «Torniamo su, Esme ti sta
cercando». Annuì e gli posai un
braccio sulla spalla, come due vecchi amici. Credo che ormai potevamo
definirci
come tali: ne avevamo passate tante, troppe insieme. Subito Esme si
impossessò
di lui appena fummo di sopra, dandogli le ultime istruzioni per la
funzione.
Nel frattempo decisi di salire di sopra per vedere come stava andando
con
Renesmee, i cui pensieri erano stranamente tranquilli e pacati.
Soprattutto
erano incentrati su Jacob, che non vedeva dalla mattina precedente.
Bussai
piano alla porta, aspettando che qualcuno mi desse il permesso per
entrare.
«Vieni,
Edward» concesse Alice.
«Come
sta andando?» chiesi subito, innocentemente.
«Forse
sarò pronta per l’anno prossimo»
scherzò Renesmee; Alice rispose con
una smorfia.
«Siamo
quasi pronte» disse Rosalie, nonostante lei ed Alice non
indossassero il loro abito per la cerimonia e nemmeno Renesmee.
«Sembrate
all’inizio» notai.
«Che
ne sai tu? Sei un uomo!» mi apostrofò Alice,
indignata. Non ebbi il
tempo di ribattere.
In
quel preciso istante sentimmo un urlo provenire dal piano di sotto, un
grido di gioia, con una serie di abbracci e baci.
«Non
ci posso credere!» aveva urlato Jacob, totalmente sorpreso.
Alice,
Rosalie e Renesmee scesero subito al piano di sotto per vedere cosa
fosse
successo. Io ero pietrificato.
Bella
è viva! Come è possibile?! stava
pensando Jacob.
Non
ci posso credere sentenziò
Carlisle.
La
mia bambina è tornata!
Finalmente è tornata!
erano i pensieri di Esme.
Bella!
Bella è qui! cantilenava
Alice.
Come
diamine può essere?! La
credevamo tutti morta e invece... meditava
Emmett.
Mi
ha fatto prendere un colpo,
credevo di aver visto un fantasma... rifletteva
Jasper mentre ripensava a quando era andato ad aprirle la porta.
Finalmente!
Non poteva scegliere
un momento migliore! decretò
Rosalie.
Mamma?!
Mamma è viva! Non è
possibile! Non riesco a crederci! erano
i pensieri rumorosi di Renesmee mentre abbracciava la madre. Mentre
abbracciava Bella, la mia Bella. La mia Bella era al piano di sotto...
Non
riuscivo a crederci... non volevo crederci, già troppe volte
avevo ceduto alla
speranza. Ma avevo bisogno di vederla: tutti i miei familiari erano
convinti
che fosse lei, che fosse veramente la mia Bella... uscii dalla stanza
di Alice
e mi accostai alle scale. Vidi tutti i miei familiari accalcati vicino
all’ingresso, chi in smoking, chi ancora in abiti casual. Si
alternavano per
abbracciare e baciare una persona, una vampira senza alcun dubbio,
della quale
non riuscivo a percepire i pensieri. La donna era ancora tra le braccia
di mia
figlia, che ormai stava piangendo a dirotto e singhiozzava a non finire
stringendo Renesmee come se fosse la sua unica ragione di vita.
All’improvviso
la lasciò andare, guardandola e asciugandole le lacrime con
le dita,
delicatamente come se avesse paura di romperla. Fu allora che riuscii a
vedere
il suo viso. I suoi occhi, di un rosso carminio acceso, erano quasi
gonfi per
le lacrime che non riuscivano a versare; la sua pelle di marmo era
pallida ma
sembrava di seta, le sue labbra, tinte leggermente di rosso, erano
perfette
anche con la particolarità del labbro superiore
più spesso di quello inferiore;
i suoi capelli, acconciati in modo da scoprire il viso magnifico, erano
castani, con una sfumatura rossa tra le ciocche che le conferiva
delicatezza ed
eleganza. Non c’erano più dubbi ormai: era la mia
Bella. Ad un certo punto
anche lei alzò lo sguardo verso di me e, quando i nostri
occhi si incrociarono,
mi sentii finalmente felice, come se nulla contasse di più
al mondo.
Quell’angelo dagli occhi rossi scostò
delicatamente tutti, accarezzando
dolcemente il viso di nostra figlia. Fece qualche passo in avanti
mentre io
rimanevo lì, sul primo scalino a fissarla come incantato da
quella bellezza.
«Edward...»
mormorò, con voce tremante, singhiozzando. Indossava un
abito
stupendo che le fasciava tutto il corpo perfettamente, fino a poco
sopra il
ginocchio, dove si apriva come la coda di una sirena. L’abito
era di un blu
notte intenso che risaltava la sua carnagione in modo stupendo. La
scollatura
non era molto profonda sul davanti mentre dietro scopriva tutta la
schiena,
lasciando nuda la pelle candida. Inoltre indossava un collier di
diamanti e i
fermagli che i suoi genitori le avevano donato al nostro matrimonio.
Posai per
un attimo lo sguardo sulle sue mani tremanti: portava la fede nuziale e
l’anello che le avevo donato tanto tempo prima...
Era
proprio lei: Bella!
Scesi
le scale, lentamente, una ad una, verso lei, la donna che stavo
aspettando da oltre dieci anni e per la quale avevo sofferto come mai
nella mia
lunga esistenza. L’angelo era come bloccato, non riusciva a
muoversi, non
riusciva a parlare, non riusciva a smettere di singhiozzare. Mi fermai
davanti
a lei, a un metro di distanza, guardandola ancora negli occhi. Era
stupenda,
splendida, meravigliosa, incantevole... non esisteva al mondo un
aggettivo che
fosse in grado di descriverla.
«Sei
qui».
«Sono
qui» confermò, tremando.
«Sei
viva...» sussurrai. Un singhiozzo le spezzò la
voce e non riuscì a
rispondere, ma solo ad annuire. Rimanemmo così, a guardarci
negli occhi per un
attimo eterno, quando sentii i pensieri di Renesmee nella mia mente.
Avevi
ragione: lei è viva! È qui!
E’ la mamma! esclamò,
cercando di farmi svegliare
da quella sorta di sogno ad occhi aperti che stavo vivendo. Bella
alzò una
mano, accarezzandomi il volto dolcemente. La sua pelle di seta sulla
mia mi
fece finalmente rendere conto di ciò che stava succedendo:
lei era tornata.
Lei
era viva.
Lei
era con me.
Girai
il viso solo per poterle baciare la mano, piccola e delicata. La
raggiunsi con la mia e la premetti sulla mia guancia, chiudendo gli
occhi con
forza per calmarmi. Desideravo piangere, piangere di gioia
perché finalmente la
mia vita aveva un senso, ancora una volta.
Quando mi rigirai verso di lei, ebbi solo la forza di
sussurrare con
voce tremante: «Ti amo, amore mio».
L’angelo sorrise prima di abbracciarmi con
forza.
«Ti
amo, Bella» mormorai tra i suoi capelli, stringendola a me.
«Tu
sei tutta la mia vita, adesso e per sempre» rispose, le sue
parole
attutite dal mio petto. Renesmee si avvicinò a noi e la
accolsi fra le mie
braccia, mentre i nostri pensieri correvano sulla stessa lunghezza
d’onda: la
nostra famiglia era finalmente riunita e niente e nessuno ci avrebbe
mai più
separati.
Non
riuscivo più a pensare a nient’altro che non fosse
lei, nemmeno quando
ci raccontò tutto. Aro l’aveva costretta a
rimanere a Volterra, minacciandola
di scatenare una guerra per combattere la piaga dei bambini immortali e
non
aveva potuto rifiutare. Ci aveva fatto credere di essere morta per
evitare che
andassimo a cercarla e grazie al potere speciale di uno dei vampiri che
facevano parte del corpo di guardia, un certo Fred, l’avevano
occultata,
impedendo che Alice potesse vederla.
«Tutto
poi è successo molto in fretta...»
continuò Bella, appoggiata al mio
petto mentre descriveva a cosa era stata sottoposta nei dieci anni di
assenza.
Tutti la ascoltavano interessati mentre Renesmee le stringeva la mano
da seduta
con Jacob che le teneva le mani sulle spalle, in un gesto protettivo e
rassicurante. «Caius ha cominciato ad essere assetato di
potere e da quando ha
scoperto che qui c’erano dei licantropi non ha avuto
pace...».
«Ma
come ha fatto?» chiese Jacob.
«Aro
mi ha costretta ad allenarmi per ampliare il mio potere e mi hanno
insegnato molte cose tra cui quella di liberarmi del mio
scudo...».
«Aspetta
un secondo. Tu hai un potere?» chiese Carlisle, di colpo
più
interessato.
«Anch’io
lo credevo impossibile» rispose Bella. «Ma sono uno
scudo. E i
Volturi mi hanno insegnato a potenziarlo, ampliandolo alle persone
intorno a me
e addirittura a privarmene anche per qualche minuto
consecutivo».
«Stai
scherzando? È fantastico!» esclamò
Emmett, stupefatto. Bella sorrise,
stringendosi a me. Le avvolsi i fianchi con le braccia e le baciai la
clavicola
scoperta, facendola sorridere.
«Continua»
disse Jasper, sempre interessato a guerre e strategie.
«Quando
Caius ha saputo dell’esistenza dei licantropi attraverso Aro
che lo
ha visto nei miei pensieri, ha tentato di costruire un esercito per
sterminarvi. È per questo che ho tentato di chiamare
più volte: per
avvertirvi...».
«Ci
hai chiamato?» chiese Esme, confusa.
«Ha
chiamato me...» spiegai. «Ma purtroppo non siamo
mai riusciti a
scambiarci più di due parole. E’ per questo che ho
iniziato a sperare che fosse
viva, da qualche parte».
«Poi,
però, Aro si è dichiarato contrario mentre a
Marcus non interessava
più di tanto. Ma Caius non riusciva a togliersi
quest’idea dalla mente, non so
perché, e così ha tentato di portare Marcus dalla
sua parte, mettendolo al corrente
di un segreto centenario: Aro aveva ucciso la moglie di Marcus, sua
sorella,
tanti e tanti anni fa ma lui non lo aveva mai saputo... Caius
però non sapeva
che Marcus non avrebbe desiderato altro che vendetta, minacciando Aro a
tal
punto da farlo scappare via dall’Italia, in Inghilterra se
non mi sbaglio,
portando con sé Renata, Jane e Alec. Marcus è
rimasto a Volterra, segregato
nelle sue stanze a piangersi addosso tentando di architettare qualcosa
con
l’aiuto dei suoi prediletti, Demetri e Felix; così
Caius non ha avuto più
possibilità di formare un esercito. Quando ho capito che
nessuno ci avrebbe più
fatto del male, ho fatto di tutto per scappare e tornare a
casa...» terminò
Bella.
«Caius
ha il terrore dei licantropi solo perché una volta si
è scontrato
con uno di loro, temendo di non uscirne vivo... dopo
quell’episodio li ha fatti
sterminare tutti, ovunque» spiegai.
«Wow...
non riesco a capacitarmi di tutto ciò che devi aver
passato»
commentò Rosalie, sorpresa.
«Edward
aveva ragione: le relazioni dei Volturi erano basate sulla sete di
potere e sulla convenienza. Prima o un poi tutto l’equilibrio
fragile che
avevano creato doveva crollare... mi dispiace solo che sia successo
dopo dieci
anni dalla mia partenza...» sussurrò Bella,
posandomi una mano sul collo. Le
baciai una guancia, tranquillizzandola. L’importante era che
ora potevo
finalmente stringerla tra le mie braccia di nuovo.
«E’
tutto molto molto interessante, te lo concedo, ma noi abbiamo un
matrimonio da celebrare» ricordò Alice
all’improvviso.
«Già.
Jacob vai a farti un giro, noi dobbiamo preparare la sposa»
sentenziò
Rosalie.
«Guarda,
tesoro. Ti ho fatto rovinare tutto il trucco» si
scusò Bella,
tentando di riparare al danno, senza riuscirci.
«Normalmente
non lo direi, ma non fa niente! Le lacrime erano assolutamente
giustificate!» la rassicurò Alice. Subito
sparirono tutti dalla mia vista:
Esme, Rosalie, Alice e Renesmee salirono al piano di sopra; Jasper,
Emmett e
Carlisle andarono ad accogliere i primi ospiti che erano arrivati.
Rimanemmo
solo io, Bella e Jacob, l’eterno trio.
«Non
riesco ancora a credere che tu sia qui» disse Jacob,
guardando Bella.
«Mi
dispiace per tutto ciò che vi ho fatto vivere. È
stato imperdonabile...
Vi chiedo scusa, davvero» sussurrò lei in
risposta, abbassando lo sguardo,
veramente mortificata.
«Stai
scherzando, Bells?! Siamo felicissimi che tu sia qui!»
esclamò lui.
«Ha
ragione, amore. Non potremmo essere più soddisfatti di
questa giornata»
confermai. Bella sistemò una mano sulla mia spalla e una su
quella di Jacob,
attirandoci a sé.
«Vi
adoro, ragazzi. Siete i miei angeli custodi»
mormorò, accarezzandoci la
guancia. Non riuscii a trattenermi dallo stringerla tra le braccia,
come anche
Jacob al mio fianco e, per la prima volta, sentivo di essere completo.
Mia
moglie e il mio migliore amico con me, uniti e non più
separati da stupide
discussioni, semplicemente insieme per combattere qualsiasi cosa ci si
fosse
parata davanti. Io e Jacob andammo in salotto per accogliere gli ospiti
mentre
Bella salì in camera di Alice, forse voleva stare con la
figlia prima del
grande momento. Arrivarono tutti: i Quileute, Charlie, che non sapeva
ancora
nulla di tutto l’accaduto e anche il clan di Denali al gran
completo. Dopo aver
chiacchierato amabilmente con gli invitati mi congedai, dovendo
adempire al mio
dovere di padre della sposa. Bella non era ancora scesa,
così augurai buona
fortuna a Jacob e salii le scale. Sentii che tutti prendevano posto e
vidi
scendere anche Rosalie. Entrai nella stanza senza bussare questa volta
e trovai
Bella e Renesmee abbracciate, pronte a separarsi per il grande momento.
«Ti
voglio bene, tesoro».
«Anche
io, mamma». Alice era pronta con il suo bouquet e quello di
Renesmee.
Bella si avvicinò a me e, prima di scendere per prendere
posto, sussurrò al mio
orecchio: «Buona fortuna, questa volta la scalinata tocca a
te». Sorrisi e mi
avvicinai a Renesmee.
«Sei
pronta, tesoro?».
«Adesso
sì» confermò, fiera.
«Cos’è
quello?» chiesi, indicando un medaglione che pendeva al collo
di mia
figlia.
«Un
regalo della mamma». Vidi nella sua mente
l’immagine di quel ciondolo
che si apriva e che sfoggiava un’iscrizione in francese di
fianco a una delle
nostre vecchie fotografie insieme. “Più della mia
stessa vita” diceva la
scritta. Sorrisi e presi mia figlia sottobraccio.
«Sei
splendida. Non temere nulla».
«Grazie»
rispose. Lasciai che Alice ci precedesse, danzando con il suo
bouquet mentre noi sfilavamo di fronte al gruppo di amici e parenti che
era
venuto a sostenere Renesmee e Jacob in questo giorno così
importante per loro.
Sempre sulle note della marcia nuziale, giungemmo all’altare,
addobbata con
fiori di ogni tipo, e unii le mani di Jacob e Renesmee, secondo la
tradizione.
Quando il mio compito fu terminato mi accomodai al fianco di mia
moglie,
gustandomi la cerimonia a pieno. Si scambiarono le fedi e i giuramenti
che, con
mia grande sorpresa, furono uguali ai nostri. Quando alla fine si
baciarono
dolcemente tutti scoppiammo in un grande applauso. I primi a
congratularci con
la coppia felice fummo io e mia moglie, abbracciando i novelli sposi. E
quando
tutti i convenevoli furono terminati potemmo spostarci in giardino per
i
festeggiamenti. La musica era coinvolgente e accattivante e
così, dopo che mia
figlia e suo marito ebbero aperto le danze, tutti cominciarono a
ballare in
coppia, come me e Bella.
«Come
l’ha presa Charlie?» chiesi subito.
«Meglio
di come mi aspettassi, almeno quando ha ricominciato a
respirare»
disse ridendo.
«Bene...»
risi. «Ma come sapevi del matrimonio?».
«Ho
trovato una partecipazione di nozze sul tavolo in cucina. Mi
è preso un
colpo» scherzò. Risi con lei fino a quando non
ebbi l’obbligo di separarmi da
mia moglie per concedere un ballo a Renesmee. Visto che la madre di
Jacob non
poteva essere con noi quel giorno, Bella gli chiese di concederle
questo ballo,
facendolo tornare sulla pista. Mia figlia era davvero una brava
ballerina e
volteggiammo per qualche minuto insieme, divertendoci.
«Sei
felice, tesoro?» chiesi, prima di lasciarla tornare fra le
braccia del
suo lupo.
«Non
potrei esserlo di più».
«Allora
il mio compito è finito» dissi.
«Grazie,
papà. Di tutto».
«No,
grazie a te» sussurrai. «Se non fosse stato per te,
non sarei qui
ora».
«Ti
voglio bene».
«Anch’io,
Nessie». Detto questo restituii Renesmee a suo marito e mi
ricongiunsi a Bella che mi aspettava ai margini della festa, dando le
spalle ai
grandi festeggiamenti. Fissava la foresta.
«Quanto
mi è mancato questo posto» sospirò
quando le fui dietro. Le baciai
il collo, stringendole la mano.
«Non
dovrai lasciarlo mai più» promisi. Si
girò verso di me, prendendomi
entrambe le mani.
«Ma
tu mi sei mancato di più...» continuò.
«Non avrei mai dovuto scriverti
quella lettera, condannandoti a soffrire per tutto questo
tempo...».
«E’
tutto finito».
«Sapevo
che mi avresti aspettata. Noi ci apparteniamo, ricordi?»
sussurrò,
guardandomi negli occhi.
«Per
sempre» ripetei le parole dell’ultima volta che le
avevo sentito
pronunciare quella frase.
«E
questa volta per davvero» giurò prima di
avvicinare il mio viso al suo e
salire sulle punte dei piedi. La baciai con passione, finalmente in
pace con me
stesso. Baciai Bella Cullen, la donna che aveva fatto di me
l’uomo migliore che
ero diventato dopo averla conosciuta...