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Autore: ColferAddict    23/06/2011    2 recensioni
Ciao a tutti!!! Questa è la prima fan-fiction da me pubblicata e spero vi piaccia. E' un riadattamento del finale di Breaking Dawn, ultimo libro della saga di Twilight, e la trama cambia quando Bella parte per l'Italia per dimostrare di essere diventata un vampiro e per saldare i conti con i Volturi... Tutta la storia, poi, riprende dieci anni dopo dal punto di vista di Edward...
Spero vi piaccia,
Enjoy!!!
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Coppie: Bella/Edward, Jacob/Renesmee
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Breaking Dawn, Successivo alla saga
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Dieci anni.

Dieci anni erano trascorsi da quando la mia vita era finita.

Dieci anni erano trascorsi nella più totale passività rispetto a tutto ciò che avveniva intorno a me.

Dieci anni da quando tutto era cambiato, da quando il mio mondo non aveva più senso.

Tutto era cambiato tranne una cosa: il dolore. Il dolore che provavo assiduamente, ogni volta che entravo in quella che era stata la nostra stanza, ogni volta che rivedevo lei negli occhi di nostra figlia, ogni volta che riflettevo sui momenti trascorsi insieme, ogni volta che pensavo a lei.

Dieci anni erano trascorsi dalla morte di mia moglie.

E proprio quello era il giorno in cui ricorreva l’anniversario dell’avvenimento che mi aveva ucciso dentro. Il giorno che temevo più di tutto l’anno perché, nonostante lei fosse sempre nei miei pensieri e non potessi fare nulla per evitarlo, in quel giorno non potevo fare a meno che sentirmi in colpa per ciò che era successo.

Ero disteso sul nostro letto, fissando la vetrata di fronte a me. Sapevo che di lì a poco qualcuno della mia famiglia sarebbe arrivato a casa, provando a distrarmi, sapendo di non riuscirci. Da quando lei non c’era più, tutti cercavano di farmi distrarre in qualche modo, con la caccia, competizioni di ogni genere, di tutto e di più, ma purtroppo era inutile. Sinceramente non desideravo smettere di pensare a lei nemmeno per un istante, il mio dolore era la giusta punizione per la mia incoscienza. Emmett e Jasper stavano arrivando: sentivo i loro pensieri e, sorprendentemente, erano incentrati su di me. Stavano vagliando le possibilità di cosa fare per tutta la giornata. Jasper voleva andare a caccia mentre Emmett voleva simulare un paio di combattimenti. Ero semplicemente grato che non stessero pensando a lei, non sarei stato in grado di sopportarlo già di norma, figuriamoci in quella giornata. Varcarono la soglia ed entrarono senza bisogno che gli aprissi la porta e si fiondarono nella stanza dove mi trovavo, pensando a come farmi uscire da lì.

Andiamo, Edward! Perché non andiamo a caccia? pensò Jasper, prendendomi per un braccio.

«Preferirei restare qui, grazie» risposi in tono monocorde, tono che avevo adottato da dieci anni ormai. La mia voce non aveva più un’espressione, sembrava una riproduzione di un registratore rotto.

Invece no! Tu vieni con noi. Andiamo a combattere un po’ nella foresta suggerì Emmett. Come ai vecchi tempi.

«Se vengo la smettete di assillarmi?».

Si, pensarono in coro. Senza aggiungere altro, mi alzai dalla mia posizione e mi diressi in cucina con la scusa di dover preparare la colazione a mia figlia. Cucinai una decina di frittelle, prevedendo l’arrivo di Jacob, e le servii sul piccolo tavolo.

«Nessie, la colazione è pronta!» dissi, con un tono di voce leggermente più alto. Mi avrebbe sentito in ogni caso e arrivò in cucina in pochi attimi. Renesmee non era più una bambina ormai, era una donna a tutti gli effetti: il suo fisico era cresciuto velocemente, trasformandola in una bellissima ragazza dai capelli biondi, dagli occhi castani…

«Sono qui» disse, una volta entrata in cucina, sedendosi al suo solito posto dove avevo già sistemato un piatto vuoto da riempire con le frittelle che erano poste poco più in là.

«Ciao, piccola» sussurrò Jasper, dandole un bacio sulla guancia.

«Che fai oggi?» chiese Emmett, scompigliandole i capelli.

«Non so, aspetto Jake e poi decidiamo». La sua voce era più cupa quel giorno, probabilmente una giornata di svago con Jacob le avrebbe giovato ma sapevo benissimo che anche per lei quello era un giorno nero.

«Ti dispiace se portiamo tuo padre a caccia?» domandò poi Jasper.

«No, divertitevi» ci augurò, forzando un sorriso. Le accarezzai i capelli prima di uscire con i miei fratelli che la salutarono con un «Ciao!» affettuoso. Jasper ed Emmett correvano davanti a me, chiacchierando di cose senza importanza come una partita di baseball che avevano in programma e cose del genere, quando trovammo la nostra prima preda. Era un puma, animale che non mi entusiasmava più di tanto, avevo perso anche il gusto del sangue. Emmett e Jasper me lo lasciarono, dicendo che avevano fiutato un branco di alci più in là. Dissanguai la mia vittima e poi completammo l’opera con il gruppo di erbivori.

«Allora, Edward, che ne dici? Ti va di venire alla partita stasera? Porta anche Nessie, magari» suggerì Emmett con il suo solito entusiasmo, quando avemmo finito.

«No, grazie, Emm... preferisco rimanere a casa. Forse a Renesmee farà piacere venire. Può giocare al mio posto...» declinai subito l’invito.

«Ma non è lo stesso senza di te» si lamentò Jasper, dandomi una pacca sulla spalla.

«Davvero. Voglio stare un po' da solo...».

Come sempre... Se è proprio questo che vuoi, non possiamo mica costringerti... rifletté Emmett.

Non puoi fare sempre così, però. Alice sente la tua mancanza e anche Carlisle e Rosalie, per non parlare di Esme... ogni giorno pensiamo a un modo per stare tutti insieme come ai vecchi tempi, ma tu ci bocci tutto! stava pensando Jasper, ma non gli stavo prestando molta attenzione: erano discorsi che ormai ero abituato a sentire e a sopportare.

«Mi dispiace ragazzi». Si rassegnarono più in fretta del solito, prevedendo che non mi sarei lasciato smuovere nemmeno di una virgola e quindi tornammo tutti a casa. Renesmee non era ancora tornata, probabilmente era con Jacob e si stava divertendo con lui a La Push. Emmett e Jasper se ne andarono poco dopo, immaginando cosa stessi per fare. Ogni anno, quando ricorreva “quella” data, facevo sempre una cosa che, normalmente, durante l’anno non mi sarei mai concesso. Presi una scatola riccamente decorata in argento e mi accomodai sul letto. Lo aprii e trovai davanti a me una lettera e un anello. Presi prima il gioiello fra le mani e lo rigirai fra le dita. Immediatamente un ricordo si fece strada nella mia memoria...

 

«Isabella Swan? Prometto di amarti per sempre, in ogni singolo giorno, per l’eternità. Mi vuoi sposare?». Fissavo i suoi occhi castani mentre ero inginocchiato di fronte alla donna della mia vita e che di lì a poco avrebbe accettato di diventare mia moglie.

«Si» sussurrò, rendendomi l’uomo più felice dell’universo.

«Grazie» dissi, veramente riconoscente.

 

Chiusi gli occhi con forza, sforzandomi di allontanare il ricordo, ma soprattutto di frenare l’ondata di dolore che voleva risucchiarmi. Spesso avevo desiderato la morte, di raggiungere il mio grande amore e di ottenere la felicità eterna, anche all’inferno. Ma quella lettera, quell’innocuo pezzo di carta nella scatola me lo impediva. Presi con mano tremante la busta nella quale era contenuta la notizia che aveva cambiato la mia vita per sempre. Estrassi il foglio di carta ben ripiegato e lo aprii, preparandomi alla sofferenza che la lettura di quelle parole avrebbe provocato. Iniziai a leggere, lentamente, nonostante conoscessi quelle parole a memoria e le odiassi per il messaggio che contenevano.

 

Caro Edward,

ti imploro di perdonarmi per ciò che sto per dirti, ma purtroppo devo farlo. Aro sa tutto. Crede che Renesmee sia una bambina immortale perché Irina gli ha detto di averla vista nella foresta con me e Jacob. Sostiene che io sia venuta da sola per tenergli nascosta la sua esistenza e ha usato questo come prova per condannarmi a morire al posto tuo e della mia bambina, secondo la legge dei vampiri. Non potevo permettere che arrivasse a voi, non potevo. Non preoccuparti per me: sono felice, felice di morire al posto di qualcuno che amo, perché credo che sia un buon modo per andarsene. In compenso devo chiederti di farmi una promessa: non fare niente di stupido o insensato, ricordi? Me lo dicesti tu e ora io ti chiedo solo di promettermi di restare al fianco della nostra piccola brontolona. Ha bisogno di te, ha bisogno di suo padre, ha bisogno di qualcuno che la guidi e che le indichi la strada giusta da prendere. E chi meglio di te? Tu, che mi hai cambiato la vita, rendendola degna di essere vissuta. Tu, che mi hai amata più di qualunque altra e che mi hai fatto sentire importante anche quando meritavo di essere lasciata da sola a soffrire i mali causati da me stessa. Tu, che sei l’uomo migliore che io abbia mai conosciuto e che mi hai reso la donna più felice dell’universo. Semplicemente tu, Edward, l’uomo che io ho amato, che amo e che amerò per sempre. Non temo l’inferno, non ho paura di ciò che mi attende dopo la morte perché nel profondo so che ci sarai tu a vegliare sulle due cose più importanti che ho al mondo: Renesmee e te. Ti chiedo, inoltre, di non farle dimenticare di me, di ricordarle di sua madre nei momenti di sconforto, di non ostacolare la sua felicità... Fai sapere a Alice, Esme, Carlisle, Emmett, Rosalie e Jasper che li adoro e che saranno per sempre nel mio cuore. Dì a Jacob che gli voglio un mondo di bene, che i suoi sorrisi mi mancheranno come il suo branco di amici. Informa Charlie e Renèe che sono stati i migliori genitori di sempre e che gli ho voluto un bene dell’anima. Infine voglio solo ricordarti una cosa: ti amo, Edward Cullen e diventare tua moglie è stata la cosa migliore che io abbia fatto nella mia vita.

Perdonami per ciò che ti sto infliggendo

Ti amo, qualunque cosa accada, per l’eternità

Bella

 

Lasciai cadere la lettera e mi portai le mani al viso. Desideravo solo di poter piangere, di potermi disperare, di poter dare sfogo al mio dolore... Perché tutto ciò era capitato a me?! Perché ero stato così stupido da lasciarla andare da sola in Italia?! Sapevo che Aro avrebbe trovato il modo per ucciderci, uno alla volta, ma sapevo che qualora ciò si fosse avverato, avrei seguito lei immediatamente. Ma quella lettera, le sue ultime volontà, mi avevano impedito di compiere ciò che desideravo più di qualunque altra cosa. Ricordavo come avevo definito la mia vita senza di lei, prima di conoscerla: come un’eterna mezzanotte, un cielo scuro privo della luna ma con qualche stella. Una volta avevo anche detto che ero rimasto accecato da lei, dal mio sole, dalla mia meteora, tanto da non riuscire più a vedere quelle stelle che erano i miei punti di riferimento... Ma ora... ora tutto era cambiato. Le stelle non c’erano più. Erano state risucchiate in un enorme buco nero lasciando al loro posto un vuoto infinito ed incolmabile... un vuoto che mi stava uccidendo lentamente, fino a lasciare al mio posto un blocco di pietra insensibile a tutto tranne che al dolore che tale situazione aveva provocato. Trascorsi l’intero pomeriggio a piangermi addosso come uno stupido, fino a quando Esme non venne a farmi compagnia. Entrò da sola e mi raggiunse nella mia stanza, trovandomi ancora con la testa fra le mani e la lettera in terra.

«Oh, Edward» sussurrò, raccogliendo il foglio e rimettendolo al suo posto. Richiuse la scatola e la ripose nel cassetto del mio comodino, dove stava abitualmente. Poi si accomodò al mio fianco, stringendomi a sé come con un bambino che ha bisogno di conforto. Non volevo più essere l’anello debole della famiglia ma non riuscivo più ad uscire da quella situazione.

«Shh, shh» mormorava per far calmare i singhiozzi che mi straziavano il petto.

«Non ce la faccio più, mamma... non credo di farcela...» spiegai, ansimando.

«Lo so, caro. Credimi, lo so...». Esme era l’unica con la quale riuscissi a parlare di ciò che provavo perché sapevo che non provava pena per me, per niente. Ma lei mi capiva, riusciva a capire il dolore al quale ero sottoposto perché lo aveva vissuto.

«Ho bisogno di lei».

«Manca anche a me, moltissimo. Era una ragazza d’oro, l’unica che è stata in grado di renderti felice».

«E’ stata tutta colpa mia, non riesco a perdonarmi!» singhiozzai, disperato.

«Non dire così. Si è sacrificata per te e Renesmee e tu dovresti accettarlo. Non è stata colpa tua. È stata una sua decisione» mi confortò.

«Avrei preferito essere io al suo posto, essere io a morire».

«E l’avresti condannata ad una sofferenza simile?» chiese, premurosa. Non riuscii a rispondere, ma solo a continuare a tremare tra le braccia rincuoranti di mia madre. Dopo un po', però, lei fu costretta a lasciarmi di nuovo da solo. L’accompagnai alla porta, momentaneamente calmo per lo sfogo precedente.

«Perché non vieni anche tu? Sarà divertente. Ti distrai un po'...» mi incoraggiò Esme, riferendosi alla partita di baseball organizzata durante la giornata.

«No, non sono in vena, grazie lo stesso...».

«Cerca solo di non deprimerti troppo... non è il caso e poi non ti fa bene».

«Ci proverò» mentii. L’unica cosa che riuscivo a fare da dieci anni a questa parte era quella di deprimermi, punendomi per ciò che era accaduto. Tornai nella mia stanza, aspettando in silenzio il ritorno di Renesmee a casa. Stava tardando più del solito ma non me ne preoccupai: lei era una persona responsabile. Mi sdraiai sul letto, tentando di non pensare ma non me ne diede il tempo.

«Sei ridicolo» sentenziò. Avrei voluto con tutto me stesso costringermi a non guardarla, a ignorare la sua presenza, a posarmi un cuscino sul volto per aspettare che sparisse, ma non lo feci. Avevo bisogno di vederla. Avevo bisogno di sentirla parlare. Anche se quella figura era solo frutto della mia immaginazione e dava voce a ciò che pensavo ma che non ero in grado di ammettere nemmeno a me stesso, volevo ascoltarla, solo per sentire la sua voce. Alzai lo sguardo verso i piedi del letto e lei era lì: in piedi, con le braccia incrociate sul petto, il viso piegato in una smorfia di disgusto.

«Sembri un bambino che ha bisogno di conforto. Perché non cresci un po'?» chiese, amareggiata.

«Non ce la faccio. Non posso».

«Sciocchezze!» esclamò, alzando di alcune ottave il tono della voce.

«Cosa dovrei fare? Dimenticarti?» sussurrai, ansimando quasi per il dolore che mi provocavano quelle parole.

«Non ci riusciresti. E comunque no, basta che superi la mia perdita» disse, con dolcezza.

«Non so se ci riesco» ammisi.

«Almeno provaci» mi consigliò esasperata. Annuii, serio ma sapevo che non sarebbe servito a nulla. Mi concessi un ultimo sguardo alla creatura stupenda che avevo di fronte, prima che lei sparisse nell’oscurità della notte. Come sempre rimasi a guardare il vuoto per qualche minuto, in silenzio, quando il suono del telefono mi fece sobbalzare. Risposi in fretta e sentii la voce di Renesmee che mi avvisava che avrebbe passato la notte da Jacob.

«Va bene, Nessie. Stai attenta» acconsentii, tranquillo. Per ammazzare il tempo, trascorsi la notte a guardare la televisione, non soffermandomi per più di un minuto su ogni canale. Niente sembrava darmi pace, niente mi interessava, niente riusciva a farmi pensare ad altro. Le lancette dell’orologio si muovevano lente, scandendo con precisione anche i secondi, risultandomi insopportabili, ma, fortunatamente, anche quelle poche ore di buio passarono e il sole tornò a rivendicare il suo posto in cielo, per quanto a Forks il sole possa vedersi. Verso le dieci del mattino, inaspettatamente, il telefono di casa squillò e pensai che fosse Renesmee che mi avvertiva di qualcos’altro o, al massimo, uno dei miei fratelli che mi invitava a fare qualcosa che non avrei voluto.

«Pronto?» chiesi, appena alzata la cornetta. Nessuno rispose ma sentii solo dei singhiozzi disperati e  una donna che ansimava. Sembrava sconvolta, emozionata da qualcosa, ma non avrei saputo dire cosa.

«Pronto?» ripetei con più insistenza ma niente. Dopo pochi secondi cadde la linea. Chi poteva essere stato a chiamare? Poteva essere stato uno scherzo, di sicuro, eppure una minuscola parte del mio cervello non la pensava così. Non ebbi il tempo di riflettere meglio sull’accaduto, perché entrarono Renesmee e Jacob in casa, mano nella mano, sorridenti come sempre quando erano insieme.

«Ciao, papà» mi salutò Renesmee.

«Come stai, Edward?» domandò Jacob.

«Bene, grazie» mentii, ma ormai non mi credeva più nessuno. «Avete fame, ragazzi? Avete fatto colazione?» chiesi per mostrarmi benevolo.

«Si, Billy ci ha preparato le uova» rispose mia figlia.

«Bene».

«Noi andiamo in camera mia» mi informò lei.

«Va bene» acconsentii. Si diressero verso la porta della stanza di Renesmee e più tardi pranzarono in cucina, dove gli preparai qualcosa di semplice. Verso le tre del pomeriggio uscirono nella foresta, desiderosi di stare un po' da soli probabilmente. Per quel pomeriggio era prevista una prova d’abito per Renesmee ed Alice e Rosalie sarebbero arrivate da un momento all’altro. Quando arrivarono, si impossessarono della stanza di mia figlia, trasformandola in un camerino in piena regola, fino a dover dividere i due promessi sposi per gli impegni previsti. Come se ciò non bastasse, tutti intorno a me erano entusiasti e pretendevano che ricambiassi il loro stesso sentimento. Renesmee era rinchiusa in camera sua con Alice e Rosalie, mentre provavano l’abito da sposa. Per dimostrarmi il più bendisposto possibile, tentai di entrare, manifestandomi quantomeno disponibile, se avessero avuto bisogno di me. Bussai piano prima di entrare, aprendo la porta leggermente.

«Posso?» mormorai, imitando quello che poteva essere interpretato come un sorriso.

«Certo, papà» rispose automaticamente Renesmee, felice che stessi dimostrando un minimo di entusiasmo. Puntai lo sguardo sulla mia bambina: era semplicemente stupenda, con i capelli intrecciati in un’acconciatura familiare. Alice teneva due spilli tra le labbra e sembrava preoccupata da come corrugava le sopracciglia, mentre Rosalie la guardava soddisfatta.

«Che te ne pare?» chiese Renesmee, scendendo dallo sgabello dove era posizionata e facendo una giravolta di fronte a me. L’osservai mentre piroettava come una bambina che si sente una principessa, guardando attentamente l’abito. Aveva qualcosa di molto familiare. Troppo familiare. L’ultima volta lo avevo visto indosso ad un’altra persona.

«E’ l’abito della mamma» confermò Renesmee, mentre Alice la guardava appagata, come se al posto di mia figlia ci fosse un’opera d’arte appena terminata. A quel punto non sentii più nulla, non vidi più nulla, la mia mente tornò a dieci anni prima, nella sala addobbata in cui si era svolto il mio matrimonio…

 

“Più che altro pensavo una cosa: che non ti dovrò mai abbandonare” disse la più stupenda creatura che avessi mai conosciuto, stringendosi a me.

“No, mai più” promisi, chinandomi per baciarla.

 

Di colpo chiusi gli occhi, indietreggiando di vari passi. Sbattei leggermente contro la porta aperta mentre Renesmee esclamava: «Papà, stai bene?».

Edward. Il rimprovero di Alice risuonò forte e chiaro nella mia mente ma fu tutto inutile. Rivedevo ancora mia moglie fra le mie braccia e la consapevolezza che non ci sarebbe mai più tornata mi ammutoliva. Non riuscivo più a guardare mia figlia, consapevole solo di dover uscire da quella stanza. Quando il mio corpo di pietra volle ubbidirmi, mi ritrovai finalmente nella nostra stanza, dove non avevo bisogno di nascondermi, di nascondere ciò che provavo. Uscii nel nostro piccolo giardino, appoggiandomi alla vetrata.

«Perché lo hai fatto?» mormorò una voce al mio fianco. Mi girai di scatto e la vidi: era proprio lì, seduta sull’erba innevata, con le gambe strette al petto come le piaceva stare. Quelle visioni erano sempre una medicina per il mio cuore di pietra, ma il mio dolore non faceva che aumentare dopo ognuna di esse.

«Non lo so» risposi in un sussurro. Non riuscivo a toglierle gli occhi di dosso. Era bellissima: i suoi capelli scompigliati, i suoi pantaloni della tuta e i suoi maglioni orribili, proprio come quando l’avevo conosciuta.

«Invece sì» ribatté con la sua vocina petulante di quando non voleva darmela vinta. All’improvviso la visione sparì, all’entrata nella stanza di Jacob.

«Edward, posso parlarti?» domandò con una nota rabbiosa nella voce. Senza dire una parola chiusi la vetrata ed entrai in casa. I suoi pensieri erano furiosi ma stava facendo di tutto per non farmene intuire il motivo.

«Cosa c’è, Jacob?».

«Sai che con il tuo comportamento fai soffrire tua figlia, vero?! Non può sentirsi rifiutata da te solo perché indossa un abito cha apparteneva a Bella!» urlò l’ultima parte, dando sfogo alla sua rabbia. Udire il suo nome fu come una pugnalata al cuore: abbassai lo sguardo e portai le mani alla testa, come per voler coprire le orecchie. Non volevo sentire ciò che aveva da dirmi. Sapevo che il mio comportamento poteva dare fastidio a Renesmee ma, purtroppo, non riuscivo a farne a meno. Quando l’avevo vista con quell’abito indosso era come se il mondo mi fosse crollato addosso. Ma Jacob non si dava per vinto: prese il mio polso con una mano e lo spinse finché non ebbi le orecchie libere per poterlo ascoltare bene.

«Bella è morta!» urlò con la voce incrinata dal dolore che produceva quella consapevolezza. «Non tornerà più! Perché non riesci a superarlo?! Tutti lo abbiamo fatto in un modo o nell’altro! Tutti! Persino tua figlia! Reagisci!» continuò. I suoi pensieri rafforzavano il concetto con immagini di Renesmee mentre fissava una foto della madre, sorridendo e parlandole come se fosse lì con lei. Non riuscendo a evitare di ascoltarlo, mi piegai sulle ginocchia, ansimando. Non volevo ammetterlo nemmeno a me stesso ma Jacob aveva ragione. Quando notò l’effetto delle sue parole e quando si fu calmato, si accovacciò di fronte a me.

«Ascolta. Lo so che è difficile. Anche io ho amato Bella. Era una ragazza stupenda, una delle migliori che io abbia mai conosciuto. Ma ciò non cambia le cose: non c’è più» sussurrò addolcendo il tono.

«Credi che non lo sappia?!» urlai all’improvviso, alzandomi. «Ma tu non puoi venire a dirmi che hai provato il mio stesso dolore! Il tuo era solo una brutta copia sbiadita di ciò che provo io!». Si alzò e, guardandomi negli occhi, disse: «Lo so. A me, in questo momento, sta a cuore la felicità di Renesmee e non permetterò che tu e la tua depressione la offuschiate. Ricordatelo questo, succhiasangue» aggiunse, facendosi minaccioso. Non mi importava: nessuno poteva capire come mi sentivo. Nessuno nella mia famiglia aveva mai perso nessuno che amava come io amavo lei. Jacob uscì dalla casa a grandi passi senza aggiungere nulla, mentre io rimasi seduto sul letto, ad occhi chiusi, tentando di non pensare a nulla, senza perdere in alcun modo però la consapevolezza del terribile dolore al quale ero perennemente sottoposto per mia volontà. Quella notte cominciò a nevicare all’improvviso, interrompendo il silenzio totale al quale ero sottoposto. L’unica cosa a farmi compagnia erano i sogni di mia figlia che però era tranquilla e non stava pensando a nulla di particolare. Per evitare ricordi legati alla neve rimasi disteso, guardando il soffitto, senza fare nulla, come una pietra insensibile a qualsiasi cosa. Solo quando mi resi conto che Renesmee era sveglia già da un bel po' mi tirai su, andando a prepararle la colazione.

«Buongiorno» disse, sorridendo, appena mi vide.

«Ciao, Nessie».

«Come va?».

«Come al solito. Cosa fai oggi?». Sapevo che mia figlia stava solo tentando di condurre una conversazione normale ma come al solito non riuscivo a concentrarmi per portarla avanti nel migliore dei modi.

«Alice vuole vedermi».

«Per il matrimonio?».

«Probabile. Abbiamo quasi finito». Con suo dispiacere non mostrai nemmeno un minimo di interessamento, nemmeno quel poco che imponevano le buone maniere e tornai alla mia occupazione giornaliera: starmene in camera a rimuginare sul passato.

«Vado da Alice!» sentii Renesmee che urlava prima di uscire quando una telefonata la fermò. Risposi subito, sconcertato dall’orario della chiamata.

«Pronto?». Ed ecco di nuovo i singhiozzi e le lacrime trattenute di qualcuno che soffriva. Attesi qualche secondo ma nessuno rispondeva, quando all’improvviso una donna sussurrò: «Edward...» e cadde la linea. Ma chi poteva essere? Chi poteva conoscere il mio nome e il mio numero? Chi, la cui voce mi era così familiare ma che non riuscivo a identificare, temendo che mi sarei fatto del male?

«Chi era?» chiese Renesmee, facendomi notare che ero andato in salotto.

«Nessuno» dissi, non avendo ancora le idee chiare. «Oppure qualcuno che aveva voglia di scherzare».

«Che ha detto?». Non sapevo nemmeno che espressione dovevo avere per suscitare così tanto interesse in mia figlia.

«Niente» mentii. «Non ha parlato». Non volevo condividere le mie paranoie con Renesmee.

«Va bene» si arrese. «Allora io vado».

«Divertiti» augurai, distrattamente prima di vederla uscire. Rimasi qualche altro minuto a ripensare a quella voce, quel pianto trattenuto che aveva caratterizzato le ultime due chiamate, quando all’improvviso il telefono squillò di nuovo.

«Pronto?» chiesi subito. Come le volte precedenti, nessuno parlava dal ricevitore, si sentivano solo singhiozzi e qualcuno che ansimava. Non riuscivo a parlare perché quei suoni mi erano molto familiari, troppo familiari. Volevo solo che parlasse, doveva dire qualcosa... volevo che confermasse la mia speranza, che inevitabilmente stava cominciando a crescere dentro di me.

«Ti amo, Ed...» sussurrò la voce dall’altro capo del telefono. Non riuscì a finire, però. Cadde la linea. Rimasi ancora per qualche secondo con la cornetta vicino all’orecchio, tentando di dare un senso a quanto stava accadendo. La persona che chiamava doveva essere lei, avrei riconosciuto quella voce ovunque, sempre e comunque. Il suo tono, i suoi singhiozzi, tutto era inconfondibile e non riuscivo a non valutare quest’idea. Ma se era viva, perché Alice non riusciva più a vederla? Perché non vedeva le sue decisioni? Ma soprattutto perché solo ora? Perché non dieci anni fa? Non riuscii a darmi una risposta ma non me ne preoccupai per il momento: dovevo solo dire a Renesmee ciò che stava succedendo, dirlo a Alice, a Carlisle, a tutti. Se era viva dovevamo cercarla, riportarla a casa... Non ci pensai due volte: uscii di casa e raggiunsi in un batter d’occhio casa Cullen. Trovai Renesmee ed Alice in salotto ma non ebbi nemmeno il tempo di capire cosa stavano facendo perché mi fiondai su di loro, urlando la mia scoperta.

«Come hai fatto a non vederla?! Lei è viva!». Immediatamente i loro sguardi increduli si spostarono su di me. Le loro espressioni mi dicevano che credevano che fossi pazzo ma non me ne importava nulla. Se mia moglie era viva avrei fatto di tutto per riportarla sana e salva da me.

«Chi?» sussurrò Alice, come se non conoscesse la risposta.

«Chi?!» esplosi. «Bella è viva! Viva, lo capisci?». Pronunciare il suo nome fu come una liberazione ma mi ero lasciato trasportare dagli eventi perché continuare a pronunciarlo come se nulla fosse non era possibile. Ogni volta sarebbe stato un dolore fisico come lo era ogni volta che rivivevo i momenti con lei. Ma in quel momento era intervenuta la speranza, la speranza che prima o un poi mia moglie sarebbe tornata tra le mie braccia.

«Edward, non dire stupidaggini» cominciò mia sorella. «Lei... non c’è più».

«No, ti sbagli!» dissi subito. «Lei è viva!». Perché non voleva credermi? Non era una notizia stupenda?

«Edward non può essere viva!» urlò Alice, con occhi accecati dalla rabbia per me che volevo destare un piccolo granello di illusione nel suo cuore di pietra. Guardai Renesmee, aspettandomi che dicesse qualcosa, ma non lo fece. Invece lei fissava il pavimento, sconvolta e seccata. Continuai a discutere con Alice mentre sentivo i pensieri dei miei fratelli che si interrogavano su cosa stesse succedendo. Quando Alice si arrese, mi guardò semplicemente con uno sguardo nero, affranto.

Perché devi fare così? Non è già abbastanza difficile senza queste tue stupide convinzioni? pensava. All’improvviso Renesmee si alzò dal suo posto, urlando.

«Basta! Smettila! Lei è morta! È morta da dieci anni!». Non riuscivo nemmeno ad ascoltarla. Perché doveva dire queste cose? Lei conosceva benissimo il dolore che io provavo, ora che mi si era accesa la speranza, doveva per forza riportarmi alla realtà? Avevo bisogno della mia illusione privata, volevo solo poter credere di avere una speranza.

«Devi reagire! Non puoi continuare così!» mi pregò, con le lacrime agli occhi. «Lei non c’è più e non può tornare!». Subito mi diede le spalle, asciugandosi gli occhi delle lacrime che era stanca di versare. Prese la mano di Alice che le si era avvicinata e attraverso il suo potere le disse che avrebbero continuato più tardi. Quando lei uscì a grandi passi dalla sala, non riuscii a muovermi dalla mia posizione rigida. Quando ricominciai a pensare a ciò che stava succedendo intorno a me, sentii i pensieri degli altri.

Ma cosa sta succedendo? pensò Jasper, iniziando a scendere le scale.

Proprio adesso... si rattristò Esme.

Era il caso di uscirsene con una stupidaggine del genere? mi rimproverò Alice, che non si era ancora ripresa dallo shock. Continuavo a guardarla, stupito dalle loro reazioni: perché non erano felici? Lei era viva! Dovevamo trovarla... dovevamo...

Ma chi volevo prendere in giro? Ero un uomo che immaginava di avere a fianco la moglie nei momenti peggiori e che credeva a delle telefonate anonime nelle quali una donna pronunciava il suo nome e diceva di amarlo. La verità era solo che mi sentivo terribilmente solo e che il mio inconscio mi dava una scusa per continuare a sperare e per provare a dare un senso alla mia vita, dopo averlo perso da dieci anni ormai. Jasper ed Esme erano in salotto ormai e, mentre mio fratello tentava di capire cosa era successo da Alice, Esme mi si avvicinò, appoggiandomi una mano sulla spalla.

«Va tutto bene, Edward... perché non chiami Emmett, magari andate da qualche parte, vi distraete un po'...» propose con un sorriso incoraggiante. Non la guardai nemmeno, mi scrollai la sua mano di dosso e uscii, senza dire nulla. Avevo bisogno di stare da solo, per qualche minuto, per il tempo necessario a rimettere ordine ai miei pensieri. Sapevo dove dovevo andare: nel luogo dove tutto era cominciato, dove la parentesi più splendida e felice della mia vita si era aperta, dove lei mi aveva visto per la prima volta per quello che ero...

La radura. La nostra radura.

Corsi più velocemente che potevo nella foresta, ignorando gli alberi e gli animali intorno a me, concentrandomi sul mio compito. Dovevo parlare con lei, chiederle consiglio e sapevo che appena mi fossi ritrovato da solo lei sarebbe apparsa per rimproverarmi del mio comportamento. Giunto nel punto esatto del bosco, feci un respiro profondo prima di addentrarmi tra l’erba del posto che anni prima mi era sembrato il più bello del mondo. Ora sembrava solo un posto vuoto e desolato ma serviva allo scopo: rimanere da solo. Mi accasciai sull’erba fredda, ghiacciata per la neve che fortunatamente aveva smesso di cadere. Bastarono pochi secondi prima che lei apparisse. Era seduta al mio fianco, tanto vicina da poterla toccare se non fosse stata frutto della mia immaginazione.

«Come fai a credere a delle stupidaggini del genere? Hanno ragione loro: forse stai impazzendo» disse subito, costringendomi a girarmi per guardarla. Era sempre perfetta con quel suo abbigliamento casuale e per niente studiato, se l’avesse vista, sicuramente Alice sarebbe andata in bestia. Sorrisi ai ricordi.

«Non posso farne a meno...» mi giustificai.

«Invece sì. Devi farlo. Per tua figlia... per me!» mi ricordò.

«Ma se ci fosse anche la minima speranza che...» cominciai ma non mi diede tempo di finire.

«Io sono morta! Perché non vuoi accettarlo?! Tutti soffrono per colpa tua! Pensa a tua figlia! Io appartengo al passato!» urlò, alzandosi. Quelle parole mi colpirono come... come... non c’era un’immagine abbastanza potente che potesse descrivere la forza di quelle parole. Forse l’unica poteva essere la prima volta che avevo sentito il suo delizioso profumo da umana...

«Stai ancora pensando a me! Te lo leggo negli occhi!» mi rimproverò, severa.

«Come faccio a non farlo?» sussurrai con tono implorante.

«Concentrati su altro. Aiuta Renesmee con i preparativi per la festa. Mostrati entusiasta. E parlale di me, rendila felice, esaudisci ogni suo desiderio...» consigliò con il suo tono dolce e affascinante allo stesso tempo. Mi alzai e mi ritrovai di fronte a lei, incrociando il suo sguardo stupendo.

«Te lo prometto» giurai. La magnifica immagine del mio inconscio sorrise, felice e soddisfatta, prima di sparire e di arrecarmi una fortissima scarica di dolore. Riuscii a sopportarla però. Lei aveva detto cosa dovevo fare: il mio unico compito era quello di rendere felice mia figlia, un compito che stavo trascurando, procurandole solo sofferenza. Decisi di tornare a casa, da mia figlia per scusarmi. Volevo farmi perdonare e così tornai il più velocemente possibile a casa. Trovai Renesmee in cucina mentre mangiava la cena che aveva preparato e, diversamente dal solito, mi sedetti di fronte a lei, sorprendendola. Non riuscivo a guardarla negli occhi perché mi vergognavo ma cominciai comunque a parlare.

«Nessie, mi dispiace per quello che ho detto» sussurrai.

«Non voglio le tue scuse, papà. Voglio che tu reagisca».

«Lo so... Ma non è facile! Lei... lei... era tutto per me» mormorai, senza riuscire ad aggiungere altro.

«Non parli mai di lei» notò.

«Non ci riesco» ammisi. «Mi dispiace per quello che ti ho fatto passare in questi dieci anni».

«Papà ti stai torturando da solo» disse. «Non preoccuparti per me, io sono felice». Finalmente riuscii a guardarla negli occhi prima di spiegarle il mio comportamento.

«Scusami se non ti ho mai parlato di lei... Tu le somigli così tanto!».

«Davvero?».

«Si» risposi, inquieto. «Hai i suoi stessi occhi e anche il colore delle tue guance è identico».

«Vuoi parlarmi di lei?» chiese insicura. Non mi aspettavo quella domanda, ma ora non potevo negarle di sapere qualcosa in più sulla madre. Persi qualche secondo a pensare da cosa cominciare, cosa raccontarle, cosa evitare per non soffrire ulteriormente e bloccarmi senza motivo apparente.

«Ci siamo conosciuti a scuola...» spiegai. «Lei era nuova e piaceva a tutti... io avrei dovuto ignorarla come facevo con gli altri umani, ma lei era la creatura più bella che avessi mai visto! Mi piaceva tutto di lei e non riuscivo a starle lontano...».

«Quindi è stato un colpo di fulmine» scherzò lei, ma non riuscii a sorridere. Il mio sforzo nel parlare di lei era tale da non concedermi distrazioni.

«La desideravo così tanto da odiarla. Infatti, scappai e stetti via qualche giorno...ma la vedevo ovunque e non riuscivo a dimenticarla, così decisi di tornare».

«Perché dovevi starle lontano?».

«Rischiavo di ucciderla! Era così fragile e aveva un odore così buono. Avrei potuto perdere il controllo e ucciderla. Ma decisi di restare, lei era una calamità che attirava disgrazie, era difficile trovare un giorno in cui nessuno avesse cercato di farla fuori».

«Era davvero speciale» mormorò Renesmee, con gli occhi lucidi.

«Si» confermai, sul punto di smettere di parlarne. «E' sempre stato tutto contro di noi, ma non ci siamo mai arresi...».

«Ne è valsa la pena!» sentenziò.

«Certo!» la rassicurai. Non riuscivo più a vivere nel passato: sentivo che se avessi continuato a parlare di mia moglie sarei potuto finire di nuovo schiavo del dolore, fino a chiudermi in me stesso, provocando sofferenza a mia figlia. Non potevo permetterlo, nonostante Renesmee sembrava poco soddisfatta dalle mie risposte evasive e poco dettagliate. Mentre non riuscivo a vincere la sensazione di vuoto che dominava tutto me stesso, rimanevo seduto lì, a guardare un punto impreciso della parete mentre Renesmee continuava a mangiare, fissandomi. Quando si alzò per andare a letto la fermai, desideroso di mettere in chiaro una cosa molto importante. Le afferrai un braccio e la guardai dritta negli occhi.

«Nessie, aspetta! Lo so che a volte sono freddo, distante e che spesso ti faccio stare male. Mi dispiace. Mi dispiace per tutto. Per non averti parlato di lei. Per aver reso questi dieci anni un incubo per te. Ma non voglio che tu pensi che non ti voglio bene! Sei parte di me e sei sempre uno dei miei primi pensieri... Sei sempre stata la nostra ancora, sai? Anche tua madre si è aggrappata a te quando l'oscurità stava per portarmela via! Ora anch'io mi sto aggrappando a te, piccola!» sussurrai tutto d’un fiato, senza riuscire a fermarmi. Vidi delle lacrime addensarsi sugli occhi di mia figlia e la strinsi a me, colmando per un solo secondo il vuoto che mi opprimeva. Non potevo più far soffrire Renesmee ma non potevo nemmeno smettere di provare il dolore. Ciò che sapevo era che avrei dovuto fingere, evitando di mostrare ciò che provavo. Lo avrei fatto per Renesmee, per lei. Appoggiai il viso tra i suoi capelli biondi, mentre lei affondava la testa nel mio petto. Poi, quando si separò da me, mi lanciò solo un’occhiata più tranquilla e poi tornò in camera sua. La nottata trascorse tranquilla, senza apparizioni particolari, e il giorno sembrò arrivare più in fretta del solito. Quella mattina andai a caccia con Carlisle e con Emmett, per svagarmi un po' e riuscire ad acquistare un minimo di buon umore prima della serata che ci attendeva. Ottenemmo un bottino abbastanza sostanzioso, uccidendo un paio di orsi. Emmett era più eccitato del solito e dopo un po' mi sfidò a fare una gara di corsa.

«Vediamo se sei ancora il più veloce» disse a mo’ di provocazione.

«Comincia a correre» risposi, lanciandogli un’occhiata d’avvertimento.

«Non mi serve nessun vantaggio. Ci vediamo a casa, quando ci arriverai».

«Via!» esclamai all’improvviso, senza preavviso. Iniziai a correre, sfruttando tutta la mia potenza, arrivando quasi a non vedere nulla intorno a me.

«Non vale, imbroglione!» urlò Emmett dietro di me, quando mi raggiunse. Poi pensai ad un piccola scorciatoia che conoscevo molto bene. Sarei passato vicino ad uno di quei sentieri che davano quasi sulla strada. Come sempre la corsa mi inebriava anche se aveva un sapore agrodolce: non correvo più molto spesso. Avevo già percorso qualche chilometro, quando arrivai in un piccolo spiazzo, lo stesso che avevo visto tanti anni prima. Mi frenai di colpo, rivedendo come uno spettatore la scena del primo bacio che avevo dato a mia moglie.

«Continua a correre» mi ordinò la sua voce, apparendo all’improvviso. Mi sforzai di chiudere gli occhi, tentando di muovere i piedi, ma sembravano incollati al terriccio.

«Ricorda per chi lo stai facendo» disse lei, facendo sbloccare i miei piedi, improvvisamente. Riuscii a muovermi, continuando a correre, non più divertito però. Non vedevo l’ora di allontanarmi da quel luogo. Raggiunsi la villa e vi trovai Emmett e Carlisle che mi aspettavano: il mio fratellone non vedeva l’ora di rinfacciarmi una vittoria del genere, con tanto margine di vantaggio e con una partenza che non era stata delle migliori.

«Ah! Ti ho battuto! La prossima volta sii un po' più lento, ti sarai stancato!» urlò subito, prendendomi in giro. Non avevo proprio voglia di rispondergli e così lo ignorai. Carlisle, invece, si accorse della mia espressione e mi chiese subito cosa non andasse.

«Nulla... Tutto a posto... Forse dovremmo prepararci per stasera» suggerii, desideroso di cambiare argomento.

«Forse è il caso» rispose mio padre.

«Si! Stasera ho proprio voglia di battere qualcuno a braccio di ferro, mi sento motivato!» mi apostrofò Emmett, ancora. In quel momento uscii Jasper dalla casa, accompagnato da Esme, annunciando che per tutta la sera gli uomini erano banditi dalla casa.

«Bene! E’ ora di andare a prendere lo sposo!» urlò Emmett, prendendo Jasper per un braccio e trascinandolo verso casa mia. Esme si appoggiò a Carlisle e gli chiese di accompagnarla a comprare qualcosa da mangiare per la serata. Lui accettò.

«Ci vediamo stasera allora?» chiesi.

«Certo».

«A dopo allora».

Tornai a casa e subito andai nella mia stanza. Renesmee era già andata via e i miei fratelli avevano già preso in ostaggio Jacob. Indossai una felpa marrone chiaro e un jeans semplice, d’altronde dovevo andare ad un falò sulla spiaggia. Non avevo voglia di festeggiare però... probabilmente mi sarei messo in disparte per non rovinare la festa agli altri. Quando fui pronto, presi le chiavi della mia Aston Martin e mi diressi subito a La Push, parcheggiando vicino alla spiaggia. Poco più in là, un gruppo di licantropi si stavano radunando intorno ad un fuoco, salutandosi affettuosamente e scherzando come un normale gruppo di amici.

«Ciao, Edward!» urlò Seth, avvicinandosi.

«Ciao, Seth...» sussurrai. Il suo sorriso era evidente e non volevo rovinargli l’umore e così mi costrinsi a sorridere, anche se mi uscii più una smorfia.

«Come stai?» chiese, intuendo il mio umore.

«Tutto a posto, grazie» risposi, mettendo le mani in tasca in un gesto casuale.

«Mi fa piacere...» mormorò, guardando altrove. Si sentiva in imbarazzo, era evidente. Non riusciva a trovare un argomento che riuscisse a portare avanti una conversazione. Quando stavo per dire qualcosa, arrivò Jacob per salutarmi e ci unimmo alla compagnia già riunita. Emmett, Jasper e Carlisle erano già arrivati e si stavano intrattenendo con gli altri licantropi.

«Dove sono Sam e Jared?» chiese Jacob a Paul.

«Avevano il turno di ronda... non vengono» rispose.

«Non potevano farsi sostituire da Colin e Brandy?» sibilò Jacob, adirato.

«Evidentemente no». Carlisle diede una pacca sulla spalla del promesso sposo, dicendogli di non badare a ciò che era successo. Mi sedetti su un tronco, vicino a Seth che, però, dopo un po' fu assorto in una conversazione con i suoi compagni di branco. Emmett e Paul non facevano che sfidarsi a braccio di ferro, e il perdente chiedeva sempre una rivincita e così si tenevano occupati. Carlisle e Jasper stavano discutendo di alcune strategie utilizzate negli anni precedenti con Quil. All’improvviso mi alzai, andando verso la riva. Non era una brutta serata ma mi sentivo di troppo, totalmente in disparte per colpa mia. Dopo pochi minuti quando stavo fissando le onde infrangersi sulla battigia, Jacob mi raggiunse, probabilmente desideroso di un po' di pace.

«Tutto bene?» chiese, preoccupato.

«Si, è solo che ho paura di rovinare la festa con il mio cattivo umore» risposi sinceramente.

«Già, a chi lo dici. Non avrei nemmeno voluto organizzare un falò, ma tua sorella è ferma sul fatto che si debba fare un addio al celibato e quindi...». Sorrisi, immaginando come Alice stesse rendendo la vita un inferno al povero Jacob.

«Ti capisco. Jasper ed Emmett mi rapirono la sera prima del mio matrimonio...» sussurrai, interrompendomi subito, ricordando dove ero e cosa stavo vivendo nel momento in cui lo avevano fatto.

«Lo hanno fatto anche con me! Forse ci provano gusto!» esclamò.

«Si, probabilmente».

«Okay, ascolta. Stasera puoi essere anche silenzioso e depresso per tutta la notte, ma domani ti chiedo un atteggiamento diverso, per Renesmee...» mi implorò.

Sorrisi. «Tenterò».

«Grazie e scusa per quando sono esploso... non lo meritavi».

«L’ho già dimenticato» assicurai.

«Bene... manca anche a me, sai?».

«Manca a tutti».

«Già» sospirò. «Sapeva sempre cosa dire al momento giusto. Era la mia migliore amica...».

«Ma almeno non era la tua unica ragione di vita» gli ricordai.

«Si, ma ricorda che tu hai una figlia, delle responsabilità, una famiglia che ti ama... siamo fortunati in questo».

«Non posso essere d’accordo, ma apprezzo lo sforzo, davvero». Rimanemmo in silenzio, ognuno perso nei propri pensieri, guardando il mare scuro che si agitava con violenza, provocando onde molto alte.

«Che fine ha fatto lo sposo?!» urlò all’improvviso Emmett, chiamando Jacob a rapporto. Sospirò di fronte a quello che lo attendeva e mi lanciò un’occhiata implorante prima di tornare alla festa in suo onore. Dopo poco decisi di unirmi ai festeggiamenti, seppur rimanendo in silenzio o dicendo una parola ogni tanto. Nel complesso, però, la serata trascorse tranquillamente, nel migliore dei modi, probabilmente. La mattina dopo tornai a casa solo per cambiarmi e mi diressi subito a casa Cullen. Il grande giorno era arrivato. Indossavo il mio smoking nero mentre Renesmee era prigioniera di Alice e Rosalie che la stavano preparando per il grande avvenimento. Mia figlia stava per sposarsi, non potevo crederci! Doveva essere tutto perfetto e sorridevo quasi mentre aiutavo Jasper, Emmett e Carlisle per i preparativi della sala e della cena, che era prevista fuori, nonostante il grande freddo e la neve. Alice era sicura che avrebbe fatto più caldo del solito e poi aveva posizionato qualche stufa qua e là per gli umani invitati. Salvo gli ultimi dettagli del momento, era tutto pronto. Mancavano solo tre ore all’inizio della funzione e Renesmee e Jacob erano adeguatamente divisi in due diversi piani della casa. Renesmee si trovava nella stanza di Alice dove si stava finendo di truccare e pettinare, mentre Jacob era in garage. Il motivo del perché si trovasse lì mi era del tutto oscuro, così pensai di andare a fargli i miei auguri prima che fosse troppo tardi e che cominciassero ad arrivare gli ospiti.

«Ehy» lo chiamai, cercando di attirare la sua attenzione.

«Ciao, Edward» disse con un tono così nervoso che mi fece preoccupare. Mi avvicinai con un timido sorriso, tentando di calmarlo.

«Non è che ci hai ripensato?» scherzai.

«Assolutamente no...» rispose subito. «Solo che io non sono tipo da feste del genere. Non so cosa fare, come comportarmi... Voi siete tutti così perfetti, sembrate nati in smoking... io sembro un cretino».

«Non dirai sul serio! Stai benissimo, l’unica cosa da ricordare è tenere sempre la testa alta e il morale a mille. Per il resto lascia fare a Renesmee, il tuo amore nei suoi confronti farà il resto».

«E se dovessi commettere qualche errore?».

«Jacob, ti garantisco che non te ne accorgeresti». Sospirò, di fronte alla mia logica e poi drizzò le spalle e alzò la testa, fiero. Feci un cenno d’assenso, vedendo che aveva capito perfettamente cosa intendevo.

«Perfetto» dichiarai.

«Grazie, Edward».

«Di nulla» dissi. «Torniamo su, Esme ti sta cercando». Annuì e gli posai un braccio sulla spalla, come due vecchi amici. Credo che ormai potevamo definirci come tali: ne avevamo passate tante, troppe insieme. Subito Esme si impossessò di lui appena fummo di sopra, dandogli le ultime istruzioni per la funzione. Nel frattempo decisi di salire di sopra per vedere come stava andando con Renesmee, i cui pensieri erano stranamente tranquilli e pacati. Soprattutto erano incentrati su Jacob, che non vedeva dalla mattina precedente. Bussai piano alla porta, aspettando che qualcuno mi desse il permesso per entrare.

«Vieni, Edward» concesse Alice.

«Come sta andando?» chiesi subito, innocentemente.

«Forse sarò pronta per l’anno prossimo» scherzò Renesmee; Alice rispose con una smorfia.

«Siamo quasi pronte» disse Rosalie, nonostante lei ed Alice non indossassero il loro abito per la cerimonia e nemmeno Renesmee.

«Sembrate all’inizio» notai.

«Che ne sai tu? Sei un uomo!» mi apostrofò Alice, indignata. Non ebbi il tempo di ribattere.

In quel preciso istante sentimmo un urlo provenire dal piano di sotto, un grido di gioia, con una serie di abbracci e baci.

«Non ci posso credere!» aveva urlato Jacob, totalmente sorpreso. Alice, Rosalie e Renesmee scesero subito al piano di sotto per vedere cosa fosse successo. Io ero pietrificato.

Bella è viva! Come è possibile?! stava pensando Jacob.

Non ci posso credere sentenziò Carlisle.

La mia bambina è tornata! Finalmente è tornata! erano i pensieri di Esme.

Bella! Bella è qui! cantilenava Alice.

Come diamine può essere?! La credevamo tutti morta e invece... meditava Emmett.

Mi ha fatto prendere un colpo, credevo di aver visto un fantasma... rifletteva Jasper mentre ripensava a quando era andato ad aprirle la porta.

Finalmente! Non poteva scegliere un momento migliore! decretò Rosalie.

Mamma?! Mamma è viva! Non è possibile! Non riesco a crederci! erano i pensieri rumorosi di Renesmee mentre abbracciava la madre. Mentre abbracciava Bella, la mia Bella. La mia Bella era al piano di sotto... Non riuscivo a crederci... non volevo crederci, già troppe volte avevo ceduto alla speranza. Ma avevo bisogno di vederla: tutti i miei familiari erano convinti che fosse lei, che fosse veramente la mia Bella... uscii dalla stanza di Alice e mi accostai alle scale. Vidi tutti i miei familiari accalcati vicino all’ingresso, chi in smoking, chi ancora in abiti casual. Si alternavano per abbracciare e baciare una persona, una vampira senza alcun dubbio, della quale non riuscivo a percepire i pensieri. La donna era ancora tra le braccia di mia figlia, che ormai stava piangendo a dirotto e singhiozzava a non finire stringendo Renesmee come se fosse la sua unica ragione di vita. All’improvviso la lasciò andare, guardandola e asciugandole le lacrime con le dita, delicatamente come se avesse paura di romperla. Fu allora che riuscii a vedere il suo viso. I suoi occhi, di un rosso carminio acceso, erano quasi gonfi per le lacrime che non riuscivano a versare; la sua pelle di marmo era pallida ma sembrava di seta, le sue labbra, tinte leggermente di rosso, erano perfette anche con la particolarità del labbro superiore più spesso di quello inferiore; i suoi capelli, acconciati in modo da scoprire il viso magnifico, erano castani, con una sfumatura rossa tra le ciocche che le conferiva delicatezza ed eleganza. Non c’erano più dubbi ormai: era la mia Bella. Ad un certo punto anche lei alzò lo sguardo verso di me e, quando i nostri occhi si incrociarono, mi sentii finalmente felice, come se nulla contasse di più al mondo. Quell’angelo dagli occhi rossi scostò delicatamente tutti, accarezzando dolcemente il viso di nostra figlia. Fece qualche passo in avanti mentre io rimanevo lì, sul primo scalino a fissarla come incantato da quella bellezza.

«Edward...» mormorò, con voce tremante, singhiozzando. Indossava un abito stupendo che le fasciava tutto il corpo perfettamente, fino a poco sopra il ginocchio, dove si apriva come la coda di una sirena. L’abito era di un blu notte intenso che risaltava la sua carnagione in modo stupendo. La scollatura non era molto profonda sul davanti mentre dietro scopriva tutta la schiena, lasciando nuda la pelle candida. Inoltre indossava un collier di diamanti e i fermagli che i suoi genitori le avevano donato al nostro matrimonio. Posai per un attimo lo sguardo sulle sue mani tremanti: portava la fede nuziale e l’anello che le avevo donato tanto tempo prima...

Era proprio lei: Bella!

Scesi le scale, lentamente, una ad una, verso lei, la donna che stavo aspettando da oltre dieci anni e per la quale avevo sofferto come mai nella mia lunga esistenza. L’angelo era come bloccato, non riusciva a muoversi, non riusciva a parlare, non riusciva a smettere di singhiozzare. Mi fermai davanti a lei, a un metro di distanza, guardandola ancora negli occhi. Era stupenda, splendida, meravigliosa, incantevole... non esisteva al mondo un aggettivo che fosse in grado di descriverla.

«Sei qui».

«Sono qui» confermò, tremando.

«Sei viva...» sussurrai. Un singhiozzo le spezzò la voce e non riuscì a rispondere, ma solo ad annuire. Rimanemmo così, a guardarci negli occhi per un attimo eterno, quando sentii i pensieri di Renesmee nella mia mente.

Avevi ragione: lei è viva! È qui! E’ la mamma! esclamò, cercando di farmi svegliare da quella sorta di sogno ad occhi aperti che stavo vivendo. Bella alzò una mano, accarezzandomi il volto dolcemente. La sua pelle di seta sulla mia mi fece finalmente rendere conto di ciò che stava succedendo: lei era tornata.

Lei era viva.

Lei era con me.

Girai il viso solo per poterle baciare la mano, piccola e delicata. La raggiunsi con la mia e la premetti sulla mia guancia, chiudendo gli occhi con forza per calmarmi. Desideravo piangere, piangere di gioia perché finalmente la mia vita aveva un senso, ancora una volta.  Quando mi rigirai verso di lei, ebbi solo la forza di sussurrare con voce tremante: «Ti amo, amore mio». L’angelo sorrise prima di abbracciarmi con forza.

«Ti amo, Bella» mormorai tra i suoi capelli, stringendola a me.

«Tu sei tutta la mia vita, adesso e per sempre» rispose, le sue parole attutite dal mio petto. Renesmee si avvicinò a noi e la accolsi fra le mie braccia, mentre i nostri pensieri correvano sulla stessa lunghezza d’onda: la nostra famiglia era finalmente riunita e niente e nessuno ci avrebbe mai più separati.

Non riuscivo più a pensare a nient’altro che non fosse lei, nemmeno quando ci raccontò tutto. Aro l’aveva costretta a rimanere a Volterra, minacciandola di scatenare una guerra per combattere la piaga dei bambini immortali e non aveva potuto rifiutare. Ci aveva fatto credere di essere morta per evitare che andassimo a cercarla e grazie al potere speciale di uno dei vampiri che facevano parte del corpo di guardia, un certo Fred, l’avevano occultata, impedendo che Alice potesse vederla.

«Tutto poi è successo molto in fretta...» continuò Bella, appoggiata al mio petto mentre descriveva a cosa era stata sottoposta nei dieci anni di assenza. Tutti la ascoltavano interessati mentre Renesmee le stringeva la mano da seduta con Jacob che le teneva le mani sulle spalle, in un gesto protettivo e rassicurante. «Caius ha cominciato ad essere assetato di potere e da quando ha scoperto che qui c’erano dei licantropi non ha avuto pace...».

«Ma come ha fatto?» chiese Jacob.

«Aro mi ha costretta ad allenarmi per ampliare il mio potere e mi hanno insegnato molte cose tra cui quella di liberarmi del mio scudo...».

«Aspetta un secondo. Tu hai un potere?» chiese Carlisle, di colpo più interessato.

«Anch’io lo credevo impossibile» rispose Bella. «Ma sono uno scudo. E i Volturi mi hanno insegnato a potenziarlo, ampliandolo alle persone intorno a me e addirittura a privarmene anche per qualche minuto consecutivo».

«Stai scherzando? È fantastico!» esclamò Emmett, stupefatto. Bella sorrise, stringendosi a me. Le avvolsi i fianchi con le braccia e le baciai la clavicola scoperta, facendola sorridere.

«Continua» disse Jasper, sempre interessato a guerre e strategie.

«Quando Caius ha saputo dell’esistenza dei licantropi attraverso Aro che lo ha visto nei miei pensieri, ha tentato di costruire un esercito per sterminarvi. È per questo che ho tentato di chiamare più volte: per avvertirvi...».

«Ci hai chiamato?» chiese Esme, confusa.

«Ha chiamato me...» spiegai. «Ma purtroppo non siamo mai riusciti a scambiarci più di due parole. E’ per questo che ho iniziato a sperare che fosse viva, da qualche parte».

«Poi, però, Aro si è dichiarato contrario mentre a Marcus non interessava più di tanto. Ma Caius non riusciva a togliersi quest’idea dalla mente, non so perché, e così ha tentato di portare Marcus dalla sua parte, mettendolo al corrente di un segreto centenario: Aro aveva ucciso la moglie di Marcus, sua sorella, tanti e tanti anni fa ma lui non lo aveva mai saputo... Caius però non sapeva che Marcus non avrebbe desiderato altro che vendetta, minacciando Aro a tal punto da farlo scappare via dall’Italia, in Inghilterra se non mi sbaglio, portando con sé Renata, Jane e Alec. Marcus è rimasto a Volterra, segregato nelle sue stanze a piangersi addosso tentando di architettare qualcosa con l’aiuto dei suoi prediletti, Demetri e Felix; così Caius non ha avuto più possibilità di formare un esercito. Quando ho capito che nessuno ci avrebbe più fatto del male, ho fatto di tutto per scappare e tornare a casa...» terminò Bella.

«Caius ha il terrore dei licantropi solo perché una volta si è scontrato con uno di loro, temendo di non uscirne vivo... dopo quell’episodio li ha fatti sterminare tutti, ovunque» spiegai.

«Wow... non riesco a capacitarmi di tutto ciò che devi aver passato» commentò Rosalie, sorpresa.

«Edward aveva ragione: le relazioni dei Volturi erano basate sulla sete di potere e sulla convenienza. Prima o un poi tutto l’equilibrio fragile che avevano creato doveva crollare... mi dispiace solo che sia successo dopo dieci anni dalla mia partenza...» sussurrò Bella, posandomi una mano sul collo. Le baciai una guancia, tranquillizzandola. L’importante era che ora potevo finalmente stringerla tra le mie braccia di nuovo.

«E’ tutto molto molto interessante, te lo concedo, ma noi abbiamo un matrimonio da celebrare» ricordò Alice all’improvviso.

«Già. Jacob vai a farti un giro, noi dobbiamo preparare la sposa» sentenziò Rosalie.

«Guarda, tesoro. Ti ho fatto rovinare tutto il trucco» si scusò Bella, tentando di riparare al danno, senza riuscirci.

«Normalmente non lo direi, ma non fa niente! Le lacrime erano assolutamente giustificate!» la rassicurò Alice. Subito sparirono tutti dalla mia vista: Esme, Rosalie, Alice e Renesmee salirono al piano di sopra; Jasper, Emmett e Carlisle andarono ad accogliere i primi ospiti che erano arrivati. Rimanemmo solo io, Bella e Jacob, l’eterno trio.

«Non riesco ancora a credere che tu sia qui» disse Jacob, guardando Bella.

«Mi dispiace per tutto ciò che vi ho fatto vivere. È stato imperdonabile... Vi chiedo scusa, davvero» sussurrò lei in risposta, abbassando lo sguardo, veramente mortificata.

«Stai scherzando, Bells?! Siamo felicissimi che tu sia qui!» esclamò lui.

«Ha ragione, amore. Non potremmo essere più soddisfatti di questa giornata» confermai. Bella sistemò una mano sulla mia spalla e una su quella di Jacob, attirandoci a sé.

«Vi adoro, ragazzi. Siete i miei angeli custodi» mormorò, accarezzandoci la guancia. Non riuscii a trattenermi dallo stringerla tra le braccia, come anche Jacob al mio fianco e, per la prima volta, sentivo di essere completo. Mia moglie e il mio migliore amico con me, uniti e non più separati da stupide discussioni, semplicemente insieme per combattere qualsiasi cosa ci si fosse parata davanti. Io e Jacob andammo in salotto per accogliere gli ospiti mentre Bella salì in camera di Alice, forse voleva stare con la figlia prima del grande momento. Arrivarono tutti: i Quileute, Charlie, che non sapeva ancora nulla di tutto l’accaduto e anche il clan di Denali al gran completo. Dopo aver chiacchierato amabilmente con gli invitati mi congedai, dovendo adempire al mio dovere di padre della sposa. Bella non era ancora scesa, così augurai buona fortuna a Jacob e salii le scale. Sentii che tutti prendevano posto e vidi scendere anche Rosalie. Entrai nella stanza senza bussare questa volta e trovai Bella e Renesmee abbracciate, pronte a separarsi per il grande momento.

«Ti voglio bene, tesoro».

«Anche io, mamma». Alice era pronta con il suo bouquet e quello di Renesmee. Bella si avvicinò a me e, prima di scendere per prendere posto, sussurrò al mio orecchio: «Buona fortuna, questa volta la scalinata tocca a te». Sorrisi e mi avvicinai a Renesmee.

«Sei pronta, tesoro?».

«Adesso sì» confermò, fiera.

«Cos’è quello?» chiesi, indicando un medaglione che pendeva al collo di mia figlia.

«Un regalo della mamma». Vidi nella sua mente l’immagine di quel ciondolo che si apriva e che sfoggiava un’iscrizione in francese di fianco a una delle nostre vecchie fotografie insieme. “Più della mia stessa vita” diceva la scritta. Sorrisi e presi mia figlia sottobraccio.

«Sei splendida. Non temere nulla».

«Grazie» rispose. Lasciai che Alice ci precedesse, danzando con il suo bouquet mentre noi sfilavamo di fronte al gruppo di amici e parenti che era venuto a sostenere Renesmee e Jacob in questo giorno così importante per loro. Sempre sulle note della marcia nuziale, giungemmo all’altare, addobbata con fiori di ogni tipo, e unii le mani di Jacob e Renesmee, secondo la tradizione. Quando il mio compito fu terminato mi accomodai al fianco di mia moglie, gustandomi la cerimonia a pieno. Si scambiarono le fedi e i giuramenti che, con mia grande sorpresa, furono uguali ai nostri. Quando alla fine si baciarono dolcemente tutti scoppiammo in un grande applauso. I primi a congratularci con la coppia felice fummo io e mia moglie, abbracciando i novelli sposi. E quando tutti i convenevoli furono terminati potemmo spostarci in giardino per i festeggiamenti. La musica era coinvolgente e accattivante e così, dopo che mia figlia e suo marito ebbero aperto le danze, tutti cominciarono a ballare in coppia, come me e Bella.

«Come l’ha presa Charlie?» chiesi subito.

«Meglio di come mi aspettassi, almeno quando ha ricominciato a respirare» disse ridendo.

«Bene...» risi. «Ma come sapevi del matrimonio?».

«Ho trovato una partecipazione di nozze sul tavolo in cucina. Mi è preso un colpo» scherzò. Risi con lei fino a quando non ebbi l’obbligo di separarmi da mia moglie per concedere un ballo a Renesmee. Visto che la madre di Jacob non poteva essere con noi quel giorno, Bella gli chiese di concederle questo ballo, facendolo tornare sulla pista. Mia figlia era davvero una brava ballerina e volteggiammo per qualche minuto insieme, divertendoci.

«Sei felice, tesoro?» chiesi, prima di lasciarla tornare fra le braccia del suo lupo.

«Non potrei esserlo di più».

«Allora il mio compito è finito» dissi.

«Grazie, papà. Di tutto».

«No, grazie a te» sussurrai. «Se non fosse stato per te, non sarei qui ora».

«Ti voglio bene».

«Anch’io, Nessie». Detto questo restituii Renesmee a suo marito e mi ricongiunsi a Bella che mi aspettava ai margini della festa, dando le spalle ai grandi festeggiamenti. Fissava la foresta.

«Quanto mi è mancato questo posto» sospirò quando le fui dietro. Le baciai il collo, stringendole la mano.

«Non dovrai lasciarlo mai più» promisi. Si girò verso di me, prendendomi entrambe le mani.

«Ma tu mi sei mancato di più...» continuò. «Non avrei mai dovuto scriverti quella lettera, condannandoti a soffrire per tutto questo tempo...».

«E’ tutto finito».

«Sapevo che mi avresti aspettata. Noi ci apparteniamo, ricordi?» sussurrò, guardandomi negli occhi.

«Per sempre» ripetei le parole dell’ultima volta che le avevo sentito pronunciare quella frase.

«E questa volta per davvero» giurò prima di avvicinare il mio viso al suo e salire sulle punte dei piedi. La baciai con passione, finalmente in pace con me stesso. Baciai Bella Cullen, la donna che aveva fatto di me l’uomo migliore che ero diventato dopo averla conosciuta...

   
 
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