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Autore: Chu    23/06/2011    7 recensioni
La bellezza di Sirius sconvolge Remus, ma non si tratta solo di qualcosa di fisico: è un concetto ciò che davvero lo turba.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Minerva McGranitt | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Titolo: A philosopher in love
Personaggi: Sirius Black, Remus Lupin e Minerva McGranitt
Prompt + citazione: Neve + "7.Ognuno di noi porta in se stesso il cielo e l'inferno." (Oscar Wilde)
Rating: PG-13
Avvisi: pre-slash e slash, turbe esistenziali adolescenziali
Parole: 1.719 W (contatore)
Note: La storia ha partecipato al contest Dolci, Remus&Sirius di Ray08, classificandosi prima.
questa fic è... strana. Non so come altro definirla, visto che è pressoché priva di trama, ma è tanto piena di concetti strani. Mi sono lasciata influenzare dall'esame che sto studiando, suppongo, sul bello ideale e l'estetica e questo è il risultato. Spero risulti comprensibile :)
Ah, il titolo della fanfic è ripreso dall'omonimo titolo di un capitolo del manga Awakening puberty.

Ancora


Frasi brevi, occhi negli occhi e un'aria convincente. Gli insegnanti usano questo metodo; lo stesso fanno i dottori, i preti e altri illusionisti.
(La scuola dei desideri – Joanne Harris)


Sirius dormiva nudo.

Non era una cosa a cui gli altri facevano caso, era un’abitudine che aveva preso sin dal primo anno di scuola, ma arrivato a quattordici anni Remus ne fu improvvisamente consapevole.

James, tempo prima, gli aveva rivelato che anche quella era una forma di ribellione nei confronti della sua famiglia; la madre di Sirius aveva sempre ripetuto ai suoi figli di mostrare contegno e decenza anche quando si dormiva. A Remus era sempre sembrata una cosa d’altri tempi, ma del resto immaginava la signora Black come una donna d’età vittoriana, con le vesti lunghe fin oltre le caviglie e le maniche che si chiudevano come catene sui polsi.

Sirius non era così, non era contegnoso, era libero; e ad Hogwarts si era potuto spogliare di qualsiasi etichetta avesse indossato fino a quel momento, smettere qualsiasi comportamento dignitoso nel quale era stato costretto fino ad allora. Si era spogliato di tutto, anche in maniera letterale.

Vederlo nudo sul letto non era strano, non lo era mai stato in tre anni di convivenza insieme e non avrebbe iniziato ad esserlo allora; ma improvvisamente la nudità di Sirius divenne qualcosa di perturbante, che scombussolava la mente e l’animo di Remus in modi che nemmeno gli influssi della luna erano capaci di fare.

Era qualcosa che andava oltre la fisicità, qualcosa che esulava dall’eccitazione sessuale; era un concetto, sconvolgente nel suo essere sempre stato lì, ma mai in modo così chiaro.

Remus guardava la linea delle sue spalle, ancora piccole e strette; il torace magro e la pancia piatta, ma che ancora celava in sé la morbidezza della pre-adolescenza. Osservava con sguardo rapito la curva ancora dolce delle guance e gli occhi incredibilmente grandi e limpidi che catturavano immagini, visi e colori sempre con vivacità disinteressata, con l’atteggiamento di quei cieli grigi che spesso gli faceva credere che il mondo fosse nelle sue mani pallide. Sembrava strano che una creatura così viva e così curiosa fosse venuta fuori da una casa come quella dei Black, che Remus si era sempre immaginata scura, marcia da dentro, corrotta.

C’era contraddizione in Sirius, ma c’era soprattutto bellezza, libertà, voglia di vivere. C’era il concetto che era sempre stato cristallino nelle profondità dello spirito di Remus, ma che solo allora, solo in quel Febbraio nevoso del suo quarto anno, divenne chiaro anche alla sua mente, sempre distratta della consuetudini giornaliere della vita: non sarebbe mai stato come Sirius ed era per questo che ne era così intimamente attratto.

*


La neve cadeva copiosa quel pomeriggio, quando la McGranitt lo convocò nel suo studio; Remus si sedette nervosamente di fronte a lei, cercando di non guardare il suo cipiglio severo, ma fissando i batuffoli bianchi che impolveravano la finestra.

“Signor Lupin, sono davvero delusa,” iniziò la professoressa, senza perdersi in troppe cerimonie.

Il ragazzo strinse i pungi e si raccolse sulla sedia, diventando un gomitolo di carne e ossa.

La donna di fronte a lui sospirò. “Sa che questo semestre per lei non è andato molto bene, vero? Non nella media degli scorsi anni, comunque,” osservò, il tono leggermente meno rigido, la fronte un po’ meno accigliata. “Non penso che i corsi che sta seguendo le diano difficoltà, piuttosto ritengo – e con me gli altri insegnanti – che si tratti di distrazione.”

Remus le lanciò appena un’occhiata, mentre il volto pallido diventava più teso e nervoso. C’era come un’ulcera che gli stava mangiando gli organi interni, mentre la sua testa continuava ad offrirgli l’immagine di Sirius quella mattina, appena sveglio, che si stiracchiava sul letto.

La McGranitt lo guardò dritto negli occhi, catturando il suo sguardo, e lui rimase sorpreso nel non vederci rimprovero o pietà, ma piuttosto pazienza. Se quella donna aveva un pregio – e per Remus ne aveva molti – quello doveva senz’altro essere l’enorme pazienza che aveva sempre dimostrato nei confronti dei suoi alunni, Remus incluso.

“Signor Lupin, se c’è qualcosa che la turba, allora –”

“Lei pensa che per me – per uno come me, intendo – la Bellezza sia inarrivabile?” lo sputò fuori ancor prima di rendersi conto di aver formulato la domanda. Era come se lo sguardo comprensivo della McGranitt gli avesse tolto qualsiasi inibizione; o forse era solo la sua mente stanca d’arrovellarsi su se stessa, senza nessuna uscita da quelle continue riflessioni che non conducevano altro che al vicolo cieco della sua incapacità alla libertà, imbattendosi di continuo nella visione del corpo nudo di Sirius.

Arrossì, perché era semplicemente una domanda troppo sciocca, troppo verbosa, troppo filosofica anche per lui.

La McGranitt forse doveva pensarla come lui, perché i suoi occhi si allargarono dietro le lenti quadrate degli occhiali.

“Non… non importa,” farfugliò il ragazzo in preda alla vergogna, stringendosi ancora di più sulla poltrona. Non aveva nemmeno più il coraggio di guardare la neve fuori dalla finestra, limitandosi a fissare il pavimento dell’ufficio.

Non capì esattamente quando – nell’imbarazzo sentì i secondi dilatarsi e allungarsi per ore – la professoressa tornò al suo naturale atteggiamento, mettendogli una tazza di tè sotto il naso ed offrendogli un’espressione pensosa, ma non critica.

“Alla sua età tutto sembra difficile. Per lei ancora di più, non è vero, signor Lupin?” chiese, girando distrattamente il cucchiaino nella sua tazza. Il tintinnio sembrava quasi echeggiare i campanelli di una slitta da neve.

Remus, ricomposto, ma non meno pieno di vergogna, prese la sua tazza e la posò sulle gambe, senza dar cenno di voler bere. Annuì, pur certo che non ce ne fosse bisogno.

“Capisco,” disse la McGranitt, la voce stranamente rassicurante, nonostante la cattedra li dividesse non solo fisicamente. “Posso dirle solo una cosa in merito, signor Lupin, e sarà tutto ciò che ho da dire sulle sue faccende personali: ognuno di noi porta in se stesso il cielo e l’inferno. E questo significa che qualsiasi cosa le sembri perfetta e irraggiungibile, non lo è davvero, perché pregi e difetti, bene e male si bilanciano sempre nelle persone. Non c’è nulla d’inarrivabile per lei, signor Lupin, perché qualsiasi cosa la distragga dai suoi studi è molto più vicino di quello che lei pensa. Solo, le consiglio di mantenere la sua solita discrezione, riguardo il suo problema.”

Remus riconobbe la citazione e fu più affascinato dal fatto che anche la sua professoressa conoscesse Wilde che da tutto il resto del discorso. A posteriori, Remus capì che la sua insegnante doveva aver frainteso la sua domanda per un tormento d’amore, senza intuire che c’era di più sotto; ancora dopo, Remus comprese che non c’era nient’altro sotto, e che la sua Capocasa aveva capito fin troppo bene di cosa stessero parlando. In quel momento, però, si limitò ad annuire di nuovo.

“Ora, in qualità di sua Capocasa e quindi suo insegnante di riferimento, la pregherei di tornare ad impegnarsi nei suoi studi, signor Lupin, perché l’unica cosa che per ora vedo inarrivabile per lei è un buon risultato negli esami di fine anno,” concluse la donna, tornando a vestire i panni della severa professoressa McGranitt.

“Sì, professoressa,” annuì ancora Remus, poggiando la tazza sulla scrivania, alzandosi e congedandosi.

Solo quella notte, mentre era dolorosamente cosciente della presenza di Sirius nel letto di fianco a lui, capì dov’era l’inferno dell’amico e dov’era il suo cielo: nella sua famiglia e nel suo spirito libero.

La bellezza di Sirius restava, ma diveniva un po’ più vicina, un po’ meno inarrivabile, grazie all’inferno che si portava dentro.


***



C’era qualcosa di bizzarro in Remus.

C’era sempre stato qualcosa di bizzarro in Remus, si corresse Sirius, ma non era mai stato così chiaro come in quel momento, mentre lo guardava in mezzo alla neve dei cortili di Hogwarts. Aveva il naso infilato sotto la sciarpa e le guance rosse per il freddo; gli occhi sorridevano più delle sue labbra piegate all’insù, ma non era quella la singolarità del ragazzo.

C’era qualcosa nei suoi gesti trattenuti, nel corpo che una volta gli aveva invidiato, perché più robusto del suo, che incantava Sirius. C’era una forza dormiente, un’energia che Remus era sempre restio a sprigionare, nonostante il suo corpo intero la emanasse.

Quando aveva accennato la cosa a James, il fratello l’aveva guardato strano, ma non aveva detto niente, come se lui non riuscisse a vedere quello che Sirius percepiva come qualcosa di concreto.

Forse era così, forse era solo lui a vedere Remus sotto quella luce, incantato dal modo in cui il suo corpo sembrava tanto più fragile del suo, dal pallore della sua pelle, come fosse stato un marmo scolpito. Non aveva davvero senso, o forse il senso era nascosto sotto la lana rosso-oro della sciarpa, nella linea del collo, nel rosso delle labbra, nella forma del mento.

Il desiderio di togliere via l’indumento fu così concreta che Sirius nemmeno si accorse che le sue mani erano già strette attorno all’estremità della sciarpa e la stavano sfilando via con decisione.

Remus si voltò a guardarlo con un mezzo sorriso sorpreso e, quando il collo fu finalmente esposto al freddo della neve, Sirius vide le sue spalle tremare appena.

“Cosa stai facendo?” gli chiese, alzandosi il collo del mantello.

Sirius non riuscì a rispondere, mentre gli prendeva le mani e bloccava il suo gesto; avvicinò il viso a quello confuso dell’altro e rimase a guardare da vicino gli occhi di Remus e poi le sue labbra. Non sapeva come, ma trovò proprio lì il senso che cercava.

“Padfoot…” chiamò il licantropo, senza tirarsi indietro.

“Baciami,” sussurrò Sirius socchiudendo le palpebre: quegli occhi, quello sguardo, le guance rosse di freddo e imbarazzo erano accecanti.

Remus si leccò le labbra una volta, poi due. Dopo essersi liberato le mani, le poggiò ai lati del viso dell’altro, guardandolo fisso eppure senza focalizzare lo sguardo su una parte precisa: i suoi occhi volevano vedere tutto, tutto insieme, perché sembravano già conoscere ogni particolare di quel viso.

“Posso?” chiese in un mormorio basso.

“Cosa?”

“Posso toccarti?”

“Certo…”

“Posso toccarti davvero?”

Sirius non capì perché fosse così importante il suo consenso, né perché nella voce dell’altro ci fosse così tanta sorpresa e così tanto desiderio insieme. Chiuse gli occhi sorridendo e poi, finalmente, Remus lo baciò.

Lo sapeva: il senso era nelle sue labbra, nel suo bacio.

*


La professoressa McGranitt chiuse la finestra che aveva aperto per intimare agli studenti di fare meno baccano. Fece un sospiro, guardando la sua scrivania ordinata, e poi sorrise leggermente, ricordando il ragazzino che solo un anno prima le aveva chiesto se la Bellezza fosse irraggiungibile per uno come lui.

Davanti a quella scena, proprio sotto la sua finestra dove due ragazzini si baciavano, non poté fare a meno di credere quanto fosse stata giusta la sua risposta.


Fine


Ecco qui il giudizio *_*

I° classificata: A philosopher in love-Chu

Grammatica: 9.55/10
Stile e lessico: 9/10
IC personaggio; Remus 9/10 Sirius 9/10
Originalità: 10/10
Utilizzo del prompt: 4/5
Utilizzo della Citazione: 4/5
Altro Personaggio (IC e ruolo): 4/5
Giudizio personale: 9/10

Per un totale di 67.55/75 punti

La grammatica di questa storia è davvero ineccepibile. Mi permetto di segnalarti solo una ripetizione della parola sempre (sempre con vivacità disinteressata, con l'atteggiamento di quei cieli grigi che sempre gli faceva credere) e un errore di battitura (tu scrivi “capì dove era l'inferno dall'amico”, quando dovrebbe essere dell'amico.)

Passando al secondo punto di valutazione, questa storia scorre fluida, senza risultare pesante in nessun punto. Le parole non sono altisonanti, ma neanche scontate.

La sorpresa più piacevole di questa storia sono stati i personaggi. L'introspezione di Remus è così ben descritta, che riesco a sentire i suoi pensieri, i suoi dubbi, le sue incertezze. Riesco a vederlo, mentre guarda la neve fuori e parla imbarazzato con la McGrannit. Sirius compare meno nella storia, ma non per questo viene trascurato. L'idea del suo essere nudo- spogliato dalle etichette, dai comportamenti e anche dai vestiti- è qualcosa di incredibilmente IC. E quando alla fine, sussurra a Remus quel baciami, beh, riuscivo a figurarmeli davanti come se fosse Canon puro. Davvero complimenti.

Questa storia è originale. Dalla prima all'ultima riga. Full stop.

La neve compare attraverso la finestra, e sembra quasi che aiuti Remus a isolarsi dal mondo, ma al tempo stesso è lì, presente, e lui dopo la prima “confessione” non riesce neanche più a guardarla.

La citazione è inserita nel colloquio in modo perfetto, non ho niente da ridire.

E arriviamo alla McGrannit. Mi è piaciuto il modo in cui hai messo in luce i suoi tanti modi di essere: professoressa severa, ascoltatrice, consigliera. Il suo ruolo è importante ai fini della trama, e ti dico che in questa frase l'ho amata.
“Ognuno di noi porta in sé il cielo e l'inferno. E questo significa che qualsiasi cosa le sembri perfetta e irraggiungibile, non lo è davvero, perché pregi e difetti, bene e male, si bilanciano sempre nelle persone.”

Hai ragione nelle note dell'autrice, quando definisci questa storia strana. Lo è, perché sfocia nella filosofia, in pensieri quasi esistenziali del piccolo Remus, ma è davvero splendida. E poi da quando strano è un difetto? Questa è la storia più stranamente bella che ho letto. Davvero complimenti.
  
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