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Autore: Ghen    25/06/2011    1 recensioni
E ricordo di te, disegnata sul coperchio di una scatolina, che danzava con un tutù rosa. Davanti a quella vetrina ogni giorno io venivo a trovarti, ammirarti, e sorriderti. Eri bella; il mio sogno in pastelli colorati. Solo mia.
Megan Rich aveva deciso di diventare una ballerina, innamorandosi del disegno su una scatolina: sperava che con la danza, prima o poi, quella ballerina sarebbe stata sua, ma il suo ideale sembrò distruggersi all’arrivo di una rivale, Isabelle Moore.
[Partecipante al "[Mini Original 1] Lo Yuri e... la Scatola" di Eylis]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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ghen

Ricordo
di te




Ricordo il profumo dei magici fiori in primavera, gli opachi primi raggi di sole che illuminavano le strade e l’ingresso di casa della nonna. Ricordo le risate dei bambini che correvano nelle strade ancora un po’ umide dalle fresche piogge passeggere e del pane caldo che  il caro signor Green ci offriva come colazione, gentile come sempre. E ricordo di te, disegnata sul coperchio di una scatolina, che danzava con un tutù rosa. Davanti a quella vetrina ogni giorno io venivo a trovarti, ammirarti, e sorriderti. Eri bella; il mio sogno in pastelli colorati. Solo mia.
 
 
 
 
La voce stizzita della professoressa fu così vicina che, deglutendo, prese ad abbassare piano il quaderno che aveva posto come scudo sul suo banco, cominciando a sorridere mortificata.
«Megan Rich, com’è che non la vedo mai attenta alle mie lezioni?», strabuzzò gli occhi la donna, scrutando sul suo banco il disegno abbozzato di quella che sembrava una ballerina ritratta con la penna, invece di prendere appunti come tutti.   
Finse mezza risata. «Forse non mi guarda poi così spesso».
La donna le rispose con una conseguente occhiataccia e alzò i tacchi verso la lavagna; ovviamente, per Megan Rich, quello significava altri compiti extra di latino.
 
«Dovresti almeno tentare di ascoltare la Foster quando spiega», la sgridò la ragazza al suo fianco, mentre camminavano per i corridoi della scuola. «Poi lo sai com’è fatta quella! Sembra che tu lo faccia apposta a farla innervosire».
Megan sbuffò. «È noiosa; il latino è noioso! Mi sono messa a disegnare per tenermi sveglia», rise.
«Forse dovevi cambiare indirizzo», replicò l’amica, raggiungendo il suo armadietto.
«Uff… Lo sai che se non faccio questo mia madre mi taglia i fondi per la danza», mugugnò, incrociando le dita.
«Sarebbe un buon proposito per smettere», rise, riponendo i suoi libri per poi specchiarsi e passarsi il rossetto color carne sulle labbra, «Sei come un orso quando balli, lo sai che non fa per te», continuò a ridere.
«Bella amica che ho», sbuffò ancora.
«Un’amica sincera».
«Ma vai! Ne capirai tu, di danza», le diede un colpetto per spingerla per poi essere spinta a sua volta, mettendosi a ridere.
 
Megan Rich: alta un metro e settantadue, dalle spalle larghe e le ossa grosse, un po’ troppo alta e un po’ troppo massiccia per la danza classica, la sua passione. Ma Megan era determinata: sapeva perfino che non ci era portata, sbagliava spesso e cadeva ancor più spesso, eppure era ancora lì che ci provava. Sapeva bene cosa l’avesse portata alla danza: quando era bambina, nel quartiere dove abitava sua nonna, la vetrina impolverata di un vecchio negozio di cianfrusaglie mostrava sempre una piccola scatoletta di legno con sopra riportata una giovane ballerina, e affascinata, decise che doveva essere sua. Quello era il destino che si era scelta: la danza gliel’avrebbe portata.
Si impegnò con tutte le sue forze giorno dopo giorno; ancora non era brava, ancora era mediocre, ma ancora era lì con loro.
 
«Su, ragazze», incitava l’insegnante. «Uno, due! Uno, due! Dritta quella schiena! Uno, due!».
Megan seguiva le lezioni come tutte, con completo interesse, non saltando mai un passo, e anche se fuori tempo si impegnava per fare del suo meglio.
«Va bene, basta così! Pausa».
Megan riportò la gamba sinistra a terra, lasciando la stecca e allontanandosi un po’ dallo specchio, per avvicinarsi alla sua borsa e bere dell’acqua.
«Megan», la sua insegnante non perse tempo per avvicinarsi, sorridente.
Subito la ragazza prese ad agitarsi, ingurgitando l’acqua ad una velocità inaudita, raschiandole la gola. «Dica».
«Ascolta, che ne diresti di prendere parte alla prossima gara, il mercoledì che viene?», chiese in un sorriso la giovane insegnante. «Ti andrebbe di appoggiare le tue compagne e affrontare il grande pubblico?».
Rossa sulle gote cominciò a muovere la bocca, senza pronunciare parola.
«Allora?», sollecitò.
«… Ma certo! Vo-Voglio dire, so di non essere brava come le altre, ma ce la metterò tutta! Senz’altro», sorrise a sua volta.
«Oh, tu sei bravissima quanto le tue compagne e io sono certa che ce la metterai tutta! Ecco perché conto anche su di te», le poggiò una mano su una spalla a mo’ di incoraggiamento, facendola sobbalzare appena.
«Gr-Grazie…», mugugnò imbarazzata, traendo da quelle parole solo ciò che voleva sentir dire ed escludendo parti meno importanti come quel “anche”. Abbassò un poco lo sguardo. «M’impegnerò giorno e notte».
«Pensa anche a dormire, non voglio allieve semiaddormentate sul palco», rise, prima di lasciarla.
La seguì con sguardo imbarazzato mentre si allontanava per parlare con altre allieve, attenta a non farsi sfuggire un più piccolo andamento. Quella donna non era solo la sua giovane e bellissima insegnante, ma era anche la donna della sua vita, si diceva Megan. Era normale all’età di quindici anni pensare di poter passare tutta la sua vita in compagnia della sua insegnante di danza? Oh beh, certo Megan non si faceva di questi pensieri, sperava solo di poter toccare quelle curve con mano, un giorno.
 
 
«Come sta andando la danza?», suo padre spezzò il silenzio nel soggiorno dalle luci soffuse. Tutti avendo finito di cenare già da una mezzora guardavano la tv tranne Megan, in una poltrona, intenta a disegnare.
«Bene…», rispose in un sorriso. «La signorina Miller mi ha selezionata per partecipare alla prossima gara», riprese subito a tracciare i ciuffi sfuggiti dai capelli raccolti della sua ballerina sul foglio, mentre provava un saltello.
«Ah, brava…», fece il padre, restando incantato al suo televisore.  
«La scuola invece?», interruppe sua madre, voltandosi a lei, «Come sta andando la scuola?».
«Va… Normale».
«E com’è il normale, secondo te? Ho incrociato una delle tue professoresse al supermercato oggi e mi ha detto che non stai mai attenta e non ti applichi».
Megan sbuffò. «Quale professoressa, la Foster? Lasciala perdere a quella, tanto ce l’ha con me».
«Non ce l’ha con te se tu le fai vedere che sei una brava studentessa… Vedi di applicarti».
Terminò così la discussione e Megan ritornò alla sua ballerina.
Se voleva continuare a ballare, pensava, doveva frequentare per forza quell’indirizzo come aveva scelto sua madre; non c’era via di scampo, continuò per sé, aggiungendo le ombre a quel viso felice sul foglio.
 
 
Il giorno dopo, entrando in palestra da ballo, lei e le sue compagne videro stupite che non erano sole: una decina di ragazze erano dentro la sala, tutte intorno alla loro insegnante che parlava con una donna.
«Oh… Ci mancava», disse una delle ragazze accanto a Megan, fermandosi tutte davanti all’ingresso. «Lo sapete chi sono quelle? Le nostre prossime avversarie, naturalmente», rise fingendo disgusto.
«E che cavolo ci fanno qui?», chiese un’altra.
«Guardate… Allora…», ricominciò la prima, «La vedete la biondina alle spalle di quella bassa? Quella con la sacca blu? Ho sentito che è una delle più brave».
«Che brutta che è», rise un’altra.
«E ho sentito parlare molto bene di quella coi capelli a più colori», riprese, indicando.
Megan ascoltava senza dire niente le sue compagne, e man mano voltava lo sguardo su chi era il centro della discussione: questa volta si trattava di una ragazza un po’ bassa, dal fisico asciutto che di certo le avrebbe permesso di arrivare lontano nel campo del ballo. Poi proseguì nello squadrarla: i piedi sotto converse di tutti i colori, una gonna rossa a scacchi con sotto leggins neri, un giubbottino in jeans con attaccate spille d’ogni genere, la sua bocca si muoveva con volgarità su e giù, masticando qualcosa, e sotto al labbro inferiore portava un piercing; lo sguardo annoiato fissava il pavimento. Di certo, la cosa che spiccava maggiormente erano i suoi capelli, a tratti rossi e neri, con alcuni ciuffi blu, viola e biondi. Il suo aspetto di certo non era quello che si addiceva ad una ballerina di tutto rispetto: per Megan poteva essere brava quanto voleva, ma non aveva nulla delle ballerine che lei sognava e disegnava con tanto amore.
«Cioè, se quella sa ballare, io mi butto sotto un treno», rise una, distogliendola dai suoi pensieri.
«In effetti…», aggiunse la prima, «Eppure così ho sentito dire…».
Come hanno fatto ad accettarla con un piercing? Pensò Megan.
Restò a fissarla, quando in quel momento lo sguardo annoiato di quella ragazza si voltò a lei, scambiandosi una breve occhiata. Megan d’impattò arrossì e distolse gli occhi, sentendosi colta in flagrante.
«Bene, è stato un piacere parlarne insieme! Adesso andiamo, abbiamo disturbato anche troppo», esclamò all’improvviso a voce alta quella che doveva essere l’insegnante delle altre ragazze, facendo un gesto di saluto con la mano e sorridendo. Presto tutte le ragazze si misero in fila e, dopo aver salutato, presero ad uscire seguendo la donna.
Megan e le altre restarono accanto alla porta, ma quando quella ragazza dai capelli colorati le passò accanto, si pentì di non essersi spostata anche solo di un altro metro.
«Se vuoi ti scatto una foto», disse lei, fissandola dritta negli occhi, seria, tanto dal farle gelare il sangue. Megan avrebbe voluto scomparire.
«Che voleva quella da te, Meg?», chiese subito una delle sue compagne e tutte si voltarono curiose.
«Che ne so… Chi l’ha mai cercata», rispose con la prima cosa che le venne in mente, prima di abbassare lo sguardo. Subito le sue compagne si misero a civettare tra loro contro quella ragazza: erano crudeli e dalla lingua tagliente, quando ci si mettevano.
«Quella si fa di qualcosa…», commentò acida una, senza perdere tempo.
«Fa pietà… Ma l’avete vista? E poi non mi venite a dire che sa ballare bene! Avrà anche il fisico, ma la classe, quella, se l’è venduta da qualche parte».
«Senza contare il pessimo gusto nel vestire! Un pagliaccio! Ma d’altronde era abbinato ai capelli», risero tutte.
«Pessima», continuò la prima, «Secondo me si crede pure! Avete visto lo sguardo?».
E fu in quel momento che cominciarono a dire delle cose che Megan avrebbe preferito non sentire.
«E sarà pure lesbica! Secondo me ci guardava».
«Oddio, no…».
«Sì, vi dico che è così, l’ho vista io! Dovrebbero proibire il ballo alle lesbiche! Immaginatevi negli spogliatoi…».  
Tutte commentarono stizzite quell’infelice frase, ma Megan non disse una sola parola, nonostante sentisse l’impulso di gridarle addosso. Stupide oche senza cervello… Commentò per sé.
Lei era lesbica da che ricordava, da bambina, quando immaginava di voler baciare lei la principessa addormentata nelle favole, o quando si accorse di essersi innamorata della ballerina nella scatolina, eppure non le sembrava affatto di essere saltata addosso a qualcuna di loro negli spogliatoi. Megan voleva bene alle sue compagne, ma loro non avrebbero capito.
«Oh, e finiamola con queste stupidaggini, ragazze», l’insegnante le fece tacere di colpo, facendo arrossire Megan: lei avrebbe capito invece, pensò.
«Ascolti, ma come si chiamava quella con i capelli multicolor?», domandò una delle ragazze, per poi voltarsi alle altre e a bassa voce sussurrare «La lesbica…», per farle sghignazzare.
«Parlate di Isabelle Moore?», fece lei, impegnata a controllare alcune scartoffie in mano. «È una delle allieve migliori della sua scuola di danza: mi laverei la bocca, fossi in voi, prima di parlare di lei! Dovreste preoccuparvene per la gara, piuttosto».
Tutte restarono colpite da quell’affermazione, che di certo non lasciò indifferente nemmeno Megan.
«E cosa ci sono venute a fare qui, comunque?», chiese una.
«La gara di ballo è stata spostata, non la si fa più nel vecchio edificio che hanno cominciato a ristrutturare, e insieme stavamo pensando ad una soluzione», disse lei, mettendo via le scartoffie per cominciare finalmente la lezione.
Poche prestarono interesse allo spostamento di sede della gara quanto piuttosto a quella ragazza, Isabelle Moore: a Megan pareva di aver già sentito il suo nome, forse a scuola.
 
 
Ripensava che, da bambina, innamorata della ballerina nella scatola, cominciò a raccogliere nastri colorati in giro per casa della nonna, di tutti i tipi, cercando di farne un gioiello.
 
 
«Oh! Quindi avete fatto conoscenza delle vostre rivali?!», sorrise la sua amica Agatha, truccandosi come a suo solito davanti allo specchietto nell’armadietto.
«Già… E il bello è che tutti dicono che questa tizia è tanto brava, pure la nostra insegnante-», venne interrotta.
«Quella per cui hai una cotta spaventosa?».
«Sì! E invece non sembra proprio tipa da ballo, basta guardarla! Sembro più portata io».
«Tutti sono più portati di te, ippopotamo», rise.  
«Ma me l’hai finita?», sbottò in broncio: non sopportava più il suo umorismo pungente. «Comunque è una certa Isabelle Moore! Che tu la guardi e dici “no, non fa ballo”».
«Isabelle Moore?», Agatha si voltò, lasciando per un attimo in sospeso il mascara. «Bassa, capelli colorati, muso lungo, saccente so-tutto-io e priva d’umorismo Isabelle Moore?».
«La conosci?», restò spiazzata, per un attimo.
«Naaah, non ci posso credere che quella fa danza! Sì che la conosco, è la prima delle classe, in Economia», sbottò Agatha, sorpresa, «Non ci credo! Sì, hai ragione, non avrei mai detto che Isabelle Moore facesse danza! Tutto ma non danza», rise per sé, «Vieni, te la presento!», disse poi.
«Non dire stronzate! Non la voglio conoscere», Megan obiettò senza mezzi termini. Il pensiero di incrociare di nuovo il suo sguardo con quella ragazza le metteva addosso una certa angoscia. Ed era strano, mai nessuno le aveva messo addosso una simile impressione. Non la voleva rivedere; forse ne aveva paura.
«Eddai, non fare la difficile». Agatha richiuse l’armadietto dopo un ultimo schiocco alle labbra e la prese subito per un braccio, trascinandola con lei per i corridoi. «Conoscendola, a quest’ora sarà in biblioteca», rise. «È una secchiona».
«Ti ho detto che non la voglio vedere! Cosa non ti è chiaro? Agatha!». Inutili furono i suoi tentativi di farsi obbedire che presto si ritrovarono di fronte alla biblioteca. La porta era aperta e non pochi studenti sembravano immersi in letture. Presto la videro: Isabelle Moore era tra quelli, con un libro aperto sul tavolo e una pila accanto, con la testa poggiata sul braccio nel tavolo, presa dalla lettura.
«Umh… In effetti adesso che la guardo meglio ha un fisico perfetto per fare la ballerina, mica come te», dichiarò Agatha.
«Ah, grazie… Questo l’avevo notato anch’io, ma un fisico perfetto come dici non fa una ballerina, deve avere anche tante altre qualità», rispose a tono, osservando Isabelle. Aveva uno sguardo così soave perso nella lettura che non sembrava neppure la stessa ragazza che incrociò il suo sguardo in palestra solo ieri; ora sembrava così dannatamente fragile dal farla arrossire.
«Magari ha pure queste altre qualità, non credi? Se pure la tua insegnante l’ha elogiata ci sarà una ragione, penso…», commentò. «Comunque, a dispetto di tutto è una gran bella ragazza, dovresti provarci».
«Cito me stessa poco fa: “non dire stronzate”», corrugò le labbra, vagamente rossa sulle gote, per poi mettersi in broncio e fissare la ragazza.
«Oh beh, se io non fossi troppo presa dai megafusti e quindi indiscutibilmente etero, lo farei! Cos’ha che non ti garba? Secondo me è sexy… Si veste un po’ strana ok, ma ha fascino».
«Ha tutto che non mi garba! Il mio modello di ragazza è ben differente da lei», ripensò alla ballerina leggiadra e femminile, dolce e sensibile disegnata sulla scatolina. «E poi io penso solo alla mia bella e tutta-curve insegnante…», sorrise, arrossendo.
«Ah, dimenticavo…», si passò una mano sul viso voltandoci lo sguardo, come rassegnata.
Isabelle Moore alzò lo sguardo dal suo libro e le vide, incrociando di nuovo i due sguardi, ma stavolta sorrise.
Imbarazzata, Megan sentì un brivido lungo la schiena e arrossendo prese a voltarci lo sguardo e il corpo, cercando di nascondersi dietro l’amica senza però darlo troppo a vedere, fingendo un gesto naturale. «Forse è meglio se andiamo…», mugugnò.
 
 
L’aria appena fresca che si respirava era un toccasana dopo un paio di giornate afose, con quel sole caldo che faceva impazzire un po’ tutti. Mentre la squadra di football della scuola e le cheerleader si allenavano in cortile, Megan si era seduta sulle panchine per approfittare della bella giornata, con il suo album da disegno e le matite, pronta per creare un’altra bella e delicata ballerina da collezionare.
Ogni tanto dava un’occhiata alle cheerleader per poi tornare al suo disegno: le capitava di prendere spunto da ciò che vedeva per visi ed espressioni.
Udì dei passi ben poco leggiadri camminare alla sua sinistra e diede uno sguardo: si ghiacciò nel vedere una gonna a scacchi rossa. Cosa ci faceva qui Isabelle Moore?
Cercò di non distrarsi ma presa dall’euforia fece una linea di troppo e prese subito a cancellare, sperando di non aver rovinato la sua ballerina.
«Quella testa non è un po’ troppo grande per il corpo? Credo sia sproporzionata», commentò quella voce fredda che la immobilizzò.
«Ah…», in realtà non sapeva bene cosa dire, fino a che non si indispettì per quella critica non richiesta. «Non è sproporzionata», sbottò, alzandole lo sguardo, «e mi copri la luce».
Isabelle si dispose accanto a lei, in modo da non coprirle la luce del sole, e allungò la mano sul disegno. «Sì, vedi?», cerchiò con un dito la testa della ballerina. «È troppo grande! Osserva la cheerleader mora, la quarta», indirizzò poi il suo sguardo in basso, seguito da Meg. «Guarda com’è messa la ballerina del tuo disegno e quella cheerleader. Hanno una movenza molto simile, ma se metti a confronto le due teste ti accorgi dell’errore».
Meg fissò per un attimo la cheerleader e la ballerina, e poi di nuovo. Si morse un labbro. Aveva ragione. Sbuffò un attimo, cercando di cancellare, facendo meno danni possibili al lavoro ormai già abbozzato.
Sentiva il suo cuore che batteva oltremisura per quella vicinanza un po’ troppo stretta con quella Isabelle Moore: non dovrebbe darle troppa importanza nemmeno il suo cuore, considerando quante arie si era data nel farle accorgere dell’errore.
«Devi osservare molto per poter fare ottimi disegni. Chi non osserva non saprà mai quale movenza è quella giusta, o il colore… Se non guardi i colori del mondo non potrai riprodurli, no?», si voltò a lei.
«Beh, ma non mi intendo di disegno, comunque… Sono schizzi… Ogni tanto…», si giustificò Megan, senza guardarla, tenendo lo sguardo fisso alla ballerina.
«Oh, peccato… Nonostante tutto hai un bel tratto, la tua ballerina non sembra male…», commentò poi, lasciandola di stucco, bloccandosi.
Era per caso un complemento quello…?
Il suo cuore mancò improvvisamente un battito, e deglutì, riprendendo a cancellare.
«Comunque io sono Isabelle Moore», sorrise. Megan alzò finalmente lo sguardo, pronta a presentarsi, quando l’altra passò con la voce sulla sua. «E tu, Megan Rich, vuoi una mia foto».
Voleva essere una battuta, quella? Pensò per sé, prima di riflettere sul fatto che quella ballerina che tutti acclamavano conoscesse il suo nome.
«Solitamente mi irritano gli sguardi fissi su di me, ma ci sono anche in un certo senso abituata…».
«Ah… Scusa, non volevo…», cercò di giustificarsi.
«Sì che volevi, non sono nata ieri», dichiarò. «Ho sentito che parlavate di me».
Megan si sbiancò.
«Ma non m’interessa ciò che dice la gente, specie se nemmeno mi conosce. E soprattutto se nemmeno voglio conoscerla», specificò. «Ma d’altro canto tu non fai parte di quella categoria. Mi piacerebbe conoscerti meglio, Megan Rich», sorrise ancora, alzandosi dalla panchina. «Ora devo andare. Ho sentito dire che sei piuttosto scarsa come ballerina ma che non hai mai mollato. È interessante. Fossi scarsa come te avrei già rinunciato e mi sarei data a qualcos’altro. Bene, ora vado, ci vediamo», estrasse un altro sorriso e se ne andò, seguita con lo sguardo sbigottito di Megan.
Era così dannatamente seria nel dire cose così delicate dal farle quasi rimpiangere l’umorismo pungente dell’amica Agatha.
 
 
«Ma chi si crede, quella?», sbottò all’uscita della scuola, accompagnata da Agatha. «Hai ragione, è saccente, sa tutto di ogni cosa, è anormale», sbraitò allargando le braccia, prima di fermarsi, bloccata da un’idea fulminante. «È un’aliena! Senz’altro un’aliena».
L’amica sogghignò, d’un tratto: anche a lei sembrava esser arrivata un’idea fulminante. «E ti piace».
«Che?», si fermò del tutto, bloccando Agatha. «No!», sentenziò poi, ricominciando a correre.
«Oh sì! E questa ne è un’altra prova», si mise a ridere. «Ah, ah, ti piace Isabelle! Inutile mentire, ti ho smascherata».
«Sai benissimo chi mi piace, quindi non rompere», ringhiò più indispettita del solito, rossastra sulle gote.
Le piaceva la sua insegnante e basta, continuava a ripetersi. Quella Isabelle Moore non aveva nulla di speciale, anzi era totalmente diversa dal suo ideale di ragazza. Era fuori discussione.
 
Tuttavia, quando la vide davanti all’uscita di palestra, dietro le automobili parcheggiate dall’altro lato della strada, le venne un colpo, trasformando il viso in una moltitudine di colori, e non poteva credere che il suo cuore aveva iniziato a battere all’improvviso più forte senza un’ovvia ragione.
Udì le sue compagne sghignazzare nel vederla lì, poggiata ad un muro con delle cuffie nelle orecchie, mentre sembrava aspettare qualcuno. Le sentì parlar male di lei come sempre fino ad allontanarsi. Megan salutò le sue compagne con appena un cenno della mano e prese a camminare dritta sul marciapiede, senza incrociare lo sguardo di quella ragazza, facendo finta di non averla vista. Cominciò ad andare più veloce, quando vide che facilmente Isabelle Moore l’aveva già raggiunta.
Si sfilò le cuffie, poggiandole sulle spalle, e le sorrise, mettendosi al suo fianco. «Perché scappi da me?».
«Non-Non scappo da te», ringhiò rossa sul volto e senza guardarla negli occhi, voltando continuamente il viso.
«Sì invece. Sei poco furba, non riesci minimamente a mentire, né coi movimenti né tanto meno con lo sguardo. E il tuo viso che non riesce a sostenere il mio-».
«Basta», la interruppe, prima che quella voce proseguisse dicendo cose che in realtà non voleva sentir dire. «Che cosa ci fai qui?». E come mai aspettava lei?, voleva forse aggiungere.
«A casa mi stavo annoiando e ho pensato di volerti vedere. Ti posso offrire qualcosa?».
 «No!», decise immediatamente.
«Coca-cola e patatine, mi è venuta fame. Dai, non farti pregare», sorrise.
Non sapeva nemmeno come quella Isabelle Moore, con quel sorriso e due parole, era riuscita a fregarla, a farsi convincere, ma forse era stata aiutata dallo stomaco che dopo la palestra era sempre un po’ più sensibile e coca-cola e patatine non erano una cattiva idea. Presero un tavolino davanti alla vetrina del locale, mangiando con le mani con salsa di ketchup e maionese, ridendo e scherzando, parlando del più e del meno. A dispetto di come potesse sembrare, pensava Megan, Isabelle Moore non era poi così fredda: rideva divertita e, quando raccontava, le si illuminavano gli occhi. E forse – sottolineò –, aveva ragione Agatha: era proprio una bella ragazza.
Dopo aver mangiato per continuare i discorsi cominciarono a fare una passeggiata nel parco accanto, sedendo su di una panchina. Meg restò affascinata dal sedersi di Isabelle tanto diverso dalla ragazza sensibile che a lei piace tanto eppure colpendola in ugual modo, e non era niente di speciale, prese semplicemente a seder nella spalliera per poi poggiare i piedi accanto a dove si era seduta lei. Ma i suoi movimenti, come i capelli lisci le ricadevano sul viso, la facevano così… affascinante.
Isabelle le sorrise, prendendo poi il discorso per una piega inaspettata. «Quindi se non sei così portata per il ballo come dici, perché continui? Perché ti ostini tanto? Se sei una schiappa, non è meglio mollare e puntare sul disegno, visto che ci sai fare?».
«Ah…», arrossì un poco per l’inaspettato complimento dopo l’averle appena dato della schiappa. «Non è così semplice… Cioè, il ballo è sempre stato il mio sogno… Più che altro, lo era una ballerina», prese a raccontarle, mantenendo basso lo sguardo. «Mi ero innamorata di una ballerina disegnata sul coperchio di una scatola da piccola e da allora è stato il mio piede fisso… Quella ballerina… la volevo…», prese poi a voce sempre più bassa. «Per me…».
«Ma così non sembra affatto che sia tu a voler diventare quella ballerina, ma a volere una ballerina! Il concetto è diverso», spezzò l’incantesimo.
«Beh… In effetti forse un po’ è così… Volevo quella ballerina e speravo che il ballo me l’avrebbe portata! Lascia perdere», rise convulsamente, immaginando di aver appena fatto coming out si sentì sulle spine. Non si sarebbe dovuta far prendere troppo dall’entusiasmo.
«Sai una cosa?».
Megan alzò il viso incuriosito, ancora rosso sulle gote. Sperava che anche Isabelle facesse presto una dichiarazione imbarazzante, in modo da farla sentire meglio.
«Mi interessi», disse seria, senza il benché minimo sconvolgimento. «Credo che tu mi piaccia. Pensaci, ok?». Svelta sfiorò le labbra di Megan, prima di scendere dalla panchina con un balzo e gridare «Ci vediamo», andandosene.
Megan restò immobile su quella panchina, ad occhi spalancati, cominciando ad ansimare. Che le era preso all’improvviso a quella? L’aveva… baciata. Il suo primo bacio. Divenne rossa, cercando di nascondere il viso tra le gambe.
 
 
Ricordava di averci impiegato davvero tanto tempo a creare un gioiello carino con quei nastri, che non si distrusse subito o che non avesse un brutto aspetto… Doveva essere perfetto per la sua ballerina.
 
 
Non sapeva perché, ma in realtà un po’ si vergognava per quel bacio: forse perché non era riuscita a dire niente, forse perché si era lasciata baciare con facilità senza opporsi, forse perché in fondo non voleva ammettere – dopo averci riflettuto senza chiudere occhio la notte – che non l’era dispiaciuto.
La mattina non ne fece parola con Agatha, rendendosi più silenziosa del solito, e vagando come un ninja cercando di non incontrare Isabelle, riuscì a trascorrere la giornata scolastica, ma come doveva sospettare, all’uscita della palestra, lei era lì che l’aspettava.
Senza guardarla camminò dritta per la sua strada ma si fermò di colpo, aspettando che la raggiungesse: era stupido scappare.
«Ti sei fermata», sorrise.
Megan per tutta risposta fece un mugugno, senza degnarla di sguardo. Non sapeva adesso che le prendeva.
«Agatha Steps mi ha rivelato chi ti piace».
Meg si congelò per un attimo prima di blaterare agitata. «L-Lei ha fatto cosa?».
«È tua amica, no?».
«Ora non più».
«Beh, comunque, toglitela dalla testa, è fuori dalla tua portata.», esclamò seria.
«E tu cosa ne sai di quello è fuori dalla mia portata? Ma chi ti credi di essere?», strinse i pugni Megan. Non reagì bene a quelle parole, anche se in fondo l’aveva sempre saputo.
«Sei mai stata ad aspettare che la tua insegnante uscisse da palestra?», chiese.
Megan decise di accettare e insieme si nascosero dietro una parete, in attesta di vederla. Le accuse rivolte a Isabelle non la fecero muovere di un muscolo mentre Megan cominciò invece a pensare se non le dovesse delle scuse. Restarono una ventina di minuti in silenzio dietro quella parete, finché finalmente non la videro scendere dalle scale dopo la porta e Megan si raggelò: un uomo scese da una macchina e la raggiunse, per poi baciarsi.
«Come ti dicevo: era fuori dalla tua portata», commentò Isabelle, con il solito tono freddo. «Quella donna non solo è fidanzata, ma comunque non avrebbe mai accettato di vedersi con una delle sue allieve. È un grave errore quello di pensarlo». Si voltò a Megan e per la prima volta fece una smorfia dispiaciuta, osservando il viso rivolto a terra e ascoltando il suo silenzio. «Oh, accidenti! Ho parlato troppo, non me ne rendo neanche conto, ti chiedo scusa… Sono una stupida…». Stava per avvicinarsi a lei, quando Meg alzò il volto, mostrando un forzato sorriso.
«Non importa, dai, in fondo l’ho sempre saputo, era solo una stupida cotta… Andiamocene».
Isabelle passò un veloce sguardo all’insegnante alle loro spalle e poi a Meg, afferrandole il polso. «Ci hai pensato?», domandò.
In quel momento, il polso di Megan cominciò a prendere fuoco per l’imbarazzo.  
«Guarda che io sono seria, non è una stupida cotta e basta…», la cinse in un abbraccio.
Quello che Megan non riusciva davvero a capire, era come poteva piacerle una come Isabelle che non rispecchiava affatto il suo ideale, la ballerina della scatolina. Aveva passato anni a ricercare il suo ideale e poi era arrivata lei a distruggerlo.
Si sciolse dall’abbraccio e si voltò, ed entrambe si cinsero in un lungo bacio.
 
 
Quando finì il suo gioiello, lo ammirò sorridendo interi minuti, desiderando che restasse così per sempre.
 
 
Un ciuffo biondo le continuava a ricadere sul viso invece che restare legato alla cipollina come gli altri, e Megan sbuffò. Tutte erano pronte per la gara e la tensione saliva fin alle luminarie installate in quel palco al centro di una piazza. Molta gente era venuta a guardare le ballerine che danzavano, non solo le loro famiglie. Megan ed Isabelle erano con le loro rispettive compagne ai lati opposti del palco, osservandosi, sorridendo.
Quando la gara iniziò, ben presto si accorsero di come le loro avversarie erano nettamente superiori al loro livello, e soprattutto Megan.
Quando Meg si ritrovò dietro le quinte ad osservare Isabelle che danzava, guidata da movimenti di pura eleganza e dolcezza, destreggiandosi e librandosi in un poderoso salto, rivide la ballerina che tanto amava disegnata sulla scatolina. Era lì. Era lei. L’aveva trovata. Arrossì.
 
Le sue compagne continuavano a lamentarsi della sconfitta ma Megan era l’unica della loro palestra ad andare in giro con un sorriso vittorioso, quella sera.
«Sono fiera di te», la sua insegnante si congratulò con lei, facendola un poco arrossire.
«Grazie». Vide Isabelle e subito le corse incontro. «Vieni», la prese ad un polso, trascinandola nell’edificio accanto, fino alla camera dove avevano poggiato le loro cose.
«Cosa c’è? Ti brucia la sconfitta?», domandò sogghignante – riferendosi più alle sue compagne amareggiate che a lei –, osservandola frugare nella sua borsa.
«Credo di essere veramente l’unica felice, questa sera, nel mio gruppo», rise. «Chiudi gli occhi…».
«Che vuoi fare?».
«E chiudili, no?».
«Ok… Ma non farmi brutti scherzi…», sussurrò, poco prima che le calde labbra di Megan sfiorarono le sue.
«Ora li puoi aprire… Ciò che c’è dentro: è per te».
Isabelle si ritrovò tra le mani una piccola scatolina con la ballerina dal tutù rosa disegnata sul coperchio, e sorridendo, rossa sulle gote, l’aprì. Uno strano fiocco creato da tanti nastri colorati le si mostrava davanti, incantandola. Sapeva quanto per Megan questo era importante. Arrossì, prima di scambiarsi un lungo bacio.
«Grazie…».
La ballerina… ora era…
«Mia».
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 








[Versione corretta (NON riscritta) del 09/12/'14)

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Questa piccola storia (5mila parole titolo compreso) è stata scritta per il contest di Eylis [Mini Original 1] Lo Yuri e... la Scatola, ed ecco la targhetta:





Seguendo una trama simile avrei potuto scrivere un libro XD
Mi piace il personaggio di Megan, ma quello che più adoro è Isabelle: è di una schiettezza sconvolgente e parla con tale disinvoltura che spesso la si potrebbe fraintendere, ma non è affatto “cattiva” XD Un altro personaggio che mi piace tanto è Agatha, l’amica di Meg: anche lei è schietta ma più che altro la prende a ridere, prende in giro dicendo le cose seriamente. E mi è dispiaciuto un sacco non darle più spazio di quello, visto che avrei voluto almeno descriverla fisicamente, è una bella ragazza come la immagino.
Un pezzo che avrei voluto scrivere ma per forza di cose non ci poteva stare era una piccola parte finale dove probabilmente si diceva che Megan aveva cambiato indirizzo di studi, cominciando a prendere più seriamente il disegno e lasciando la danza come hobby, facendosi aiutare dalla sua nuova ragazza. E va beh, pazienza ç^ç Va bene anche così (credo) XD


Grazie di cuore a chi si è prestato a leggerla e a chi magari voglia farmi sapere cosa ne pensa ^^

Alla prossima, gente,
ciao, ciao da Ghen =^_____^=
   
 
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