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Autore: bluemary    27/06/2011    0 recensioni
La donna sollevò lo sguardo senza rispondere, rivelando gli occhi che fino a quel momento si erano rivolti altrove. Incapace di muoversi, la guardia la fissò sconvolto. L’iride nerissima era frammentata da piccoli lampi di grigio, come delle ferite che ne deturpavano l’armonia, donando al suo sguardo una sfumatura intensa quanto inquietante; ma era stato il centro stesso dell’occhio ad aver attratto da subito l’attenzione dell’uomo, che adesso la fissava quasi con terrore, le mani strette convulsamente alla lancia ed il respiro affannoso: al posto del nero della pupilla, si stagliava il bianco tipico degli Oscuri.
Cinque sovrani dai poteri straordinari, una ragazza alla ricerca della salvezza per una razza intera, un umano con la magia che sembra stare dalla parte sbagliata. Benvenuti su Sylune, una terra dove la speranza è bandita e dove gli ultimi uomini liberi lottano per non soccombere.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sylune'
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-Capitolo 24: Riflesso di speranza-

Qualche anno prima dell’avvento degli Oscuri, in un piccolo villaggio di Eterei, nacque il figlio della magia.
Dotato di un potere senza pari, che gli valse una simile denominazione, aveva l’aspetto androgino di uno spirito impalpabile, un bambino dagli occhi intelligenti e profondi, fin troppo consapevoli per la sua giovane età. Avrebbe potuto condurre una vita normale, forse perfino felice, se la sua esistenza non fosse giunta alle orecchie di alcuni Eterei ribelli. Questi rinnegati, decisi a scatenare una guerra contro gli umani infrangendo così la tregua esistente tra le due razze, avevano aggredito la sua famiglia quando lui non aveva ancora compiuto dieci anni. Avevano pensato di rapirlo e poi crescerlo come la loro arma più potente, ma tutti i piani e le loro stesse vite erano stati distrutti proprio da chi desideravano come alleato: dopo aver assistito al massacro dei propri genitori e del fratello maggiore, il bambino aveva scatenato su di loro tutta la sua furia, con un’esplosione di magia tanto intensa che l’avevano avvertita perfino gli abitanti del villaggio vicino.
Le guardie attirate dalla percezione dello scontro erano sopraggiunte dopo diversi minuti e l’avevano trovato in mezzo ai corpi senza vita dei suoi familiari, sporco di sangue e con i lineamenti scolpiti in un’espressione impassibile, senza la minima traccia di lacrime o sofferenza, quasi fosse incapace di provare emozioni. I suoi aggressori erano stati massacrati brutalmente, colpiti a morte da un furore cieco e privo di ogni freno; non se n’era salvato nessuno e, nonostante fossero stati tutti maghi esperti e piuttosto dotati, sembrava che il loro giovane assassino non avesse riportato neppure la più piccola ferita.
Testimoni di una reazione tanto violenta e pericolosa, i Custodi avevano valutato per lungo tempo l’ipotesi di inibirgli i poteri e mandarlo a vivere tra gli umani; tuttavia il ricordo di un esperimento precedente, quando non erano riusciti a sigillare del tutto la magia di un bambino con doti simili, ma anzi, l’avevano quasi ucciso nel tentativo, li aveva dissuasi dal proseguire con una simile decisione.
Il giovane Etereo aveva così incominciato la sua vita solitaria nel villaggio dove aveva sede il loro concilio. Lì era vissuto senza curarsi di nessuno, dedito unicamente allo sviluppo dei propri poteri ed apparentemente privo di ogni emozione. Aveva rifiutato ogni tipo di contatto, sia da parte degli studiosi interessati al suo potere, sia da parte dei pochi coetanei che avevano osato avvicinarglisi; era giunto solo nella sua nuova casa, e solo era cresciuto, evitato da molti, temuto da tutti. Solo il suo maestro, un mago appena entrato nell’ordine dei Custodi che si era fortemente opposto all’alternativa di sigillargli i poteri, era riuscito ad instaurare con lui una sorta di legame ed infine a guadagnarsi la sua fiducia: un giorno aveva sorpreso il suo miglior studente a frugare tra i suoi libri in cerca di un modo per riportare in vita la famiglia, comprendendo così che l’apparente indifferenza e mancanza di emozioni del bambino erano stati solo un sistema di autodifesa per un giovane Etereo tanto pericoloso per se stesso e per gli altri.
Dopo aver visto uccidere tutti i suoi familiari, il figlio della magia aveva compreso quale sorte avrebbe potuto toccare alle persone a lui care, o come maghi senza scrupoli avrebbero cercato di servirsi dei suoi poteri, e si era deciso ad isolarsi in modo da non far soffrire nessuno, né divenire un mero strumento nelle mani di qualcun altro.
Mentre lo abbracciava, con il suo volto rigato dalle lacrime stretto al proprio petto, il Custode gli aveva promesso che gli sarebbe stato vicino, proteggendolo dalla brama di potere degli Eterei più ambiziosi ed aiutandolo a sfuggire alla soffocante morsa della solitudine. Era stata la sua guida per sette anni, prima che il destino mettesse sanguinosamente fine alla sua vita, portandolo in tal modo ad infrangere la promessa fatta a quel bambino. Abbandonato dal suo maestro, che si era sacrificato per salvare un neonato degli umani, tradito proprio dall’unica persona di cui si era fidato, il figlio della magia, ormai diciassettenne, era diventato il quinto Oscuro.
A tutto questo pensava Kyzler, mentre si dirigeva nel castello di Daygon per eseguire il suo compito.
I tratti delicati del suo volto non mostravano alcun turbamento nel rievocare immagini tanto distanti ed ormai estranee alla sua vita; tutte le sue emozioni appartenevano a quel passato di cui non poteva più essere parte e raramente scalfivano la malinconica indifferenza che caratterizzava la sua espressione.
Non ripensava spesso alla sua vecchia vita, aveva perso troppo per desiderare coscientemente che simili ricordi gli invadessero la mente, tuttavia durante le ore più buie della notte gli capitava di riflettere sulla propria esistenza, dimenticandosi per un attimo della vendetta e dell’odio che portava scritti indelebilmente nel suo cuore. Rivedeva i tormenti da cui era fuggito quando aveva accettato la propria identità di Oscuro, per poi scoprire altri tormenti; con un’annoiata ironia volgeva la mente ai vecchi compagni di studio, perlopiù ombre indistinte che lo temevano ed a stento gli rivolgevano la parola; e poi, queste rare volte in cui il suo pensiero non inseguiva ossessivamente il maestro da cui era stato abbandonato, ne rivedeva la figlia.
Un guizzo delle labbra assimilabile ad un sorriso si dipinse sul suo volto quando, a memoria, ricreò l’immagine di quella ragazzina che giorno dopo giorno lo aveva invitato timidamente a pranzo, nel vano tentativo di instaurare con lui un rapporto simile all’amicizia. Non aveva mai compreso quale motivo l’avesse spinta a perseverare nei suoi approcci, se la compassione nei suoi confronti, se la curiosità, se un genuino desiderio di conoscerlo; tuttavia il sorriso appena accennato con cui lei lo salutava era rimasto uno dei pochi ricordi della sua infanzia che non fosse imbrattato di sangue, forse l’unico in grado di tormentarlo in maniera tanto dolce. Conservava ancora il nome di quella giovane Eterea che, con una sorta di grazia impacciata, si era fatta strada nei suoi pensieri in modo da imprimersi profondamente nella sua memoria: Viridian.

Il destriero nero come la notte sfrecciava veloce attraverso la piccola strada un po’ sconnessa che avrebbe portato alla vicina città di Anwist e Rafi riusciva a distinguere appena i contorni degli alberi e della vegetazione circostante.
Non aveva rivelato ai suoi compagni la ferita che le torturava il fianco ad ogni sobbalzo della sua cavalcatura, mordendosi le labbra pur di non emettere neanche un gemito, tuttavia, dopo pochi minuti, quella fuga verso la salvezza era diventata una tortura insopportabile. Strinse con forza le dita attorno alla criniera dell’animale che avanzava al galoppo, mentre tutto il suo essere si concentrava per rimanere cosciente e mantenere l’equilibrio. In qualche angolo remoto della sua mente, dove ancora l’ultima scintilla di razionalità brillava nitida tra la sofferenza, sapeva che ci sarebbero volute diverse ore per raggiungere Anwist e probabilmente lei non sarebbe mai riuscita a sopportare un viaggio tanto lungo, tuttavia preferiva negarsi ogni dubbio e continuare ad avanzare, piuttosto che dimostrare la propria debolezza ai suoi due alleati.
Era stato sempre Lensin a consigliarle di scappare nella città vicina, dove avrebbe trovato l’unico rifugio sicuro nel raggio di diverse miglia in una locanda gestita da un simpatizzante dei nuovi Protettori, sempre pronto a nascondere eventuali ricercati dall’impero.
L’inatteso scarto dell’animale la prese alla sprovvista e non riuscì a reprimere un gemito strozzato quando, a quel nuovo sobbalzo, la sommerse un’ondata di dolore e nausea, tanto intensa da annebbiarle la vista.
Tirò le redini all’improvviso, facendo impennare la sua cavalcatura con un acuto nitrito, per poi scivolare a terra con un braccio allacciato al suo collo, a contatto con la criniera, in modo da poter rimanere in piedi.
Una volta recuperato l’equilibrio, si diresse a passo barcollante verso l’albero più vicino, con il respiro affannoso ed il volto mortalmente pallido contratto per il dolore al fianco, dove la costola rotta pulsava senza tregua, con un’intensità insopportabile. Sorpresi dal suo brusco arresto, i suoi due compagni si fermarono a loro volta.
Fu la spadaccina a mostrare per prima la sua preoccupazione.
- Cosa ti succede, Rafi?
La ragazza bionda si accasciò a terra, con la schiena appoggiata alla ruvida corteccia e gli occhi chiusi.
- Voi andate avanti… io devo fermarmi un attimo.
- Non penserai davvero che potremmo lasciarti qui! - esclamò Sky, scendendo dal cavallo con un agile balzo ed avvicinandosi a lei - Fammi vedere.
Di malavoglia, Rafi lasciò che le scostasse la mano dal fianco, rivelando il livido nerastro provocato dall’ultimo calcio di Ghedan. Subito le dita della spadaccina scesero ad esaminarlo minuziosamente e, nonostante il tocco delicato, la ragazza più vecchia dovette mordersi le labbra per non urlare di dolore.
- Sembra che la costola sia rotta. - mormorò Sky, in tono di scusa.
Anche Kilik scese da cavallo, avvicinandosi alle due alleate. Gli bastò un’occhiata per confermare le parole dell’amica.
- Sei stata una stupida a non dircelo prima. - commentò seccamente, all’indirizzo di Rafi.
Stranamente lei non rispose, si limitò a lanciargli uno sguardo carico d’odio senza replicare, come se perfino parlare le costasse uno sforzo insostenibile.
Le iridi viola del mago si velarono di preoccupazione.
- Me ne occupo io. - disse rivolto a Sky, che annuì e, con le spade sguainate, si allontanò di qualche passo per fare la guardia nel caso qualche soldato di Ghedan li avesse seguiti.
Senza smettere di studiare la ferita della compagna, Kilik s’inginocchiò davanti a lei e fece un respiro profondo.
Con la fronte corrugata per lo sforzo, attinse alla riserva di energia che ancora gli rimaneva, pregando silenziosamente di poterne utilizzare una parte senza indebolirsi troppo, e subito le sue mani assunsero lo stesso bagliore azzurrino con cui la sera prima aveva guarito l’amica più giovane.
Non appena l’assassina si accorse delle sue intenzioni, il volto le si contrasse in un’espressione carica di disgusto.
- Non osare toccarmi con la tua magia. - sibilò, cercando di rialzarsi.
Quasi subito Kilik la afferrò per le spalle e la spinse nuovamente a sedere, con un movimento più brusco di quello che avrebbe effettuato se la sua mente non fosse ancora preda della rabbia e della disperazione per aver scoperto il cadavere del fratello.
- Credi davvero di essere nella posizione giusta per minacciarmi?
Rafi soffocò il dolore con una smorfia, senza abbassare lo sguardo.
- Attento Etereo, anche con una costola rotta sono pur sempre più forte di te.
- A me non sembra proprio. - la derise il mago, continuando a tenerla imprigionata contro il tronco dell’albero.
- Vogliamo provare? - sibilò lei, la mano già sull’impugnatura del coltello con cui aveva ucciso Ghedan.
Si sfidarono con lo sguardo per un paio di secondi, le verdi iridi di Rafi, offuscate dalla sofferenza eppure cariche di minaccia, specchiate nel viola cupo di Kilik, prima che la voce di Sky interrompesse quella lotta priva di parole.
- Smettetela! Se voi due faceste un po’ più di silenzio, forse potremmo riuscire a non farci scoprire dai soldati. - sbottò, con un tono stranamente duro per una ragazza sempre sorridente ed amichevole.
Un movimento captato con la coda dell’occhio le fece corrugare la fronte in un’espressione preoccupata.
- Vado a dare un’occhiata in giro, voi intanto cercate di comportarvi da adulti, e non come bambini capricciosi. - li redarguì con un ultimo sguardo minaccioso, prima di incamminarsi verso la direzione in cui le era parso di vedere qualcosa.
Pienamente consapevole della verità contenuta nelle parole dell’amica, Kilik respirò a fondo, nel tentativo di calmarsi.
Non era da lui infierire tanto su un nemico ferito, in particolar modo se donna, inoltre sapeva che, anche se l’odio nei suoi confronti non era del tutto scomparso dopo quella battaglia, Rafi era stata ferita per colpa sua.
Nuovamente fece per accostare le mani impregnate di magia al fianco della ragazza, ma lei lo allontanò con una smorfia di disgusto allo stato puro, come se il potere con cui l’Etereo avrebbe desiderato guarirla ai suoi occhi verdi apparisse simile al più subdolo e letale veleno di Sylune.
- Allora, ti decidi a farti curare o dobbiamo attendere di essere scoperti dai soldati di Ghedan? Oppure ti lasciamo qua, così non dovrò più sopportarti per tutto il tragitto. - sbottò Kilik, consapevole di aver oltrepassato il limite per un dialogo civile con l’assassina.
Per un attimo ebbe l’assoluta certezza che Rafi lo avrebbe aggredito con un pugno, invece, con sua sorpresa, la vide rilassare le mani ed appoggiare la testa al tronco che le sosteneva la schiena, chiudendo gli occhi in segno di resa, o, forse, semplicemente troppo esausta per rispondergli.
- Muoviti.
Mordendosi le labbra per reprimere una replica sferzante, l’Etereo le si avvicinò fino a sfiorare delicatamente il livido scuro all’altezza della costola fratturata ed aggrottò la fonte per lo sforzo di mantenere la concentrazione; sotto i suoi occhi sorpresi, l’assassina tremò non appena la magia cominciò a penetrare nel suo corpo, fluendo nel fianco ferito simile ad una brezza leggera, appena più calda e densa dell’aria che li circondava.
Un gemito sfuggì alle severe labbra della ragazza, quando tutta l’energia scomparve sotto la sua pelle, alla ricerca dell’osso da saldare, e Kilik si accorse che aveva nuovamente contratto i pugni ed il volto pallido, imperlato di sudore, appariva quasi sofferente, nonostante quell’incantesimo non provocasse alcun dolore ed anzi, una delle sue peculiarità fosse proprio quella di anestetizzare la parte ferita. Fece una smorfia sorpresa nel notare come lei si stesse mordendo un labbro per rimanere immobile, quasi quella magia di guarigione rappresentasse una tortura insopportabile.
Se non si fosse trattato di Rafi avrebbe potuto credere che avesse paura.
Perso in quei pensieri, gli venne meno la concentrazione ed il suo potere vacillò, fino a spegnersi del tutto. Indebolito per il suo continuo utilizzo, contrasse la mascella e nuovamente cercò nelle profondità di se stesso quella magia che era sorta in un impeto tanto violento nei sotterranei di Ghedan, ma ora pareva averlo abbandonato. Un tenue bagliore comparve sul suo palmo, ben diverso dall’ondata di energia allo stato puro a cui si era abbandonato quando i suoi occhi avevano riconosciuto il cadavere del fratello, e subito mille domande si affollarono tra i suoi pensieri, dubbi laceranti ed inaspettati, che lui represse con la forza della disperazione, per poter mantenere la mente concentrata sul suo compito di guaritore.
Conscio di non poter chiedere un altro sforzo al proprio fisico già esausto, avvicinò quell’ultima scarica di potere al fianco di Rafi e si preparò a guidarla come aveva fatto in precedenza fino alla costola ferita.
Una mano si strinse all’improvviso sul suo polso.
Sollevò lo sguardo, accorgendosi solo in quel momento che l’assassina aveva riaperto gli occhi.
- Basta così. - gli ordinò, con voce soffocata.
Il suo respiro affannoso ed il sudore gelido che le imperlava il volto dimostravano come l’autocontrollo che l’aveva mantenuta immobile fino a quel momento stesse per venirle meno: probabilmente non avrebbe retto ad un nuovo contatto con quella magia di cui sembrava avere tanta paura.
Kilik annuì e si ritrasse.
A prescindere dall’intervento della ragazza, era pienamente consapevole che se avesse continuato a richiamare il suo potere non avrebbe più avuto la forza di rimanere cosciente.
- Questo è il massimo che posso fare, almeno fino a domani. - le disse, con tono stanco.
Le aveva saldato l’osso in modo da attenuare il dolore, ma sapeva che la costola era ben lungi dall’essere guarita ed un qualsiasi colpo in quella zona del corpo, per quanto debole, l’avrebbe fratturata di nuovo.
Prima di alzarsi si prese qualche secondo per studiare la compagna, stranamente restio a riconoscere sulla sua pelle i segni di quell’ultima battaglia. I lividi sul suo volto, meno scuri di quello presente sul fianco ma ugualmente visibili, sembravano un marchio d’accusa di cui non riusciva a liberarsi, nonostante una parte di lui continuasse a ripetere nella sua mente che non avrebbe dovuto provare alcuna pietà per quella crudele nemica della sua stirpe.
Si rimise in piedi, tendendole poi la mano per aiutarla a fare lo stesso.
- Mi dispiace. - mormorò a mezza voce.
Lei strinse i denti e si alzò senza accettare il suo sostegno.
- Non ancora, Etereo, e non abbastanza.
Lo oltrepassò senza nemmeno ringraziarlo, lasciandolo a maledirsi per questo momento di debolezza, con cui per l’ennesima volta aveva provato ad avvicinarsi ad un’assassina priva di ogni emozione.
Sky riapparve pochi secondi dopo, riferendo di non aver percepito alcuna presenza nei dintorni, e subito montarono tutti in sella, pronti a riprendere la fuga che li avrebbe almeno momentaneamente portati al sicuro.
Non si fermarono nemmeno per mangiare e solo verso sera raggiunsero finalmente il loro obiettivo.
Rafi ormai si reggeva in sella grazie alla pura forza di volontà e più di una volta la sua coscienza era stata sul punto di scivolare nel familiare oblio contro cui aveva combattuto fin dall’inizio della fuga. Troppo concentrata nel mantenere l’equilibrio e non accasciarsi a terra, non si accorse nemmeno del villaggio spuntato all’orizzonte, ma davanti a lei Kilik e Sky si scambiarono un’occhiata di trionfo, quasi increduli di avercela fatta.
Ormai erano salvi.

Kysa stava attendendo la notte.
I minuti di quel giorno interminabile parevano durare un numero infinito di secondi, mentre continuava a tormentarsi il labbro inferiore con i denti, incapace di controllare la propria angoscia. Sapeva che quella mattina Sky e l’Etereo sconosciuto si sarebbero scontrati con uno degli Oscuri, era stata lei a riferirglielo, e l’impossibilità di conoscere l’esito di quella lotta disperata fino al tramonto la stava logorando con un’intensità insopportabile.
In preda ad una preoccupazione quasi dolorosa per i due ragazzi, non aveva toccato cibo, incapace anche solo di distogliere la mente da quella che avrebbe potuto essere la sua ultima speranza ed allo stesso tempo una nuova fonte di dolore; più di una volta i suoi occhi, invece di scorgere l’orizzonte attraverso la finestra aperta davanti alla quale era seduta, o le ricche decorazioni della propria prigione, si erano rivolti ad immagini di morte e sconfitta, in cui i due compagni venivano sopraffatti dal terribile potere dell’Oscuro e perivano in maniera orribile, per colpa sua.
Con tutti i sensi catalizzati sul pensiero dello scontro a cui lei non avrebbe potuto partecipare, non sentì i pesanti passi che si stavano avvicinando alla sua camera.
Il soldato entrò senza preavviso, facendola voltare di scatto verso la porta con espressione impaurita. I suoi occhi azzurri si dilatarono per lo stupore e poi per il sollievo, non appena riconobbe le fattezze muscolose e l’espressione un po’ burbera ma amichevole del gigante.
- Beck. - mormorò, rischiarandosi in volto.
A dispetto della sua mole, Kysa lo trovava di gran lunga meno minaccioso di Devil: pur non avendolo più visto dopo il loro primo incontro, non aveva mai dimenticato la gentilezza con cui l’aveva rassicurata durante quegli iniziali, terribili momenti di prigionia.
L’uomo richiuse la porta dietro di sé ed avanzò nel centro della stanza; nonostante i lineamenti distesi, nel suo comportamento si poteva percepire una lieve differenza rispetto alla sua visita precedente, quasi si stesse costringendo a rimanere impassibile per nascondere l’eccitazione od il nervosismo che lo pervadeva.
- Come ti senti? - chiese, scrutando con una smorfia il volto pallido della ragazza che aveva di fronte, in cui riconobbe le occhiaie tipiche di chi non dorme un sonno tranquillo da molti giorni.
Nonostante non avesse distolto gli occhi da lei, il suo corpo era contratto, pronto all’azione, le orecchie tese a captare qualunque suono al di là delle spesse pareti di quella stanza e la mano, con un gesto apparentemente casuale, si era già poggiata sull’impugnatura della sua arma preferita.
- Bene. - rispose Kysa, in parte sorpresa dal tono duro ed impersonale che le era stato rivolto.
Uno spiacevole presentimento di paura l’attraversò con un brivido quando si accorse della gigantesca spada che il soldato portava con naturalezza legata al fianco. Provò a sollevare la testa fino ad incrociare i suoi occhi, nella speranza di trovarvi qualcosa che la rassicurasse, la luce umana ed amichevole che ben ricordava, ma le iridi castane del soldato erano due fessure impassibili, quasi fossero state scolpite nel legno.
- Come mai sei qui? - chiese con la gola serrata dalla paura.
Invece di risponderle direttamente, Beck contrasse le dita sull’impugnatura dell’arma.
- Cosa saresti pronta a rischiare per tornare libera?
Kysa impallidì all’improvviso per quella domanda inaspettata, rimanendo sospesa in bilico tra una speranza forse troppo fragile per farci affidamento e la rassegnazione che ormai da qualche giorno pareva aver preso possesso del suo cuore.
- Qualunque cosa.
- Anche la vita?
Annuì, incapace di parlare per paura che la voce la tradisse, rivelando il folle terrore che la proposta dell’uomo rappresentasse solo l’ennesimo trabocchetto del nemico, invece di una reale possibilità di salvezza.
A quel gesto, tutta la calma che Beck stava ostentando venne cancellata dall’espressione pratica e concentrata di un soldato alle prese con la più importante delle missioni.
- Allora sbrigati, non abbiamo molto tempo. Devil e Daygon sono assenti e questa è l’unica occasione in cui puoi avere qualche possibilità di fuggire.
La ragazza non si mosse.
- Perché lo fai? - gli chiese, ancora restia a fidarsi di chi serviva il nemico.
Il guerriero si lasciò sfuggire un sospiro.
- Quando ero ancora un uomo libero venne da me un gruppo di Protettori per chiedermi di unirmi a loro. Ho rifiutato, sapevo che diventando un ribelle avrei messo in pericolo non solo la mia vita, ma anche l’intera città in cui vivevo. - mormorò, con una smorfia, quindi l’amarezza con cui aveva riassunto il proprio passato si dissolse nell’increspatura di quel primo vero sorriso - Forse è giunto il momento che io prenda un’altra decisione.
- Allora, sei pronta?- chiese dopo qualche attimo di silenzio.
La ragazza deglutì, poi gli fece un cenno affermativo.
Subito il soldato le porse un piccolo fodero in pelle con dentro un pugnale, che fino ad allora aveva tenuto celato dietro la spada.
- Con questo forse ti sentirai più sicura, anche se spero che tu non debba usarlo.
- Lo spero anch’io. - rispose lei con voce tremante, afferrandolo non senza un’ultima esitazione.
Se lo infilò nella fascia che le sosteneva i calzoni, coprendolo poi con la tunica in modo da nasconderlo alla vista, mentre già Beck si avviava verso la porta. Lo seguì a passi esitanti fuori dalla propria prigione ed a malapena soffocò un’esclamazione di sorpresa non appena si rese conto di quello che era successo: le guardie adibite alla sua sorveglianza giacevano scompostamente a terra, svenute o forse morte.
Kysa le scavalcò senza guardarle, intuendo subito l’identità del loro aggressore.
- Come facevi a sapere che avrei accettato?
Un sorriso comparve per un attimo nel volto abbronzato del gigante.
- Sesto senso.
Come per un silenzioso accordo si fermarono davanti alla porta che dava sul corridoio principale, l’ultima barriera prima di raggiungere la parte più ampia e caotica del castello. Sapevano entrambi che, una volta compiuto quell’unico passo attraverso di essa, non sarebbero stati più in grado di tornare indietro.
Beck accarezzò distrattamente l’impugnatura della sua spada, senza però estrarla dal fodero.
- Se quando usciremo di qui incontreremo qualche problema, tu dovrai solo pensare a correre senza voltarti. - un sorriso minaccioso comparve sul suo volto - Ai soldati ci penso io.
La ragazza lanciò uno sguardo all’espressione determinata del guerriero ed all’improvviso comprese che quel gigante dall’aria minacciosa sarebbe stato davvero pronto a lottare per salvarle la vita e farla fuggire.
- Beck, grazie. - sussurrò appoggiandogli una mano al braccio muscoloso.
- Non ringraziarmi, lo faccio per me. - replicò lui, mentre un’ombra scura calava sul suo volto.
   
 
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