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Autore: Vincent_Van_Goat    27/06/2011    1 recensioni
Seghe mentali vecchie di qualche lustro...
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Meditazioni '
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HAPPINESS HIT HER...


Cos'è la felicità? Non è forse il nome che diamo a quei brevi momenti nei quali il dolore e il peso della vita che gravano sulle nostre spalle diventano più facilmente sopportabili?
Resi quasi incoscienti dall'ebbrezza di questa, per così dire,libertà improvvisa non ci rendiamo conto di quello che ci capita attorno, che siano cose belle o troppo spesso brutte.
Il tempo scorre normale, mentre nella nostra anima, resa temeraria da questo sentimento bello come il primo fiore di primavera sbocciato nell'ultima neve d'inverno, tutto è fermo, pietrificato dalla gioia.
Forse è proprio questo, la felicità: l'inizio di una nuova era dalle ceneri di quella passata. Il sacrificio di un ricordo per la nascita di un altro più bello.
Eppure non esisteranno mai un immagine o un ricordo capaci di sostituire completamente quelli passati.
Così quei piccoli vuoti cominceranno a riempirsi di fiele, acido come un limone acerbo, e infetteranno anche tutto il resto, riportandoci alla realtà e al tempo, facendoci riscoprire, invecchiati anche solo di pochi giorni, ma con un nuovo peso nell'anima, un altra valigia senza manici piena di mattoni.
E così, costretti dalla coscienza, dovremo portarcela appresso per l'eternità, insieme ad altre mille, simboli di piccoli e grandi dolori . Ma è forse questo il destino che c'è stato donato dal fato? Il vagabondare infinito tra altri esseri della nostra specie, sentendoci incompresi e soli, sperduti nella tempesta della vita.
E cosa potrebbe far tornare il sole se non la morte, promessa di un mondo migliore? Avvolgersi nel freddo abbraccio di una cosa che, in realtà, non ha temperatura e, soprattutto, non ha tempo. Perché, al contrario della felicità, la morte non è solo l'apparenza di un eternità tanto ambita. La morte è l'eternità.
Il perfetto equilibrio tra gioie e dolori che in realtà non esiste e che mai esisterà. L'essenza della vita che viene a noi solo con l'avvenire della morte.
Alcuni pensano che valgano più cento anni da pecora, con tutte le cause correlate, che un giorno da leone.
Tuttavia mi chiedo, quando il leone libera la sua furia, il suo splendore nascosto a cui tutti lo associano? Davanti al pericolo, davanti alla morte.
Perché, anche se desiderosi di finirla, nessuno di noi possiede il vero coraggio: non quello che ci fa lottare, ma quello che ci permette di morire senza resistere. Quello che lava via ogni macchia dal nostro animo. Quel tipo di coraggio in pochi lo possiedono, ma solo perché hanno penato per trovarlo e sono impazziti per ottenerlo.
E infine lo hanno usato, per porre fine alla loro pazzia.
Fregandosene di tutto ciò che erano e di tutto ciò che sarebbero stati.
Egoisti come solo loro potevano essere.
Ma non bisogna condannare le scelte altrui. Perché nessuno è più meritevole di essere incolpato di noi medesimi.
Nessuno è più meritevole di morire.
E allora che venga questa benedetta morte. Io sarò qui ad accoglierla a braccia aperte.
Io, vittima sacrificale di un dio troppo bello per mostrarsi a me, felice di offrirmi all'eterna gioia, all'eterno buio, all'eterna luce. Sicura che mai nessuno mi strapperà più da questo magico gioco, le cui pedine sono spostate a caso dal destino che, immerso nella sua densa nebbia di ricordi, muove noi: le sue creature, i suoi figli, la sua essenza, il suo nutrimento.
Perché altro non siamo che il cibo del destino, il condimento del tempo. Ciò per cui siamo stati fatti è scrivere la storia.
Ma non si può far scrivere un analfabeta.
Per questo rimango: per aspettare.
Aspettare canticchiando la mia canzone e mettendo assieme i miei ricordi, nell'attesa di colui che ci insegnerà a scrivere.

 

   
 
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