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Autore: LoveShanimal    27/06/2011    17 recensioni
Veronica ha 21 anni, abita a Roma, ed è una Echelon. Quando aveva 10 anni, mentre stava in auto con i genitori, un camion perse il controllo e travolse la macchina: lei si salvò grazie alla madre, che prima dell'impatto l'aveva lanciata fuori dalla macchina in corsa. In quel momento sprofondò nella solitudine: perse tutti gli amici e iniziò ad eregere intorno a sè un muro di cemento. La sua vita migliorò sei anni dopo, quando, girando per una libreria, trovò...
Ho detto tutto praticamente ! xD Lascio a voi il seguito! :)
Ps. Siate clementi, è la mia prima storia! ^^''
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Shannon Leto
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera!  *Accoglie con affetto i fischi e i buuuuuuuu della folla* Faccio schifo. Sono un mostro. Sono.. sono.. un mostro. Sono 17 giorni che non pubblico. Mi dispiace T______T Motivi?? Diciamo che sono vari. Piscina, mancanza di voglia, impossibilità dettata da presenza di altri, assenza di silenzio.. la lista è lunga. Ma diciamo che la vera e grande ragione è che siamo arrivati alla fine. Si, questo è l'ultimo capitolo. E capirete che non potevo arrangiarlo. E.. sono felice e triste per questa fine. Triste.. non sto qui a spiegarlo. Felice perchè 
è la prima volta che porto a termine una cosa che IO ho voluto iniziare. Quindi.. sono orgogliosa di tutto questo. Portero' questa storia sempre nel cuore, la rileggero' e sara' sempre la mia prima storia, la storia di Veronica e Shannon. La storia che mi ha fatto conoscere persone meravigliose e che mi ha portato tanta soddisfazione. 
Adesso, voglio fare ringraziamenti decenti. 
Grazie a _EmTale_, una ragazza che non solo mi ha regalato recensioni fantastiche, ma che e' diventata una persona fondamentale nella mia vita, che mi riempe le giornate. 
Grazie a RosaBuo, che mi accompagna dal primo capitolo, e senza le cui recensioni, davvero, non avrei mai continuato. Mi hai dato la forza, sin dal principio, di credere in me stessa e nelle mie capacita'.
Grazie a JessRomance, che non solo mi regala recensioni super divertenti e finali tragici-comici di Jared, ma con cui ho condiviso conversazioni epiche su facebook e msn. 
Grazie a __Giuli, BasketCase, LOVEISNOTACOMPETITIONGiuli, Fucking_Punk_Angel e Fantasmina97,
 Topsy_Kretts che anche se
 non mi seguono dal principio, mi hanno regalato delle recensioni talmente dolci e stupende che mi tiravano su il morale anche nelle giornate peggiori. 
Grazie a JennySLouder e RoadRunner, che anche se hanno recensito solo gli ultimi capitolo mi hanno riempito il cuore di una gioia immensa.
Grazie a Doherty21, ValeEchelon, I_Want_Wonderland, Per_Aspera_Et_Astra e Gli anelli di Saturno per le loro recensioni, se pur occasionali, stupende.
Spero di non aver sbagliato nessun nome, spero di non aver mancato nessuno. Sono stanca e tremo, questo capitolo e' lungo e mi emoziona. Scusate anche per gli accenti strani ( ad esempio a') ma mi si e' invertito l'ordine dei simboli e non li trovo piu'. E scusate per qualche eventuale errore nel capitolo. 
Ho dimenticato di ringraziare tutti quelli che sono passati in silenzio, e soprattutto il mio professore di italiano. Senza di lui, non avrei mai avuto il coraggio di mettermi in gioco. Grazie, a tutti, di cuore.
ps. Ultima cosa: nel precedente ho scritto quella cosa del tocco del bambino ecc ecc Beh, non sono idiota, so che a due mesi non si sente nulla! Pero' avevo immaginato cosi la scena e cosi la volevo fare, perche' ho avuto anche problemi con il tempo della FF (es. Sballato di mesi) e quindi mi sono tanto scemunita da lasciarlo cosi'. Prendetela piu come una cosa dell'inconscio che una reale. Cioe' quello e' una cosa simbolica per farle capire che il bimbo e' gia' vivo, anche solo a due mesi (??)

Adesso, buona lettura di quest'ultimo capitolo. Vi Amo tutti <3 

Questa è l’unica nota, ve la metto qui:
*Angels and Airwaves. The adventure. Ho messo direttamente la traduzione in italiano.


Capitolo 18: Fine?

 
 
Eccomi qui. La mia storia in queste pagine. Non lo voglio considerare un diario, neppure una biografia. È un regalo. Si, un regalo per Shannon, un regalo per il nostro bambino. Mi è venuto in mente qualche giorno fa. Mancano pochi giorni al parto, e mio marito ha anticipato gli impegni con la band per starmi vicino. Sono tre giorni che è via, e io ho pensato di non sprecare questo tempo.
Ho paura. Questo parto cambierà ogni cosa. Potrò morire. C’è questa possibilità, l’ha detto il medico. E se pure non morirò, non so quanto tempo rimarrò in vita. A Shannon non ho detto niente, ma ha intuito qualcosa. Le nostre anime sono intrecciate, percepiamo ogni singolo stato d’animo dell’altro. E lui è triste, è preoccupato. Quindi ho preso questo quaderno, su cui ho incollato, in copertina, una foto mia e sua, e ho iniziato a scrivere. La nostra storia, il nostro amore. In modo che, dopo la mia morte, lui avrà sempre un ricordo di me, e potrà anche raccontarlo al nostro bimbo.
Però non rimpiango la mia scelta. Voglio vivere, si, ma non avrei mai potuto farlo pensando di aver ucciso una creatura, soprattutto se quella creatura è il frutto del nostro amore, della nostra passione.
Da quel giorno in cui presi la decisione di tenerlo, quel giorno che cambiò il nostro destino, sono passati otto mesi. Non riesco a rendermene conto davvero, ma sono successe tantissime cose. Andiamo per ordine, però.
 
“VERONICAAAAA” urlò Shannon, dal piano di sotto.
“Arrivoo!” gli risposi, infilando la camicetta azzurra che mi aveva regalato Jared il giorno prima. Tieni – aveva detto – è dello stesso colore dei miei occhi e so che tu li ami!
In realtà tutti mi compravano qualcosa, e poco a poco mi rifecero il guardaroba, dato che la mia pancia cresceva e non mi volevano far sentire a disagio. Ero al quinto mese di gravidanza, era metà dicembre e nell’aria aleggiava l’aria natalizia.
Scesi correndo le scale, e mi ritrovai davanti Shannon che mi guardava con le orbite da fuori.
“Ma sei pazza a correre per le scale in quel modo!” mi ammonì. Poi si abbassò all’altezza della pancia, la cinse con due mani, e disse dolcemente: “Ma la vedi tua mamma che sconsiderata che è?”
Tenendola ancora con delicatezza, si alzò e mi baciò.
“Sei tu che ti sei messo ad urlare, comunque.” Dissi, fingendo superiorità.
“Ti sei dimenticata che abbiamo un appuntamento dal medico? E che fuori c’è mio fratello che ci deve accompagnare?” sbuffai, lui rise e uscimmo mano nella mano. Era diventato apprensivo a livelli estremi, ma non mi disturbava affatto. Mi riempiva di mille piccole attenzioni. 
Mi ritrovai davanti un Suv Ferrari rosso acceso. Quella macchina non passava di certo inosservata. Puzzava di celebrità da un kilometro di distanza, e in più aveva i vetri oscurati. Arricciai il naso. Odiavo quella macchina. Jared fece segno di sbrigarci, e io e Shannon entrammo velocemente. Mandai un bacetto a Emma che stava davanti, e poggiai la testa sulla spalla del mio batterista.
“Ah finalmente! Pensavo che ci faceste marcire nella macchina!” premette sull’acceleratore e partì.
Odiavo stare in macchina con Jared al volante. Correva come un pazzo e sembrava essere il padrone della strada. Ogni volta mi aggrappavo con forza al braccio di Shannon, mentre vedevo fuori dal finestrino il panorama confondersi in macchie poco nitide e miscele di colori. Lui ridacchiava, e mi accarezzava piano le dita delle mani, fino a quando non arrivava al mio anulare sinistro e iniziava a giocare con l’anello.
Quel giorno lo sentii irrigidirsi, e lo guardai preoccupata.
“Quando ci sposiamo?” disse, all’improvviso. Jared sussultò, e sbandò leggermente. Shannon gli lanciò un’occhiata contrariata, e poi si girò nuovamente verso di me.
“Voglio sposarmi prima del parto.” Dissi, inaspettatamente. Lui sorrise: era quello che voleva sentirsi dire. “Ne parliamo dopo.” Mi sussurrò all’orecchio, nel momento in cui il fratello iniziò a rallentare.
“Buongiorno signori.” Ormai il medico ci conosceva e ci accoglieva sempre calorosamente. Io tremavo un po’ per l’emozione: anche se non era la prima volta, vedere l’ecografia del bimbo mi toccava sempre. Avevo visto persino Shannon con gli occhi lucidi.
Mi distesi sul lettino, e il mio fidanzato mi si sedette accanto. Mi alzai la camicia, e come al solito l’infermiera distese quel gel fresco sulla mia pancia. Mentre Shannon mi afferrava la mano, lei iniziò a far scivolare la sonda sul gel. Le immagini del bambino in posizione fetale iniziarono a susseguirsi sullo schermo. Sorrisi, di quello stesso sorriso che trovai anche sulle labbra di Shannon.
“Se volete, possiamo già dirvi il sesso del neonato.” Disse, neutra, la ragazza.
“No!” rispondemmo in coro io e lui. “Preferiamo saperlo alla nascita.” Continuai. Solo quattro mesi e quel bambino che vedevo nello schermo sarebbe stato tra le mie braccia.
 
 
“Allora? Come lo chiamiamo?” dissi, mentre scambiavo con Shannon quel calzino rosa con il celeste. Dopo la nostra visita dal medico, eravamo entrati in un negozio per neonati e avevamo comprato un po’ di giocattoli e un completo per maschietto e uno per femminuccia. C’eravamo tanto divertiti a comprare quelle cose in miniatura, e adesso che non sapevamo dove metterli ci giocavamo sul nostro letto. Avevamo le gambe intrecciate sotto il piumone e tutt’intorno le carte che avevamo tolto dai nostri acquisti.
“Ma non sappiamo neppure ancora il sesso!” protestò ridendo lui.
“Ma possiamo scegliere le due possibilità! Dai tu decidi il nome se è.. femmina e io se è maschio!” dissi, raggiante.
“Va bene! Voglio darle un nome italiano!”
“Sceglilo!”
“Mmm.. Francesca.. no no non mi piace.. Alessia.. no.. Martina? Si, che ne dici di Martina?” sembravamo due bambini.
“Ti piace?” dissi, io.
“Si, ma a te piac..”
“Shhh! Piace a te? Bene, se sarà femmina la chiameremo Martina!” mi baciò.
“Ok, ora tocca a te. Che nome gli daremo se è maschio?” iniziò a muovere il piede sulla mia gamba, fino a farmi il solletico.
“Mmm.. se è maschio.. se è maschio.. – guardai fuori dal balcone, e ebbi un colpo di genio - ..se è maschio voglio chiamarlo Sun!” dissi, entusiasta.
“Sun?” disse lui, curioso.
“Si Sun. Sole. Lui è frutto del nostro amore no? E il nostro amore è stato un raggio di sole nel cielo grigio che era la mia vita. Quindi si, Sun è perfetto.”
Mi baciò i capelli, e mi sussurrò all’orecchio ti amo con quanta più dolcezza poteva.
 
“NON PUOI FARMI QUESTO!” sentii urlare Jared dall’altra stanza. Io, Emma e Vicky stavamo in cucina a preparare due pop corn, ma lasciammo tutto e ci affrettammo ad andare nel salotto. Jared era in piedi vicino al tavolino puntando un dito contro il fratello, lui era immobile a fissarlo e Tomo stava in poltrona con le mani che gli sorreggevano la testa.
“Che succede qui?” chiesi, preoccupata.
“Niente, lascia stare..” mi rispose Leto senior, facendo un gesto con la mano.
“NIENTE? Hai pure il coraggio di dire niente? – Jared si rivolse a me – ..il tuo fidanzato non vuole più suonare! Si è fatto un’altra famiglia e adesso non si ricorda che ne aveva anche un’altra!”
“Ma che cavolo stai dicendo? Tu fare cosa?”
“Finiremo questo tour e poi non suonerò più. Mi devo dedicare a te, a voi. Possono sempre trovarsi un altro batterista.” Si vedeva che stava male. Soffriva per quell’insensata decisione.
Prima che potesse parlare il fratello, risposi io. “Altro batterista? I 30 seconds to mars siete voi. Voi tre e basta. E tu non puoi abbandonare la tua vita. No. Tu non farai questo per me.” Prima che potesse controbattere, salii al piano di sopra.
 
“Perché stiamo immobili davanti al ripostiglio?” Shannon mi aveva costretto a passare la notte da Emma, mentre lui e Jared avevano da fare. Non avevamo più toccato l’argomento musica, perché sapevamo che entrambi eravamo fermi sulle nostre decisioni. In quel momento, però, l’unica cosa a cui riuscivo a pensare era che mi avevano voluto tenere lontano da casa, era ovvio. Dopo la nottata con lei, avevano organizzato un pranzo tutti insieme da Tomo e Vicky e poi un po’ di shopping. Avevo cercato con tutte le mie forze di oppormi, ma alle parole “culla” “passeggino” “giocattoli per il bambino” mi ero fatta fregare. Non era giusto però, giocavano sporco.
Alla fine mi arresi pensando “Se fanno così, vuol dire che vogliono farmi una sorpresa. Accontentiamoli!” così riuscii a godermi il giro di spese e a comprare tantissime cose per il bebè. Riuscii a prendere tutte cose che andavano bene sia per maschio sia per femmina, e Jared si ritrovò la macchina piena di buste enormi. Non mi guardò storto, ma anzi mi arruffò i capelli con uno sguardo come quello che si rivolge ad una bambina felice.
Shannon mi aveva lasciato fare, e come ogni volta che compravo una cosa, fosse anche una semplice spilla, pagò lui.
Non ebbi il minimo ripensamento per tutta la roba che avevo comprato, fino a quando non arrivammo in casa. Dove cavolo l’avremmo messa?!
Non volevo rivoluzionare la casa di Shannon, costringendolo ad eliminare una stanza o a spostare le cose dal modo in cui aveva deciso lui.
Rimasi a bocca aperta, appoggiata allo sportello della macchina, mentre lo vedevo mettersi d’accordo con il fratello. In quel momento mi resi conto che lo stavo cambiando, che lo costringevo ad essere qualcun altro. E se avesse voluto fare per sempre il sexy batterista che cambiava donna quando voleva? Se la vita matrimoniale non fosse stato quello che lui voleva, quello di cui lui aveva bisogno? Se per lui un bambino era solo un peso, ora come ora? E poi, si era messo in testa di rinunciare alla musica. La musica, la sua vita.
Mi scosse, e mi trascinò dentro casa, fino a portarmi davanti quella porta.
“Questo ERA un ripostiglio!” spalancò la porta, e davanti mi trovai una camera completamente imbiancata. Era spaziosa, e l’avevano completamente svuotata da tutte quelle cose che c’erano prima. “Questo è la camera per il nostro bambino!” si aspettava forse che iniziassi a saltellare dalla gioia, ma rimasi ferma al mio posto, neutra. Le stesse paure di prima tornarono ad addensarsi sulla mia testa: quello era il luogo dove Shannon aveva tutte le sue vecchie cose, di quando era bambino. Era una stanza piena di ricordi, una stanza piena di cose che avevano un enorme valore per lui.
Mi morsi il labbro, e parlai con voce bassa. “Dov’è tutta la tua roba?”
“E’ in cantina. Era roba vecchia che non toccavo da un sacco di tempo. E poi questa è la camera più vicina alla nostra stanza, era destino che fosse per il bambino!”
Gli occhi iniziarono a pizzicarmi, e mi morsi il labbro fino a farmi male.
“Non ti piace?” mi disse, guardandomi alquanto deluso.
“Shannon tu lo vuoi?” dissi, senza cambiare la mia espressione.
“Certo che voglio che questa camera sia del bambino! Altrimenti non l’avrei fatta!”
“No. Shannon tu vuoi il bambino? Vuoi il matrimonio? Vuoi questa vita? Secondo me no. Ho sempre pensato a quello che volevo io, ma tu fai parte della coppia quanto me. Non voglio rovinarti la vita, è l’ultima cosa che farei. Posso crescermelo da solo il bambino. Ti amo, e non voglio costringerti a nulla. Lo capirei, ti continuerei ad amare lo stesso. Però non farlo solo per me, ti prego. Non dovrai rimpiangere mai nulla.” non ero mai stata più seria di così.
“No no no no. I will never regret!” fece una risatina, ma capì che la tensione non si era allentata. “Avevo deciso di sposarti già prima di sapere che sarei diventato padre. Si, voglio questa vita. E si, voglio anche questo bambino. Ho.. fatto i salti di gioia quando il medico me l’ha detto. Poi è arrivata.. l’altra notizia.. e si è oscurata la prima, diciamo.. ma il bambino lo volevo.. il fatto è che non posso vivere, non posso respirare, a meno che tu non lo fai con me.* E.. solo il pensiero che tu potessi.. morire.. non.. non puoi lasciarmi, lo sai? Non ce la farò.”
“Non parlo di questo Shannon. Parlo dei sacrifici che tu stai facendo per avere questo bambino. Mi fa male dirlo, ma a questo punto preferisco crescerlo da sola. Non voglio rovinarti la vita.. me ne andrò, piuttosto che vederti rinunciare alla musica.”
“Invece parliamo di entrambe. Se io.. adesso continuassi con la musica.. al momento della tua morte rimpiangerò di non aver speso quel tempo con te.”
“Ma se smetti con la musica, dopo cosa ti rimarrà? Tu non sprecherai quel tempo, perché io ti starò comunque vicino. Ai concerti mi metterò dietro di te, e ti seguirò anche quando proverai o inciderai. Però devi continuare. Promettimelo. Promettimi che non abbandonerai la musica, e continuerai a suonare dopo la mia morte.” Dissi, prendendo il suo volto tra le mani e puntando i miei occhi nei suoi.
“Non posso..” lui cercava di liberarsi dalla mia presa, e il suo sguardo vacillava a destra e a sinistra senza guardare veramente qualcosa.
“Si che puoi. Anzi, devi. Lo devi fare perché quando io morirò.. – a questa frase tremò – ..continuerò a vivere nella tua musica. Vivrò nel suono delle tue bacchette che suonano sulla tua batteria. Perciò devi continuare a farle battere, quelle bacchette, fino a quando non mi raggiungerai e potremo vivere insieme per sempre.” Gli accarezzai una guancia, rabbrividendo al contatto con la sua barbetta.
“E da quando è che sei credente?” disse lui, sarcastico.
“Non sono credente. Il fatto è.. che non riesco a pensare che una cosa grande come il nostro amore possa consumarsi e finire nel breve tempo che una vita terrestre ci ha donato. Quindi, sono sicura che c’è un.. luogo.. un posto dove le nostre anime si rincontreranno, un giorno. Chissà, magari su Marte. – sorridemmo insieme - ..si, ti prometto che ci rincontreremo, il più tardi possibile spero. Ma tu dovrai continuare a suonare, e dovrai essere forte.. va bene?” inclinai un po’ la testa, così da far incrociare nuovamente i nostri sguardi.
“Te lo prometto.” Prese le mie mani, e le racchiuse tra le sue.
 
Dopo essermi convinta che Shannon voleva tutto quello, entrai e iniziai a saltare dalla felicità per quella camera. Era molto spaziosa, e al lato trovai un tavolino con secchi e pennelli.
“E questo?” dissi, prendendo il pennello più piccolo e facendolo passare tra le dita.
“Non vorrai mica  lasciare una camera per il bambino così.. bianca? Così neutra, così muta?” mi chiese, cercando qualcosa nel cassetto della scrivania.
“No.. ma quindi? Sta arrivando qualcuno a dipingerla?”
“No.. – mi lanciò qualcosa di bianco in mano, che afferrai al volo – ..sarai tu a dipingerla. E io ti aiuterò.” Si infilò quella specie di impermeabile bianco e si avvicinò per farsi alzare la cerniera. Io prima lo guardavo come se fosse impazzito, poi lo aiutai e mi vestii a mia volta. Mi legai i capelli, e iniziai a scoperchiare i secchi. L’odore di vernice iniziò a pizzicarmi le narici.
C’erano tantissimi colori, tutti allegri e accesi. Presi un pennello, e lo inzuppai nel barattolo con la vernice rossa.
“Devo fare qualcosa in particolare?” dissi, concentrata.
“No, fai qualunque cosa vuoi fare.”
“Mmm..” appoggiai il pennello alla parete e iniziai a disegnare una forma che piano piano si faceva spazio nel mio cervello.
 
“Tadà!” urlai, prima di aprire la porta e di mostrare a tutti gli altri il mio lavoro. Dopo qualche ora, anche Shannon si era stancato di rimanere nella stanza a fare il palo, e adesso aspettava ansioso di vedere il mio lavoro finito.
Entrarono tutti, lui per primo, con il naso all’insù e la bocca aperta.
“Ma.. è meraviglioso!” disse Emma, alla mia destra.
Avevo ricreato un’atmosfera spaziale su tutti i muri. Su uno c’era il sistema solare e lo spazio, su altre due c’era Marte fatta un po’ come un cartone, con piccoli mostriciattoli colorati, e sull’ultima, proprio di fronte all’entrata, un ritratto di Shannon, Tomo e Jared che suonano su un palco.
“Tu sei una genia.” Sentii dire da Jared, per la prima volta.
Tomo mi abbracciò, e Shannon mi venne semplicemente vicino orgoglioso.
“Il bambino amerà questa camera, di sicuro.” Mi sussurrò all’orecchio.
 
Eravamo ormai a metà gennaio. Anche Natale era passato, io avevo regalato a Shannon un anello, che avevo attaccato ad una catenina per farglielo portare al collo, in cui avevo inciso One day we’ll meet again. Lui mi aveva sorriso commosso vedendolo, e mi aveva dato il suo regalo. Quattro biglietti andata e ritorno per metà febbraio. Direzione: Oahu e Sardegna.
“Torniamo in Italia?” dissi, gioiosa.
“Non solo. Questa è la seconda tappa della nostra luna di miele. Adesso abbiamo qualche concerto da fare, ma poi abbiamo due settimane di stacco il mese prossimo. Partiamo il tredici febbraio e andiamo nella prima tappa, alle Hawaii, e poi dopo una settimana e mezza facciamo le valigie e dal ventiquattro al ventisei andiamo in Italia, al nostro albergo. Ho già prenotato le camere. Quindi, ci sposiamo il dodici.” Mi rispose Shannon, saltellando sul divano.
“Ma.. manca un mese. Come organizziamo tutto? Dove ci sposiamo? Come? I vestiti? La cer..” mi bloccò prima che potessi uscire di testa.
“Lo so, ma non possiamo fare oltre. Dobbiamo sposarci prima del tuo parto, cioè prima della metà di aprile, se non prima. Quindi dobbiamo per forza approfittare di questo spazio a febbraio. Ti aiuteranno Vicky e Emma, comunque. E poi sei bravissima, ce la farai.”
“Ci sposiamo nella chiesa nel quartiere dove sei nato tu. Facciamo una cosa piccola, noi e qualche tuo parente. Il pranzo lo possiamo fare nel tuo giardino, verrebbe una cosa carina. Potremmo anche fare lì la celebrazione. Però dovremmo chiamare un prete, e in un mese la cresima tutti e due non la riusciamo a fare. La dobbiamo fare in comune? Però..”
“Calma! – disse lui, mentre riprendevo fiato. – possiamo chiamare il Sindaco in modo da farlo in giardino. La lista degli invitati non è difficile da stilare, è il pranzo lo facciamo preparare da mia madre che è un’ottima cuoca e se ne può occupare. Il vestito lo comprerai un giorno tu con Emma e Vicky. Ce la possiamo fare, se collaboriamo!” annuii, e poi facendo gli occhi dolci gli chiesi: “Posso solo chiederti una piccola cosa?”
“Dimmi!” esclamò lui curioso.
“All’altare.. mi può accompagnare Tomo?” lui rise e acconsentì.
 
I preparativi iniziarono da subito. Avevamo giusto qualche giorno per organizzare tutto prima di ripartire con il tour. Una data lì in città, e poi via a Londra.
La mattina mi occupavo delle cose burocratiche mentre Shannon provava con il gruppo cercando di prepararsi al meglio per l’imminente concerto. La sera la passavo con lui, e il primo pomeriggio era totalmente dedicato al giro per i negozi. Non trovammo subito l’organizzatore matrimoniale perfetto per noi, fino a quando non ci imbattemmo in una ragazza abbastanza esperta che accettò la nostra, più che proposta, sfida. In due giorni ci portò il programma della giornata, con l’idea per addobbare il giardino e il menu per il pranzo. Era perfetto.
Trovammo anche le bomboniere: delle note musicali intrecciate di Swarovski. Me ne ero innamorata appena entrata nel negozio.
La cosa più difficile fu trovare il vestito. Emma e Vicky, che mi facevano da damigelle, scelsero immediatamente i loro, di un celeste chiaro. Invece io girai decine e decine di negozi senza trovare nulla. Man mano che uscivo da uno dei negozi senza aver fatto spese, il mio umore peggiorava. Il giorno successivo ci sarebbe stato il concerto, e non avrei voluto comprare un vestito così, solo perché non c’era più tempo.
Mi demoralizzai, e iniziai a camminare come un fantasma con le mie due compagne che cercavano di consolarmi. Poi, quando ormai credevo di non trovarlo più, mi si presentò davanti, esposto in vetrina, in bella mostra, che sembrava urlare “COMPRAMI”. Mi fiondai dentro, lasciando loro due spaesate, e come un uragano dissi alla commessa di farmelo provare. Quello era il mio vestito, l’unico che mai avrei potuto indossare al mio matrimonio.
 
“ARE YOU READY?!” urlò Jared, saltando come un pazzo da una parte all’altra del palco. Erano passati anche quei giorni, ed eccoli a riprendere il loro tour, con la stessa forza e grinta di sempre.
Stare tra il pubblico era una sensazione stupenda, ma mai come quella di stare davanti quella folla impazzita. Sembrava risucchiarti, sembrava nello stesso tempo accoglierti e schiacciarti, sommergerti e tenerti in piedi. Faceva quasi paura.
Ero nascosta dietro la batteria di Shannon, in modo da fargli compagnia, da godermi lo spettacolo, ma da non attirare l’attenzione. Credo che se anche fossi stata più appariscente, nessuno mi avrebbe minimamente calcolato in presenza di quei tre.
Lui mi mandava continue occhiate, e rideva vedendomi a bocca aperta sentir tremare il palco sotto di me. Ero emozionata, anche se praticamente non facevo nulla.
Come ogni volta, lo spettacolo iniziò ad andare verso la fine, e nell’aria era palpabile la voglia che quel momento fosse per sempre. Fu proprio allora che accadde una cosa che non mi sarei mai potuta immaginare: Jared, dopo Hurricane, si fermò e disse “Vi sta piacendo il concerto? – al boato del pubblico, rise e continuò -.. bene! Però questa è una serata un po’ speciale. Mio fratello ha qualcosa da dirvi!” io guardai incerta la figura di Shannon che si alzava e si incamminava verso il microfono, poi feci spallucce.
“Buonasera Echelon!” grida entusiaste partirono da ogni parte dell’arena.
“Stasera voglio dirvi una cosa. Voi non siete solo il mio lavoro, siete la mia famiglia, la mia vita. Quindi, mi sembra giusto che sentiate questa cosa da me. Echelon, mi sposo.” Un mormorio si estese tra la folla, e io mi alzai in piedi e iniziai a guardarmi a destra e a sinistra come per accertarmi che non mi stessi immaginando tutto.
Shannon continuò, come se nessuno si fosse mosso. “Vi voglio presentare la mia futura moglie. È italiana. Veronica, vuoi venire qui un momento?” Io, con il viso in fiamme, lo guardai sbalordita. Emma mi spinse, e sentii tutta l’attenzione su di me. Un sorriso imbarazzato si disegnò sul mio volto, e capii che l’unica cosa da fare era andare da Shannon, che mi stava tendendo la mano. Piano, un passo alla volta, mi avvicinai, per poi rifugiarmi nella stretta forte della sua mano. Lui mi avvicinò il microfono alla bocca, e io riuscii solo a dire un flebile Hi con la voce rotta. Partì un applauso a noi due, contro ogni mia aspettativa, e Shannon mi tirò a sé per baciarmi.
Mi aspettavo di vedere sguardi infuriati di Echelon innamorate di lui, ma nessuno sembrò essere arrabbiato. Ci fu solo una stupida ragazzina che già avevo notato per le sue urla da “i miei ormoni sono impazziti” che urlò qualcosa tipo “l’importante è che Jared è single! Perché è tutto mio!” Jared le alzò il dito medio contro, e le altre vere fan intorno a lei la guardarono schifate. Io divertita guardai Shannon che mi fissava sorridendo, e mi allungai per baciarlo ancora una volta.
 
In tutte le tappe Shannon mi presentò agli Echelon, e successe sempre più o meno la stessa cosa.
Il mese passò in fretta, tra concerti, alberghi e voli da una parte all’altra del mondo. Era stancante a livelli estremi tenere quel ritmo, e mi chiesi più volte come avessero fatto a mantenerlo dal novembre del 2009 al giugno del 2011.
Mi meravigliai con quanta fretta era arrivato il dodici febbraio.
 
Stringevo convulsamente il braccio di Tomo, impaziente davanti la porta che dava nel giardino. Era tutto pronto, stavo solo aspettando che arrivasse il mio turno per entrare. Emma e Vicky iniziarono a camminare davanti a noi, e appena le vidi varcare la soglia iniziai a tremare ancora più forte.
“Shhhh.. – mi fece Tomo, accarezzandomi il braccio – ..vuoi stare calma? Non stai andando a morire!” mi sorrise e mi baciò la fronte. Io non riuscii a dire niente, quindi continuò. “Adesso dobbiamo entrare noi. Ce la fai o svieni?”
“Ce la faccio..” dissi, con un tono poco convincente. Lui mi strinse la mano, prima di tornare di nuovo a guardare avanti. Inspirai, espirai. E alla nota che segnava la mia entrata io e Tomo iniziammo a marciare. Suonava Jared, e mano a mano che avanzavo vedevo sempre di più una parte di giardino: tutte le sedie che erano abbellite con fiori e strisce di raso bianco, le persone che mi guardavano sorridenti, fino ad arrivare alle mie damigelle, e a lui. Indossava uno smoking semplice, con una rosa bianca nel taschino. Si torturava le mani giunte, ma guardava me. Quando i nostri sguardi si incrociarono, i suoi occhi color nocciola si illuminarono e ogni mia paura passò. Smisi di tremare, ma sentii il cuore scoppiarmi. Le mie gambe presero vigore, e smisi di stringere il braccio di Tomo. Mano a mano che mi avvicinavo il mio sorriso si apriva sempre di più fino a quando, finita la marcia nuziale, le sue mani presero le mie, e io iniziai a piangere.
La cerimonia confluì senza problemi. Al momento dei “Si” io piansi come una fontana, e persino Shannon si commosse. Ci stringemmo in un bacio dolce ma passionale, che cresceva man mano.
 
“Auguriiiiiiiiiii” la pioggia di riso ci avvolse, e io mi riparai sotto il braccio di Shannon. Lui iniziò una battaglia con il fratello che lanciava manciate di riso con foga, e dovetti io tirarlo in auto per farlo smettere, altrimenti avremmo perso il volo. Ci eravamo cambiati gli abiti per indossarne più comodi, soprattutto per il volo in aereo. Avevamo già fatto il buffè e consegnato le bomboniere al gruppetto ristretto di invitati presenti.
“Ma.. quindi io e te adesso siamo sposati?” dissi io, incredula.
Shannon rise, alzò la mia mano verso l’alto e indicò la fede. “A quanto pare si!”
L’autista non faceva tanto caso a noi, quindi presi il suo volto tra le mani e lo baciai.
 
 
Giro la pagina. Questa è l’ultima. Tutto quello che succederà da adesso in poi è ignoto e mi fa paura. Rimango qui a fissare quella pagina. Non posso lasciarla bianca, devo scrivere qualcosa, a Shannon, a nostro figlio. Inizio a scrivere, senza pensare, lasciandomi solo trasportare dalla mano che scorre leggera sul foglio e dalle lacrime che mi scendono sul viso.
 
Ciao Shannon,
in qualunque momento leggerai queste parole, spero che ti facciano sempre sentire vicino a me.
Ho bisogno di lasciarti qualcosa di mio, qualcosa che ti possa suscitare bei ricordi e che ti faccia capire che il mio amore non finirà, neppure con la mia morte.
Ti scrivo queste parole tutte in una volta, tutti i pensieri di una vita, tutti i ricordi con cui me ne vado. Sappi che tu mi salvato che tu hai reso migliori le mie giornate, che anche solo una notte con te vale più di tutti i giorni della mia vita senza di te. Ti scrivo queste parole per ringraziarti, per farti sapere quanto ti sono grata per tutto quello che fai e hai fatto per me. Ti scrivo queste parole per farti sapere che ti amo. Si, ti amo. Più di quanto tu possa immaginare.
Ti prego, ringrazia per me tutti. Emma e Vichy, che sono state le prime mie vere amiche, Tomo, che mi è sempre stato vicino ed è riuscito a proteggermi come un padre, e Jared, che è per me come il fratello che non ho mai avuto.
Grazie a tutti.
 
Vorrei solo che, adesso, tu rispettassi la promessa che mi hai fatto. Ti prego, non smettere di suonare. Ti prego, non sprecare la tua vita dopo la mia morte. Non farlo solo per me, o per te. Fallo anche per il nostro piccolo. Lui avrà bisogno di te e della tua guida per poter crescere, e io sono sicura che tu puoi prenderti e svolgere al meglio questo compito, se vuoi.
Se non farò in tempo io a dirglielo, fammi il piacere di dirgli che l’ho amato, dal primo momento. Dalla prima volta che ho toccato la mia pancia sapendo che lui stava crescendo dentro di me, dalla prima ecografia, da sempre.
Ho sacrificato me stessa per lui, fai in modo che non sprechi la sua vita.
 
Con tanto tanto amore, la sempre tua Veronica.
 
 
Alcune volte la mia mano tramava mentre scrivevo, altre volte una lacrima era caduta sulle parole, ma avevo continuato, fino alla fine. Ogni parola era strappata con forza dal mio cuore. Adesso mi sento svuotata, e leggo e rileggo quelle parole come per correggere qualche errore, per perfezionare quelle frasi, ma non riesco né a togliere né ad aggiungere nulla. Semplicemente le guardo, con la mano a mezz’aria a stringere la penna e i capelli che si liberano dalla presa dell’orecchio e mi ricadono davanti agli occhi.
Sento la porta aprirsi, e in un attimo chiudo il quaderno e lo butto senza pensarci nel cassetto alla mia destra sotto la scrivania. Mi alzo di scatto, la penna mi cade vicino ai piedi e mi giro perdendo l’equilibrio. Shannon entra in camera e mi guarda sconvolto mentre mi appoggio alla sedia e cerco di non cadere.
“Bentornato!” gli dico, cercando di celare l’imbarazzo con l’entusiasmo.
Lui prima mi guarda stranito, poi sorride e lasciando i bagagli a terra allarga le braccia e dice: “Allora? Nessun bacio di benvenuto?” io mi avvicino, lanciando uno sguardo veloce al cassetto semi aperto e alla penna a terra, e poi mi butto tra le sue braccia calde.
“Bentornato a casa!” gli ripeto, mentre lo bacio e gli sorrido ancora.
“Mmm.. devo andare via più spesso allora se il ritorno è così bello!” io gli do una gomitata, lui ride e si affaccia a dove prima ero seduta io. “Cosa facevi?”
Io abbasso la testa in cerca di una scusa e poi facendo con nonchalance spallucce dico: “Niente, pensavo!”
“Tu non me la racconti giusta!” dice, e cerca di liberarsi dalla mia presa per andare alla scrivania. Io lo afferro, gli butto le braccia al collo e lo bacio. “Ma dai, cosa ti importa? Stai qui con me che sono tre giorni che non stiamo insieme!” avvicino ancora la testa a lui, e gli mordo il labbro inferiore. Lui ridacchia, e mi sussurra: “Sai essere davvero tanto convincente quando vuoi!” si abbassa all’altezza della mia enorme pancia, e accarezzandola dice: “E tu, come te la passi?” con tempismo perfetto il bambino calcia, ed entrambi ridiamo.
“Allora, sei pronta ad uscire da lì?” io sussulto, e lui se ne accorge. Alza lo sguardo e inizia a fissarmi.
“Non sappiamo ancora se è maschio o femmina!” dico io, cercando di dissimulare.
“Andrà tutto bene..” mi dice. Si alza, prende la mia testa e se l’appoggia sulla spalla. “Tutto bene.. e poi, sono sicuro che è una bella Martina.” Io rido.
“E’ maschio invece, te lo dico io!” prima di ricominciare il solito battibecco su chi aveva ragione, mette la mano sulla mia pancia e mi bacia la fronte.
 
 
Siamo riuniti tutti nella sala da pranzo di casa di Jared. Io sono seduta sul divano con Emma e Vicky, e parliamo della nuova acconciatura del padrone di casa, che si è appena fatto i capelli verdi.
I nostri uomini entrano, con dei bicchieri in mano.
“La smettete di parlare di me?” dice il più piccolo dei fratelli Leto, mentre porge il bicchiere a Emma.
“The alla pesca?”
“Si, noi dobbiamo essere solidali con qualcuno qui che non può bere alcolici!” mi lancia uno sguardo divertito, e Shannon lo ammonisce porgendomi un bicchiere. È il secondo giorno di aprile, fa già caldo e bere quel the mi da una sensazione di freddezza. Riporto di nuovo il bicchiere alle labbra, e mentre un secondo sorso mi scende giù per la gola, il telefono di Shannon squilla.
“Pronto? .. Buonasera dottore! .. domani? .. ah giusto .. dobbiamo venire lì alle? .. Va bene, a domani.” Chiude la conversazione, mentre io lo guardo stranita.
“Domani dobbiamo andare in ospedale.” Mi dice, con sguardo vuoto.
“Perché?”
“…Devi prepararti.. al parto.. a giorni ti si romperanno le acque, e devono procedere con il taglio cesareo prima delle contrazioni. Domani ti ricoverano e dopodomani procedono.” Lui inizia a tremare, e io non posso fare altre che annuire poco convinta, senza parlare. Mancano solo due giorni. Due giorni e mi toglieranno da dentro la mia piccola creatura, due giorni e forse la mia vita volgerà al termine. Tomo si accorge che sto iniziando a piangere, e mi viene accanto per abbracciarmi. Shannon invece non riesce a muoversi, ed è il fratello che gli va vicino e lo consola. Il nostro unico, indistruttibile contatto sono i nostri occhi, che si immergono in quelli dell’altro e si intrecciano in una danza senza fine.
 
 
“Hai messo in borsa il pigiama?” mi dice Shannon dalla camera da letto.
Io sono nella camera del nostro bimbo, rigirandomi il piccolo quaderno tra le mani, con lo sguardo fisso sulla parete dove il ritratto di loro tre regna sovrano. Riuscirò mai a mettere quel bimbo dentro quella culla? Riuscirò mai a fargli ascoltare le canzoni di Marte, a crescerlo come un Echelon? Sopravvivrò al parto?
Il groppo, che ormai da ore mi fa compagnia, torna ad addensarsi sulla mia gola, come un vecchio amico che ritorna a farti visita.
“Veronica?” Shannon mi arriva alle spalle, e mi cinge i fianchi.
“Andrà tutto bene..”
“No Shannon. C’è la possibilità che non andrà tutto bene. Potrò non sopravvivere oltre ventiquattro ore. Potrò non rivedere più questa casa, questa camera, te.”
“Shhhh.. non succederà!”
“Qualsiasi cosa succeda.. – dissi, girandomi – ..prendi questo.” Gli metto tra le mani il quaderno, e lui accarezza quella foto che ci siamo fatti una vita fa, sulla spiaggia, quando mi addormentai appoggiata a lui.
“Cos’è?” mi chiede, non avendo il coraggio di sfogliare le pagine.
“Prendilo, e tienilo sempre con te. Leggilo, e conservalo. Quando non ci sarò più, leggilo anche al nostro bambino. E quando ti senti solo, prendilo e sfoglia le pagine. Quando il ricordo del nostro amore  inizierà a svanire, mantienilo vivo attraverso questo. E anche se ti rifarai una vita, conservalo come un mio souvenir, un regalo di una vecchia conoscente.” Ormai la mia voce non trema più, faccio questo discorso con voce persino serena.
“Io non mi rifarò mai una vita, anche dopo la tua morte. Su questo devi esserne certa.” Dice lui, con voce tagliente.
“Io invece vorrei tu fossi felice dopo di me.” lui mi guarda storto, allora cambio discorso. “Comunque, questo è per te.” lo mette nella culla del bimbo, e mi abbraccia. Tanto forte da stritolarmi, tanto forte da aggrapparsi a me come ci si aggrappa ad un salvagente per non affogare, come se nel bel mezzo di una tempesta ci fosse lui e non io.
 
 
“Buongiorno..” una voce familiare ma che non appartiene a mio marito mi saluta, e la luce della stanza bianca mi acceca, e come un déja vu mi ricordo di quando sono quasi stata investita per la seconda volta da un camion, in una vita ormai molto lontana. Jared si avvicina e mi da un bacetto sulla fronte, io mi sveglio del tutto e ricambio il saluto.
“Oggi è il grande giorno!” quella creatura ormai era come il figlio comune di tutti e sei, e non solo mio e di Shannon. Tutti lo aspettano con ansia e tutti lo amano già. Io però non riesco ad essere del tutto felice, e quindi sfoderò uno dei miei sorrisi falsi.
“Credi che non riconosca ormai quando fingi di sorridere? – io abbasso solo la testa, non proprio sorpresa – andrà tutto bene.”
“Non continuate a ripeterlo anche se sapete che potrebbe non essere vero.”  Sono un po’ cinica, e me ne pento subito.
“Sappi che se non torni da me, da noi, dopo il parto, io ti vengo a prendere, ti resuscito, e ti uccido con le mie mani. Sei avvisata.” Sotto quel sorriso diabolico c’è uno sguardo premuroso, quindi lo ringrazio senza aggiungere nulla, perché sono stanca di promesse che non so se posso mantenere.
Mi sento strana, diversa dagli altri giorni. Mi tolgo da sotto le coperte con una strana sensazione allo stomaco, e dopo essermi messa le ciabatte mi alzo. Non ho nemmeno il tempo di fare due passi e di vedere Shannon entrare dalla porta, che sento come uno strappo dentro di me e guardo in basso: una pozza di uno strano colore e una strana densità ricoprono i miei piedi e li circondano. Con gli occhi spalancati guardo i due Leto di fronte a me e dico con un tono roco: “Mi.. mi si sono.. ROTTE LE ACQUE!” mi manca il respiro, e mi appoggio con forza al letto. Vedo le vene che pulsano nella parte interna del braccio: si, sono dimagrita. Jared corre a chiamare l’infermiera, mentre Shannon viene da me e mi porta in braccio. Inizio ad arrancare in cerca dell’aria, e lui cerca in qualche modo di farmi calmare. Mi accoccolo al suo petto, e mi aggrappo con forza alla sua maglietta, mentre lui mi sussurra di stare tranquilla all’orecchio. Ad un certo punto mi appoggia su un lettino, e lo sento allontanarsi.
“NO! NON LASCIARMI, TI PREGO!” inizio a urlare, cercando di inspirare più aria che posso per riempirmi i polmoni. Mi agito, ho la gola secca e tutto quello che riesco a pensare è Shannon.
“Sto qui! Sono qui! Ho messo il camicie, ma adesso sto qui e non mi allontano più! Tu calmati!” allungo la mano verso la sua voce, e lui mi stringe la mano.
“Respira.. respira.. brava, così.. respira..” non mi sento più padrona del mio corpo. Un infermiera si avvicina e mi mette una mascherina in faccia. Inspiro quello che la mascherina getta fuori, e piano piano inizio a perdere sensibilità. Riesco a sentire solo una lama che mi penetra con forza nella parte inferiore della pancia, e poi niente.
Non ho più un corpo. Non riesco neppure più a parlare, urlo ma non sento la mia voce. Mi sento svanire, poco a poco. C’è una forza che mi tira verso il basso, ma non ho forze e non so come respingerla. Cerco di tornare su, ma la mia resistenza è nulla e non riesco ad oppormi. Giù, giù, fino alla pace dei sensi, fino al nulla, fino a Marte. È semplice, no? Posso farmi trasportare da questa forza, nessuno me ne può fare una colpa. E sopravvivere, per cosa? Per lottare, giorno dopo giorno, contro una malattia senza cura e una fine che comunque arriverà, magari non oggi, ma domani. Per scappare da una morte che mi cerca da anni, da quando ero bambina. L’ho evitata sempre, in un modo o in un altro, ma non si può evitare per sempre.
È così semplice lasciarsi andare. Lasciamo fare l’eroe a qualcun altro, io mi godo il mio riposo. Andrò finalmente su Marte. Sono emozionata. Il pianeta rosso è quasi sette anni che mi aspetta, e adesso da buon soldato posso tornare a casa, cosa me ne importa se non ho vinto. Mi sarò lasciata sconfiggere, ma allora? Ci sarà qualcuno che prima o poi tornerà vincitore al posto mio, e io gli farò i complimenti. Si ho deciso, addio Terra.
Bentornata su Marte, Veronica.
 
 
Shannon*
 
 
“NO! NON LASCIARMI, TI PREGO!” sento urlare Veronica. Il dottore mi ha costretto a seguire le norme igieniche della sala operatoria, però non posso lasciarla sola e ho fatto tutto a tempo di record.
“Sto qui! Sono qui! Ho messo il camice, ma adesso sto qui e non mi allontano più! Tu calmati!” lei trema, quasi piange, e io non so che fare se non starle vicino. Le stringo forte la mano e cerco di tranquillizzarla. Attorno a noi il caos. Infermieri e medici che corrono di qua e di là come pazzi. Vedo una donna avvicinarsi e mettere una mascherina sulla faccia di Veronica, che poco a poco si calma e smette di tremare. Sento il medico che si fa passare gli utensili da altri e lo sento tagliare la sua pelle. Io vedo solo il suo viso, immobile. Che le sta succedendo?
Sento il pianto del bimbo. Ce l’hanno fatta. Non ho neppure il tempo di sorridere, che sento la macchina che controlla il cuore di Veronica diminuire i battiti.
“LA STIAMO PERDENDO!” urla il medico. Caos, di nuovo. Una donna porta via il bambino, un’altra si intrufola e inizia a sbottonarle il camice.
“Libera!” porta gli elettrocardiogrammi su di lei e lei sobbalza. “Libera!” ancora.
“TI PREGO VERONICA, RESTA CON ME!” gli urlo.
“Libera!” fa di nuovo l’infermiera.
Tutto tace. Guardiamo tutti l’elettrocardiogramma, senza neppure respirare. Piano, inizia a ristabilirsi, e io sento la sua mano muoversi. Mi giro, e apre gli occhi. Piango.
 
Veronica*
 
Che vigliacca che sono. Davvero stavo per mollare? Davvero stavo abbandonando tutto?
Si.
Purtroppo si.
Mi aveva fatto cambiare idea una cosa sola. La voce di Shannon.
Non potevo abbandonarlo, dovevo lottare, per lui. Non era il momento per lasciarlo, non quello. L’avrei distrutto, e con lui anche il nostro bambino.
TI PREGO VERONICA, RESTA CON ME!” il suo urlo mi è arrivato mentre mi stavo avvicinando al punto di non ritorno. Mi aveva dato la forza, la carica giusta per contrastare quella forza che mi tirava.
Sto salendo, salgo, salgo fino al punto di prima. Ho ritrovato forza, vigore.
Non riesco ancora però a controllare per bene il mio corpo, e prima di poter aprire gli occhi ci devo provare più volte. Però ci riesco, e vedo finalmente quelli di Shannon che mi fissano in lacrime.
“Grazie..” mi sussurra lui, stringendomi convulsamente la mano. Io tento un sorriso, ma non so se ci riesco. Non sono ancora padrona del mio corpo, sotto l’effetto dell’anestesia. Mi nutro, divoro il sorriso di Shannon. Nemmeno fosse paralizzato, non la smette di guardarmi con un sorriso senza limiti, e io non riesco a farne a meno, non riesco a saziarmene.
Quando a poco a poco torno a sentire il mio corpo, apro finalmente bocca e sussurro a Shannon: “Ti amo”.
Lui sorride ancora di più, si avvicina, mi bacia e risponde: “Ti amo anche io.”
“Signori Leto? – dice un’infermiera entrando – .. il vostro bambino.” Mi posiziona tra le braccia una coperta che avvolge una bellissima creatura, piccola, che si copre gli occhi con le mani chiuse a pugno.
“Sun..” diciamo insieme io e Shannon.
Adesso verrà  il momento in cui avremmo dovremo lottare. Adesso verrà il momento più difficile. Ma, insieme, ce la faremo.
Morirò, prima o poi, ma non oggi.
 
  
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