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Autore: Feel Good Inc    27/06/2011    6 recensioni
La macchina giunse a destinazione ed Aerith portò il piede sul freno così bruscamente che, non fosse stato per la cintura di sicurezza, sarebbe finita sul parabrezza a fare compagnia ai tergicristalli. Tirò il freno a mano e si fiondò fuori senza neppure spegnere il motore, subito imitata da Cloud, con la pistola pronta in pugno già da un pezzo.
Percorsero in fretta lo slargo costeggiato di siepi, e raggiunsero il cortile su cui si affacciava il portone principale dello stabile. Cloud imprecò ad alta voce.
«Merda...»
La sagoma massiccia dell’agente Lexaeus giaceva immobile davanti a loro, e il chiarore della luna inargentava il rosso del suo sangue mescolato all’erba verdissima del giardino da anni abbandonato a se stesso.

* * *
«Entra e fammi vedere.»
«Ma allora avevo ragione.» Axel sogghignò di nuovo, puntando il gomito destro sul davanzale e guardandolo con malizia. «Vuoi
davvero giocare al dottore.»
Roxas si sentì arrossire. «Sei proprio un idiota.»
«Grazie, bimbo, anche tu non sei male.»
Si tirò su ed entrò dalla finestra. Una volta posati i piedi a terra, si guardò intorno ostentando indifferenza – ma Roxas notò che il suo viso era decisamente pallido. Lasciò scivolare il cappotto sul pavimento.
Un tonfo metallico.
Roxas guardò interrogativamente prima il viso impassibile di Axel, poi il punto in cui l’indumento aveva toccato terra. Da una tasca sbucavano pochi centimetri di qualcosa di lucido e scuro.
La canna di una pistola.

* * *
Quando un adolescente in fuga dalla legge si nasconde in un condominio in cui vive un ragazzino che si ostina a fuggire dal suo passato, e quando le loro storie s'intrecciano a quella di una ragazza che torna da un posto che è lontano in tutti i sensi, ci si accorge che qualche volta bene e male non esistono. Esiste solo il destino.
{ AkuRoku; accenni SoKai, MaruDem, RokuNami, CloudAerith, Sorpresa }
Genere: Drammatico, Sentimentale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Axel, Roxas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Nessun gioco
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34

L’adesso

 

 

 

«Sono in ritardo, sono in ritardo!»

Sora schizzava da una parte all’altra della stanza, in divisa e calzini, una fetta di pane imburrato in bocca e le braccia che lottavano per disincastrarsi dalla giacca. S’infilò le scarpe senza fermarsi, saltellando su un piede solo, ora il destro ora il sinistro; ingoiò il boccone e per poco non si strozzò; sbottonò l’uniforme e infilò i bottoni nelle asole giuste. Il tutto alla velocità della luce.

Roxas lo osservava dalla sua sedia accanto alla scrivania, trattenendo a stento le risate. Negli ultimi tempi gli succedeva spesso. Era bello dormire sonni senza incubi, svegliarsi di buon umore e assistere al quotidiano déjà-vu di Sora che rischiava di rompersi l’osso del collo nelle sue corse prescolastiche.

Era bello soprattutto – quando suo fratello aveva lasciato il condominio – aprire la finestra e lasciar entrare nell’appartamento le speranze che per tanto tempo si era negato.

Vedendolo finalmente vestito del tutto e nel modo giusto, gli si avvicinò e gli tese la cartella. «Ecco a te. Sbrigati, se non vuoi far infuriare Kairi

Sora lo guardò, grato come se gli avesse appena offerto un biglietto per un concerto della band di Yuna. Afferrò la cartella al volo.

«Grazie! A stasera!»

In un lampo era già sparito dall’appartamento.

Roxas ascoltò l’eco sempre più lontano delle sue scarpe da tennis sulle scale. Si sentiva un po’ in colpa per non avergli mai parlato di ciò che faceva ogni mattina, invece di seguire le lezioni del professor Ansem – che aveva chiesto di spostare al primo pomeriggio.

Erano gli inizi di maggio; e ormai andava avanti con quel piccolo grande segreto da più di dieci giorni. E non sapeva nemmeno spiegare a se stesso il motivo per cui l’unica persona che volesse coinvolgere fosse Axel.

Aspettò ancora qualche minuto prima di aprire le persiane.

Come sempre, la finestra del 2B era già aperta. Axel era seduto sul davanzale. Lo guardò con un sorriso sornione.

«Il gatto è uscito?»

Roxas ricambiò. Era lieto che Axel avesse rispettato la sua scelta, evitando di svelare quella cosa a Sora e a chiunque altro. Più di tutto, però, era felice di vederlo così tranquillo e a suo agio, pur sapendo di essere tenuto al guinzaglio dalla polizia.

«Sì, e i topi ballano.»

Axel saltò sul pianerottolo e lo raggiunse alla finestra.

«Dio, con tutto questo mistero mi sembra di vivere in un dramma teatrale. Guarda, non ci manca nemmeno il balcone.» Appoggiò le mani al davanzale e iniziò a declamare con voce sottile e disperata. «Oh, Romeo, Romeo, perché sei tu Romeo?»

Roxas scoppiò a ridere.

«Vieni dentro, Giulietta» disse, ritraendosi e chinandosi per slacciarsi le stringhe. «Romeo ha bisogno di te per fare una cosa.»

Axel scavalcò il davanzale scoccandogli un’occhiata scaltra. «Sei un pervertito, Romeo.»

Roxas si sentì avvampare. Gli lanciò addosso la scarpa che si era appena sfilato.

«Fottiti, Axel

Lui si scansò ridacchiando.

 

 

* * *

 

 

La ricreazione stava per finire. Sora si lasciò cadere nell’erba del cortile a riprendere fiato, mentre Riku e Tidus continuavano la corsa dietro la lattina vuota che faceva da palla in quella partita improvvisata. Per quella mattina, lui aveva già corso abbastanza.

Con la coda dell’occhio vide una macchia di rosso e d’azzurro muoversi nella sua direzione. Si voltò e riconobbe la figura di Kairi che, allontanandosi da Selphie e dal gruppetto di ragazze, andava a raggiungerlo al bordo del campo.

L’amica gli sorrise mentre s’inginocchiava al suo fianco. «Come stai?»

Sora allargò appena le braccia. «Seduto!»

Kairi rise, scuotendo la testa. Il ragazzo si costrinse a non incantarsi nel movimento ipnotico dei suoi capelli rossi.

«Intendevo come vanno le cose.»

Sora tornò a seguire il gioco, riportando le dita tra l’erba.

«Bene. Mi suona ancora assurdo pensarlo, eppure sono convinto che tutta questa storia abbia fatto bene a Roxas. È sereno, sorride sempre. È tornato come prima. Sai... Prima di due anni fa.» Scosse le spalle, con un sorrisetto. «Dovrò fare un monumento ad Axel, quando i suoi problemi con la legge saranno finiti.»

Circa una settimana prima, il suo dirimpettaio lo aveva incrociato sulle scale del condominio, forse non per caso. Lo aveva bloccato e gli aveva raccontato una storia che Sora ancora faticava a credere. Eppure, lui non aveva avuto nessuna paura. Gli aveva sorriso come al solito: Axel avrebbe anche potuto essere il più pericoloso criminale del pianeta, ma per lui sarebbe sempre stato soltanto colui che aveva – consapevolmente o no – convinto Roxas a ricominciare a lottare.

«Insomma, è come rinato. Magari l’anno prossimo potrebbe persino tornare a scuola. Le strutture ci sono, e lui, beh, mi sembra pronto.»

«Ma...?»

Sora sorrise, colpevole. Eccolo là, l’intuito femminile, la sensibilità, o come altro si chiamava.

«Ma...» Sospirò. «Ma lo ammetto, a volte vorrei tanto che non fosse capitato a noi. Credo sia normale... Sarebbe tutto così facile, se quel dannato incidente non ci fosse mai stato. Se Roxas fosse ancora il campione degli Hawk Runners. Se avessimo ancora una famiglia vera, se vivessimo a casa nostra, e se il mio unico pensiero fosse quello di trovare il coraggio di invitarti a uscire...»

Al suo fianco, Kairi si voltò in fretta a guardarlo.

Ancora concentrato sulla partita, Sora non vide la sua espressione, ma si bloccò all’istante, imbarazzatissimo.

Come cavolo aveva fatto a lasciarsi sfuggire una cosa del genere?!

Rimase lì attonito, senza scuotersi né al suono della campanella, né alla vista dei compagni che tornavano in classe. L’unica cosa di cui era ben conscio era il respiro irregolare di Kairi, unito al caldo insopportabile che si sentiva in volto.

Alla fine, lei si schiarì la voce e si alzò. «Dobbiamo andare... Xenahort interroga.»

Sora prese un respiro profondo. Si alzò, guardando fisso le proprie scarpe.

«Va bene venerdì sera?»

Sollevò lo sguardo in preda alla confusione. Kairi era arrossita, ma sorrideva euforica.

Quando capì il senso della sua domanda, Sora la fissò sorpreso, incapace di risponderle. Ma lei non gli diede neppure il tempo di cercare le parole; senza aggiungere nulla corse via nel cortile.

Passò qualche istante prima che lui si riscuotesse e si muovesse per seguirla, sorridendo ai suoi capelli al vento.

 

 

* * *

 

 

Axel era inginocchiato accanto al letto e ai piedi di Roxas. Si sarebbe quasi detta una prosecuzione della piccola schermaglia shakespeariana di poco prima; ma in realtà l’attività che stavano svolgendo non offriva proprio nulla di cui scherzare.

Oltre al suo calore, il dottor Leonhart aveva lasciato a Roxas anche una serie di consigli, che andavano ora tradotti nell’aiuto concreto di Axel.

In fondo non ci voleva una laurea in medicina. Era solo il ripetersi di un movimento regolare: alto, basso, alto, basso... E gli faceva piacere che Roxas lo avesse chiesto a lui, certo.

Però, passare tutto quel tempo solo con lui in quella cameretta stava cominciando a fargli venire in mente degli strani e confusi ricordi.

Il ragazzino che sorrideva e chiudeva gli occhi e lui che si chinava sulla sua fronte e poi sulla sua b...

«Che ti prende?»

Axel scosse la testa con vigore. Era certo che il turbamento gli si leggesse negli occhi, e si affrettò ad abbassarli ancora di più.

«Niente.»

Roxas sembrò decidere di non insistere.

Riprese a sollevargli alternativamente le gambe inerti, senza sforzo. Su e giù, su e giù. Quei movimenti avrebbero dovuto abituare i muscoli delle sue gambe a rimettersi in moto, o qualcosa del genere. Axel non aveva bisogno di spiegazioni dettagliate; qualsiasi cosa potesse essere utile a Roxas, l’avrebbe fatta anche a occhi chiusi.

In fondo, era stato lui a salvarlo da se stesso.

Dopo qualche minuto il ragazzino parlò di nuovo.

«Posso farti una domanda?»

«Spara.»

A testa bassa, Axel si accorse che Roxas stava stritolando un lembo del copriletto tra le dita.

«Dov’è la tua famiglia?»

Alzò lo sguardo su di lui.

Il ragazzo arrossì, ma non distolse il suo.

Rifletté per un istante prima di rispondergli.

«Non lo so. Non l’ho mai conosciuta.»

Roxas parve sinceramente sorpreso. Axel proseguì imperterrito, impersonale. Era un argomento che non l’aveva mai toccato troppo.

«Mia madre è morta subito dopo il parto, e mio padre era già sparito da un pezzo. Io sono finito in una sottospecie di orfanotrofio.» Chinò il viso e riprese a muovergli le gambe, più lentamente. «Un covo di mocciosi problematici con l’unico genere di assistenza che si riserva ai cani... Anzi, meno. A quattordici anni ho tagliato la corda – tanto non m’interessava di essere adottato. Ho lasciato la scuola del quartiere in cui vivevo e mi sono dato alla macchia.» S’interruppe, raccogliendo le idee. «Da allora, per quattro anni, ho vissuto per strada. Di avanzi. Di piccoli furti, all’occorrenza. Sono stato anche alle dipendenze di gente che non ti consiglierei mai di frequentare» ghignò, fermandosi e guardando di nuovo l’amico in faccia. «E alla fine ho incontrato Demyx

Roxas annuì. «E adesso?»

Axel lo soppesò ancora con gli occhi. Ci pensò su. «E adesso, non lo so.»

Rimasero per un attimo immobili a guardarsi e – almeno, questo valeva per lui – a chiedersi quando e come sarebbe cominciato quell’adesso.

Poi Roxas tornò a concentrarsi sulla coperta, e Axel riprese gli esercizi.

Passò ancora qualche lungo minuto di stallo.

«Mi dispiace.»

Alzò di nuovo la testa.

Roxas non lo guardava. Continuava a stringere il tessuto in una mano. Aveva un’aria tristissima.

«Non deve essere stato facile.»

Il mondo si fermò.

Un quindicenne su una sedia a rotelle, che aveva perso i genitori, una passione, e per tanto tempo anche gli amici e la voglia di vivere; che gli aveva gridato in faccia la differenza tra loro due, che gli aveva fatto vedere una strada; che per colpa sua aveva rischiato di morire per mano di uno psicopatico malato d’orgoglio ferito e che, nonostante tutto, aveva ritrovato il coraggio di andare avanti – quel quindicenne, adesso, seduto su quel letto, lo guardava coi suoi occhi puliti e gli diceva che era dispiaciuto per lui.

Per lui.

Si sentì così inerme.

Axel non si chiese se l’avesse sempre saputo o se lo stesse capendo soltanto ora; però ora sapeva. Sapeva che quel giorno, con quel gesto, non aveva semplicemente seguito un impulso. Che c’era un significato in ciò che aveva fatto.

E allora lo fece di nuovo.

Si sollevò sulle ginocchia e portò il viso all’altezza di quello di Roxas.

Le sue labbra appena dischiuse sapevano di un mare di cose che non aveva mai avuto e che non avrebbe mai voluto perdere.

Quando riuscì a ritrarsi, si fermò a poca distanza da lui e lo vide sorpreso, spiazzato, smarrito. I suoi occhi azzurri divennero due specchi d’acqua chiara sopra l’oceano rosso fuoco delle sue guance. L’imbarazzo contagiò anche Axel, che si maledisse mille volte.

Ma non si pentì del proprio gesto.

Il ragazzino distolse lo sguardo, arrossendo ancor più intensamente. Capendo che qualcosa si era appena spezzato, e che in quel modo rischiava di rovinare tutto, Axel si alzò.

Voltò le spalle e s’incamminò verso la finestra.

Aveva bisogno di riflettere. Aveva bisogno di lasciarlo riflettere...

Aveva già una gamba oltre il davanzale quando la voce lo fermò al suo posto.

«A... Axel...»

Incerto su cosa aspettarsi, si voltò.

Roxas era in piedi davanti al letto, la testa bassa, concentrato sui propri calzini. Lo fissò.

E alla fine fece una cosa che – di nuovo – fermò il mondo circostante.

Mosse un passo verso di lui.

Axel distinse lo sforzo nella sua espressione, e temendo di vederlo cadere si staccò subito dalla finestra.

«Roxas, fermati, sei ancora...»

Ma gli morirono le parole in gola.

Il ragazzo allungò una mano e si chinò per sostenersi al piano del comodino; riprese fiato e fece un altro passo.

Axel avrebbe voluto fermarlo, ma si sentiva il piombo nelle scarpe.

Roxas si staccò dal comodino, fece un passo più lungo e posò la mano sulla libreria.

«Accidenti a te» gemette Axel. «Accidenti a te, accidenti a te

Lui non diede segno di averlo sentito. Continuò a camminare, piano, un piede alla volta, senza mai lasciarsi scoraggiare dalla fatica. Superò lentamente la scrivania. Alla fine abbandonò ogni sostegno e si ritrovò proprio di fronte ad Axel.

Qui si fermò, tirò il fiato e abbassò le palpebre, esausto. Cominciò a vacillare. L’adolescente tese le braccia e lo sostenne.

«Tu sei pazzo!» ringhiò.

«Lo so...» Gli occhi chiusi, il respiro ansante, Roxas sorrise stancamente e gli si aggrappò. Riaprì gli occhi. «Sono diventato amico tuo.»

Senza parole, Axel sentì l’ira e la frustrazione sbollire in fretta. Si rese conto in quel momento di quanto gli fosse vicino.

Contemporaneamente, capì anche perché Roxas avesse camminato verso di lui.

E sorrise incredulo alle sue guance ancora rosse.

Avrebbe voluto scostargli i capelli dagli occhi, percorrere con le dita il contorno del suo sorriso; ma non poteva lasciarlo andare, non poteva e non ci riusciva. E allora si limitò a baciarlo di nuovo.

Forse quell’adesso era appena cominciato.

 

 

 

 

 

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SORPRESA! Dai che non ve l’aspettavate. Vi ho colti alla sprovvista, eh? xD

Beh, non mi dilungo su questo capitolo. Anche perché sono certa di non averlo strutturato nel migliore dei modi; mi sarebbe piaciuto metterci tanto in più – di Axel, soprattutto di Axel, e della sua comprensione finalmente completa su ciò che lo lega a Roxas. Ma è stato più complicato del previsto. Spero solo non vi deluda ;_;

Alla prossima,

Aya ~

   
 
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