Basta
così poco per sentirsi liberi.
Lasciare i piatti sporchi sul lavandino per giorni, per esempio. O
raccattare i
pochissimi risparmi che hai in casa e usarli per te stessa. O non
sentirti
occhi addosso, urla, insulti. Basta una casa vuota ed un giorno di sole
per
sentirsi liberi, a volte. E sapere che quella casa potrà
fare a meno anche di
te, d’ora in poi.
Merope Gaunt
infilò il mantello sbrindellato sopra i suoi quattro stracci
e fece per
chiudere la porta di casa. Se casa si poteva chiamare la baracca
squallida in
cui era vissuta per diciotto anni, se casa si poteva chiamare il luogo
dove non
aveva mai saputo di essere viva. Di avere un corpo, una
dignità, una voce.
Ora
là
dentro sarebbe rimasta la polvere. Se ci fosse tornata, sarebbe stato
da morta,
contro la sua volontà. Sentì la sua mente
snebbiarsi miracolosamente, come se
la porta, chiudendosi davanti al suo primo sorriso, avesse spazzato via
quella
coltre di oscurità che copriva i suoi pensieri da diciotto
anni. Le mani le
formicolavano, ridendo beate del suo potere che si risvegliava. Merope
si sentì
viva e sorrise di nuovo. Non era bella, con quella faccia ampia dalle
ossa
grandi, ma quel sorriso le addolciva in qualche modo i lineamenti. Si
soffermò
poco oltre la soglia, tra i primi alberi, respirando profondamente,
mentre il
suo sorriso si allargava. Si era mai soffermata sull’idea di
riempirsi i
polmoni fino a scoppiare? Sul movimento delle sue guance, finora
immobili?
Sulla sensazione leggera e rincuorante del sole che le scaldava
dolcemente il
viso smunto? Al sole non importava che fosse brutta, che fosse la melma
della
sua famiglia, che fosse solo una donna, che non avesse mai saputo usare
una
bacchetta: arrivava a baciarla senza pensieri, era un saluto, un
invito. Benvenuta alla luce,
Merope…
Basta chiudere
una porta e lasciarsi
indietro una vita di umiliazioni. Coltivare una speranza, per quanto
impossibile sia a realizzarsi. Scoprire con stupore di essere una donna
innamorata, e rendersi conto che in fondo non c’è
niente di male in questo.
Seduta sul
marciapiede di Diagon Alley,
una
bottiglia ricolma in una mano e un fogliettino spiegazzato
nell’altra, la
ragazza guardava passare la gente. C’erano bambini tenuti per
mano da genitori
che faticavano a trattenerli, i faccini illuminati nel guardare le
vetrine dei
negozi di giocattoli.
“Me lo
compri, papà?”
“La
prossima
volta, tesoro, andiamo di fretta…”
Lei non
aveva mai avuto il coraggio di chiedere qualcosa ad Orvoloson. Sin
dalla culla,
quell’uomo non
era stato altro che il
suo incubo ricorrente. La notte si addormentava tremando, sapendo che
lo
avrebbe sognato che la guardava con quegli occhi di fuoco, colmi di
orgoglio e
disprezzo per la sua esistenza, o che le veniva incontro per strapparle
dal
collo il medaglione di Serpeverde soffocandola, strattonandola. Si
svegliava
col fiato mozzo, immersa nel suo sudore. Fin da piccolissima, no, non
aveva mai
chiesto nulla ad Orvoloson, vivendo nel terrore che ogni secondo fosse
l’ultimo. Ora Orvoloson era ad Azkaban … una
libertà per una libertà, senza
volerlo il padre le aveva dato tutto quello che chiedeva.
Tornò a guardare la
fiala nelle sue mani. Il liquido che conteneva era rosso come il
sangue, con
lievi bagliori dorati. Il liquido che conteneva era il suo presente. La
piccola
pergamena che aveva arrotolata in tasca, con la ricetta del filtro, era
il suo
futuro. Sapeva cosa doveva fare, era il suo cuore a urlarglielo, con
violenza,
e per quanto la coscienza cercasse di soffocarlo, l’immagine
di Tom Riddle che
cavalcava nei dintorni della baracca era un incentivo troppo forte.
Quanto lo
aveva osservato … conosceva ogni cellula epiteliale del suo
volto come se
avesse passato notti insonni a baciarglielo, milioni di volte aveva
chiuso gli
occhi per sognare di fissarli nei suoi, scuri, intensi,immaginava il
fisico
asciutto sotto le camice bianche, e la mente le si incendiava,il
respiro si
faceva pesante e sognava di stringerlo, spogliarlo, amarlo, proteggerlo
e
tenerlo con sè come il suo unico tesoro.
Basta poco,
quando ci si sente così
profondamente liberi, anche a perdere il senso della giustizia. Ma
soprattutto
basta poco, quando si ha il cuore in fiamme, per dimenticare la
libertà degli
altri e sognare di sottometterla alla propria. Fare due più
due, capire che
dalla vita non si ha mai avuto niente e che il poco che ora si possiede
è stato
guadagnato con il sacrificio. Proprio o degli altri, poco importa.
Tom Riddle
cavalcava al passo per il bosco oltre la proprietà dei
genitori. Non si era
reso conto di aver sconfinato avvicinandosi alla baracca del vagabondo,
quel
Gaunt. In ogni caso, nessun problema. Da quando il vagabondo era
sparito dalla
circolazione insieme al figlio pazzo, le sue passeggiate erano molto
più
piacevoli. Talvolta incontrava la ragazza, quell’essere
così sgraziato, che
sembrava provenire da un mondo antico, primitivo. Non provava
compassione per
lei, solo un leggero ribrezzo che riusciva tranquillamente a
trasformare in
civile conversazione le poche volte che si incrociavano. Aveva notato
che
quando accadeva, la ragazza lo fissava come cercando i suoi occhi. Gli
occhi di
lei erano neri come la pece, senza sfumature. Più volte si
era domandato, quasi
ridendo tra sè, se la figlia del vagabondo non avesse una
cotta per lui. Tom
Riddle non credeva nella favola del brutto anatroccolo che si trasforma
in
cigno. Le attenzioni di lei (se pure esistevano anche fuori dalla sua
mente) lo
divertivano in modo grottesco. Tom Riddle, come suo figlio, non avrebbe
mai
imparato la compassione.
Mentre
indugiava in pensieri del genere, la ragazza gli apparve davanti, in
pieno sole
tra due alberi.
Quando si
accorse di chi stava arrivando, Merope si girò verso
l’oggetto della sua
passione sorridendo tranquilla. Una mano, infilata nella manica del
vestito,
accarezzava la fiasca appoggiata contro il fianco.
Il ragazzo
si avvicinò ancora, e Merope provò
l’ormai familiare sensazione di stare per
scoppiare a urlargli tutto il suo infinito amore. Ma sapeva di doversi
trattenere. Nessuno le aveva mai raccontato del brutto anatroccolo.
Nessuno le
aveva mai raccontato fiabe. Tutto quello che sapeva era di essere una
strega
brutta, sgraziata e senza un soldo. Ma pur sempre una strega. Diede
un’ultima
toccatina nervosa alla fiala e si avvicinò a lui. Si accorse
con soddisfazione
che il ragazzo sudava leggermente, il che non scalfiva minimamente la
sua
bellezza ma probabilmente accresceva la sua sete. Si, era la volta
buona.
Dovette continuare a trattenersi per non esplodere, mentre lui si
avvicinava.
Ormai troppo
vicino per ignorarla, alzò lo sguardo su di lei.
“Buon
pomeriggio, signor Riddle” cercò di pronunciare.
Evidentemente qualcosa uscì
dalla sua bocca, perché lui rispose con un sorriso divertito.
“Buon
pomeriggio, ragazza” Non ricordava neanche il suo nome,
pensò lei. No, non
c’era spazio per le illusioni, neanche in amore. Cosa si
aspettava?
Un’attenzione in più? Un momento di calore? Se
avesse avuto di queste speranze,
la sua tasca destra sarebbe stata vuota.
“E’
una
giornata davvero calda per andare a cavallo…”,
tentò. Vedendola impacciata,
confermandosi nelle sue ipotesi, Riddle decise di divertirsi un
po’.
“Sei
mai
stata a cavallo, tu?”, chiese, ben conoscendo la risposta. Se
quella tipa era
mai stata a cavallo, come minimo si era trattato di una scopa,
ridacchiò tra
sé. Non sapeva di essere pericolosamente vicino alla
realtà.
“No”
Rispose
lei. La conversazione non stava prendendo la piega che si era
aspettata. E se…?
Ma no. Comunque fossero andate le cose, sapeva cosa doveva fare.
“Ti
andrebbe
di fare un giro?” Sorrise lui. Si sentì quasi
buono. Le stava offrendo un
divertimento, dopotutto. Si poteva considerare una buona azione?
Cecilia,
probabilmente, lo avrebbe adorato come un martire!
Lei
sobbalzò. Questo non se lo aspettava davvero. La sua voce
rispose prima ancora
che potesse rendersene conto.
“Oh,
si! Sarebbe
bellissimo!”. Lui le porse la mano. Merope non poteva credere
alla sua fortuna:
lo stava toccando, e in pochi secondi sarebbe stata dietro di lui, sul
cavallo,
lo avrebbe tenuto tra le braccia.
Bastò
poco, uno sguardo di disprezzo
di troppo del ragazzo, il fatto che non compisse il minimo sforzo per
migliorare l’atmosfera, per convincerla, alla fine, a versare
quel succo rosso
d’amore nel vino che gli aveva offerto. Lui non rifiutava mai
vino. E non rifiutava
mai di essere servito. Solo pochi secondi, lei fremette
d’impazienza vedendo il
liquido piano piano esaurirsi.
Posato il
bicchiere, Tom Riddle era
innamorato come non lo era mai stato in vita sua.
E
Merope Gaunt era una bellezza, una fata, la
luce dei suoi occhi.
Dimenticare che
quelle parole le
stava dicendo il contenuto di una fiala fu un attimo.