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Autore: Deirdre_Alton    28/06/2011    2 recensioni
C'è un piccolo ragno di nome Agravain che tesse la propria tela, nella sua trama saranno in molti a cadere. Sarà l'imprevisto però a far crollare il suo mondo.
C'è un'altra tela, grande, immensa, tessuta da Dio e dalla Dea. Questa trama si espande, oltre il mare, chi ne rimarrà impigliato?
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Agravaine, Gawain, Mordred, Morgana, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 12

Chi se ne importava di Agravain? Chi se ne importava di Lancillotto, di mio padre e di Kay!?
La verità era semplice anche se faticavo ad ammetterlo con me stresso.
Stavo dannatamente bene con Galahad. Le mie uscite caustiche non lo intimorivano, anzi lo divertivano. La mia vena lunatica era accolta con pazienza, silenzio e chissà perché lo pensavo, comprensione.
Non sapevo però se mi stavo solo illudendo, forse mi stavo affezionato all'idea che gli potessi piacere? Era vero amore? Era giusto? Era sbagliato?
A volte avrei preso volentieri a testate il muro.
Volevo che mi parlasse di sè.
Volevo che mi chiedesse di me.
Ma lui non chiedeva e io facevo lo stesso, eravamo, almeno, io ero esitante. Avevo paura.
Avevo paura?
Affezionarmi, questo era il problema.
Gawain provava affetto per me, ma io lo avevo sempre saputo fin da ragazzini che c'era un baratro tra di noi. Lui era destinato a diventare re, aveva un padre certo, un regno, uomini pronti a giurare fedeltà sulla fiducia solo vedendolo.
Lo invidiavo, volevo essere lui... ero stato lui per un breve periodo, almeno per Sagramore.
Artù.
Quando Morgause portandomi a Camelot mi aveva detto di chi ero figlio, avevo perso un battito del cuore, non le avevo creduto. Poi lo avevo visto, avevo visto me stesso in lui ed il mio cuore di era riempito di speranza, lì al Nord non era insolito che due fratelli si sposassero. Ma qui, dove c'era la civiltà e i cristiani, tutto era diverso.
Io ero il figlio del peccato, un barbaro, bastardo.
Artù aveva paura di me.
Che avesse paura di affezionarsi a me?
L'affetto, l'avevo mai provato?
Credo che, vedere Galahad impacciato mentre tentava di sellare Elvellon, la mia giumenta, senza farsi aiutare degli stallieri, perché si era dimenticato di avvisare i paggi che stavamo per uscire, assomigliasse molto all'affetto.
Mi voltai dall'altra parte, ero incapace di trattenermi dal sorridere come un ebete. Mi si ghiacciò l'espressione vedendo Agravain salutarmi da una finestra del secondo piano.
Tornai a voltarmi verso il monaco novello stalliere, lo feci spostare e mi occupai da solo della sella.
Uscimmo a fare una galoppata, a quanto pareva si fidava a rimanere completamente da solo con me. Aveva un'espressione cupa, guardava fisso le orecchie del suo cavallo bianco.
Non volevo e non ero in grado di dirgli qualche bella parola gentile per dirgli che non ero arrabbiato con lui per quella sciocca faccenda della sella.
«Chi arriva per ultimo al bosco è un amico di Bors!» Dissi scattando in avanti.
«Che c'è di male ad essere amico di Bors?» Lo sentii dire dietro di me, io scoppiai a ridere mentre avanzavo e sentivo che cercava di raggiungermi. Il vento mi fischiava nelle orecchie, il mantello volava dietro le mie spalle e mi sentivo un ragazzino giovane e speranzoso fuori da quelle mura che mi avevano buttato addosso tanti di quegli aggettivi spiacevoli da avermi reso curvo e acido. Come un vecchio.
Galahad arrivò per primo.
«Mi hai fatto vincere? Che vuol dire essere “amici di Bors”?» Chiese lui ansante.
Non l'avevo fatto vincere, semplicemente Elvellon se l'era presa comoda, forse iniziava a trovarmi antipatico, lei sbuffò. Mi leggeva nel pensiero?
«No, non ti ho fatto vincere, ti sei impegnato per non essere considerato amico di Bors, tutto qui.» Evitai di rispondere alla sua seconda domanda fingendomi interessato a sistemare le briglie.
Lo sentii sospirare, io alzai la testa sorpreso. L'avevo offeso? Oh, povero, povero me.
«Allora devi pagare pegno.» Sorrise in un modo che non gli avevo mai visto, sembrava quasi malizioso, se non lo avessi conosciuto avrei pensato che ci stesse deliberatamente provando con me.
Lui diede di sprone al cavallo e si lanciò a correre sul sentiero del bosco, arrivammo in una radura, ci fermammo lì. Scendemmo e dopo aver impastoiato le cavalcature ci accomodammo sotto un altissimo pino, mi sentivo leggermente in imbarazzo, forse avevo voluto interpretare in modo esagerato le sue parole. Di certo aveva tentato di scherzare, anche se ne era praticamente incapace.
Estrassi il pugnale che portavo legato alla coscia e incominciai ad intagliare un rametto che avevo trovato per terra. Lui stava zitto, io stavo zitto. Sentivo come una tensione tra noi due. Cercai di essere il più rilassato possibile, anche se forse mi stavo rendendo ridicolo rigido com'ero, avrei potuto addirittura intonare qualche melodia fischiettando ma non ero così abile.
Galahad si avvicinò a me, sentii il calore del suo braccio sul mio, trattenni il fiato, allungò una mano e mi prese il pugnale. Mi cadde per terra il pezzo di legno che avevo maltrattato fino a quel momento, lo guardai, era pallido ma accorgendosi che lo fissavo divenne di porpora.
Non voleva certo pugnalarmi?
Ma cosa andavo a pensare!
«Mordred, tu devi pagare pegno.» Disse stringendo le dita sul manico del mio pugnale. Io alzai un sopracciglio un po' dubbioso.
«Hai intenzione di strapparmi il cuore con il mio stesso pugnale e poi tenerlo per ricordo in una scatola rivestita di prezioso broccato?» Gli chiesi tra il divertito ed il preoccupato.
«No! No! Assolutamente! Cosa vai a pensare?» Abbassò il pugnale, puntando la lama verso terra, in realtà verso il suo piede. Sapevo che era in grado di giostrarsi bene con le armi ma in quel momento e con quell'espressione non sapevo cosa aspettarmi da lui.
«Vorrei una ciocca dei tuoi capelli.» Disse lui racimolando un briciolo di coraggio per lanciarmi una beve occhiata.
Io caddi a terra di lato ridendo, sentivo la terra umida bagnarmi le tempie e le guance mentre rotolavo all'idea di dare una ciocca di capelli a Galahad.
«Smettila Mordred! Mi stai prendendo in giro, ti prego smettila, ti stai sporcando!» Mi fermai a pancia in su, alzai il busto, mi appoggiai ai gomiti e lo guardai intensamente.
Mente facevo lo scemo sull'erba, si era alzato in piedi.
Non mi era mai sembrato così serio, mai da quando lo avevo visto qualche mese prima. Lo avevo considerato solo un ragazzino gentile, che cercava di essere accondiscendente con tutti, per trovare la compiacenza della Corte.
Ma aveva sfidato suo padre, che lo aveva ammonito contro di me.
Mi aveva cercato.
Mi aveva voluto.
Si fidava di me.
«Ribellione giovanile.» Mormorai piano.
«Come prego? Non ho sentito Mordred! Perché ti mangi le parole? Parla più chiaro», fece una pausa, «per favore, grazie.»
Gli sorrisi guardandolo da lì sotto mi sembrava così alto e imponente, aveva preso solo il meglio da Lancillotto, i suoi capelli biondi sembravano un'aureola grazie ai raggi di sole che penetravano dalla radura.
«Io non mi mangio le parole! Ah... dimmi che non stai facendo tutto questo solo per fare un dispetto a tuo padre.» Lui si mosse per rispondere, ma chinai la testa per chiedergli silenziosamente di lasciarmi continuare.
«Tu passi il tuo tempo libero con me perché stai bene o solo per fare il ribelle che va contro suo padre per attirare la sua attenzione? Io sono un esperto credimi. Voglio, anzi pretendo che tu sia sincero con me. Hai ancora tempo per fuggire lontano dal figlio bastardo del peccato quale io sono. Ma devi dirlo qui ed ora.»
Lui deglutì, si abbassò per mettere il suo viso allo stesso livello del mio. Anche se non torreggiava più su di me, non mi sembrava più un ragazzino, ma un uomo che parlava con un suo pari.
«Io mi trovo a mio agio con te, il fatto che mio padre mi abbia quasi proibito di parlare con te non ha fatto altro che incuriosirmi. Questo è il punto. La mia curiosità è stata premiata, solo in parte. Ci sono lati di te che sono troppo insondabili e va bene così. E' impossibile conoscere una persona appieno, ma stando vicini si possono pian piano capire i suoi comportamenti, i gusti e-», mi avvicinai a lui.
Era la prima volta che vedevo i suoi occhi a così poca distanza, c'erano delle pagliuzze dorate in quel cielo d'estate.
«Mi hai convinto caro monaco, però non mi fido. Preferirei tagliarmela da sola la ciocca, anche se non vedrò molto bene cosa sto facendo.»
Lui esitò a restituirmi il pugnale, forse temeva che mi sarei ferito la testa come uno sciocco, forse aveva ragione.
Mi tastai i capelli sopra l'orecchio, valutai velocemente la lunghezza della ciocca, chiesi con lo sguardo l'assenso di Galahad, lui annuì e tagliai.
Gli misi sulla mano quel piccolo fascio dei miei capelli. «Adesso tocca a te!» Gli dissi.
Lui sorrise. «No, Mordred, sei tu quello che ha perso, sei tu che hai dovuto pagare pegno e sei tu l'amico di Bors!»

   
 
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