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Autore: Sasita    28/06/2011    9 recensioni
Tutto inizia nel miglio. Jane ha ucciso John e non l'ha fatto per legittima difesa. Qual'è la pena per questi omicidi se non la morte? Così inizia una corsa contro tutto, contro tempo e legalità perché Jane e Lisbon possano finalmente vivere la loro vita. Scappando da tutto ciò che è loro noto, si ritrovano a vivere con nomi di altri, e ad amarsi come prima non avevano mai potuto fare. E cosa succederà loro? Riusciranno a scampare i pericoli? E potranno mai tornare a fare quel che amano di più al mondo, nella loro meravigliosa Sacramento? Leggere per sapere! E recensire per piacere! :)
Genere: Commedia, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo Personaggio, Patrick Jane, Teresa Lisbon, Un po' tutti | Coppie: Jane/Lisbon
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Long Fic Jisbon'
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DANCING IN THE RAIN



La cupola del vaticano si stagliava brillante, sotto quella pioggia battente, illuminata dai fulmini che nel cielo rischiaravano una notte buia e fredda. Il vento sibilava negli spifferi, le finestre vibravano e tutto sembrava essersi fossilizzato in un attimo di glaciale, infinita e impersonale interruzione. Che fosse la pioggia, che fosse il vento, che fossero i tuoni e i fulmini, il tempo si era bloccato, fermato come se tutto, all’improvviso, non importasse più. Come se andare avanti, in quel momento, sembrasse troppo difficile o troppo pericoloso, come se quel momento fosse perfetto, da qualche parte per qualche persona.
Il buio della notte assorbiva ogni altra luce o colore. I ristoranti chiudevano, poche macchine correvano, nessuno camminava per la strada. Anche le televisioni ormai tacevano e neppure un mendicante sembrava intenzionato a disturbare quella nera quiete che poche volte ci è concesso di vivere. A volte è la pioggia a creare quelle atmosfere eteree che non sono possibili da dimenticare.
Le scene più belle dei film, ad esempio. Chi non ha amato quel tanto agognato bacio sotto la pioggia in Colazione da Tiffany?
La pioggia è qualcosa di speciale e particolare. A volte ispira tristezza, a volte ci porta a vivere momenti indimenticabili, perfetti e incredibili.
I gatti avevano smesso di miagolare, i cani di abbaiare, le persone di parlare. Qualche ragazza, affacciata alla finestra, osservava pigra le gocce cadere sull’asfalto scuro della strada.
Da qualche teatro arrivava il suono dolce e melodioso di un assolo di violino e le rovine di quell’antica grandezza si facevano accarezzare docili dall’acqua piovana.
Tutto fermo, tutto immobile.
E due anime stavano sospese in un istante senza tempo né spazio. Lì, amandosi, desiderandosi.
Mentre la pioggia faceva da cornice, la loro personale prima meta bruciava in una lenta passione incandescente, lasciando ad entrambi il tempo di assaporare ogni minimo piacere, ogni minimo movimento, ogni minimo colore, ogni minima sfumatura.
Lentamente, senza fretta, ma con ardore e desiderio, con impazienza ed esigenza.
Patrick Jane posò Teresa sul letto: la guardava negli occhi, quasi preoccupato, quasi impaurito. Lei lo osservava tranquilla, come in estasi, mentre gli slacciava la camicia e la faceva scivolare, lungo le braccia e la schiena fino a farla cadere a terra.
Un fulmine squarciò il cielo nel momento in cui con mani sicure e sguardo fiero, Teresa si slacciò il reggiseno, facendolo finire insieme alla camicia.
Jane trattenne un sospiro, osservandola alla luce della grande, piena e luminosa luna che brillava nel cielo, nonostante le nuvole e la pioggia. Lisbon quasi rise, vedendolo così intimorito, e allacciando le dita dietro la sua nuca lo tirò a sé, fino a che non ebbe l’orecchio a portata di voce.
-Non pensare, per una volta. Sono sicura che ti ricordi come si fa... – gli sussurrò roca, iniziando a disegnare con le labbra righe curve tra il lobo e la mascella sulla sua pelle calda.
Tutta la furia, la rabbia, l’angoscia di pochi istanti prima sembrava annientarsi, sotto quella timida insicurezza.
Le mani di Patrick corsero ai fianchi di Teresa, la spostò, avvicinandola a sé, e assaporando in quel contatto la pelle della sua donna, della sua amata.
Lisbon fu più sfrontata: con la sicurezza di chi, in certi momenti, si lascia andare alla sola passione invece che alla mente, slacciò i pantaloni neri di Patrick e, scivolando sinuosamente sulle lenzuola li fece scendere, lentamente. Il semplice essere finalmente accarezzato di nuovo, procurava a Patrick scariche di piacere che aveva dimenticato quanto fossero importanti ed intense. Aveva dimenticato come ci si sentisse ad essere amati, desiderati, sfiorati.
La riportò davanti a sé e la baciò, intensamente, dolcemente, mentre con una mossa repentina liberava entrambi da ogni ostacolo di stoffa che ormai li dividesse e, riscoprendo quel piacere dato dal possesso e dall’appagamento, le accarezzò il seno con le labbra e il corpo con le mani facendola inarcare contro di lui e respirare affannosamente, mentre il tempo continuava ad andare più pigramente del normale, come un vecchio amico che fa di tutto pur di donare un momento di pacifica perfezione alle persone che più di tutte vuole vedere felici.
Un gemito li colpì quando i loro corpi nudi si toccarono, una scarica di adrenalina unita a un puro ed infinito calore.
Teresa afferrò i ricci scuri del suo amante tra le dita ed affondò il viso nell’incavo della sua spalla, odorando la fragranza  intensa di tè che la sua pelle emanava.
Patrick le accarezzò il fianco, la coscia, la gamba ed afferrò il polpaccio, legandoselo dietro la schiena. Aspettò che lei lo guardasse, poi, con un movimento lento, dolce e voluttuoso, entrò in lei.
Tutto intorno si fece silenzioso, come fosse chiuso in una cappa di vetro dove nessun suono poteva essere sentito ma ogni sensazione veniva amplificata. Non sentì il suo gemito, quando gli uscì dalle labbra, ma lo percepì, gorgogliante, nel profondo del suo essere. Non sentì più la pioggia schiaffeggiare il vetro, non sentì più il fruscio del vento e lo sfregare delle lenzuola.
Ogni sua concezione era sparita, come se il suo essere un osservatore ed ascoltatore di professione fosse scomparso d’improvviso. Sentiva solo il battere del suo cuore pulsare in ogni vena, sincronizzato a quello della piccola leonessa che adesso non era che sua.
La vide chiudere gli occhi ed aprire la bocca, istintivamente, mentre una lacrima le scivolava sulla guancia rossa, e lui dischiuse le labbra lasciando morire un respiro proprio lì, spezzato.
Iniziò a muoversi, dentro di lei, le afferrò le braccia, costringendogliele sopra la testa, e la baciò.
Come si descrive un amore sognato e represso da anni, quando finalmente scoppia nella sua più passionale ed intensa forma? Come si mette in parole quel desiderio penetrante e sfibrante, nel momento in cui viene appagato? Quali sono gli aggettivi, i verbi, i sostantivi che si possono scomodare per descrivere l’indescrivibile?
Diamo parole ai sentimenti per renderli noti a tutti, perché ognuno possa dare a una parola una sintomatologia diversa. L’amore, fisico e psichico che sia, per ognuno è diverso. Per alcuni può essere quando le ginocchia cedono, per altri è un’aspirazione nascosta e vibrante, per altri ancora è un vortice che fa girare la testa fino a far perdere il controllo, dando la sensazione di avere tutte le ossa rotte e il cervello ovunque, tranne che nella propria testa.
Come accompagnati dal crescendo di una musica classica, come se tutto fosse davvero un grande film d’amore, i loro corpi erano illuminati dalla luce dei lampi e i loro respiri coperti dal rumore dei tuoni e dalle note di una musica inesistente.
Oscurità, luce. Bontà, malvagità. Uomo, donna. In un gioco di opposti dove ogni cosa si interseca come un puzzle, loro due capirono di essere due pezzi perfettamente combacianti, due estremità che non hanno bisogno di forzature per stare insieme. Non poteva esistere l’uno senza l’altra esattamente come non potevano esistere la luce senza l’oscurità, il bene senza il male, l’agnello senza la tigre, la vita senza la morte. 
Più veloce, più forte. Continuarono a muoversi, tra baci e carezze. Ansimavano beati, affamati e affaticati, alla ricerca di quell’appagamento che solo chi l’ha provato lo può conoscere, e chi non l’ha mai conosciuto non ha che le parole di qualcun’altro per provare a descriverlo.
Patrick la baciò di nuovo, quando seppe di essere ormai vicino. E quando entrambi arrivarono al culmine, in un grido rauco, due uniche parole risuonarono nella stanza, accompagnate dalla melodia dei loro respiri e dal ritmo delle gocce c’acqua.
-Patrick!-
-Teresa!-
Ancora ansimanti, concessero ai nervi il permesso di distendersi. Jane si accasciò su di lei, ben attento a non farle male, ma per niente intenzionato a perdere il contatto tra di loro.
-Ti amo...- le sussurrò all’orecchio, in un sorriso.
Lei lo abbracciò, sorridendo –Anche io.-
E si addormentarono poco dopo, provando a contare i battiti dei loro cuori, irrimediabilmente uniti, e a distinguere l’uno il profumo dell’altra, ormai fatalmente mischiati.
 
 
Delle carezze leggere sulla pelle e il tocco lieve del sole la svegliarono da quel piccolo paradiso personale in cui era caduta. Era mattina ormai e il tiepido calore del suo amante la faceva sentire in un limbo di perfezione. Sorrise a occhi chiusi e si accoccolò meglio contro il petto di Patrick, fino a che non sentì il suo respiro sui capelli.
-Buongiorno, raggio di sole.- le sussurrò lei nell’orecchio -Dormito bene?- chiese
-Benissimo. Buongiorno a te.- rispose lei, senza aprire gli occhi e voltando la testa per farsi baciare. -E tu?-
Patrick le sfiorò l’orecchio con le labbra e sorrise -Non mi lamento...- disse.
Teresa rise piano. -Sempre a fare lo scemo...-
-Scemo ma bellissimo.- rispose lui, mordendole delicatamente la spalla.
-Su questo non c’è dubbio.- sospirò lei –Anche se ingrandisce il tuo smisurato ego, devo ammetterlo. Sei dannatamente bello.-
-No. Tu sei dannatamente bella. Oh, meglio, angelicamente bella.- controbatté lui
-Io l’angelo e tu il diavolo?- ripeté Lisbon –Uhm... sì, mi sembra giusto.- esclamò
-Ah sì, eh? Io sarei il diavolo?-
-Il diavolo dannatamente bello. Dovresti ringraziarmi.- disse lei, giocando con le sue mani. –Adoro le tue mani...-
Patrick ne alzò una davanti ai suoi occhi e la studiò, con fare pensoso. –Già, non sono affatto male... perfette per qualsiasi cosa.- disse, con il sorriso nella voce e sulle labbra.
Lisbon aprì un occhio e glielo fissò in volto –Oddio, Patrick! Sei orribile.- disse, storcendo la bocca.
-Hai detto poco fa che sono meraviglioso e dannatamente bello... sei un po’ lunatica stamattina, eh?- le rispose lui, giocoso.
-Sai a cosa mi riferisco.- asserì lei, tirandogli un leggero schiaffetto sul dorso della mano. -Sei un maiale.-
-Così mi offendi.- le disse, passando leggero le labbra sulla pelle scoperta tra la spalla e il collo della sua donna.
-Non sembri particolarmente offeso.- osservò la mora.
Lui sorrise -Ah, beh, sono uno che si adatta...- le morse il lobo dell’orecchio, facendola sospirare –E comunque... la malizia sta negli occhi di chi guarda.-
Lei si girò, lo guardò e poi, con fare felino, lo butto giù di schiena sul letto, mettendoglisi a cavalcioni sugli addominali.
Lui la osservò esterrefatto –Che stai facendo?- domandò
-Prendo il comando.- rispose, scendendo con le labbra dal petto al ventre.
 
Ben presto l’ora di pranzo arrivò e passò senza che ne Jane ne Lisbon si alzassero dal letto.
Nessuno osò entrare a sistemare la stanza, visto il “Do not Disturbe” attaccato proprio fuori dalla porta.
Niente poté indurre i due amanti a uscire da quella fantastica suite, prima di aver fatto un bagno in vasca o essersi accoccolati sul divano a guardare vecchi film in italiano senza capirne che poche parole.
-Dobbiamo parlare.- esordì Teresa, accoccolata sul petto di Patrick sotto una coperta leggera. Fuori dalle finestre ancora impazzava una bufera di pioggia.
Lui le scostò i capelli dal viso, la osservò e lasciò che il sorriso gli scivolasse via dal volto.
-Lo so. Ma speravo lo stesso che non lo dicessi.- le rispose.
Lisbon si alzò spostandosi al lato opposto del divano e si rannicchiò contro il bracciolo, con le gambe strette al petto. -Ho avuto delle storie, quando già lavoravo con te.- disse
-Lo immagino, sei una bella donna. Interessante. E sei umana, hai bisogno di contatto e…- iniziò lui
-No. Non entrare nella mia testa.- lo interruppe lei - Ho avuto altre storie non perché non riuscissi a stare senza contatto fisico fino a che non ti avrei avuto. Ma perché ero certa che non saresti mai stato mio, pertanto cercavo di dimenticarti, lasciandomi andare tra le braccia di altri uomini.- confessò
-Tu sei la prima dopo mia moglie.- disse Jane, dopo un po’.
Lisbon sospirò –Sono stata con Mashburne.-
Patrick alzò gli occhi su di lei, esterrefatto –Come? Non ci credo.-
-E i tuoi poteri? Non l’avevi notato?- gli rispose Teresa, con un’occhiataccia.
-Ma… Mashburne? No. Quell’uomo con così poco buon gusto...- commentò.
Lisbon gli pizzicò una gamba –E’ stata una sola notte!- si difese.
Lui la guardò, massaggiandosi la parte offesa, e annuì.
-Capito.-
-Ho avuto... tre storie importanti, prima di te. Una, la prima, con Johnny, il mio professore universitario. La seconda è stata… quando? Nel novantacinque, con un avvocato che lasciai poco dopo essere entrata in polizia perché non approvava il “cattivo impiego che avrei fatto della mia intelligenza e della mia cultura”. Siamo stati insieme quattro anni. E l’ultima con un mio collega, quando ero nella squadra di Bosco. Ci lasciammo perché io fui trasferita a Sacramento e ti conobbi...- elencò Teresa –Siamo stati insieme tre anni e mezzo, perché...-
-Sei stata trasferita a Sacramento nel 2003, e ci siamo conosciuti il primo giorno di primavera del 2004.- completò l’uomo, picchiettandosi le labbra con l’indice.
Lisbon annuì. –Sta a te.- disse.
-Oh, beh... io ho avuto una storia importante soltanto. Con Angela. Avevo diciassette anni quando ci siamo ‘messi insieme’...- iniziò, mimando le virgolette con le dita –E ventuno quando ci siamo sposati. E poi, nel 2002 l’assassinio. Avevo trentadue anni.-
Una leggera tristezza avvolse Patrick mentre raccontava la sua lunga storia con Angela. Teresa gli si avvicinò, gli prese il volto tra le mani e, guardandolo negli occhi chiari improvvisamente malinconici, gli sussurrò: -Parlami di loro...-
E tornò ad accoccolarsi sul petto caldo del suo uomo, osservando le gocce d’acqua scivolare pigre sui vetri.
-Angela, prima che scappassimo, faceva la trapezista.- disse Patrick, dopo una lunga pausa. -La incontrai il giorno stesso in cui i suoi genitori si unirono al nostro gruppo di circensi. Lei studiava in casa e quando diventammo amici iniziammo a studiare insieme. Alla fine lei si diplomò, io no. Comunque, a vent’anni ce ne siamo andati e da allora ne io ne lei abbiamo più rivisto i nostri genitori. Lei si laureò poco dopo essere rimasta incinta di Charlotte.- sospirò –Ricordo che i primi anni fu difficile, nessuno dei due aveva idea di come si crescesse davvero una figlia... poi io iniziai a fare il sensitivo e diventammo ricchi. Molto ricchi. Mandammo Charlotte nelle migliori scuole private e ci comprammo una grande villa a Malibù e... e poi io diventai fanatico e mi persi un sacco di cose della crescita di mia figlia, dimenticai mia moglie, la tradii… sono stato un vero stronzo. Ricordo che la domenica andavamo tutti e tre alla messa e mia figlia voleva sempre stare sulle mie spalle... profumava sempre di fragole e crema, era il suo sciampo preferito, l’unico che volesse.-
Una lacrima gli scivolò sulla guancia, perdendosi nel colletto della camicia.
Lisbon gli prese la mano e se la strinse al petto.
-Mi dispiace, non volevo...- cercò di scusarsi, pentita di avergli chiesto di rivivere i momenti belli con la famiglia che non avrebbe più potuto avere.
-Grazie.- esclamò Jane, d’improvviso.
Teresa strinse gli occhi e si morse le labbra, cercando di non permettere alle lacrime di bagnarle il viso.
-Non ricordo molto di quando mia madre era viva. Mi ricordo il suo profumo... un misto tra rose selvatiche e aghi di pino. Il colore rosso acceso del suo rossetto e i suoi occhi verdi, più chiari dei miei. Avevo dieci anni quando morì, davo tutto per scontato, all’epoca. Non avevo mai pensato che la mia fortuna finisse. Vivevo in una famiglia felice, unita... mio padre sorrideva, giocava con me e i miei fratelli, lavorava fino a tardi, però non faceva mai vedere che era stanco. Mia madre ci preparava i panini per andare a scuola la mattina e ci cantava le canzoni, in macchina. Ricordo che il giorno in cui morì avevamo litigato, le avevo detto che una brava mamma mi avrebbe mandata a dormire da un’amica. E che lei non era una brava mamma.- alla fine, le lacrime le uscirono comunque –Lei mi disse che un giorno avrei capito. Un giorno sarei stata madre, e avrei capito che c’è un età per tutto e che l’educazione è importante...-
Patrick la avvolse con le braccia e la strinse a sé più che poté, inspirò l’odore di vaniglia dei suoi capelli e la cullò dolcemente, come fosse un oggetto delicato, da non danneggiare.
-Il primo giorno che ti ho vista ho pensato che un giorno mi avresti salvato.- le disse, in un soffio.
Teresa sorrise, lieta –Io ho pensato che mi avresti fatto finire in una marea di casini, ma che alla fine saremmo finiti per stare insieme. Altrimenti ti avrei ucciso.-  rispose.
Patrick rise, divertito –Meno male che è andata così, allora.-
-Bah, io non ne sarei sicuro, fossi in te... potrei ancora ucciderti: Dakota ha il porto d’armi.- commentò lei, sorridendo.
-Ahia!-
Altri minuti di intimo silenzio passarono tranquilli, mentre loro rimanevano abbracciati su quel divano vittoriano.
-Non pensavo che alla fine ce l’avrei fatta. Credevo che sarei rimasto solo.- affermò lui, alla fine.
-Everybody needs somebody.. everybody needs somebody to love…- canticchiò Teresa in risposta. –Ho sempre sostenuto che i Blues Brothers avessero ragione, quando cantavano quella canzone. Tutti hanno bisogno di qualcuno.-
Lui ridacchiò. –Forse hai ragione...  Sweetheart to miss… sweetheart to miss... Sugar to kiss… sugar to kiss- canto lui.
-Yeah!- fece lei, muovendo le spalle -I need you you you… I need you you you…- continuò
-… I need you you you in the morning… I need you you you… When my soul's on fire!- fecero in duetto, prima di scoppiare a ridere come due adolescenti.
Teresa si alzò dal divano trascinando con se Patrick, accese lo stereo e cercò una stazione dove mandassero canzoni americane.
All’improvviso l’aria della stanza si riempì di musica e di risate. Lisbon si fermò su un canale dove stavano dando Wonderful, di Gary Go, alzò a tutto volume e iniziò a cantare con il cantante. Prese Patrick per la mano e se lo avvicinò, iniziando a ballare e saltellare come una ragazzina.
 
Si scatenarono come fossero in discoteca, ballando sulle note di tante canzoni diverse, baciandosi e rincorrendosi per la stanza.
Fino a che il pomeriggio non lasciò posto alla sera e non venne il momento di andare a cena.
 
Ancora ridacchiando, scesero per mano fino al giardino e si sedettero allo stesso tavolo della sera prima.
Quando il cameriere arrivò per chiedere le ordinazioni erano ancora lì che cinguettavano nemmeno avessero avuto quindici anni e quello, tutto d’un pezzo, non si smosse fino a che non ebbero smesso di guardarsi ed ebbero ordinato la cena.
Alla fine, però, dovettero tornare a parlare di argomenti seri. Argomenti da quarantenni americani in fuga.
-Quindi... dobbiamo decidere se rimanere o partire di nuovo.- iniziò Teresa, tagliando un pezzo di carne e portandoselo alla bocca.
-Perché non dovremmo restare? Che pericolo corriamo?- chiese Jane, arrotolando gli spaghetti intorno alla forchetta.
-Al momento nessuno, ma prevenire è sempre meglio che curare, non credi?- domandò lei, una volta mandato giù il boccone di saltimbocca.
-Sì, però siamo qui da nemmeno due giorni...- fece notare lui
-Ma io non dico di partire adesso, semplicemente pensavo di non rimanere qui troppo a lungo...-
Jane bevve un sorso di vino rosso e osservò Teresa picchiettarsi la forchetta all’angolo della bocca, pensierosa.
-No, certo. Non penso che rimarremo molto più di qualche settimana, però non c’è bisogno di andare via così presto... insomma, possiamo prendere tutto questo un po’ come una vacanza, no?- domandò.
Lei lo squadrò –Una vacanza senza fine, però.- sospirò
-Possiamo fermarci, a un certo punto, immagino. Dobbiamo solo aspettare che le acque si siano calmate. Adesso sarebbe troppo presto per stabilirci, no? Io sono fresco fresco di morte...- fece, in tono macabro.
-Simpatico.- lo prese in giro lei –Sì, ovviamente. Non possiamo stabilirci subito... e comunque all’inizio dovremo trovare un posto sicuro, calmo...-
-Come un paesino in svizzera!- esclamò lui, ritirando in ballo la discussione che avevano avuto poco più di una settimana prima, a New Orleans.
-Mi pare di averti già detto cosa penso della Svizzera, no?- le domandò sarcastica, inghiottendo l’ennesimo morbido pezzo di vitella.
-Sì, ma  io ho anche detto che potremmo permettercelo tranquillamente!- esclamò lui, puntandole contro la posata.
-Quanto sei noioso... vediamo, okay? Ora facciamo come hai detto te: Prendiamola come una vacanza. Magari fra qualche anno potremo pure tornare in America, andare in Montana, in Minnesota...-
-Alle Hawaii!- disse lui, mettendosi una mano davanti alla bocca mangiando la pasta. –Uhm... ottima questa pasta! Cavolo, devo farmi spiegare dagli italiani come farla. Noi non la sappiamo proprio fare...- esclamò poi.
Teresa allungò la forchetta nel piatto di Patrick e assaggiò i suoi spaghetti alla carbonara. –Hai ragione, noi non la sappiamo proprio cucinare la pasta.- affermò.
-Primitiva!- le sibilò lui, dandole un giocoso schiaffo sulla mano con la forchetta infilata nel suo piatto.
-Serviti pure anche te, uomo di grande classe...- gli disse lei, indicando il suo piatto tipico. -...comunque, vacanza, giusto? E dove andiamo dopo?-
Patrick si pulì la bocca dalla salsa burro e vino del piatto di Teresa.
 –Ho sempre voluto visitare Firenze.- disse
-La Firenze di quello che ha scritto la Commedia Divina?- chiese Lisbon.
Lui finse una faccia indignata. –E meno male che hai fatto l’università... la Firenze di Dante, il grande, grandissimo scrittore della Divina Commedia, di Michelangiolo, di Raffaello, di Da Vinci. La Firenze città d’arte, di storia, di cultura, di letteratura... Firenze. Una delle più belle città d’Italia e del mondo. La Firenze per cui una volta avevo pensato di studiare l’italiano... anzi, credo che ricomincerò a studiarlo!-.
Lisbon lo guardò divertita. –Non lo imparerai mai l’italiano!- lo sfidò
-Vuoi scommettere?- chiese lui
-Sì.- disse lei –Quanto?-
-Cento?-
Lei annuì –E sia. Cento dollari che...-
-Cento euro, siamo in Europa.- la corresse lui, continuando a mangiare la sua pasta.
-Uff… come sei pedante! Cento euro che non impari l’italiano. E’ troppo difficile!-
-Per me niente è troppo difficile. Ricordatelo, il mio cervello è un computer, è una tagliola. Può immagazzinare più dati di quanti tu possa mai immaginare...- disse
-Vedremo.- disse lei, finendo il suo piatto e bevendo l’ultimo sorso di vino nel suo bicchiere. –Ottima cena, devo dire!-
Patrick le sorrise.
 –Gli italiani sono famosi per la buona cucina, insieme ai francesi.-
Lei gli fece la linguaccia –Lo sapevo, perfido.-
-Sì, come la Firenze di quello che ha scritto la Commedia Divina...- la schernì lui.
-Io ho una laurea. Quindi: shh!-
Jane alzò le mani in segno di resa –Come vuoi, mia regina.-
Teresa rise –Scemo.-
-Bella.-
-Ruffiano.-
-Quando può portare ottimi risultati certo che sì!- le rispose lui, prima di prenderla per mano e riportarla in camera.







Dice l'autrice:
Buonasera a tutti, miei carissimi amici lettori! Allora, lo so che è un po' che non aggiorno, però credetemi... questo capitolo è stato difficile! Spero vi piaccia, anche perché in questo periodo mi sento molto più votata alla poesia che alla scrittura di FanFiction... ma, ehi, alla fine eccomi qui.
Come molti di voi desideravano, alla fine i due hanno... capitolato. E non mi sono trattenuta. O meglio, è ovvio, come avete letto io non descrivo la dovizia di particolari, anche perché... insomma, sarebbe stupido farlo, dato che non li conosco...
However, ditemi se vi è piaciuto.
Ringrazio tutti coloro che mi recensiscono ogni volta che pubblico un nuovo capitolo, tutti coloro che mi seguono, mi leggono e mi commentano. Siete grandi! 
Dedico questo capitolo alla mia beta (una scrittrice quasi più brava di me... quasi... la trovate sul fandom di Harry Potter, la sua Dramione è davvero meravigliosa. Come si chiama lei? Winter Soul. Andate e leggete!), alle mie Rogue, che in questo capitolo non sono comparse perché era un capitolo JisbonJisbonJisbon.
E a una persona in particolare, a cui qualcuno saprà dare un nome: A te, che ormai mi tormenti anche nei sogni.
E con questo ho concluso!

Un bacio grandissimo,

Sasy

 
   
 
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