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Autore: Ghen    29/06/2011    1 recensioni
Tic. Tic. Tic.
Ancora risuona dentro di me quella macchina; non sentivo altro giorno dopo giorno. Quel rumore dei tasti ha segnato tutta la mia vita; ad ogni
tic io ero cresciuto. Ad ogni tic io diventavo più grande davanti a quella porta e mio padre più piccolo davanti a quella macchina da scrivere.
[Partecipa al "[Mini Original 2] - La Cornice e... l'Invisibile" di Eylis]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non ricordo il colore dei tuoi occhi
 
 
Tic. Tic. Tic.
Sento ancora quel rumore, dopo anni, insistente e rigido, nella mia testa.
Tic. Tic. Tic.
Credo ormai che come una macchia d’inchiostro si sia attaccato alla mia pelle, ai miei muscoli, alle mie ossa, ai miei pensieri, e che mai se ne andrà. Una macchia d’inchiostro proprio come quelle che si andavano a disperdere nei fogli bianchi e mio padre, esasperato, stracciava tutto e buttava via. E poi di nuovo tic, tic, tic. La macchina da scrivere riprendeva a partire, calma e a volte frenetica, inciampavano le lettere e lui sbuffava.
Che tipo era mio padre? Forse non l’ho mai conosciuto davvero. Ricordo solo le sue spalle sotto il maglione di cotone di quando lo osservavo davanti alla porta della sua stanza, io ancora piccolo, e lui troppo grande. Stava davanti a quella macchina da scrivere giorno e notte. Ogni tanto lo vedevo poggiare gli occhiali sulla scrivania per poi asciugarsi la fronte e di nuovo infilarseli.
Mio padre voleva che diventassi medico. M’iscrisse ad una scuola molto ricca quando ebbi l’età e non poteva permetterselo.
Tic. Tic. Tic.
Ancora risuona dentro di me quella macchina; non sentivo altro giorno dopo giorno. Quel rumore dei tasti ha segnato tutta la mia vita; ad ogni tic io ero cresciuto. Ad ogni tic io diventavo più grande davanti a quella porta e mio padre più piccolo davanti a quella macchina da scrivere.
 
Tic. Tic. Tic.
Il tempo è trascorso, lo so, ma non ricordo nulla di nuovo.
 
Mi affaccio davanti a quella cornice e mi rivedo bambino, con i calzoni corti e il farfallino, che mi apprestavo al mio primo giorno di scuola; e mi rivedo grande mentre me ne vado, con i calzoni lunghi e la cravatta, il mio ultimo giorno di scuola. Non ero mai riuscito a diventare medico: sono scomparso.
Resto affacciato alla cornice che come una magia – no, maledizione – mi porta a rivedere continuamente il mio passato, quel poco che c’è da raccontare, fino alla fine.
Sono ancora qui eppure, davanti a quella porta ad osservare le tue spalle davanti alla macchina da scrivere. Scrivi con gli ultimi tic della tua vita i ricordi di un figlio che non hai mai vissuto, che doveva diventare medico e non ce l’ha fatta. Posi gli occhiali tondi e ammaccati ancora una volta sulla scrivania ma non li riprendi più, io ti vedo, tu piangi. Perché piangere? Non capisco, papà, io sono invisibile ora come lo ero allora.
 
Tic. Tic. Tic.
Mi riaffaccio alla cornice che incornicia la mia vita. La mia inutile vita non vissuta.
A cosa è servito, papà? Non ho amato, non sono diventato medico, non ricordo il colore dei tuoi occhi. Non sono mai diventato piccolo come lo sei tu ora: gracile e fine, non sembri più tu.
Nutrivate grandi speranze, tu e mia madre? Riaffacciandomi alla cornice posso rivedere gli immensi sorrisi dovuti alla mia nascita… Una nuova vita, non è così?
Ricordo ancora bene nella memoria, senza usare la cornice che mi è stata affidata, le tue lacrime pesanti e lunghe di quella sera scura, quando mia madre venne sepolta e consegnata agli angeli. Mi tenevi stretto a te quasi a farmi male ma quando mi lasciai la tua mano non toccò mai più la mia pelle, me lo ricordo, papà.
Tic. Tic. Tic.
Eri ancora un ragazzo quando la tua vita si spezzò con la sua; vedo attraverso la cornice buia la tua disperazione. Avevi paura, papà. Sorridevi ma fingevi, non mi hai più guardato in faccia da quando non poté più farlo mia madre.
Mi hai amato?
Avevi paura di una vita nostra e mi hai lasciato crescere ad osservarti dalle spalle. Avevi paura di essere di nuovo felice, di ricominciare, che tutto avrebbe potuto spezzarsi ancora e non ci hai neanche provato, papà.
 
Tic.
Ero invisibile nella tua vita.
Tic.
Non ci sei mai stato.
Tic.
Avevo anche io paura.
 
 
 
 
Il rumore si è zittito. Mi dispiace di com’è stato, papà. Se solo ti fossi voltato, avresti visto che io ero proprio lì ad aspettarti, sempre, per provare a sorridere insieme.
 
Il tuo corpo ora è floscio su quella dannata macchina da scrivere, finalmente zitta. Attraverso la cornice vorrei poterti toccare ma non mi è più possibile; è troppo tardi.
Mi sdraio in quel pavimento freddo e tengo stretta la cornice nel petto, quel rumore se n’è andato. Mio padre se n’è andato. Nella mia testa ora si fa viva solo la sua voce che mi chiama, tacendo quella macchina, e nulla può farmi più sorridere di quello.
 
«Alfred».
«Sono qui, papà
».
 
 
 
 
 
 

 
 


 
 
 
 
 
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Questa piccola shot partecipa al contest di Eylis “[Mini Original 2] - La Cornice e... l'Invisibile”, con scadenza il 7 luglio, io ovviamente ho già consegnato o non avrei potuto postarla.
 
Quasi tutto come un sogno, un sogno terribile da cui è difficile svegliarsi. Forse questo piccolo racconto parla in modo un po’ astratto di una delle mie paure più grandi: quella di non riuscire a vivere la vita e di restare sola. Si hanno grandi aspettative (diventare medico in questo caso) ma infine ci si ritrova senza più nulla tra le mani. Il padre del protagonista si è visto spezzare la vita e non è riuscito a tirarsi su. Voleva che suo figlio diventasse medico per imporgli un obiettivo nella vita, che lo portasse ad avere soldi e magari a una vita migliore di quella che si era scelto lui, ma non si rendeva conto che con la sua disgrazia aveva trascinato con sé il figlio. Alfred fin da bambino non era riuscito a ricevere amore e non gli è stato insegnato il motivo importante per cui conseguire quell’obiettivo. Non aveva senso per lui riuscire a diventare medico se non riusciva neppure ad avvicinarsi a suo padre, e così alle persone, era solo: a che pro riuscire nella vita se non aveva qualcuno con cui condividerne la gioia? Forse Alfred era stato ucciso da questo, e in effetti è così che volevo un po’ far pensare al lettore.
Per il resto… mi sono quasi messa a piangere mentre scrivevo XD Non è la prima volta che mi succede, ma ho scritto una cosa triste stavolta… e infatti non so dire se mi è o meno venuta su bene XD
Il titolo mi piace molto :) Appena ho scritto quella frase ho pensato di intitolare tutto così.
 
Un grazie sincero a chi ha letto e a chi magari lascerà una recensione ^^
 
Alla prossima,
ciao, ciao da Ghen =^_____^=
   
 
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