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Autore: olor a libros    29/06/2011    2 recensioni
Taylor Swift, la superstar.
Ma tornate un attimo indietro, a quando poteva sembrare solo una semplice ragazzina. Oh, non lo era. Era speciale anche allora, il fatto è che non aveva riflettori puntati contro a mostrare al mondo quanto fosse fantastica. Dovevi essere tu, in grado di guardarle dentro. Be', questo ragazzo c'era riuscito...
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il giorno dopo ero ancora come immerso in un sogno, persino andare da Taylor e parlarle mi sembrava facile.
Ovviamente quando apparve davanti ai miei occhi - non come una visione o un angelo, ma reale - tutto il mio coraggio scivolò via e tornai ad essere il Chris di sempre. Il chris apparentemente freddo, il cuore chiuso ermeticamente con la paura di mostrare ciò che c'è dentro. Eppure questa volta dovevo parlare, dovevo fare i complimenti a lei e alla sua voce.
Era sola davanti al suo armadietto, ma ancora per poco: da un momento all'altro sarebbe arrivata l'amica oppure Drew, era troppo preziosa per esser lasciata sola.
Così mi feci avanti. Dopo tredici interminabili passi attraverso la folla di studenti la raggiunsi, lei era di spalle.
Andiamo Chris, parla. Adesso.
"Ehm, ciao Taylor. Volevo solo dirti che - ecco, ti ho sentita su Country Radio e..."
A metà del mio discorso si voltò, ma non vidi il viso che mi aspettavo. O meglio, era sempre il suo viso, ma senza il sorriso era diverso, sbagliato, spento.
Perché il sorriso non era al suo posto, dove doveva stare? E perché quegli occhi che solitamente brillavano per l'emozione in quel momento brillavano per i rilessi delle lacrime?
Comunque apparisse la mia reazione dall'esterno, lei non vi fece caso e parlò come se fosse tutto normale.
"Oh, ciao Chris. Sul serio ascolti Country Radio?" Si era asciugata le lacrime e stava fingendo un sorriso, che però non era niente se confrontato con quello vero.
"In realtà... Sì.", risposi. Perché mentire? Lei non mi avrebbe giudicato male, quella era la sua musica!
E poi certo, non avevo scampo: non potevo più tirarmi indietro con un "Oh no, ero solo di passaggio...Figurati se ascolto quella roba".
Quella roba era la mia consolazione, chi meglio di Taylor poteva capirmi?
Ebbi la certezza di aver detto la cosa giusta quando vidi sbucare un piccolo riflesso del suo sorriso - quello vero.
Stava per parlare, quando arrivò la sua amica. Quest' ultima capì all'istante che il bel viso di Taylor era stato segnato dalle lacrime, e forse a differenza mia sapeva a cosa erano dovute.
"Taylor, cosa c'è che non va? Vieni, mi devi dire tutto." Non aveva ancora finito di parlare che già la stava tirando verso il bagno delle ragazze.
Taylor fece un cenno verso di me come per scusarsi e disse: "Ci vediamo all'uscita, ti va?".
Era una proposta inaspettata, che mi lasciò spiazzato e con un sorriso ebete ben stampato in faccia.
Quando trovai la forza per gridarle "Va bene" era già lontana, ma in qualche modo mi sentì e mimò un okay'
Poi si rivolse alla migliore amica, ed io riuscii solo a sentire queste parole iniziali: "Abigail, è Drew... non fa altro che parlarmi della sua ragazza..."
Me ne andai, con la speranza che questa Abigail la consolasse - di sicuro meglio di quanto potessi fare io -, con la speranza che il tempo passasse in fretta.
Neanche a dirlo, il tempo lo vidi passare con la lentezza tipica di chi aspetta. Infine suonò anche l'ultima campanella e io fui libero di correre fuori, senza fermarmi a pensare a cosa - o chi - stavo andando incontro.
Lei mi aspettava.
Era sola, o forse no: lei, il suo sorriso e una chitarra.
Aspettavano me, Taylor e la chitarra, al fondo delle scale - lontane come un sogno, vicine come un sogno.
Anche il sorriso mi stava aspettando, venne fuori proprio nel momento in cui gli occhi azzurri mi videro.
"Ciao."
"Ciao."
Si guardò intorno, poi disse: "Cosa ne dici di una passeggiata?"
"Certo", risposi. Qualsiasi cosa, pensai.
Iniziammo a camminare, in silenzio. Non sapevo cosa dire, non sapevo se ci fosse, in realtà, qualcosa dire.
Ci pensò lei a parlare, una volta uscita dal suo mondo di pensieri.
"Così... ascolti Country Radio. Oh, ma questo me l'hai già detto, scusa."
La sua risata era così naturale, semplice e meravigliosamente incredibile, che sarei rimasto ore ad ascoltarla. Eppure dovevo rovinarla con la mia voce, dovevo pur dire qualcosa!
"Sì be', lo so che è strano..."
"No, non lo è affatto! O forse sì, ma cosa importa?"
Che razza di ragazza speciale mi trovavo davanti, possibile che fosse lì a passeggiare con me?
"Hai ragione. La musica country... potrà essere da sfigati, ma a me non importa. Quello che mi importa è che mi fa star bene, mi aiuta a pensare, a sognare, e... E non so perché sto dicendo a te tutto questo, davanti a chiunque altro me ne vergognerei, ma..."
A finire la frase, non ci pensavo proprio. Con tutte queste parole che mi stavano uscendo era come buttarsi giù da un ponte, mancava solo l'ultimo passo ma non sarei certo stato io a farlo!
Lo fece lei, quell'ultimo passo: "Ma io ti capisco." disse, e precipitammo insieme.
Mi sorrise, io le sorrisi. Non c'era nient'altro da dire, non a parole.
Dopo un po' arrivammo in un parco.
Milioni di foglie di milioni di colori diversi formavano il meraviglioso tappeto autunnale.
Era una bambina quella che mi affidò la chitarra e si allontanò dal mio fianco per correre sulle foglie, aveva la risata spensierata da bambina e gli occhi meravigliati da bambina.
Io la guardavo da lontano mentre si scuoteva i capelli pieni di foglie, e dopo un po' la raggiunsi per aiutarla nel suo intento.
Quando i suoi capelli biondi erano di nuovo biondi, senza più traccia dell'arcobaleno di foglie, lei d'un tratto si fece seria e disse: "Ora ti canto una canzone".
Si sedette su di una panchina - anch'essa nella sua versione autunnale, colorata di foglie - mentre io mi accomodavo per terra, di fronte a lei.
Prese la chitarra e si fermò un istante a guardarmi.
"Questa si chiama American Boy".
Iniziò a suonare, l'aria si riempì della dolcezza della sua voce. Io mi persi in quella canzone, che dipingeva con poche parole il ritratto di un ragazzo americano come tanti.
Mi persi nella meraviglia di quella visione catturando ogni singolo particolare, dalle dita che accarezzavano le corde al modo in cui i capelli cadevano sulla chitarra.
E infine mi persi nei suoi occhi che mi guardavano, occhi sorridenti e felici.
   
 
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