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Autore: Lucy_lionheart    30/06/2011    0 recensioni
Partecipa al "Childhood Slice of Life" contest indetto da "Oc's Place: La casa dei tuoi personaggi originali."
Marina Vargas, il Centro-Italia.
Per quanto difficile e dura, anche una Nazione o una sua parte ha un'infanzia; la sua è fatta di spade, di penne, di sorrisi, di sangue e di gigli.
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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tre
3. Di Sangue e Gigli.








Pioveva.
Pioveva incessantemente, pioveva così tanto che coloro che si muovevano sotto le mille gocce quasi dovevano stare attenti nel prendere il respiro, poiché altrimenti si sarebbero ritrovati a bere un bicchiere d'acqua direttamente dalla sua fonte principale.
E pioveva dal tuo viso.
Quanti anni parevi avere, quella volta? Undici o poco meno.
Il vestito che un tempo avevi sporcato di fango per rivendicare il tuo possesso su un quadro adesso ti arrivava sopra il ginocchio, quando prima sfiorava l'inizio dei polpacci, se piegavi il braccio la manica saliva rovinosamente.
Avresti dovuto cambiarlo, ma non importava.
Era un ricordo... un suo ricordo.

<< Cherì, ormai è notte. >>

Ti voltasti appena quanto bastava a vedere colui che aveva parlato, ruotando il busto, mentre le ginocchia rimanevano piantate a terra.
Francis, in armatura.
Era cresciuto molto, lo faceva ogni anno e ormai pareva quasi un uomo.  Tu invece eri sempre una bambina i cui occhi erano tornati a essere tristi.

<< La giornata è finita. >>

Continuò lui, con una dolcezza vocale ben diversa dal tono di scherno che ti aveva sempre riservato; sapeva che in quel giorno, in quella ricorrenza, eri come un cristallo o come uno dei gigli bianchi che crescevano nel giardino: delicato e colpito in continuazione da una pioggia maledetta.
Tu scuotesti la testa, sorridendogli di rimando.

<< Non ti preoccupare. >> iniziasti, sorridendo appena, come a ringraziarlo del trattamento che quel giorno ti era annualmente riservato. << Resto ancora per un altro po' con il Maestro. >>

Lui sospirò, avvicinandosi e carezzandoti i capelli con la mano guantata di acciaio.

<< Marì, lo sai che questo al momento non è un posto sicuro. Che io non posso proteggerti. E la notte è scura, potrebbe succedere... >>
<< Francis. >> Lo interrompesti, netta. << Ti prego, comprendimi. Sai... sai anche tu cosa si prova. >>

Il francese perse leggermente di colore, a quelle frasi, mentre i ricordi risalenti a cento anni di sangue e corti capelli d'oro si facevano facilmente largo nella sua testa, nel suo cuore.
Non disse nulla, allora, limitandosi a rivolgerti un sorriso mesto e comprensivo.

<< Oui, oui. Ma poi non dire che ti avevo avvertito, cavalier d'Italia. >>

Disse, con tono scherzoso, scompigliandoti i capelli e avviandosi verso l'arcata che fungeva da porta. Si voltò un'ultima volta a sorriderti, muovendo la mano in cenno di saluto.

<< Arrivederci, Marine. E... Ou Revoir, Messier Léonard. >>

La sua figura sparì e i tuoi occhi, in uno scatto quasi automatico, tornarono a posarsi sulle tue mani congiunte in preghiera.
La cappella di Saint-Hubert era illuminata solo dalla luce delle candele che tu avevi accesso e da quella naturale della luna che filtrava nei mosaici, proiettando contro il tuo viso e oltre te ombre colorate.
Per un solo momento le tue mani si sciolsero, e una, quella che pareva tremare di meno, si portò alla lastra di marmo che avevi di fronte, carezzandola con una dolcezza presso che infinita.
Sorridesti, con gli occhi umidi, lasciando che le dita accarezzassero il bordo delle lettere che, sul fondo della lastra, erano stata modellate con il ferro.
Faceva male, ne faceva tanto, riconoscere dal solo tatto quel nome. Ma ti rendeva anche minimamente più vicina a lui.

<< Sono passati cinquant'anni, ormai, Maestro... >>

Sussurrasti, carezzando ancora la lapide.
Quel 2 maggio 1519 tutti avevate pianto; tu, che svegliandoti l'avevi visto con un sorriso sulle labbra prive di colore, il Melzi, nel cercare ti allontanarti da lui, addirittura il re di Francis si era lasciato andare a un pianto sconsolato.
Come era stato lasciato scritto dallo stesso Leonardo, si era compiuta la cerimonia, erano state suonate le laude, spartiti gli averi.
E dopo tutti quegli anni di Leonardo da Vinci restavano ogni genere di manufatto artistico, una fama estesa al di fuori dell'Europa e una tomba in Francia.
Da lì in poi, ogni due maggio i recavi a Amboise e vi restavi per una o due settimane, o, più semplicemente, per tutto il tempo in cui sentivi di dover piangere e parlargli.
Gli raccontavi cosa accadeva a Firenze, a Roma, degli artisti emergenti e di quelli che facevano i più grossolani errori, di come stavano i suoi allievi, pure il Caprotti, e come stavi tu.
Eri arrivata a destinazione la notte precedente e da quel momento le tue ginocchia non si erano più scollate dalla pavimentazione della cappella, rappresentate dei gigli.
La notte era ormai scesa, e tutto era quieto; da quando quel castello era stato teatro della spaventosa Congiura a cui dava il nome, nessuno più vi abitava se non l'anima del Maestro.
Le uniche cose udibili erano le tue parole, sussurrate in fiorentino e anche in latino e la pioggia, che con forza e continuità batteva e batteva, e scrosciava, coprendo ogni rumore.
Anche quello di passi sconosciuti.

Fu un attimo.
Bastò solo sentire quell'ombra che lenta si stagliava su tutta la sua figura, opprimendoti il cuore come se essa avesse consistenza.
Il sangue ti si gelò nelle vene per un altro attimo, quello necessario a tirarti in piedi di scatto, rompendo la preghiera.
Non avevi mai capito perché Francis quell'anno aveva tanto insistito perché tu lasciassi perdere la cara ricorrenza, perché ripeteva ogni volta che quello non era un posto sicuro.
Tu, la tua testardaggine e il tuo orgoglio non gli avevate dato ascolto.
Ma ora capivi il perché di tali parole e anche quanto eri stata sprovveduta.

<< Ma allora è vero quello che ci dicevano... >>

Osservasti i due uomini davanti a te: non avevano corazze, ma portavano con loro attrezzi per la terra, dalla quale un occhio poco attento avrebbe potuto dedurre che erano due contadini. Ma a tradire quell'ipotesi erano i pugnali che stavano appesi alle cinture di pelle e il simbolo che portavano sul petto.

" Ugonotti. "

Pensasti, non emettendo respiro.
Eri messa male, molto male. Non ti eri mai portata la spada in quei viaggi, in quanto sapevi che essa non era mai stata amata dal Maestro  e non avevi null'altro per difenderti se non le tue mani.
Arrivavi all'ombelico del primo, forse riuscivi a sfiorare i fianchi al secondo.
In una situazione simile l'unica cosa che potevi fare era aspettare e sperare che non succedesse nulla.
Diplomazia, Marina, diplomazia.
Anche se sei poco più di una bambina saprai usarne un po', no?
Dovevi solo fare come Lorenzo De Medici, come Macchiavelli, come l'adorato Leonardo.
L'uomo ti si avvicinò, mentre il secondo restò sulla porta.

<< Una della Famiglia Dell'Italia, i Vargas, è qui in Francia. Il Centro, poi, che grande onore! >> L'uomo rise, mentre tu continuavi a restare in silenzio, a denti stretti.  << Pensavo che tu fossi sempre nelle catene dello Stato della Chiesa. >>

Deglutisti, al sentire quel nome. Non era che fosse una bugia, grande parte di te era allevata dalla signorina Lucia, che si poteva quasi definire la tua tutrice.
E no, non sopportavi che si parlasse di lei con quel tono.

<< Sì, sono io. >>

Rispondesti, con voce secca e decisa. Non dovevi... non potevi mostrarti spaventata.
Quello si avvicinò ancora e tu, istintivamente, indietreggiasti e indietreggiasti ancora, fino a inciampare e cadere sulla lapide.

<< Allora saprai di certo dove si trova Caterina de' Medici. >>

A quelle parole subito intuisti dove volevano andare a parare; allora era vero che quei pazzi volevano organizzare una seconda congiura...

<< Sono spiacente, ma ricevo poche notizie da madamigella Caterina, in quanto essa ora è nobile di Francia. L'unica cosa che so è che questo castello è abbandonato dalla fine di marzo. >>
<< Davvero non sai nulla, piccina? >>

Il tono melenso usato per farti adescare in quella più che evidente trappola ti fece salire ancor più la rabbia in corpo.

<< No, assolutamente nulla. Anzi, avevo  intenzione di lasciare questo posto... >>

Mormorasti, cercando di alzarti, ma quello ti respinse giù con ben poca delicatezza.

<< Spiacente, non ancora. Abbiamo fatto anche noi molta strada, sarebbe brutto andarcene a mani vuote... >>
<< Non capisco a cosa vi riferiate, ma non ho nulla di valore con me. >>

Continuasti, sentendo le pupille tremare nel reggere quello sguardo. Non sarebbe finita bene.. non sarebbe finita bene affatto.
Quello rise e anche l'altro si avvicinò, brandendo la pala.

<< C'è qualcosa, qui, che vale molto di più dell'oro. E tu ci sei seduta sopra. >>

Quelle parole ti congelarono, bloccando il sangue nelle tue vene e lasciando vivo solo il cuore, che batteva nel tuo petto così forte da farti male.
E le tue piccole dita sudavano, mentre si scontravano con la superficie fredda e liscia della tomba di Leonardo da Vinci.

<< ... no. No, no! >>

Ti alzasti, nel vedere il tipo con la pala avvicinarsi, lanciandoti contro di lui con il cuore in gola.
Non importava la stazza, non importava l'essere disarmata.
Avresti difeso il tuo Maestro a costo della tua vita.
Senza minimamente riflettere, lasciasti che il tuo corpo si muovesse per te, come durante la Congiura dei Pazzi, e una di loro, miracolosamente, riuscì a sfilare via il pugnale dalla cintura dell'uomo, di cui mancavi un pugno solo per grazia divina.
D'impulso lo affondasti nella gamba del gigante, che urlò di dolore, e subito dopo ti allontanasti, ansimando e guardando in ogni direzione, mentre il tipo cadeva.
Bene, fuori uno.
Ti girasti, trovando l'altro a pochi centimetri da te, con il pugnale a tagliare l'aria; s'incrociò con il tuo e in quella lama sentisti tutto il peso del suo possessore.
Con i piedi ben piantati a terra spingesti verso l'ugonotto, con ogni minimo grammo di forza che avevi, fin quando, con un suono acuto e scheggiante, la sua lama s'infranse contro la tua.
Quello indietreggiò e sul tuo volto comparse un sorriso; avevi vinto, ormai, eri riuscita a...

Un rumore, come una raffica di vento echeggiò dietro di te, fermandosi nell'esatto momento in cui tu ti voltasti;
nell'esatto momento in cui il ferro della pala colpì con violenza il tuo viso, offuscando il mondo.

<< Maledetta mocciosa. >>

Quella frase fu pronunciata dalla voce che riconoscesti come appartenente al primo dei due che avevi colpito, evidentemente non così gravemente da farlo stare a terra, dove adesso ti trovavi tu.
Ansimasti, dal freddo del pavimento, combattendo con il tremendo dolore che proveniva dalla tua tempia e ti istigava a chiudere gli occhi e abbandonarti alle tenebre, la l'unica cosa che il tuo corpo fu in grado di fare fu lasciar scivolare una lacrima lungo la tua guancia, seguita da un'altra.

Urlasti senza emettere nessun rumore, quando le mani spinsero la lastra fino a spostarla, un gemito piangente uscì dalle tue labbra bianche quando l'utensile sporco del tuo sangue affondo nella terra, buttandola poi ovunque, anche addosso al tuo corpo.
Il tuo cuore si strinse fino a farti tossire sangue, alla vista dello splendido corpo osseo, avvolto in vesti eleganti e nella sua barba così morbida, spostarsi dalla cassa pregiata ad un sacco sporco e logoro.
Nella mandibola, ove qualche rimasuglio di pelle faticava a consumarsi, credesti di riconoscere il sorriso che ti aveva rivolto al vostro primo incontro.

<< Andiamocene. >>
<< No.. non ancora. Se lasciamo tutto così se ne accorgeranno. >>
<< Tanto  ci penserà quella Fille du Diable a parlare! >>
<< Beh... possiamo risolvere due problemi in uno. >>

Non opponesti alcuna resistenza quando le braccia dell'ugonotto ti afferrarono, lanciandoti dentro la cassa mortuaria, nella quale cadesti come una bambola, incapace di muoverti.
Oppure senza motivo per farlo.
Lentamente calasti nell'oscurità, osservando la luce delle candele e i volti dei ladri farsi sempre più lontani attraverso la parte superiore della bara, lasciata mezza aperta.
Poi dall'alto iniziò a cadere la terra, che ti colpì come la pioggia colpiva i gigli del giardino.
Ah, il Maestro si sarebbe arrabbiato... avevi il vestito tutto sporco di fango come quella volta.
Infine, la lapide lenta scivolò, facendo eclissare il rettangolo di luce.

Seppellita.
Viva, ma morta.

Ci volle un'ora, due ( chi lo poteva dire, nel buio totale? ) per farti prendere nuovamente coscienza, per farti tornare alla mente l'immagine di te, china a pregare sulla tomba.
La consapevolezza di tutto quello che era successo e di dove ti trovavi ti colpì al petto, e in un attimo l'odore di putrida terra ti aggredì le narici, facendoti tossire in continuazione, mentre l'aria piano piano si faceva sempre meno presente.
Eri sola nel buio.
Adesso... adesso non avevi nemmeno più un posto dove piangere.

E, senza che te ne potessi accorgere, tutta la voce che prima non eri stata in grado di usare uscì con violenza e rabbia dalla tua gola.






*





Urla dei dannati.
Era la prima cosa che avevi pensato, una volta coperta la distanza che dal castello deserto di Amboise ti portava alla cappella di Saint-Hubert, dove l'uomo di cui portavi il cognome, per caso, per nomina o per semplice destino, riposava in eterno.
O almeno così dovrebbe essere stato.
I tuoi occhi blu scrutarono dal pesante cappuccio e dalle ciocche di capelli corvini ciò che ti stava attorno; sotto la pioggia battente non vi era anima viva e il tuo orecchio continuava a suggerirti che quelle grida strazianti provenivano proprio dalla cappella.
Ti chiamavi Marcus e dimostravi circa sedici anni.
Eri cresciuto in un ambiente monastico che poco si adattava al tuo carattere e, soprattutto, a quello che adesso facevi.
Ma quell'ambiente ti aveva reso indipendente; indipendente dalle mani morbide e vellutate della Signorina Lucia ( peccato che però spesso ti ritrovassi ancora vicino a quella figura opposta alla tua ) e dalla famiglia Vargas. Eri così diverso da questi ultimi! Fin da l'inizio era stato impossibile considerarti parte della loro famiglia, un fratello.
Tu eri solo, solo e indipendente e sempre lo saresti stato.
Tranne per quel "Da Vinci" nel tuo nome. Non ne avevi mai avuto uno e a dartelo era stato proprio quell'uomo, l'artista da tutti conosciuto, in un incontro casuale avvenuto a Roma ( tu eri lì per discutere con la Signorina Lucia, lui per lavoro).
La notizia della sua morte, pur non turbandoti eccessivamente ( eri abituato bene a vedere la gente morire, tu ) ti aveva però lasciato qualcosa nel cervello, un pensiero, potremmo dire.
E dato che in quella settimana ti trovavi proprio nella zona della Loira per lavoro avevi deciso di fare un salto alla sua tomba.
Ma adesso non era più questa a "incuriosirti" bensì quelle urla piene di dolore.
Avanzasti ancora senza indugiare e notasti così che oltre ai tuoi sul terreno fangoso c'erano altre impronte ben più grandi.
Era successo qualcosa, adesso ne eri più che certo.
Entrasti nella cappella, dove le urla echeggiavano con una potenza tale da farti portare una mano all'orecchio destro, per tapparlo, trovandola disastrata; no, per quanto avessi sentito parlare della pulizia ben poco accurata dei francesi, quello era veramente troppo.
Notasti la lapide, storta, sporca di terra ai bordi.
L'intuizione che ti arrivò fece cambiare espressione al tuo viso perennemente freddo e distaccato: le urla non venivano dalla cappella.
Le urla venivano da sotto la cappella.
Normalmente avresti dato ben poca importanza a una cosa simile, te ne saresti andato, lasciando perdere e facendo semplicemente finta che nulla fosse successo.
Ma qualcosa ti spinse a spostare la lapide con un calcio, per andare a scoprire da cosa provenivano quelle urla che ora riconoscevi come femminili.
Ti togliesti la lunga cappa scura, mostrando quello che era un fisico decisamente ben allenato per un ragazzo della tua età e estraendo dalla cintura che portavi in vita il quarto dei tuoi ben affilati pugnali, con cui tranciasti la terra, scavando come meglio ti riusciva.
Uno che faceva la tua professione mica si portava dietro una pala.
Riuscisti però a scavare una buca abbastanza profonda e delle dimensioni della tua spalla, dalla quale potevi intravedere uno degli appigli della bara.
Le urla, adesso, erano ancora più forti, ma quando il tuo braccio afferrò l'appiglio, trascinando la cassa verso l'alto, esse cessarono all'improvviso, in modo tanto smorzato da farti quasi pensare che la persona al suo interno fosse deceduta.
Senza altro aspettare, quando essa era ancora in perpendicolare e mezza inabissata nelle tenebre, la schiudesti.
I tuoi occhi, per la prima volta da tanti anni, si sgranarono, mentre osservavano quel volto ansimante e sporco di sangue e terra già incontrato svariate volte.
Era Marina Vargas, la seconda dei tre. Il Centro - Italia.
Vi guardaste negli occhi per quella che sembrava un'eternità, i suoi erano tremendamente diversi dall'ultima volta che li avevi visti: la tonalità rossa che faceva brillare il marrone adesso non ti dava più quella sensazione di calore.
Bruciava, invece. Come un fuoco che tentava di dilatarsi in ogni dove.
E il sorriso, che ben ricordavi per la sua quasi odiosa radiosità, era sparito, lasciando lo spazio solo a una bocca dischiusa a prendere respiri.

<< ... Marcus? >>

Chiese, con tono quasi distaccato. Era sconvolta, non ci voleva nulla a capirlo.
Incrociasti per l'ennesima volta lo sguardo al suo, colpito dalla luce lunare che filtrava nella chiesa. Fu quell'immagine a fartelo notare:
nonostante i suoi occhi fossero il fuoco e i tuoi il ghiaccio il vostro sguardo era lo stesso.
Lo sguardo di chi non aveva null'altro da perdere.

<< Sono io. >>

Rispondesti, distaccato.

<< Che ci fai qui? >>

La scioltezza con cui parlava di sorprese; nonostante tutto aveva trovato la forza per esprimersi a parole,

<< Ero qui per caso. Tu, invece? >>

Osservasti ancora una volta la sala; c'era sangue per terra, impronte molto più grandi delle sue e un pugnale sporco di rosso, così come lo era lei.

<< Come ti sei fatta quella? >>
<< Mi hanno colpito con una pala. >>

Come sospettavi, quella non era una ferita da taglio... il sangue sul pugnale non era il suo.

<< Chi è stato? >>

I tuoi occhi colsero il movimento minimo ma esplicativo dei suoi denti che si stringevano, lo sguardo che si abbassava.
Raccontò tutto con tono distaccato, senza scendere nei particolari e, mano a mano che lei raccontava, un'idea si faceva largo nella tua mente.
Era perfetta.
Aveva affrontato completamente alla sprovvista due uomini armati, non aveva provato paura nemmeno per un momento.
E adesso fremeva di quei sentimenti che potevi benissimo definire come rabbia e rancore.


-


<< Vieni con me. >>


 Quelle parole ti sorpresero, facendoti precipitare sui suoi occhi blu, dove ora stava una strana luce, ma nessuna spiegazione.

<< Non hai nulla da perdere, vero? >>

L'aria ti si blocco in gola, mentre quella frase echeggiava nella testa.

<< ... Nulla. >>
<< Sei arrabbiata? >>
<< Sì.. sì, lo sono. >>
<< E con chi, Marina, con chi? >>
<< ... con me stessa. >>
<< Questo perché sei troppo debole. >>

Le parole che Marcus pronunciò vennero scandite, con una spaventosa contemporaneità, anche dal tuo cuore. Era vero. Se ti avevano portato via il Maestro era solo e unicamente colpa tua.
Eri stata lontana dalle armi per troppo tempo.

<< ... fammi diventare forte, Maestro Marcus. >>

Il sorriso ( ma quale sorriso? Quello era un vero e proprio ghigno diabolico) si allargò sulle sue labbra sentendo quell'appellativo.
Ti mise in piedi, e tu inaspettatamente ti reggesti sulle tue gambe, tenendo la schiena dritta, e poi si alzò anche lui, fissandoti.

<< Adesso sì che ragioni. Ti farò conoscere il tuo lato oscuro, quello che tieni qui dentro... >> e dicendo questo ti colpì il petto proprio dove stava il cuore << ... che racchiude tutta la tua forza. Hai abbastanza fegato per fare il mio lavoro. >>
<< E quale sarebbe il tuo lavoro? >>

Chiedesti, senza timore. Lui sorrise e solo allora notasti il lungo mantello con cappuccio e la fila di lame che teneva alla vita.

<< Quello di cui nessuno parla, ma di cui tutti hanno bisogno. L'Assassino. >>

"Assassino".
Quella parola ti fece tremare un attimo le viscere, ma non di paura.
Sapevi che un cavaliere era forte, ma... ma un assassino, furbo, agile e pronto a tutto, lo era molto molto di più.

<< ... sono pronta a prendere questa strada. >>

La frase ti uscì quasi automaticamente dalle labbra e avesti l'impressione che Marcus non aspettasse altro.

<< Bene. >>

Disse, osservandoti poi da capo a fondo.

 << Hai i capelli lunghi. >>

Ti prendesti la treccia tra le mani, guardandolo poi, senza capire il perché di quella sua ovvia precisazione.

<< Ti dovrai abituare ad averli sporchi di sangue... come ora, del resto. >>

Rise appena, con tono di strafottenza.
Per quanto quell'uomo portasse il cognome di Leonardo era tutto un altro tipo di persona e di Maestro.
Voleva metterti paura, questo era ovvio.
Ti avrebbe reso la vita un inferno, già lo sapevi, si sarebbe fatto odiare tanto da farti desiderare la sua morte e per mano sua, in modo da alimentare il tuo senso di confidenza con l'uccidere a sangue freddo, la tua rabbia e il tuo livello di sopportazione.

<< ... hai ragione. >>


... ma tu non ti saresti lasciata intimidire.
Ti voltasti, cercando con lo sguardo qualcosa sul pavimento: eccolo lì, proprio accanto alla macchia di sangue.
Ti chinasti a prendere il pugnale, pulendolo dal sangue sui tuoi vestiti.
Poi, sotto i suoi occhi stupefatti, afferrasti con la mano libera la treccia e premesti senza indugio contro l'attaccatura alla nuca la lama affilata;
sempre più, sempre più, fin quando un sonoro strappo la lunga treccia castana ti rimase nella mano destra.
Sentire il tuo collo scoperto dai capelli ti diede un brivido, che si fuse velocemente a quello di soddisfazione provato nel vedere il viso altrettanto soddisfatto di Marcus.

<< Devo trovarti un nome. >>
<< Un nome...? >>
<< Sì. Un nome di copertura, con cui farti conoscere. >>

I suoi occhi guardarono dietro di te che, curiosa, ti voltasti seguendo la traiettoria tracciata dai suoi occhi.
La bocca ti si spalancò, vedendo ciò che stava alle basi dell'entrata della cappella.

<< Quei... quei gigli... >>
<< Rossi. >>

Marcus concluse la frase, avviandosi verso la porta e recidendone uno tra l'indice e il medio.

<< Le radici devono aver toccato il sangue, e i petali si sono colorati.. >>

Si voltò a guardarti, lanciandoti poi il fiore che velocemente afferrasti, tenendolo tra le palme con cura.

<< Marina. Il tuo nome. da adesso in poi, sarà... >>












<< Prendeteli! >>


Roma.

La milizia scruta ogni dove, ringhiando e tenendo avanti le spade;

La folla mormora, agitata, senza rendersi conto di cosa sta fuggendo attraverso essa.

Due lunghi mantelli uno nero e uno color mattone, più piccolo, scompaiono in un vicolo, lo attraversano, giungendo dalla parte opposta.

<< Ci sono un po' troppe guardie. >> Dice il nero, prendendo a camminare ora normalmente. << Il nobile che abbiamo giustiziato era un pezzo grosso... penso che se lo aspettasse, in un certo senso. >>
Rispose il più piccolo.
<< Comunque, adesso liberiamoci di questi. >>
<< Sì. >>

I guanti di pelle afferrarono il cappuccio, mentre la folla nuovamente vi avvolgeva, inghiottendo un collo nudo su cui stava un piccolo e carminio tatuaggio stilizzato di un fiore.

<< Guarda. >>

Gli occhi blu di colui che portava il cappuccio nero si posarono sul muro di lato.

<< Adesso ti conosco bene. >>
<< Così sia. >>
<< Ma devi ancora crescere... sei ancora debole. >>
<< Lo so. Devo diventare più forte... ancora di più. >>


Le figure scomparirono nel via via di persone, lasciando dietro di loro solo un manifesto ora sfregiato, composto da un numero con molti zeri, un titolo che recitava " Morti di Vivo ", un disegno decisamente abbozzato e un nome.

Il tuo nome.




Il Giglio Rosso.
















______________*

Note dell' Autrice.


Periodi in cui si svolge la storia.

1° capitolo:  1470, Firenze. 
2° capitolo:  1503- 1517,  Firenze e  Francia
3° capitolo: 1560- ...  Francia e Roma

Si fa riferimento a fatti storici quali:

1° capitolo: Congiura dei Pazzi.
2° capitolo: Vita di Leonardo da Vinci, esposizione al mondo della Gioconda.
3° capitolo: Congiura di Amboise, organizzazione per la seconda e subito sventata congiura.


Copyright.

© I personaggi di Francis Bonnefoy ( Francia ) sono di proprietà di Hidekaz Himayura, creatore di Axis Power Hetalia.
©  I personaggi di Leonardo da Vinci, Gian Giacomo Caprotti, Marco D'Oggiono, Tommaso Masini ( ebbene sì! Proprio quel Tommasino! ), Francesco Melzi, Lorenzo, Giuliano, Caterina e Piero de' Medici, Francesco Pazzi, Bernardo Bernardini , Michelangelo Buonarroti, Francesco I e Giovanna D'Arco (Implicitamente citata) sono tutti esistiti realmente.
© I personaggi di Marina "Centro-Italia" Vargas, della sua controparte, Il Giglio Rosso, e di Marcus "San Marino" Da Vinci sono di mia propietà e invenzione da ormai due anni. 
© I personaggi di  Lucia "Santa Sede" Madeleine è stato creato e appartiene a me e a una mia amica.







   
 
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