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Autore: Kat Logan    30/06/2011    13 recensioni
Caro padre, come mi guarderesti se lo sapessi? Avresti ancora occhi per me? Mi riserveresti una delle tue carezze gentili se fossi a conoscenza del fatto che amo uno scarto della società, come lo chiameresti tu?
Eppure è così. La tua bambina è perdutamente innamorata del suo rapitore.
“E ci ameremo e spereremo e moriremo senza secondi fini.”
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Mondo Yakuza'
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Un vento fresco soffiava prepotente portando con se l’odore della salsedine.
Il suo sguardo azzurro intenso, fu ammaliato ancora una volta dal blu dell’oceano, increspato da piccole onde che riflettevano i raggi di un sole pallido che si stagliava in un cielo sereno e privo di nuvole.
Lo scrosciare lento dell’acqua era la sua cantilena preferita, una dolce ninna nanna che la cullava nei momenti di tristezza e accompagnava quelli di gioia festeggiando con lei.
Una ciocca dispettosa di capelli acqua marina, mossa dalla brezza, le frustò la guancia liscia e candida, per poi lasciarsi catturare dalle dita sottili e affusolate che la riportarono dietro l’orecchio.
La ragazza inspirò ancora una volta quell’odore salato ed indescrivibile che amava tanto.
E’ inutile, il mare quando ti entra dentro non ti lascia più.
Per lei fu subito così.
Ricordava la prima volta che suo padre la portò in spiaggia come uno dei giorni più belli della sua vita.
Le immagini di quel pomeriggio erano ancora nitide nella sua mente nonostante fossero passati ben quindici anni. Era una giornata torrida di agosto, l’afa in città rendeva l’aria irrespirabile e lei tremendamente irritabile, così, suo padre decise di portarla sulla costa convinto che si sarebbe sentita meglio e divertita.
Un lieve sorriso a quel pensiero le piegò gli angoli della bocca all’insù.
La sabbia, la luce intensa che si frammentava sulla superfice dell’acqua, la voce del mare, le piccole sagome scure di alcune navi in lontananza all’orizzonte che appariva irraggiungibile, l’avevano irrimediabilmente incantata, tanto che aveva deciso di trasferirsi ad Osaka per sentire più vicino a lei la presenza di quell’immensa distesa d’acqua, oltre che a cogliere l’opportunità di lavorare come insegnante all’Università di musica della città.
Distolse i suoi pensieri da quel piacevole ricordo per guardare l’orologio che teneva al polso.
Le sei e un quarto.
Michiru arricciò il piccolo naso leggermente all’insù per poi constatare di doversi dirigere all’interno dell’ Osaka Kansai International Airport e raggiungere il terminal nord da dove il suo volo per Tokyo sarebbe partito.
Mentre camminava a passo deciso, trascinandosi alle spalle il suo trolley verde brillante, nella testa risuonavano le poche parole che Ami, sua sorella minore, rimasta a Tokyo con il padre per seguire gli studi di medicina, aveva pronunciato il giorno precedente nella cornetta del telefono.
“Michiru, papà non lo ammetterà mai, sai com’è fatto, crede sempre di avere tutto sotto controllo e di poter risolvere le cose a modo suo, ma temo sia nei guai…”
Ami, non aveva voluto darle nessun’altra spiegazione, forse per non allarmarla troppo.
Ma Michiru odiava non aver sotto controllo la situazione, tanto che questo non essere al corrente delle cose, le aveva scatenato un senso di ansia e preoccupazione profonda, che oltre a non farle chiudere occhio per l’intera nottata, l’aveva spinta a partire il giorno dopo per verificare di persona la situazione del padre.
Dopo aver passato i controlli aereoportuali ed aver preso posto sul volo della All Nippon Airways accanto al finestrino, si concesse un lungo sospiro sprofondando con la testa nel comodo sedile della compagnia aerea.
Socchiuse gli occhi.
“Cosa starà mai succedendo?”  
Come poteva essere nei guai un uomo come suo padre? Non riusciva a concepire quell’idea.
Era sempre stato un uomo ligio al dovere ed onesto. Cocciuto e alle volte con un caratteraccio ma non aveva mai fatto del male nessuno, né truffato qualcuno per quanto ne sapeva lei.
Amava la sua famiglia, adorava lei e sua sorella Ami, nonostante fosse figlia di un altro uomo.
Per lui l’unica differenza tra le due era un cognome che non era il suo, ma le aveva sempre trattate e rispettate allo stesso modo, incoraggiate, consolate e coccolate come se entrambe fossero sangue del suo stesso sangue.
E fu a pensare ai suoi occhi azzurri, grandi e gentili, che lei stessa aveva ereditato da lui a chiedersi come sua madre avesse potuto tradire un uomo così buono.
Ricordò il giorno in cui Ami tornò a casa piangendo da scuola perché i suoi compagni le dicevano che non era veramente sua sorella, accusandola di aver inventato tutto quanto.
Lei l’aveva abbracciata stretta e le aveva suonato il violino per l’intero pomeriggio in modo da consolarla, sapeva  quanto la sorellina adorasse ascoltarla mentre si esercitava e già conosceva il potere che la musica aveva per placare l’animo di chi veniva ferito.
Quella stessa sera, quando sua madre la mise a letto rimboccandole le coperte e baciandole la fronte, lei le chiese come mai Ami avesse un cognome diverso.
“Ha un altro papà…”Quella risposta non le era certo bastata. Aveva otto anni ma non era stupida, e la curiosità era davvero troppa. Così la incalzò affermando che a lei non importava perché Ami sarebbe comunque stata sua sorella e la domanda che fece sospirare sua madre fu “perché hai tradito papà?”
Come risposta seguì un lungo silenzio rotto solo da quel sospiro.
Nonostante la tenera età, Michiru, conosceva già bene il significato di quella parola e sua madre non se ne sorprese.
Gli occhi della donna, si persero nei suoi per un breve istante per poi dirle che nella vita si commettono degli errori e che lei era stata una stupida, ma che da quello sbaglio era nata una cosa bella, di cui non riusciva a pentirsi.
 
La voce del ragazzo che sarebbe stato il suo compagno di volo per un’ora e un quarto la riportò bruscamente alla realtà.
“Queste valigie sono un vero impiccio!” disse ad alta voce, sistemando a fatica il suo bagaglio nello sportello situato al di sopra del suo sedile.
Michiru  sorrise annuendo con la testa “non lo dica a me, rischio sempre di inciampare nelle rotelline del trolley!”
L’altro la squadrò un momento, il suo sguardo di fermò sui tacchi vertiginosi che indossava ed indicandoli con un gesto della mano, rispose al sorriso con un “sicura che la colpa non sia in realtà di quelli?”
La giovane si guardò le scarpe tacco dodici che aveva ai piedi “No, a questi sono abituata!”
“Io non mi ci abituerei mai invece!” rise lui per poi prendere posto accanto a lei, tendendole la mano per presentarsi “Piacere, Mamoru Chiba!”
Michiru lo osservò meglio, i capelli corvini incorniciavano un viso impreziosito da due occhi chiari e penetranti, le labbra sottili del ragazzo s’incurvarono in altro sorriso sincero e lei si apprestò a ricambiare la stretta di mano inclinando leggermente la testa per poi presentarsi “Michiru Kaiō, piacere mio!”
La voce dell’ hostess che invitava i passeggeri ad allacciarsi le cinture interruppe la breve conversazione dei due, che osservando le spie rosse intermittenti sopra le loro teste, procedettero silenziosi in quell’operazione.
I motori si accesero e l’aereo cominciò a correre sulla pista di cemento costruita sul mare per poi alzarsi in volo alla volta di Tokyo.
 
 
*
 
 
Portiamo a sgranchire la mia nuova bambina!
La mano affusolata passò leggera sulla carrozzeria dell'auto sportiva gialla lucente come per darle una carezza.
Il pilota salì a bordo della Nissan GT-R 2011 truccata, passando le mani sul volante e godendosi l'odore della pelle nuova che rivestiva i sedili del veicolo.
Alcuni capelli corti, dorati, ricaddero scompigliati sul viso dai tratti fini dopo che la testa si abbandonò un momento appoggiata al sedile, animando il viso di un'espressione quasi estatica.
Una scarica d'adrenalina improvvisa percorse le vene della ragazza dall'aspetto androgino, facendole spalancare i grandi occhi cobalto socchiusi fino ad un istante prima.
Sorrise beffarda nello specchietto retrovisore per poi spingere energicamente il piede sul pedale dell'acceleratore facendo una manovra veloce all'interno del grande garage sotterraneo.
Si gustò il rombo del motore che risuonò prepotente nelle sue orecchie scatenando in lei l'euforia che nemmeno la droga più potente le avrebbe provocato.
Oh papino, tu sai come farmi felice!
“Oh, ma guarda qui, qualcuno ha fatto felice un pezzo grosso!” La voce di Akira arrivò all’orecchio della ragazza che teneva i finestrini del tutto abbassati.
“Mi sono fatta il culo, non credere!” gli rispose mentre rallentava accanto alla figura del ragazzo alto dai lunghi capelli mori, che sfoggiava due braccia muscolose interamente tatuate.
“Non ne dubito, l’ Oyabun non fa regali così costosi a caso…” un sorrisetto dipinse il volto del ragazzo che infilò la testa dentro al finestrino incuriosito per osservare meglio i particolari dell’auto.
“Secondo me, sei una buona candidata…” aggiunse in un sospiro.
“Sono una donna, te lo ricordi?” una punta d’ironia macchiò la sua voce dal timbro ironico.
Il suo sguardo cobalto si puntò dritto davanti a lei senza guardare in faccia Akira.
“Oh andiamo…e la moglie di Giichi Matsuda dove la metti?!”
Haruka si lasciò scappare una sonora risata che non riuscì a frenare scuotendo energicamente il capo.
“Non posso crederci, mi fai un esempio del genere?! Quella era sua moglie, lui è stato assassinato! Ecco perché lei è finita a capo del clan!”
Akira sbuffò, non riusciva mai a tenerle testa, forse proprio per quel suo carattere lei era una delle migliori nel suo campo. A volte pensava che lei potesse essere più uomo di lui in determinate situazioni.
“Senti, non ho intenzione di sposarmi con uno che può essere mio padre…”
Haruka fece una breve pausa prima di accendere la radio e alzare il volume a un livello disumano per i timpani, sgasò ancora una volta e gridando per sovrastare la musica invitò con lei il ragazzo che era intento a memorizzare ogni dettaglio della sua nuova auto.
“Allora, vieni a fare un giro o vuoi continuare a sbavare su questo ferro?”
Akira alzò le mani in segno di resa “se proprio insisti…” disse con fare da finto svogliato per poi aprire la portiera del passeggero e accomodarsi nell’abitacolo accanto a lei.
"Ten'ō non farti beccare dagli sbirri!" Aggiunse allacciandosi la cintura di sicurezza.
“Sulla mia macchina non accetto ordini da nessuno!” La lancetta della velocità schizzò come impazzita e le ruote stridettero sull’asfalto uscendo a tutta velocità dal garage.
“Soprattutto dai pappa molla come te!” Haruka sorrise compiaciuta delle sue stesse parole, ma soprattutto dalla smorfia di terrore che si era dipinta sul volto di Akira, che nemmeno dopo un minuto in macchina con lei era già con le mani avvinghiate al sedile pregando di non finire in poltiglia contro il muro di un palazzo o qualsiasi altra cosa che potesse spedirli dritti in ospedale.
 
 
*
 
Le luci colorate di Tokyo si accesero al calare del sole regalando nuova vita ed energia alla città già affollata dai ragazzi pronti a far baldoria per tutta la notte.
 
L’aeroporto, in fermento, provocò una certa agitazione in Michiru che si sentì sperduta in mezzo alla folla brulicante e chiassosa che le si snodava attorno.
Una ragazza dai lunghi capelli biondi e l’aria un po’ da bambina, corse incontro a Mamoru, saltandogli letteralmente in braccio a pochi passi da lei.
“Mamoruuuu!” la sua voce sembrò rimbombare per tutta la sala degli arrivi, mentre non riusciva più a tenersi dalla gioia e gettava le braccia al collo, a quello che indubbiamente era un fidanzato o un marito.
Michiru si sentì una guardona nell’osservare la scena, così cercò tra folla il viso di Ami, che le aveva promesso sarebbe andata a prenderla, quando dei capelli corti sbarazzini blu comparvero nella sua visuale.
Eccola!
“Michi chan!” la sorella agitò una mano in segno di saluto mentre si faceva spazio tra le persone per raggiungerla e andare ad abbracciarla.
“Ciao Ami! Sei diventata ancora più alta dall’ultima volta che ti ho vista!” osservò Michiru per poi abbracciarla stretta a sé.
In quegli anni l’era mancata molto anche se si sentivano regolarmente ogni settimana e chiaccheravano per ore al telefono.
“E tu bella come sempre!” sorrise l’altra per poi proporle di andare a recuperare i suoi bagagli.
Michiru la seguì, salutando con un cenno Mamoru, mentre la sua ragazza domandava a voce alta un “Chi è quella che sembra una top model?! Non dirmi che mi tradisci!”, scatenando una risata in lei, che cercò di mascherare portandosi una mano davanti alla bocca.
“Hai fatto conquiste in aereo!” scherzò Ami notando la scenetta mentre le camminava a fianco.
“Era simpatico, è stato un viaggio piacevole!” affermò Michiru, portandosi poi un indice al mento come per pensare. “Ha detto di fare il medico, un giorno sarete colleghi magari! Come procedono gli studi?”
Domandò sinceramente interessata.
Gli occhi di Ami s’illuminarono all’istante. Era una ragazza intelligente e una studentessa modello, il suo grande amore era di sicuro la conoscenza, visto il modo in cui si rallegrava tutta nel parlare della sua futura professione e dell’università.
“Ho superato l’esame di Chirurgia generale con il massimo dei voti, papà è stato molto felice, tanto che ha voluto festeggiare portandomi fuori a cena per l’occasione!”
“Non avevo dubbi avessi preso il massimo! Sei sempre stata bravissima anche al liceo, ma esci oltre a studiare? Devi divertirti un po’!” le chiese Michiru intenta a prendere dal nastro trasportatore la propria valigia.
“Non preoccuparti! Esco anche con le amiche!” la rassicurò Ami, portandosi una mano alla testa e scompigliandosi un po’ i capelli.
“E il ragazzo ce l’hai?” lo sguardo di Michiru si fece malizioso.
Era una curiosa cronica e non seppe resistere alla tentazione di indagare sulla vita sentimentale di Ami che arrossì violentemente cominciando a balbettare imbarazzata.
“No…cioè…no!”
Michiru alzò un sopracciglio interdetta dalla risposta poco chiara dell’altra “Non sembri molto convinta!”
“Oh insomma, sembri un detective!” la riprese imbarazzata la sorella trascinandola fuori dall’edificio, senza degnarla di una risposta più chiara.
 

*

 
I riflessi delle luci provocarono flebili scintillii sulle carrozzerie delle auto sportive pronte a correre e nello stesso momento, a pochi chilometri di distanza, s’infransero negli occhi azzurri di Michiru incantata dalle luci di Tokyo che non ricordava essere così ipnotiche.
 
Haruka appoggiata alla propria auto tirò un’altra boccata di fumo dalla sua sigaretta per poi gettarla a terra.
Guardò Akira intento a godersi le effusioni della sua ragazza, quella sera lei, invece, si sarebbe dovuta consolare con una bella dose di adrenalina e velocità dopo essersi lasciata scappare la preda, che era praticamente cascata ai suoi piedi nel solo incrociare il suo sguardo, grazie all’amica impicciona che l’aveva prontamente dissuasa con un “Ma sei matta? Quello sai chi è? E’ uno Yakuza! Stacci alla larga!”
 
Impicciona, guastafeste e pure ignorante!
Pensò Haruka tra sé e sé scuotendo la testa mentre osservava le due ragazze allontanarsi.
Un’altra volta era stata scambiata per un ragazzo e un’altra volta il suo essere un membro della Yakuza, aveva scoraggiato una donzella che non era abbastanza temeraria a passare una notte con lei.
Poco male, dopo aver vinto anche questa corsa potrò scegliere qualcuna più avventurosa e meno impressionabile di quella.
Sorrise sicura di sé, succedeva sempre così, per ogni ragazza che diceva di no se ne trovavano altre dieci che avrebbero ucciso per Haruka Ten’ō.
Nessuna resisteva al fascino della regina indiscussa delle corse.
Non aveva bisogno di nessun trucchetto, non aveva bisogno di essere un uomo. Lei era come le luci di Tokyo, risplendeva nel buio affascinante e magnetica.
 
 
 
 
Note dell’autrice:
 
Eccomi di nuovo qui! Non sono sparita dalla faccia della terra, sono stata occupata con l’esame di metodologia della critica dell’arte che mi ha dato molto da fare XD
Inoltre questo capitolo non mi ha facilitato la vita ma…eccolo!
Innanzi tutto grazie mille per le recensioni al prologo. Mi danno sempre la carica e apprezzo sempre sapere il vostro punto di vista e ciò che pensate.
Ho optato per 2.480 parole perché non volevo fare il capitolo troppo lungo, credo che così sia una lunghezza “giusta” che riesce a non stancare anche chi apprezza i capitoli brevi. Sono un po’ maniaca ma cerco di venire un po’ incontro a tutti quanti eheh.
Ovviamente la storia ci mette un pochino a partire, ma spero che questa prima parte non vi abbia annoiato troppo :D
 
 
Bene. Non vi trattengo oltre e metto qualche nota per chi non sapesse alcune parole che ho citato, dato che nel prologo qualcuno si è trovato in difficoltà con la Sindrome di Stoccolma :D
 
 
  1. Yakuza : Organizzazione criminale giapponese, è quella che noi in Italia riteniamo la Mafia Giapponese
  2. Oyabun: La Yakuza ha una struttura molto complessa (mi sono messa a studiare un po’ questo tipo di organizzazione, ma non è semplice la cosa, cercherò di risultare il più chiara possibile) a capo della gerarchia interna c’è l’ Oyabun, considerato anche come un padre, in poche parole è il Boss della situazione!
  3.  Giichi Matsuda: E’ un Oyabun esistito realmente, è stato ucciso e alla sua morte ha preso il suo posto la moglie. E’ un caso un po’ particolare perché solitamente il successore dell’ Oyabun viene “eletto” dall’ Oyabun stesso.
 
Direi che è tutto! Se ci sono altre parole che non ho citato qui e su cui avete dei dubbi, sapete dove trovarmi.
Anche per altri eventuali dubbi, io sono sempre disponibile per chiarimenti, oltre che per quattro chiacchere!
Se poi ci saranno domande frequenti in merito alla storia o al capitolo in sé non esiterò a scrivere un post apposito sul mio blog come ho fatto alla domanda che mi fu posta da più di una persona su come nacque questa storia :D
 
Alla prossima!!
   
 
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