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Autore: Invader_from_Hell    12/02/2004    3 recensioni
Eccomi tornato dopo qualche giorno d'assenza! Sono piuttosto soddisfatto di questo lavoretto. Un po' più lungo del solito, tra l'altro. Descrive una relazione piuttosto difficile, che deve affrontare situazioni molto molto delicate. Un rapporto tormentato che si risolve in modo inaspettato. Il punto di vista è soggettivo e risente della visione del protagonista. Detto questo sta a voi leggere o non leggere ^_^ R & R
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Don’t Fear the Reaper

Don’t Fear the Reaper

 

優しい

 

Grazie a chi con pazienza legge i miei lavori e li commenta.

Tributo all’omonima canzone dei Blue Oyster Cult, sulla quale peraltro è stato fatto un bellissimo AMV di Yami no Matsuei… ok ^_^’

 

 

Alzarsi fu esattamente come tutte le altre mattine dell’anno, io questo non me lo sarei mai aspettato. Forse un ruolo fondamentale lo aveva da subito giocato il fatto che non ero solo. Tuttavia, il mio stato d’animo era ben diverso da quello che indossavo nei giorni di scuola l’anno prima e che pazientemente stiravo ogni sera, senza però averlo prima lavato. Temevo che perdesse il colore dell’indifferenza, che da sempre mi aveva contraddistinto.

L’abito emotivo che l’abile sarto mi aveva confezionato appositamente per quella mattina, era piuttosto diverso dallo scolorito mood liceale. Era anonimo e sufficientemente comodo per non stare troppo a riflettere, avrebbe favorito la corsa ma non mi avrebbe permesso di andare eccessivamente lontano.

Un sole splendido come quello, non l’avevo mai visto.

“ Ti fai una doccia?” mi chiese con l’immancabile sorriso di chi ad ogni costo è deciso a proteggerti, ma non te lo vuole far pesare.

Non risposi, non ne avevo la minima voglia. Sapevo che non mi avrebbe rimproverato e che non si sarebbe lamentato minimamente. Considerare il mio atteggiamente sbagliato era assolutamente fuori discussione quel giorno. Ero intenzionato a perseverare nel mio silenzio, sarebbe sicuramente stato esteticamente più bello di qualsiasi parola.

E comunque la doccia me la feci sul serio, preoccupandomi che lui non mi sentisse. Non volli neanche che entrando in bagno potesse accorgersi del mio passaggio. Spalancai le finestre e stetti per qualche secondo sul davanzale per assaporare quella commistione tra aria gelata e calore domestico. Nudo, in quella posizione, ero quando di più perfetto e fragile ci potesse essere sulla faccia della terra, comparabile unicamente alla specie di corallo più rara. Ero sicuro che nessuno mi avrebbe toccato. Nessuno tocca una pietra preziosa in formazione, nessuno osa invadere la perfezione che si forma e si addensa intorno ad una roccia.

Se non altro, l’aria ghiaccia avrebbe evitato l’appannamento dello specchio,e sarebbe stato già un punto a mio favore, senza contare che non si sarebbe avvertito il calore dell’acqua. Per ovviare a questo avrei potuto anche farmi una doccia fredda: lo specchio non si sarebbe appannato e le nuvole di vapore acqueo intrise del mio odore non si sarebbero propgate nella stanza. L’acqua fredda lava via anche il più sporco dei peccati, è sterile e non è familiare all’uomo a causa del suo estremo rigore.

Io la doccia me la sarei fatta calda, perché così la adoravo. Assuefacente, mi avrebbe chiesto il permesso di entrare nei meandri più segreti e sconfinati del mio corpo e della mia anima, e io le avrei consentito l’ingresso, ansioso di scendere a patti con la libidine e curioso di scoprire come il diavolo ama lavarsi.

Quando mi fui infilato l’accapatoio notai che effettivamente il vetro non si era appannato, e fui tentato di chiudere la finestra. Tuttavia la mia prudenza mi portò a desistere, non era ancora detta l’ultima parola, il piano non era ancora perfetto. Non appena fui sufficientemente asciutto presi un asciugamano e mi misis pazientemente ad asciugare ogni angolo della doccia, non avrei lasciato neanche l’odore dell’acqua, tantomeno il mio, di odore.

Asciugai anche il pavimento.

Trattai i miei capelli con cura maniacale. Le ciocche bionde mi scendevano disordinatamente sulla fronte e tutt’intorno, come fiocchi di neve grandi e lenti nella loro discesa, ma estremamente intrisi di bellezza. Alla luce del sole li vedevo assumere riflessi aurei.

Chiusi la finestra.

Lo trovai in cucina alle prese con una fetta di torta. Doveva essersi alzato presto apposta per andarla a comprare, pensando che potesse servire a dipingere un sorriso sulle mie labbra. Mi guardò sorridendo, in maniera piuttosto stupida, a dire il vero. Mi sedetti accanto a lui. Profumava di dopobarba, e i suoi capelli erano stranamente ordinati. Il suo profilo scomparse pochi secondi dopo dietro una tazza di caffè. Rimasi con le mani in mano per qualche minuto, facendo attenzione che non mi scoprisse mentre lo guardavo.

“ Uhm, dopo la doccia devi essere affamato…” disse dopo aver appoggiato la tazza sul tavolo. Sorrideva come non mai, la fronte mi bruciava, e anche lo stomaco inizava a a cedere. Se n’era accorto che mi ero fatto la doccia. Quando mai ero riuscito a fargliela? Aspettava una risposta, e sapevo che si sarebbe accontentato di un movimento indefinito della mia testa. Al mio annuire si alzò e canticchiando si mise ai fornelli. Adesso era inevitabiole guardarlo, ce l’avevo sotto gli occhi anche se di spalle. Era allegro. Sapevo benissimo che tutta quell’allegria non poteva che essere un suo tentativo di farmi almeno sorridere, ma doveva esserci qualcos’altro. Mi rifiutavo categoricamente di credere che tutto ciò fosse per lui innato e spontaneo, e non volevo neppure pensare che lo facesse solo per me, nascondendo una grande tristezza. Ma quel giorno non avrebbe avuto di che essere triste, non direttamente. Doveva avere una precisa motivazione per comportarsi in quel modo. Se non fosse stato più grande di me di sei anni – era quindi in tutti i casi mio senpai*- e molto più robusto e alto di me (già non ero un gigante, e lui era 15 cm più alto di me, e molto più muscoloso… io ero sempre stato fragile. Una bambola di porcellana) l’avrei picchiato già dalla prima volta che l’avevo visto.

Capelli scuri, occhi chiari. Nel pieno dei suoi venticinque, recentemente compiuti e visibili in tutto il loro splendore sulla pefezione di quel ragazzo che tra non molto tutti avrebbero chiamato “uomo”. E mio malgrado avrei dovuto rassegnarmi anche io; rassegnarmi a essere un ragazzino insieme ad un uomo.

“ Ecco qua “ mi disse servendomi qualcosa da mangiare “ spero che ti piaccia!” sorrideva mentre tratteneva la frustrazione che gli causavo. Sembrava così beato e contento di sé, pareva proprio che avesse trovato una dimensione nella quale poter sostare per molti anni senza dover sentire il peso di vivere e l’incalzare del tempo. Rimboccarmi le coperte lo faceva stare davvero bene? Erano i miei capricci che gli davano tutta quella gioia di vivere?

“ Quando imparerai a usare il sale?” gli dissi sospirando dopo il primo boccone. Stavolta non stavo fingendo, era davvero schifosamente salata quella roba…Comunque, se avessi avuto intenzione di ferirlo mi sarei sbagliato di grosso, perché articolò la sua solita risata a metà tra il divertito e il rassegnato. Allungò una mano. Sapevo troppo bene cosa desiderasse. La sensazione di movimento e calore che pervase d’un tratto i miei capelli ne fu la prova. Se ne stava lì seduto davanti a me, sorridendo beato… il mento appoggiato su una mano.. il braccio destro proteso in avanti per raggiungere i miei capelli; in quel momento sembrava davvero beato, avrei giurato che stesse assaporando i fumi della frustrazione e che li stesse trovando deliziosi e assuefacenti. Era soddisfatto delle sue sicurezze, sapeva che avrebbe rivisto quella scena ancora a lungo.

Abbassai lo sguardo e continuai a mangiucchiare qualcosa, ma lo stomaco mi si era chiuso. Lasciai andare istintivamente le posate. La sua mano era sempr elì sopra la mia testa, se avessi alzato gli occhi avrei visto il suo braccio, ma non mi mossi. Sentivo un fiume bussare disperato alle porte della diga, ma non lo lasciai passare per nessun motivo, non senza un pedaggio adeguato. Ma quel tipo di fiume cosa poteva darmi? I muscoli iniziarono a farmi molto male, erano ormai diversi minuti che l’armonia mi aveva abbandonato, ma non appena la sua mano tornò a posarsi sul tavolo, essa tornò ad animarmi, portandosi dietro una lacerante nostalgia. Come al solito.

Sorrise un’ultima volta ed iniziò a sparecchiare. Tornai in camera.

Sulla porta un rumore mi fece sussultare. Doveva aver fatto cadere un piatto. Dolcemente irrecuperabile, come era sempre piaciuto a me.

Pur essendo convinto di dovermi vestire, mi arresi –passando davanti allo specchio- al fatto che vestito ero già.

Il corridoio era vuoto. Non mi piaceva, la possibilità di incontrare i miei pensieri in quel momento era troppo alta. Prima che potessi accorgemene, lui mi aveva appoggiato il cappotto sulle spalle.

“Andiamo?” l’avrei seguito anche all’inferno quando si rivolgeva a me con quel tono e con quello sguardo… non c’era nulla di più umiliante per me…

Non volli assolutamente che mi prendesse per mano, non lo potevo tollerare in quel momento, il suo passo misurato e elegante mi urtava terribilmente, non riuscivo a reggermi in piedi. Il pomeriggio lo passammo in giro per negozi. Volle comprarmi per forza una camicia che secondo lui mi sarebbe stata benissimo.

 

 

 

 

Il cimitero non era affatto affollato, ma essendo sabato me lo sarei aspettato… Il sabato è fatto per divertirsi e portare a termine le aspettative di una settimana di scuola o di lavoro. Poi, in realtà, è sempre piuttosto deludente, quasi risentisse della troppa importanza che gli viene data. Immaginavo che quella sera lui mi avrebbe portato a cena fuori da qualche parte.

Un carro funebre ci passò accanto. Al suo interno i resti di un bouquet di camelie. Mi ricordava il carro sul quale fu portata via la persona che stavamo andando a trovare.

Scollinammo. E apparve la laguna costellata di graziosi puntini rosa che si muovevano disordinatamente. Le ali dei fenicotteri tuttavia, mostravano il loro cuore rosso soltanto quando si alzavano in volo in seguito a rumori sospetti o al passaggio di qualche pescatore.

Il sole iniziava a dare i primi segni di cedimento, regalando allo specchio d’acqua salmastra riflessi rosa e arancio. Guardai lui… mi stava accanto, da quando eravamo entrati nel campo santo non mi si era allontanato un attimo, e io non me ne ero accorto. Mi stupii di non averlo allontanato e comunque di non essermi fatto da parte. Stava guardando i fenicotteri anche lui. Per scrutarlo bene in viso dovevo alzare non poco la testa.. La sua pelle splendeva non meno dell’acqua, sebbene con un riflesso leggermente diverso: intriso di vigore e di apparente onnipotenza. Lo avrei creduto capace di qualsiasi cosa in quell’istante, non mi sarebbe sembrato strano vederlo mentre spiccava il volo mostrando le sue ali… io non avevo mai visto le sue ali.

“ Mi piace quando mi fissi… sai?” proruppe dolcemente senza rivolgermi lo sguardo. Se n’era accorto allora. Arrossii con violenza. Mi bruciava il cuore. Mi cinse le spalle con un braccio.

“ Tu sai volare?” gli chiesi strattonandogli la manica del cappotto e cercando la sua mano con la mia.

Sorrise in modo ancora più evidente.

“ E chi lo sa… magari un giorno volerò anche io… come loro” mi disse indicandomi gli uccelli rosati che piano piano si alzavano in volo. Di nuovo sentii quel calore alla testa. Se ne approfittava perché era più alto di me.

“ Secondo te perché i fenicotteri fanno vedere il rosso delle loro ali solo quando si alzano in volo?” gli chiesi allora. Malgrado stessi facendo del mio meglio per evitarlo, sentii un abbozzo di sorriso disegnarsi sugli angoli della mia bocca. Lui schignazzò e si mise in bocca un dolcetto.

“ Uffa, dovevamo mangiarli dopo…” commentai trattenendo il sorriso.

“ Uhm –gnam- comunque –gnam-“ iniziò tra un dolcetto e l’altro. “lasciamene un paio però..” aggiunsi.

Buttato giù l’ultimo dolcetto, si fece serio.

“ Beh, secondo me sono semplicemente troppo orgogliosi!” disse poi lasciando trasparire una sorta di allegria.

“ Uhm…” risposi io “ Dici?”

“Beh, non è proprio esatto.. Io credo che vogliano mettere al sicuro la loro bellezza e mostrarla nel momento della fuga, mentre si allontanano lasciandoti solo e senza parole. Stordito da questo spettacolo. Magari sono solo un po’ spaventati. In un certo senso.. “ si interruppe e sorrise. “ … sono un po’ come te, vero?”

Arrossii nuovamente, ma stavolta non evitai il sorriso, e una volta per tutte gli afferrai la mano. In confronto alla sua, la mia mano non era affatto più piccola, soltanto più gracile.

Si girò verso di me.

“ Te la senti?” mi chiese con dolcezza, facendo attenzione ad usare un tono di voce che non suggerisse sfida, ma solo un camminare su un cavo sospeso in aria, con un’immensa rete sotto, in modo tale da non dover temere una caduta. Feci cenno di sì con la testa.

 

 

La lapide era ornata da fiori di svariati tipi e colori, tutti freschi , segno evidente che qualcuno doveva essere passato quella mattina. Non ci feci molto caso, tuttavia mi fece molto piacere osservare che il mondo della quotidianità non aveva ancora escluso la persona che adesso giaceva là.

La data di morte però era sbagliata, e l’avevo notato fin dalla prima volta. Non era stato il 13 Gennaio di due anni prima, bensì l’11.

Mi tornavano sempre in mente molte cose quando lo andavo a trovare nella sua ultima dimora. Il suo modo di baciare, il suo accento, come vestiva. Mi ricordavo ogni singola espressione del suo viso, il rumore che facevano le scarpe sulla neve. Poi ovviamente ero pervaso da vere e proprie sensazioni fisiche e finivo per crollare. Ero capace di stare lì per ore nel tentativo di ravvisare qualcosa che testimoniasse la sua presenza vicino a me. Che ne sapevo io se quello là sotto fosse davvero la persona che reclamavo disperatamente?

Ma quella volta, quasi nulla. Solo gli occhi e i capelli. E il dolore.

Ecco, quella volta pensai che quello di morire fosse stato un grande favore e gli fui profondamente grato. Da quando se n’era andato, mi avevano insegnato a non temere il mietitore, proprio come il vento e la pioggia. E le stagioni. Guardai la persona che in quel momento mi stava accanto. ero stato richiamato dalla sua voce che si era fatta strana. Lacrime rigavano il suo volto, e sebbene esprimessero la frustrazione pura erano meravigliose.

Mi guardò.

“ Vuoi che muoia anch’io?” gridò. Non me l’aspettavo.

Prima che potesse aggiungere altro io stavo sorridendo. Cadde in ginocchio. Mi inginocchiai anche io, davanti a lui, e asciugai quelle lacrime.

Forse qualcuno era morto due anni prima, ma se questo doveva essere il risultato… beh, non dovevo piangere. Era tutto molto chiaro. Visto che ormai la paura di umiliarmi era un ricordo lontano…

“ Shu, mi sposi?”

E quella sera ce ne andammo a cena fuori come previsto, ridendo a crepapelle di come sia meraviglioso fare certe proposte in un cimitero… Ma nessuno di noi due aveva paura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

*senpai: in Giappone un senpai è uno compagno/collega più grande di te, al quale solitamente bisogna tributare un certo rispetto.

 

 

 

  
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