Brivido caldo

«Hai visto la sua faccia?» riuscì a dire Andrew tra una risata e l’altra. «Penso che d’ora in poi non proverà più a mettere piede nello spogliatoio così, a tradimento».

Per poco Geoffrey non cadde dallo sgabello contorcendosi dalle risate.

«Ehi, vuoi prestare un po’ di attenzione?» biascicò qualcuno dal posto accanto al suo, riportandolo momentaneamente alla realtà.

«Scusa, amico», disse senza neanche voltarsi a guardare chi avesse parlato. «Michael, dovresti allargare un po’ lo spazio tra gli sgabelli: qui si sta veramente stretti», aggiunse poi rivolto al barista.

«Non dare la colpa agli sgabelli troppo vicini», riprese la voce alla sua sinistra. «Se non sai stare seduto su una sedia, non è certo colpa del barista o del progettista del locale».

Geoffrey stavolta si girò a guardare con chi avesse a che fare e la sua mascella rischiò pericolosamente di toccare terra dalla sorpresa, perché davanti a lui c’era Romilda Vane in tutto il suo squallore.

Non ricordava di averla mai vista in condizioni simili: i lunghi capelli neri ricadevano flosci sulle spalle; gli occhi erano arrossati e stanchi, sintomo dei numerosi bicchieri di qualsiasi alcolico babbano e magico trangugiati quella sera; la veste un tempo impeccabile era macchiata e perfettamente sgualcita in più punti. Non doveva essere stata una bella serata.

Dopo lo choc iniziale e un barlume di compassione per averla vista in quello stato, Geoffrey ricordò a un tratto tutte le prese in giro e le angherie che Romilda gli aveva fatto passare in sette anni di scuola e l’odio covato per tanto tempo straripò come un fiume in piena.

«Romilda cara», iniziò con un ghigno che deformava il suo volto altrimenti angelico. «Sono secoli che non ci vediamo. Combinato qualcosa di interessante nella tua vita?»

La strega lo guardò dal basso in alto e parve riconoscerlo. «Nulla che tu riesca a immaginare», riuscì a rispondere prima di ripiombare nel baratro dell’ubriachezza.

«Michael», iniziò Geoffrey neanche minimamente scalfito da ciò che gli aveva detto. «Un altro giro per la signorina e dammi qualcosa di forte, vorrei dimenticarmi di questo incontro».



Un sonoro crack riecheggiò nel corridoio del palazzo dove viveva Romilda. Geoffrey si avvicinò alla porta e lesse la targhetta col nome, per essere sicuro di non aver sbagliato casa... di nuovo.

La strega, stretta ancora al suo petto, aveva già iniziato a slacciargli alcuni bottoni della camicia e gli sfiorava le spalle con lascivia. Un brivido gli percorse la schiena.

«Avevo detto che ti avrei solo riaccompagnata a casa», biascicò Geoffrey, cercando di sottrarsi a quella piacevole tortura. «Non ho intenzione di finire a letto con te».

Ma Romilda non gli permise di aggiungere altro perché gli si avvinghiò ancora di più in una morsa fatale e si impossessò della sua bocca coinvolgendola in un bacio mozzafiato.

Geoffrey si sorprese di rispondere con altrettanti ardore e passione, mentre le sue mani erano già impegnate a togliere la veste della strega, assaporando meglio ogni gemito, ogni sospiro.